ARTE- Pagina 47

“La pittura dell’invisibile”, ultimi giorni nelle sale della “Fondazione Amendola”

Dedicata a Piero Rambaudi in dialogo con altre iconiche figure dell’arte astratta torinese

Fino al 28 febbraio

Figura di primo piano dell’astrattismo torinese, su Piero Rambaudi (Torino 1906 – 1991) era ingiustamente calato il silenzio da ben ventiquattro anni. L’ultima grande personale torinese a lui dedicata risale, infatti al 1999, a cura della “Galleria del Ponte” e della “Martano” con testi critici di Pino Mantovani e Franco Fanelli. Un’inspiegabile trascuratezza, cui ha oggi lodevolmente rimediato la “Fondazione Giorgio Amendola” di via Tollegno, a Torino, esponendo una trentina di opere dell’artista, assiduo frequentatore in gioventù di laboratori artigiani e dello studio di Leonardo Bistolfi, poste in dialogo – per un arco cronologico che va dalle ricerche artistiche del dopoguerra fino ai primi anni Settanta del secolo scorso – con quelle di altre sei fondamentali figure dell’arte astratta subalpina (ma non solo): dalla lirica visione geometrica di Albino Galvano e di Mario Davico alla ricerca materica di Paola Levi Montalcini (gemella del “Premio Nobel” Rita) e a quella che fu tenebra dell’anima di Carol Rama, fino al concretismo di Filippo Scroppo e all’“astrazione dinamica” di Gino Gorza.

Visibile fino a mercoledì 28 febbraio e curata da Luca Motto, “la mostra – sottolinea Prospero Cerabona, presidente della Fondazione –  è realizzata grazie alla generosa collaborazione di collezionisti privati ed enti come la ‘Galleria del Ponte’ di Torino e la ‘Civica Galleria Filippo Scroppo’ di Torre Pellice e si inserisce a pieno titolo nel filone espositivo, da anni consolidato da parte della ‘Fondazione Amendola’, dedicato alla riscoperta di importanti figure della scena artistica torinese, non sempre ricordate come sarebbe loro dovuto”. Assolutamente centrato il titolo della rassegna,“La pittura dell’invisibile”. Titolo che, subito, ci introduce al concetto di “fare arte” proprio di Rambaudi, al significato di un lavoro singolarmente incentrato “più sul processo, che nell’esito”, frutto di una formazione di bottega che sempre gli incollerà addosso un fortissimo interesse per i “materiali” (soprattutto cartacei) e la loro “elaborazione”, portandolo sempre più a desistere dal ritenere la propria attività artistica come una “professione”: dal 1924 al 1956 fu infatti direttore delle “Cartiere Bosso” di Mathi e, sempre in quest’ottica, ebbe anche a collaborare con l’“Istituto di Matematica” del “Politecnico” di Torino, per individuare tutte le possibili varianti di un tema, concretizzatesi nelle tele di fine anni ’80 in quelle sue caratteristiche geometrie dei “frattali”, dove “ogni idea suggerisce e permette la realizzazione di altre e così quasi all’infinito”. Folgorazione sulla via di Damasco per l’artista, è l’incontro con l’opera astratta di Paul Klee, che conobbe a Berna nel ’32, e di cui assorbe appieno il concetto filosofico di un’arte il cui compito “non è tanto quello di rappresentare il visibile, ma rendere visibile ciò che non lo è”.

 

Al pittore tedesco (con cittadinanza svizzera), lo legano anche la scelta e la sperimentazione di supporti “industriali”  – che vanno dalla più tradizionale tela ad olio, alla carta di giornale, alla juta o a cartoncini di ogni qualità e spessore – così come quelle “risonanze di colore” (richiamo al “colorfield painting” statunitense) in cui prendono forma tempere e chine e inchiostri su carta eseguiti a strisce o a geometrici irregolari blocchi, quadrati e piani “grigliati” che portano a quelle “variazioni policrome” che, a metà degli anni ’50, costituiranno l’esperienza centrale del lavoro di Rambaudi. Di cui la retrospettiva non dimentica di  proporre anche gli inizi, prevalentemente dedicati ad  un’attività scultorea (dagli anni ’30 fino agli anni del secondo conflitto mondiale) ancora parzialmente figurativa – volti e mani, i soggetti più cari all’artista – in cui Aldo Passoni vedeva chiara “la lezione di un Arturo Martini o di un Fritz Wotruba, ma le cui linee strutturali pur addensate già denunciano la presenza di elementi modulari pronti ad aprirsi per invadere interamente lo spazio”. Ecco allora la sezione dedicata agli anni ’50 con “monocromi” dell’inizio del decennio e raffinatissimi “Collages”, realizzati “con carte – scriveva lo stesso Rambaudi – differenziate tra loro, non solo dal colore ma dalle caratteristiche (ruvide, lucide, grossolane o fini), loro stesse sovente la genesi dei miei ‘collages’”.

In mostra anche i lavori prodotti nel periodo di intensa collaborazione con la Galleria torinese “Notizie” gestita da Luciano Pistoi: dalla serie “Le Varianti” agli oli più materici della prima metà del decennio ‘60. La mostra si chiude con alcuni lavori, fine degli anni ’60, vicini alle coeve ricerche programmatiche “dove la dimensione scientifica e matematica di progettazionediviene predominante sulla pittura”.

Gianni Milani

“Piero Rambaudi. La pittura dell’invisibile”

“Fondazione Giorgio Amendola”, via Tollegno 52, Torino; tel. 011/2482970 o www.fondazioneamendola.it

Fino al 28 febbraio

Orari: dal lun. al ven. 9,30/12,30 – 15,30/19,30; sab. 9,30/12,30

Nelle foto: “Nero”, china su carta, 1950; “Collage”, carte colorate su cartoncino, 1956, “Testa d’uomo”, gesso, 1937; “Le terre rosse”, olio su tela, 1959

“IAAD. Dialogues”. Fra arte e design, alla torinese “CRAG Gallery”

Un confronto a più voci della “community IAAD.”

Dal 29 febbraio all’8 marzo

Installazioni, video, progetti fotografici. Giovani voci per nuove narrazioni in un contesto di arte contemporanea in cui s’incrociano, e non s’intralciano, nuovi linguaggi tecnici in una “connivenza operativa” assolutamente singolare e intrigante non poco. Si intitola “Dialogues”, la prima  mostra collettiva degli artisti provenienti dalla “community IAAD.” selezionati attraverso un processo di open call all’interno dell’Istituto di via Pisa 5D, a Torino , organizzata da “IAAD. – Istituto d’Arte Applicata e Design”, in collaborazione con “CRAG – Chiono Reisova Art Gallery” di via Parma, e curata da Lucrezia Nardi, docente universitaria presso lo “IAAD.” con cattedra di “Storia dell’Arte Contemporanea e Fenomenologia”. Che spiega: “Ogni anno, ‘IAAD.’ sceglie un valore specifico come catalizzatore per opere e progetti artistici. Quest’anno, la tematica proposta è il ‘dialogo’ , diventando così un’ esplorazione condivisa da parte degli artisti emergenti che hanno lavorato nell’interstizio tra arte e design, proponendo una lettura personale e innovativa della tematica e partendo dal loro ‘background’ come designer, uscendo quindi dal loro contesto operativo più tradizionale”.

Sei i giovani artisti della “Generazione Z” selezionati e presentati, fino a venerdì 8 marzo, alla “CRAG”, Galleria guidata dal 2016 da Elisabetta Chiono (avvocato specializzato in “Diritto dell’Arte” e presidente di “TAG-Torino Art Galleries”) e da Karin Reisovà (architetto), che condivide la direzione artistica e l’evoluzione della Galleria, il cui “focus” è lo “scouting” di giovani artisti, per i quali la Galleria vuole anche essere uno “spazio per progetti sperimentali e curatoriali”.

L’itinerario alla “scoperta” del giovane sestetto si apre con “I stand perfectly still to avoid detection”Menzione speciale, a firma di Marta Maiolo (2001), si tratta di un progetto di “mixed media” (collage e fotografia), che intende sviluppare il tema dell’io e dell’altro “esplorando l’ipotesi di un dialogo che è, di fatto, un incontro”. C’è buona conoscenza tecnica dei mezzi, inventiva da vendere e la capacità di privilegiare l’ironia a processi di melliflua emozionalità. Decisamente meglio!

Anche Claudia Nobile (2002) propone un progetto installativo “dialettico ed ironico”, titolo “Pensavo Tipo” (lingua generazionale, eccome), “una descrizione leggera ma attenta dei dubbi di un certo stadio dell’esistenza, quello dei momenti di passaggio”. Un po’ di sana e intelligente riflessione non guasta mai!

Linea decisamente riflessiva anche per Alessandro Gioia (2000) in “Censored” che traduce il tema del “dialogo” in un’esplorazione sulla censura e sulla società dell’immagine, dove i “pixel design” della censura “nascondono la facile reperibilità delle stesse immagini nel nostro tempo digitale”.

Un rigoroso, ma personale, tecnicismo contraddistingue “Breccia” di Nicolò Ricci (2001) dove i tre scatti del progetto, ingranditi e “stressati” attraverso un processo di stampa scultorea “enfatizzano il dialogo estetico tra le costruzioni architettoniche e il naturale costituito dal cielo”.

In chiusura, Claudia Vivalda (2002), con la video-proiezione “Connessioni – Small Talks” e (altra menzione speciale) Giovanni Migliorucci (2002) con la video installazione interattiva “Stage”, che unisce la tecnologia del “TouchDesigner” a una restituzione “tramite un tubo catodico, mostrando un ecosistema che si modifica attraverso l’interazione esterna”.

I sei giovani artisti selezionati per la mostra alla “CRAG Gallery” dimostrano, ancora una volta, quanto lo “IAAD. – Istituto d’Arte Applicata” sia davvero uno dei principali poli di educazione e alta formazione in Italia e in Europa nell’ambito del design. Entrare in “IAAD.” significa fare parte (essere “community”) di un network internazionale che fa capo ad “AD Education”, leader in Francia tra le realtà private legate all’insegnamento del design e delle arti applicate e tra i protagonisti del settore in Europa. Il Gruppo conta 21 scuole, 72 sedi, 36mila studenti/studentesse, 2.600 docenti e un sistema didattico integrato, in 5 lingue, composto da circa 160 corsi suddivisi fra percorsi triennali e “Master”.

g.m.

“IAAD. Dialogues”

“CRAG Gallery”, via Parma 66/D, Torino; tel. 335/1227609 o www.cragallery.com

Dal 29 febbraio all’8 marzo

Orari: da merc. a sab. 15/19

Nelle foto:

–       Marta Maiolo: “I stand perfectly stile to avoid detection”

–       Nicolò Ricci: “Breccia”

–       Alessandro Gioia: “Censored”

–       Giovanni Migliorucci: “Stage”

La grande bellezza: “Moroni (1521 – 1589). Il ritratto del tempo”

Due opere soltanto sarebbero sufficienti a definire la grande bellezza, i sentimenti di chi guarda, gli incanti, le presenze e le tante storie, i ritratti soprattutto con la loro perfezione, della mostra “Moroni (1521 – 1589). Il ritratto del tempo” ospitata sino al primo aprile (val bene un viaggio, per gli appassionati) nelle sale delle Gallerie d’Italia milanesi, di fronte alla Scala, un centinaio di dipinti esposti, accompagnati da armature, libri, medaglie, disegni, con i prestiti tra l’altro del Louvre e del Prado e della National Gallery londinese e con la cura di Arturo Galansino e Simone Facchinetti, i quali dopo i successi delle precedenti mostre sul ritrattista bergamasco cinquecentesco, l’uno nel 2014 a Londra e l’altro cinque anni dopo alla Frick Collection di New York, sono divenuti i campioni d’eccellenza in territorio moroniano. Senza tema di smentita, una delle più belle mostre viste in questi ultimi anni, importante e ampia, ricca di quei volti che ti catturano per l’energia ed il realismo, assolutamente lontani dall’idealizzazione, che sprigionano, per l’intensità, per l’immediatezza che scava nei caratteri e nei comportamenti, per l’esattezza di particolare che coltiva in sé come qualcosa di modernamente fotografico, e di quegli abiti che ti rimandano con intelligente e persuasiva dolcezza ad un’epoca, di quella ampia sala al cui interno gli abiti neri (il nero come colore della elegante nobiltà) delle tele sono una sequenza difficilmente dimenticabile, suggestiva altresì per quei precisi disegni che ti rimandano, e che puoi decifrare, alle opere definitive poste non lontano, per le grandi pale d’altare che ne sono una parte non indifferente, anche se non è quella la vetta dell’arte di Moroni, e per i rapporti che sono corsi tra l’artista e altri famosi suoi compagni di percorso e d’epoca.

Due opere soltanto, “Il sarto” e il “Cavaliere in rosa”, entrambi oli su tela, campioni di ricchezze tattili, di campi dove l’occhio s’avvicina per gustare meglio, avvalorati entrambi in mostra, posti come sono nella fuga di corridoi e di aperture che fanno da cornice. Il ritratto, il primo, di un “venditore di pannine”, un tessuto di lana venduto a pezzi, alle prese con il proprio lavoro, un’anonima parete alle spalle e un taglio obliquo di luce di sapore caravaggesco, di quel Caravaggio che certo Moroni pittoricamente precede, un ragazzo che potremmo pensare poco più che trentenne, signorilmente abbigliato, un paio di calzoni rossi a sbuffo secondo la moda spagnola del XVI secolo, un giubbotto o farsetto chiaro riccamente lavorato che lascia intravedere un colletto pieghettato e due simili polsini che fuoriescono dalle maniche. Un piccolo anello al mignolo della mano destra, forse un vezzo forse il segno di un qualche agio. Forse ha appena staccato dalla cinghia di cuoio le grosse forbici che sono il punto di partenza del proprio lavoro, ha già segnato con il gesso bianco il pezzo di panno che poi taglierà: ma è stato disturbato e si è fermato, distolto da una parola di chi gli sta di fronte, forse dell’artista stesso che lo sta ritraendo. La cifra di un artista felicemente riscoperto, un esempio di verità inimmaginabile, di sorpresa ad ogni istante, di preziosa introspezione psicologica, caro e inseguito dalla committenza, capace di far nascere in noi una sensibilità fuori di quanto avremmo immaginato.

L’altro, proveniente da palazzo Moroni a Bergamo, ritrae il ventiquattrenne Gian Gerolamo Grumelli, giurista e ricco di incarichi politici e onorificenze, forse in occasione delle nozze con Isotta Brembati, poetessa, amante del canto e della musica, perfetta conoscitrice del francese, dello spagnolo e del latino, ritratta in due diversi momenti da Moroni (entrambi i ritratti sono presenti in mostra), nella prima metà degli anni Cinquanta, l’uno a figura intera e l’altro a mezza figura, dove abbondano abiti eleganti e gioielli e acconciature ricercate. Il “cavaliere”, curatissimo nell’aspetto, sguardo attento e indagatore, espresso in un elegante abito color corallo nella giubba, un colore indicato come “rosa seca”, nei calzoni alla foggia castigliana e nelle calze fermate da giarrettiere, nelle calzature, attraversata ogni parte dell’abito da ricchi filamenti d’argento visti come sontuosi ricami, impugna in eroica posa cappello piumato e spada. L’ambientazione ha le sembianze del muro di cinta di un giardino, che lascia intravedere, tra piccoli reperti d’archeologia e foglie d’edera che indicano fedeltà, un ristretto orizzonte, uno dei pochi concepito da Moroni, abituato assai più a chiudere i propri personaggi in ristretti quanto chiusi ambienti.

Ma, chiaramente, non soltanto questi. Perché attraggono “Il maestro di scuola” proveniente dalla Washington National Gallery, figura sghemba sulla sua poltrona, con quelle mani e quel libro dove tiene il segno che prepotenti escono dalla zona scura dell’abito, il “Ritratto di Alessandro Colonna” (dal Kunsthistorisches Museum viennese), opera di un Moroni trentenne – in piena epoca di Concilio – a tramandare lo scultore trentino, mentre in abiti da lavoro, le maniche rimboccate, gli avambracci e i muscoli in bella vista, regge una piccola statuetta antica nella testimonianza della propria attività e delle radici a cui guarda con amore; il “Ritratto di gentiluomo ventinovenne” e quello di Antonio Novagero (datato 1565), insigne uomo di Bergamo (“cum Bergomi praeturam sustineret MDLXV”, si legge alla base della tela, su di un piedistallo su cui il soggetto poggia la mano), al centro di lotte cittadine, elegante nell’abito rosso lasciato intravedere sotto il vistoso soprabito bordato di pelliccia, da cui appare un antico cache-sexe estremamente pronunciato, irriverente; quello di Giulio Gilardi (1548 circa), proveniente da San Francisco, l’ampio abito scuro fatto di ombre e di piccole schegge di luci, la mano sinistra poggiata su di un libro, i grandi volumi alle sue spalle, l’interno dell’ambiente, tutti a rammentarci della strada dell’originalità che Moroni aveva prepotentemente intrapreso, e quello di Michel de l’Hôspital, dall’Ambrosiana milanese, anche lui impellicciato e non soltanto per questo buon compagno del Novagero. E poi ancora appartenenti della media e alta borghesia e della nobiltà, dame della buona società, badesse, affettuosi padri con i loro bambini, prelati e insegnanti e studiosi, sconosciuti e ben riconoscibili, in tutti s’intrecciano vicende private e storie pubbliche, gli accadimenti lombardi e non soltanto di un secolo fatto di cultura e di armi e di personaggi che Moroni ha tramandato in una galleria di visi e di luci e di atteggiamenti e di rimandi, un lungo percorso dove non mancano le presenze di Tiziano e di Tintoretto (una solenne “Ultima Cena”), dove trova giusto spazio il suo maestro Moretto (“Sposalizio di Santa Caterina d’Alessandria”), la cui bottega l’artista del “Sarto” frequentò almeno sino al 1543, più o meno ventenne, e nel ricordo i bresciani Savoldo e i Romanino come Lorenzo Lotto, ampliando anche noi a quell’”occhio lombardo” di cui parlava Mina Gregori.

Questo e molto altro appartiene alla mostra milanese, un affascinante successo, uno sguardo su un artista – ripeto, magnificamente riscoperto – che colpisce per la sua elegante completezza, un percorso che attraversa anni di attività e un lungo periodo storico, per l’immagine e per le tante immagini che lo spettatore riporta con sé, per le aree suggestive, culturalmente piene, dentro le quali il lungo tragitto è suddiviso. Concludendo con “Il sarto”, là dove avevo iniziato, con le parole che, in dialetto, scrisse un’ottantina d’anni dopo, di puro apprezzamento, Marco Boschini, veneziano, anche pittore e incisore, cartografo e restauratore e buon tramite circa l’acquisto di tele per principi e danarosi collezionisti: “Ghè dei ritrat, ma in particolar / quel d’un sarto sì belo, e sì ben fato / che ‘l parla più de qual si sa Avocato, / l’ha in man la forfe, e vu ‘l vede’ a tagiar.” Una visita alle Gallerie e ve ne potrete rendere sicuramente conto.

Elio Rabbione

Nelle immagini: Giovanni Battista Moroni, “Ritratto di sarto” (Il tagliapanni), 1572-75 circa, The National Gallery, Londra; “Ritratto di Gian Gerolamo Grumelli” (Cavaliere in rosa), 1560, Palazzo Moroni, coll. privata Lucretia Moroni, Bergamo; “Ritratto di Alessandro Colonna”, 1551-52 circa, Kunsthistorisches Museum, Vienna; “Ritratto di ventinovenne”, 1567, Accademia Carrara, Bergamo; una delle sale della mostra delle Gallerie d’Italia di Milano.

Le scomposte. I mondi di Marguerite

 

Per “ContemporaneA. Parole e storie di donne”, alla Galleria “Bi-Box” di Biella, si entrerà nel profondo della vita e dell’opera di Marguerite Yourcenar

Sabato 24 febbraio, ore 16,30

Biella

Scrittrice e poetessa francese, prima donna ad essere eletta nel 1980 all’“Académie  française” e candidata nel 1951 al “Premio Nobel per la Letteratura” per “Memorie di Adriano” (il suo più celebre capolavoro realizzato nell’arco di un trentennio), Marguerite Yourcenar, al secolo Marguerite Antoinette Jeanne Marie Ghislaine Cleenewerck de Crayencour (Bruxelles, 1903 – Mont Desert, 1987), sarà al centro con la sua avventurosa e non semplice vita e con la sua opera letteraria, della prossima lezione (sabato 24 febbraio, ore 16,30) di “Le scomposte”, il corso organizzato presso la Galleria “Bi-Box Art Space” di Biella (via Italia, 38), da “ContemporaneA. Parole e storie di donne”, a cura di Maria Laura Colmegna: un’altra occasione (dopo l’incontro dedicato a Toni Morrison, prima scrittrice afroamericana a vincere il “Nobel” nel 1993) per conoscere da vicino la vite e le opere di scrittrici del passato che “con il loro talento hanno saputo intrecciare il loro tempo al nostro, in maniera indissolubile”. L’appuntamento sarà condotto da Eugenio Murrali, giornalista, collaboratore de “Il Foglio” e “Vatican News” nonché autore di libri  tra cui, con Dacia Maraini e prefazione di Dario Fo, “Il sogno del teatro. Cronaca di una passione” (BUR, 2013) e “Vincere le delusioni. Contromosse per superarle e non farsi avvelenare la vita” (con Pascale Chapaux-Morelli; Feltrinelli Urra, 2017).

A partire dal suo primo romanzo “Marguerite è stata qui” ( pubblicato da “Neri Pozza” e omaggio appassionato di uno scrittore esordiente “a una scrittrice vertiginosa e amatissima”, in cui biografia romanzata e memoir si intrecciano), nella lezione alla biellese “Bi-Box”, dal titolo “I mondi di Marguerite Yourcenar” , Murrali descriverà la vita avventurosa di Marguerite Yourcenar (pseudonimo scelto dalla scrittrice anagrammando il cognome originario, Crayencour), raccontata dalle figure che l’hanno “abitata”. Tra narrazione e monodia, vengono ripercorse le varie tappe: a Bruxelles la nascita segnata dalla perdita (dieci giorni dopo) della madre, l’infanzia in un castello tra gli alberi centenari della Fiandra francese nel Mont-Noir, le cure delle bambinaie Barbe e Camille, lo sguardo di Michel René, il padre innamorato che la inizierà ai segreti della conoscenza e della bellezza. “È anche – sottolinea Murrali – un viaggio dentro le geografie dei sentimenti e degli spazi: la costa olandese affacciata sul mare del Nord, la Grecia, l’Italia, l’America come nuova casa e quell’isola nel Maine dove la scrittrice troverà un luogo di possibile abbandono e concluderà la stesura delle Memorie di Adriano’”. Murrali, nel corso della sua “lezione” darà corpo al significativo itinerario di una donna “coraggiosa e libera” che ha percorso il “secolo breve”, attraversando due conflitti mondiali, la guerra fredda e, nella vita privata, le passioni degli anni Trenta, il lungo amore condiviso con la sua compagna Grace Frick(insegnante di letteratura inglese) e l’ardore doloroso degli ultimi anni con Jerry Wilson, giovane fotografo americano. Fino alla scomparsa della scrittrice presso l’ospedale di Bar Harbor, sull’isola di Mont Desert (Maine) il 17 dicembre 1987. La sua tomba si trova a Somesville, nel Maine, accanto a quelle di Grace e Jerry.

Per info e prenotazioni: tel. 392/5166749 o www.contemporanea-festival.com / segreteria.contemporanea@gmail.com

 

Nei prossimi incontri: Elena Varvellopresenterà Flannery O’Connor, la scrittrice delle visioni (23 marzo) e Patrizia Bellardone, presidente di “BI-BOx Art Space”, racconterà il rapporto tra la storia dell’arte e la storia delle donne a partire dal romanzo di Anna Banti“Artemisia” del 1947, dedicato ad Artemisia Gentileschi (20 aprile).

g.m.

 

Nelle foto:

–       Marguerite Yourcenar, Bailleul, 1982 – Bernard De Grendel

–       Immagine guida di “Le scomposte”

–        Eugenio Murrali

Weekend con Michelangelo Pistoletto

Un’occasione unica per una visita serale alla mostra Molti di uno con l’artista e per ascoltarlo in conversazione con Marcella Beccaria
In occasione dell’ultimo weekend della mostra Michelangelo Pistoletto. Molti di uno, venerdì 23 febbraio 2024 alle ore 18 il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea organizza un incontro per presentare il libro La formula della creazione(Cittadellarte Edizioni, 2022) alla presenza dell’artista e del Vicedirettore e curatore della mostra Marcella Beccaria.Dopo l’incontro, Michelangelo Pistoletto sarà a disposizione del pubblico per autografare le copie del suo libro al terzo piano della Manica Lunga, nel contesto della mostra.

La mostra rimarrà straordinariamente aperta sino alle ore 20.30
Il volume La formula della creazione (Cittadellarte Edizioni, 2022) è acquistabile nel Bookshop del Museo o nel Bookshop online.

La conversazione con l’artista è a ingresso gratuito previa prenotazione (rsvp@castellodirivoli.org) e fino a esaurimento posti.
La mostra è visitabile dalle ore 18 alle 20.30 con ingresso a tariffa ridotta di € 6,50 (inclusi possessori di Abbonamento Musei; € 4,50 per studenti e under 26) e presenza dell’artista per firmacopie.
Si consiglia di procedere all’acquisto del biglietto online.

Nel percorso creativo di Michelangelo Pistoletto, l’intreccio tra creazione artistica e scrittura è un fenomeno ricorrente. La genesi di ogni nuova opera prevede uno studio transdisciplinare ed è mossa da un bisogno di esprimere il concetto artistico anche attraverso la scrittura, intesa come ulteriore strumento di approfondimento. Ripercorrendo le tappe fondamentali dell’attività pluriennale di Pistoletto, La formula della creazione (Cittadellarte Edizioni, 2022) è un volume che esplora il processo della creazione a partire dall’origine di religioni, politica, scienza e culture servendosi del fermento germinale dell’arte. Negli anni sessanta, Pistoletto emerge nel contesto internazionale grazie ai celebri Quadri Specchianti. Questi fungono da base per la sua ricerca, permettendogli di giungere anni dopo alla “Formula della Creazione”, paradigma teorizzato dall’artista e consistente nel disegno di una linea incrociata due volte a formare tre cerchi. Nelle pagine del volume, l’artista offre una prospettiva unica su come questa formula sia riscontrabile in ogni aspetto del reale e sia, pertanto, alla base della vita stessa.

La mostra è realizzata in collaborazione con Cittadellarte

Gli appuntamenti della Fondazione Torino Musei

23 – 29 febbraio 2024

 

 

SABATO 24 FEBBRAIO

 

Sabato 24 febbraio dalle 11 alle 17

CUERDA SECA

MAO – workshop di decorazione ceramica

La cuerda seca è un’antica tecnica ceramica utilizzata per la decorazione delle piastrelle (azulejos) e introdotta in Spagna dagli arabi attorno al XV secolo. Questo metodo prevede una prima stesura di cuerda seca, un impasto a base di manganese utile a delimitare i confini delle decorazioni, e una seconda stesura di smalti ceramici impastati con acqua: dopo una cottura a circa 960° si ottiene un bellissimo disegno colorato ad effetto rilievo.

L’attività condotta dall’esperta Giada Bianchi fornisce ai partecipanti le basi minime per poter realizzare decorazioni in cuerda seca. Dopo una sezione iniziale di prove su modelli forniti, i partecipanti, ispirati dalle opere del MAO, potranno progettare il proprio disegno e realizzare una piastrella personalizzata.
È prevista una breve visita alla sezione di arte islamica del museo.

Prenotazione obbligatoria maodidattica@fondazionetorinomusei.it

Costo €50 (inclusi materiali, cottura finale delle piastrelle e consegna dei pezzi finiti al MAO) + ingresso ridotto alle collezioni

 

DOMENICA 25 FEBBRAIO

 

Domenica 25 febbraio ore 10.30

UN NUOVO QUARTIERE AL POSTO DELLA CITTADELLA

Palazzo Madama – percorso guidato in città

Il percorso guidato, legato alla mostra Liberty. Torino Capitale, in corso a Palazzo Madama fino al 10 giugno 2024, intende presentare un’area della città fortemente caratterizzata da costruzioni sorte durante il periodo del Liberty con esempi di edifici destinati sia alla residenza che alla produzione e all’istruzione. Passeggiando lungo le strade sarà possibile cogliere esempi di architetture e decorazioni ispirate sia all’Art Nouveau floreale che ai modelli più geometrici tipici dello Jugendstil.

Dopo la demolizione della Cittadella, Torino vide una rapida espansione urbana nell’area prossima al Maschio salvato dalla distruzione; nel nuovo quartiere scuole e palazzi sorsero prima secondo il modello definito “Umbertino” e successivamente con spiccati riferimenti al Liberty.

Ritrovo davanti al monumento di Pietro Micca in via Cernaia angolo corso Galileo Ferraris

Costo singolo itinerario: 14€ intero; 11€ ridotto (possessori di Abbonamento Musei e under 18); gratuito under 6

Durata: 2 ore

Pacchetto tre visite: 38€ intero; 29€ ridotto

Ai visitatori che parteciperanno alla visita guidata della mostra Liberty. Torino Capitale (in calendario ogni lunedì alle ore 11 e ogni venerdì, sabato e domenica alle ore 16.30) abbinata a uno o più percorsi tematici sul Liberty sarà riservata una tariffa speciale:

costo visita guidata mostra Liberty. Torino Capitale + itinerario singolo Liberty in città: 18€

costo visita guidata mostra Liberty. Torino Capitale + pacchetto itinerari Liberty in città: 36€

Info e prenotazioni: t. 011 5211788 (lun – dom 9 – 17.30); prenotazioniftm@arteintorino.com

 

Prossimi appuntamenti

Giovedì 14 marzo ore 14.30Liberty in Borgo Crimea

Venerdì 22 marzo ore 14.30: Palazzina Lafleur e la bizzarria del nuovo stile Liberty

 

MARTEDI 27 FEBBRAIO

 

Martedì 27 febbraio

JACOPO BENASSI. Autoritratto criminale

GAM – apre la mostra in Wunderkammer (conferenza stampa e inaugurazione 26 febbraio)

A cura di Elena Volpato, sarà aperta nello spazio Wunderkammer. Presenta la nuova acquisizione Panorama di La Spezia, 2022, della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT per la GAM: una grande installazione autoritratto in cui l’artista si specchia nella sua città natale attraverso dipinti, fotografie e calchi in gesso. La mostra è attraversata dal tema del ritratto e dell’autoritratto in confronto con la matrice culturale della fotografia criminale, per questa ragione sarà esposto il prezioso studio in gesso realizzato da Leonardo Bistolfi per il Monumento a Cesare Lombroso (1910 ca.) alla cui eredità si rifà anche il video di Jacopo Benassi “Autoritratto criminale”, 2024, in cui la collezione di maschere mortuarie e manufatti del Museo Lombrosiano di Torino sembra condensarsi in un unico moltiforme teschio di gesso modellato e rimodellato dall’artista in una continua metamorfosi della forma umana.


Theatrum Sabaudiae
 propone visite guidate in museo
alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO.
Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html

L’espressionismo di Pier Tancredi de Coll’ in mostra in Versilia a villa Bertelli

Si è aperta a villa Bertelli, a Forte dei Marmi, nel cuore della Versilia, la personale di Pier Tancredi de Coll’, curata da James Castelli.

L’evento vede anche l’esposizione di alcune opere del celebre artista Mario Schifano, scelte per creare un ponte generazionale tra due interpreti significativi dell’arte contemporanea. L’esposizione è stata inaugurata il 17 febbraio scorso e sarà visitabile fino al 15 marzo.

Tancredi de Coll’, nato a Torino nel 1959, ha iniziato il suo percorso artistico presso lo studio del pittore Serafino Geninatti, emergendo come vignettista per importanti quotidiani. La sua versatilità artistica si è espressa non solo attraverso collaborazioni interdisciplinari, ma anche con pubblicazioni di disegni e poesie.

Innumerevoli le mostre che lo hanno affermato nel panorama artistico italiano.

Al primo piano di Villa Bertelli sono presenti circa 25 opere pittoriche della collezione Art & Design dell’artista piemontese, selezionate dal gallerista romano James Castelli.

Soggetto preferito in questi dipinti acrilici su tela sono le scene in ambienti dell’alta borghesia, tema caro all’artista, che lo reinterpreta in chiave contemporanea.

Apertamente influenzato dalla pittura del Novecento, come lui stesso afferma, De- Coll’ fa parte della corrente romana dell’Effettismo, ispirata ai canoni dell’espressionismo.

Mario Schifano, figura chiave del panorama artistico del Novecento, è conosciuto a livello mondiale per il suo ruolo pionieristico nel postmoderno. È il maggior esponente della pop art italiana, influenzato dai grandi innovatori internazionali quali Andy Warhol, Jaspers Johns e Robert Rauschenberg. L’utilizzo di svariati materiali come lo smalto e l’acrilico e la carta da imballaggio come supporto in lui si accompagna alla sperimentazione di nuove tecniche, tra cui la rielaborazione grafica tramite il computer, le cosiddette tele computerizzate. È stato tra i primi a proporre la contaminazione tra pittura, fotografia, musica, cinema e video. Nella rappresentazione della natura tende all’astratto e all’informale.

Le sue opere spaziano dalla pittura alla fotografia e alla videoarte, offrendo una lettura critica della società contemporanea e del rapporto tra uomo e tecnologia.

La mostra è a ingresso libero, aperta in orario pomeridiano fino al 15 marzo prossimo.

MARA MARTELLOTTA

Doppia inaugurazione della mostra “3 G” Dall’Art Design alla Post Pop Art

Presso lo spazio espositivo di Open Ada di Torre Pellice

 

Da sabato 2 marzo a sabato 6 aprile prossimo riapre, con un intreccio di linguaggi creativi, la stagione espositiva di Open ADA, in via Repubblica 6, a Torre Pellice. Protagonisti della scena i “3 G”, ovvero Diego Maria Gugliermetto, Luciano Gallino e Beny Giansiracusa. Il primo si distingue per i suoi oggetti e arredi di design, Luciano Gallino per le fotografie tra tango e design, Beny Giansiracusa per le serigrafie e opere uniche. Tutti e tre gli artisti sono esempi creativi di un Piemonte che sa distinguersi per capacità di sperimentare e innovare le espressioni artistiche del nostro tempo, ognuno nella sua specificità.

Trattando il tema del rapporto tra mondo formale seduttivo e l’ergonomia tra uomo e materia, all’inaugurazione di sabato 2 marzo, prevista per le ore 16, alla presenza degli artisti e della curatrice Monica Nucera Mantelli, vi sarà l’esibizione di tango della coppia formata da Marco Cavalli e Tiziana Ignazzi, eleganti ballerini reduci da “Ballando on the road” di Milly Carlucci.

Domenica 3 marzo, nel pomeriggio, abbinato alla mostra 3 G, visitabile dalle 15 alle 17.30, sarà presente il Convivio dei Sensi a partire dalle ore 18, tra vino, tango, cioccolato presso il Caffè Arnaud, in collaborazione con Fiorella Cordin, Les Accordeon du Villar, Casa de Tango Etnotango e una coppia di ballerini a sorpresa.

Info: progettimantelli@gmail.com

 

Mara Martellotta

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Al Museo MIIT Gianna dalla Pia Casa e  Gian Piero Nuccio

Inaugura giovedì 22 febbraio prossimo una duplice mostra presso il museo MIIT di Torino, in corso Cairoli 4. Si tratta delle due personali di Gianna Dalla Pia Casa “Tristano e Isotta. Opere in acrilico” e Gian Piero Nuccio “Sfasature. Opere di incisione” che si terranno fino al 5 marzo prossimo, con inaugurazione giovedì 22 febbraio dalle 17.30.

Si tratta di artisti e linguaggi differenti, ma al tempo stesso complementari per sensibilità e intuizione creative, che danno vita a una doppia esposizione dai contenuti raffinati e intensi e che pongono in luce idea, mestiere e unicità espressiva.

“Da alcuni anni, dopo il passaggio dall’Iperrealismo, la mia ricerca è orientata all’analisi del segno pittorico e del grafismo della scrittura, al recupero di simboli e soggetti classici e arcaici e alla riflessione sull’impatto del colore. In questa mostra il filo conduttore, palese nei titoli, è la leggenda di Tristano e Isotta, tratta dal celebre “ Tristan und Isolde” di Richard Wagner nella traduzione italiana. Il connubio tra segni di scrittura, stesure pittoriche e immagini simboliche, invitano a una doppia lettura per la stratificazione di significati su sfondi chiaramente astratti. Sono un esempio la “treccia” o intreccio del racconto, il “nodo” o nodo del discorso, l’uso della spirale di Fibonacci, nella sua versione geometrica. Il colore resta importante per le sue suggestioni visive ancor più delle regole principali della pittura. La nuova mostra al MIIT viene pensata come un sistema interattivo, una ripetizione del tema centrale alla ricerca di un’armonia d’insieme”.

“Nietzsche trovò nel Tristano wagneriano – afferma Gian Piero Nuccio – l’opera in cui la logicità apollinea del mondo socratico platonico si scontrava con la dissolvenza incontrollabile del mondo dionisiaco. Un amore indotto da pozioni magiche non riesce a sottostare alla ragione di stato. Acidi cromatismi e sospensioni armoniche creano la suspense e l’incertezza su cui si fonda l’intera opera, mentre la musica non riesce a descrivere la rappresentazione scenica, ma i simboli e i sottintesi che ne nascono. Nietzsche restò affascinato da questo recupero della sensualità dell’irrazionale operata da Wagner, trovandola così vicina alla sua intenzione di un superamento della razionalità, come ben descrive ne “La nascita della tragedia greca” (1872). Affrontare la traduzione di tutto ciò nel linguaggio pittorico è impresa piuttosto ardua. L’artista, ben consapevole del senso di attesa cui lo spettatore è sottoposto, traduce in simbolismi i cromatismi e le sospensioni armoniche. Nulla, dunque, nell’opera pittorica risulta chiaro, esplicito, tutto è lasciato alle interpretazioni. Trecce e nodi ( Isotta? Tristano?) sono sparsi per i vari quadri, indistricabili entrambi, unici soggetti figurativi di tutta l’opera. Il resto è astrazione, fumi di colore che si mescolano l’un l’altro, nebbia che avvolge e nasconde le due figure, segni e scritture non traducibili in sensi letterari conosciuti. La mancata definizione informale, come le catene di dissonanze wagneriane, crea l’attesa mai colmata, come il desiderio che, nei due amanti, si riproduce continuamente. La risoluzione finale starà nella morte dei due protagonisti. Ma nei quadri questo non è detto. L’artista lascia i soggetti indefiniti e lo spettatore si porta dietro questa suspense per tutta la mostra.

Nei lunghi viaggi tra Inghilterra e Irlanda le nebbie marine – qui tranquilli rosa, azzurri, pallidi ocra – offuscano una realtà sempre inafferrabile e quindi tragica, tanto quanto la condizione umana angosciante della non accettazione della propria finitezza”.

Gianna dalla Pia Casa è nata ad Este, nel Padovano, ma vive e lavora a Torino dove conduce un’intensa attività espositiva con mostre personali e collettive. All’Accademia di Belle Arti di Torino è stata allieva di Sergio Saroni, Davico e Francesco Franco. Nel suo interesse perle Arti figurative, ha anche insegnato, trova spazio la poesia visiva che interpreta con particolari declinazioni. Le sue ricerche si sviluppano su diversi piani interpretativi, concettuale, intellettuale e formale, realizzando un percorso unitario tra l’idea, il suo richiamo storico e culturale e la stesura formale che soddisfa il suo piano estetico.

“in uno scritto sulla contemporaneità – precisa Gian Piero Nuccio – Agamben afferma che la contemporaneità è ‘quella relazione con il tempo che aderisce ad esso attraverso una sfasatura o un anacronismo’. Per chi si occupa di arte e, in particolare, di arte contemporanea, questa affermazione risulta particolarmente stimolante. L’arte contemporanea ha da tempo consegnato tutta la validità dell’opera al concetto, ritenendo superati, in un’epoca di incontenibile sviluppo dei mezzi espressivi, problemi relativi al saper fare.

In questo modo l’artista viene liberato dal peso degli inganni “illusionistici” come il chiaroscuro o la prospettiva, che dimostravano la sua capacità di creare una realtà altra, in grado di coinvolgere pienamente lo spettatore nella narrazione. Resta il fatto che si possano generare pericolosi fraintendimenti, quando non facili speculazioni. L’utilizzo della tecnica incisoria, complessa e certamente démodé, dovrebbe eliminare questo pericolo. Di qui l’approdo a quella sfasatura di cui parla Agamben. Questa tecnica arcaica, prossima all’arké, cioè all’origine, continua ad agire nella contemporaneità dove il segno rupestre, il tratto scavato , durano tutt’oggi. L’altra grande responsabilità della contemporaneità risiede negli intenti contenutitrovi che l’artista esprime nelle sue opere. Italo Calvino nelle sue Lezioni americane descrive come , per conoscere in profondità il mondo e per indagarlo e scoprirlo, occorra prenderne le distanze. Solo così lo si può superare e rappresentare.

Lo sguardo va dunque rivolto al mondo con leggerezza per svelare l’invisibile, andare oltre la superficie e scoprire cosa c’è sotto. Rientra in gioco la sfasatura rispetto al tempo corrente. Perseo guarda Medusa riflessa nel suo scudo per non essere tramutato in pietra dal suo sguardo. Le vaste campiture nere sono l’invito a osservare il mondo non direttamente, ma di riflesso. L’ombra definisce le luci. Nella calma, nella profondità e nel silenzio dei neri la leggerezza svela l’invisibile”.

 

Museo MIIT Museo Internazionale Italia Arte

Gianna dalla Pia Casa. “Tristano e Isotta. Opere in acrilico”

Gian Piero Nuccio “Sfasature. Opere di incisione”.

Dal 22 febbraio al 5 marzo 2024

Orario dal martedì al venerdì dalle 15.30 alle 19.30. Sabato 10.30-12; 15.30-19.30

 

Mara Martellotta