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ARTE- Pagina 24

Leila Bencharnia. Performance per il finissage di Tradui/zioni d’Eurasia Reloaded al Mao

A cura di Chiara Lee e freddie Murphy

Sabato 7 settembre 2024 ore 18.30

@ Fondazione Merz, via Limone 24, Torino

Chiude domenica 1 settembre la mostra Tradu/izioni d’Eurasia Reloaded e, in occasione del finissage e dell’apertura della mostra di Yto Barrada alla Fondazione Merz la prossima primavera, il MAO propone un ultimo appuntamento musicale dedicato alla decolonizzazione dell’ascolto.

La performance si svolgerà presso la Fondazione Merz, via Limone 24, a Torino.

Leila Bencharnia è sound artist, interprete acusmaticə e musicistə natə in Marocco e di base a Milano/Berlino. Figliə di un musicista tradizionale marocchino, il loro dialogo con il suono è iniziato nel villaggio vicino alle montagne dell’Atlante, terra dell’infanzia. Il loro lavoro sonoro è composto da materiale analogico, tra cui nastri, vinili e sintetizzatori.

Riconoscendo le forme di ascolto radicale come modalità di trasmissione della conoscenza, la pratica di Bencharnia cerca di avere un ruolo attivo nella decolonizzazione dell’ascolto come modo per affrontare la complessità sociale e politica.

Attualmente la loro ricerca è relativa al linguaggio dei tessuti indigeni Tamazight, alla matematica dei frattali africani e la loro relazione con il suono.

Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili.

 

Prosegue “Solchi”, la mostra di Federica Galli

Prosegue fino al 15 settembre 2024 la mostra Solchi di Federica Galli,inaugurata lo scorso 20 luglio al Museo Civico della Stampa di Mondovì (CN). La mostra, che ha accompagnato l’estate monregalese con laboratori, workshop e visite di approfondimento, è l’occasione per osservare da vicino l’opera della più importante esponente dell’arte incisoria italiana. Le opere in mostra, che coprono un periodo di oltre 20 anni (dal 1974 al 1997), offrono al pubblico l’opportunità di esplorare i temi principali dell’artista, con un particolare focus sui soggetti piemontesi. Le acqueforti di Federica Galli hanno interpretato con sguardo poetico e rivelatore il paesaggio, aspetto centrale di tutta la sua opera. L’abilità tecnica ha consentito all’artista di rappresentare condizioni ambientali ostiche agli incisori, quali la neve, la nebbia, la notte. Gli elementi che appartengono al mondo naturale, sia esso antropizzato o meno, sono i soggetti che la Galli utilizza per restituire all’osservatore uno sguardo inedito sulla bellezza e sul senso di divino che la permea. Grande assente delle composizioni dell’artista è l’uomo, mai ritratto all’interno del paesaggio; di essi, tuttavia, si avverte una sorta di presenza in absentia. “Solchi”, quindi, sono sia quelli tracciati da Federica Galli per rappresentare il paesaggio, quanto quelli impressi da esso nella sensibilità dall’incisore per giungere all’osservatore finale in maniera chiara e luminosa.

Federica Galli, Ritratto con foglie
courtesy Fondazione Federica Galli

La mostra e gli appuntamenti sono organizzati da Noau | Officina Culturale in collaborazione con la Fondazione Federica Galli di Milano.
In occasione della presentazione inaugurale, Lorenza Salamon – Direttrice Fondazione Federica Galli – ha così introdotto l’opera dell’artista italiana che compete con i grandi della storia di questa arte: “Una delle caratteristiche più peculiari dell’opera di Federica Galli era quella di svolgere il suo lavoro en plein air la si poteva vedere all’aperto, in un prato o sul sentiero di fronte alla veduta, che spesso era stata scelta dopo molti sopralluoghi e scatti fotografici. […] Molte volte i paesaggi che incideva con pazienza sulla lastra erano tra i più noiosi, i più scontati, […] ma è proprio dalla fedele riproduzione di quei paesaggi piatti, minimi, che riusciva a cavare la poesia della dedizione, dove si avverte chiaramente il tempo speso a ricavare il meglio dalle migliaia di segni lasciati sul metallo. Se si osservano attentamente le opere di Federica Galli, si noterà l’incredibile varietà di segni utilizzati per rappresentare il reale, in una quantità e qualità raramente riscontrata.”

“PALAZZOIRREALE” a Canelli

Primo capitolo di un ricco programma di arte contemporanea nato per raccontare la ricchezza culturale del Monferrato

Dal 5 settembre all’8 dicembre

Canelli (Asti)

Alle spalle l’ingegnosa visionarietà di una storica eccellenza vitivinicola del territorio, casa spumantiera, a un passo dai due secoli di attività, che negli anni ha saputo costruire, attraverso un “percorso culturale autentico”, la sua vera singolare identità basata sul concetto (a volte anche faticoso e tanto impegnativo) di “controtendenza”. Siamo a Canelli e, ovviamente, si parla della prestigiosa “Casa Bosca – Bollicine controcorrente”, fondata nella celebre cittadina “capitale dei vini spumanti” dell’astigiana Valle Belbo, da Pietro Bosca nel 1831 e giunta oggi alla sua sesta generazione con i fratelli PiaGigi e Polina Bosca. A loro si deve l’illuminata “invenzione” di “PALAZZOIRREALE”, un ricco programma di arte contemporanea, ideato per “raccontare, attraverso i molteplici sguardi dell’arte, la ricchezza culturale del Monferrato”. Di Canelli in particolare, delle sue mirabili Cantine e delle sue “Cattedrali Sotterranee”, dal 2014 “Patrimonio Mondiale dell’Umanità” per l’“UNESCO”.

Sulla base di queste premesse e a cura di Giorgio GalottiProject Manager Diana Bertida giovedì 5 settembre a domenica 8 dicembre, aprirà per l’appunto al pubblico negli spazi della “Palazzina Liberty” di via Luigi Bosca 2 a Canelli, “PALAZZOIRREALE”, pensato come “raccordo spazio-temporale, tra storia, identità, luoghi e futuro, con l’obiettivo di comporre nel tempo una collezione che diventi parte del patrimonio del Monferrato, contribuendo a riportare la giusta attenzione su questi luoghi”. In parallelo, il percorso di “PALAZZOIRREALE” sarà accompagnato dallo sviluppo di un “archivio fotografico” per tenere traccia della trasformazione degli spazi e degli interventi degli artisti.

Di assoluto interesse e artisticamente brillante (fin dal nome), il primo artista coinvolto: Patrick Tuttofuoco. Milanese di nascita (1974), ma oggi residente fra il capoluogo lombardo e Berlino, Patrick è artista visivo legato alla contemporaneità di un “fare arte” in cui gli elementi dell’astrazione s’accompagnano ad una sorta di “pop-figurativo” attraverso un’innegabile capacità di manipolazione della materia (le tecnologie della luce, in particolare quelle connesse al neon) piegata con forte originalità alla forma scultorea di “immagini senza tempo” mai avulse dal contesto spaziale in cui si trovano allocate. A lui è stata affidata la realizzazione di una nuova opera luminosa site-specific ideata per il “belvedere” dell’edificio dove un tempo si trovavano gli uffici storici dell’azienda. L’opera, dal titolo “Shape shifting” (2024), avvia un percorso espositivo monografico che si sviluppa all’interno degli spazi produttivi, includendo lavori storici dell’artista provenienti da collezioni private o dal suo archivio, per tracciare l’evoluzione della sua poetica dai primi anni Duemila a oggi.  Composta dalle silhouette di due braccia che si intrecciano, “Shape shifting” si affaccia sul centro di Canelli, “offrendo alla comunità un segno luminoso, fruibile giorno e notte, con l’ambizione di diventare un simbolo per il territorio”.

 

“PALAZZOIRREALE” apre le sue porte in concomitanza di un altro grande progetto artistico legato al territorio, “Panorama Monferrato”, progetto di “ITALICS”, “Consorzio di Gallerie d’arte antica, moderna e contemporanea” italiane, che dal 4 all’8 settembre, attiveranno ulteriormente e alla grande (con 15 sedi, 4 paesi, 63 artisti e 62 gallerie coinvolte) la dolce terra monferrina.

Gianni Milani

“PALAZZOIRREALE”

Casa Bosca, via Luigi Bosca 2, Canelli (Asti); tel.335/6322771 o www.palazzoirreale.com

Dal 5 settembre all’8 dicembre

Orari: ven. sab. dom. 11/19; merc. e giov. su prenotazione

Nelle foto:

–       Polina, Gigi e Pia Bosca

–       Bosca – “Cattedrali Sotterranee”

–       Patrick Tuttofuoco: “Out of body”, marmo e acciaio (dettaglio), 2022 /Ph. Mattia Iotti

–       Patrick Tuttofuoco: “Sleepers (Human Mind)”, luce neon e acciaio, 2024. Ph. Carlo Favero

Capriccio tra realtà e fantasia

“Capricci”, la mostra allestita nel museo civico di Moncalvo, ci riporta nell’affascinante clima settecentesco che ha vissuto la forte attrazione del Vedutismo inteso  come rappresentazione di scorci di vie e piazze di città con antiche rovine che, per la prima volta, diventano protagoniste autonome non più solo sfondo dei dipinti  o relegate al quadraturismo illusionistico per sfondare le pareti ampliando lo spazio dei palazzi.

Sono gli anni del  Grand Tour, viaggio artistico di aristocratici e studiosi intorno all’Europa continentale, in particolare in Italia alimentati dagli scavi di Ercolano e Pompei e dalla diffusione degli “appunti” dei grandi viaggiatori.

Innegabile spinta a visitare la nostra patria fu data dal “Viaggio in Italia”, scritto tra il 1786-88 da Wolfang Goethe, acuta e affascinante inchiesta giornalistica sugli aspetti artistici, sociologici, storici, economici e folcloristici.

Considerazioni ancor oggi attuali come, più tardi nel primo ottocento, lo furono gli appunti di Dumas e Stendhal contagiati dal frenetico desiderio del viaggio.

Il nuovo genere, iniziato dall’olandese Caspar Van Wittel, produsse uno straordinario interesse per i ruderi, in particolare di Roma, Venezia e Napoli, trattati in vari modi dal semplice pittoresco souvenir da riportare in patria alla descrizione dettagliata della realtà senza implicazioni sentimentali secondo la  razionalità documentaristica illuminista oppure, staccandosi dal Vanvitelli, col dare un significato di memento mori  sulla caducità della vita terrena

Ma anche con soffi di poesia evocativa di Canaletto, Bellotto e soprattutto del Guardi.

All’interno del Vedutismo, la specificazione dei “Capricci” comporta un accattivante sapore di stravagante inventiva atta a stupire attraverso scorci di rovine che stimolano la  fantasia degli artisti proponendo intriganti scene tra realtà e immaginazione, come possiamo osservare nelle opere esposte in mostra.

Risalto è dato  alla “Veduta degli avanzi della famiglia Plauzia” oltre ai “Resti del palazzo della famiglia Arrunzia” e dai “Resti del tempio della Sibilla” di Giovan Battista Piranesi, innovatore della tecnica dell’acquaforte con l’abbandono  del tradizionale tratteggio incrociato a favore di un segno più fluido e per l’uso della “prospettiva ad angolo”.

Si coglie nel grande incisore una profonda cultura umanistica favorita da intensi studi della lingua latina e della storia di Roma.

Ne nasce una meditazione nostalgica per le vestigia del tempo e  per i frammenti, rimanenze di colonne, capitelli, cornici spezzate, oggetti disparati d’arredo che lo rendono artista,  archeologo e poeta affidando ad essi un significato ancor più pregnante dell’interezza dei monumenti.

I frammenti  gli parlano come fossero vivi, al contrario del disperato senso di impotenza di un  Fussli  davanti alla grandezza  dei resti classici, rendendoli stimolo per artisti futuri (come afferma in uno dei volumi sulle rovine romane) e non è forse stato geniale profeta se, a distanza di ben due secoli, Escher si è ispirato alle sue tavole delle  “Carceri”  per la rappresentazione delle “Scale impossibili” che lo rendono grande protagonista dell’arte moderna?

Straordinaria è d’altronde la versatilità di Piranesi nell’accostare classicismo, barocco, neoclassicismo anticipando anche la poetica  inquietante del neoromanticismo e del surrealismo novecentesco.

Contribuiscono a creare uno spaccato d’epoca le opere di altri artisti: Antonio Contestabili con la perfetta resa prospettica e scenografica del “Paesaggio con rovine”, Francesco Battaglioli attraverso “Personaggi all’interno di rovine” dall’accento melodrammatico affine al Metastasio suo maestro.

Carlo Bonavia noto per stravaganti ambientazioni di vedute architettoniche e paesaggistiche en plein air col “Paesaggio rurale”,  capriccio dall’effetto atmosferico ricorda Vernet di cui fu allievo.

Ancor più capriccioso l’olio di Antonio Joli con  un’immaginaria visione di San Gerolamo attorniato da mansueti leoni.

La coppia di architetture del francese Hubert Robert, studioso della tecnica di Panini e Piranesi ma affascinato dal barocchetto insinuante di Fragonard, offre una elegante visione tra reale e fantastico mentre una non identificata firma I.B.P. è presente nell’inquietante dipinto  con scorci architettonici di Roma e la liberazione di san Pietro.

Non manca una curiosità data dal vivace cromatismo delle vedute del piatto di legno, arte povera veneziana, a forma di scudo chiudendo la mostra con una nota impensata.

Giuliana  Romano Bussola

AL Museo MIIT la personale di Paolo Mantegazza

 

 

Il Museo MIIT di Torino ospiterà dal 7 al 14 settembre 2024 la mostra antologica dedicata a Paolo Mantegazza, con inaugurazione sabato 7 settembre a partire dalle ore 18. In mostra una quarantina di opere tra scultura, grafica e dipinti. Moltissimi i materiali utilizzati nei suoi lavori, dal legno alla pietra, all’argilla, dal gesso al ferro. Nella pittura l’artista utilizza acquerelli, tempere, olio, smalto, vernici spesso uniti a materiali di recupero, assemblati e plasmati fino a ridare una seconda vita, proprio come recita il titolo della mostra, ad oggetti di uso quotidiano come materiale tecnologico, schede elettroniche, CD, tubi elettrici e tastiere.

Paolo Mantegazza (1934 – 2018) ha interpretato al meglio il suo tempo, restituendoci immagini del periodo della sua esistenza e della sua opera quali fossero documenti ufficiali del cambiamento profondo vissuto tra il Novecento e il nuovo millennio. Il Maestro fa tesoro delle sue esperienze di vita e di lavoro nelle trasformazioni epocali di cui la sua generazione, e anche parte di quella attuale, sono stati testimoni. Si è reso protagonista del passaggio da un’arte tradizionale a un’espressione concettuale di idea creativa, dall’utilizzo di materiali nobili della cultura pittorica, dall’olio alla tempera, all’acquerello, a quello sperimentale degli oggetti di uso quotidiano e, in particolar modo, di quelli provenienti dal mondo della tecnologia. Da tutti questi stimoli ha tratto il meglio personalizzando la sua visione attraverso un mestiere coltivato con passione fin da giovanissimo, confrontandosi con il modellato, con la percezione della forma nello spazio, con ricerche azzardate artistiche in cui l’idea diventa motore e fulcro di innovazione artistica e culturale. Fra tutti, il tema centrale della sua produzione, in particolar modo scultorea, è quello della maternità. Le linee morbide e sinuose dei modellati, l’osmosi tra la figura materna e quella del bambino, l’intreccio di mani, braccia, corpi fusi in un continuo sviluppo armonico di volumi, una metafora dell’attesa, della maternità, del concepimento, resa con grazia e sacrale devozione…sono tutti elementi che permettono al fruitore dell’opera di scoprire e amare la sua attenta interpretazione della vita. Nelle venature delle diverse essenze dei legni antichi utilizzati, ulivo, abete, pioppo, nelle tonalità più scure e più chiare, nel rapporto contrastante tra la malleabilità del legno e la durezza della pietra inserita nelle sculture si può leggere anche nei momenti vissuti dal Maestro: la leggerezza e la gioia dell’esistenza. Come pure la drammatica e metafisica sensazione di isolamento e, a volte, di solitudine e graffiante difficoltà esistenziale. Non mancano opere pittoriche di grafica ricche di fascino e cultura della tradizione che l’artista declina con linguaggio personale, affidandosi al colore, al segno rapido e preciso al contempo, mostrandoci una sensibilità particolare nel rapportarsi con il bello e la natura, tanto caro alla cultura italiana e artistica tra Ottocento e Novecento. Paolo Mantegazza diventa così un maestro del nostro tempo, un universo da scoprire che ha saputo anticipare tematiche fondanti della cultura del nuovo millennio e la visione lungimirante di un mondo che deve cambiare per potersi raccontare alle nuove generazioni.

Paolo Mantegazza nasce a Torino il 12 marzo del 1934 e muore improvvisamente il 28 marzo del 2018. La famiglia è originaria del vigevanese nei pressi di Tornaco e Gravellona Lomellina, paese natale della madre dove Paolo trascorse la sua infanzia nel periodo della guerra e vi rimase per due anni sfollato dal 1943. Paolo trascorrerà tutta la sua vita a Torino nella casa di Via Lancia, che i genitori costruirono quando si trasferirono a Torino in seguito alla crisi economica del 1929. Paolo costruirà lì il suo laboratorio. La casa, negli anni Cinquanta, sorgeva in mezzo ai prati, ai margini della città. Oggi è una delle case più antiche di borgo San Paolo. Vi visse con la moglie, la figlia e la mamma, scomparsa all’età di 110 anni, nel 2014. La sua capacità innata di lavorare il legno emerse da subito, fin dall’adolescenza. Fu costretto dalla famiglia agli studi tecnici, ma il suo desiderio era quello di fare il falegname. Da solo si costruì uno slittino di legno per scivolare sulla neve al parco Ruffini, davanti a casa, e costruì una casetta in legno per le bambole della cuginetta. È sempre stato un autodidatta, non ha frequentato scuole d’arte e si è dedicato all’apprendimento artistico nel suo tempo libero. Collezionista di libri d’arte e conoscitore di tutti gli autori e gli stili, cercò personalmente i materiali da scolpire, e diversi tipi di legno durante i viaggi in Italia e all’estero. Negli ultimi anni della sua vita lavora ore e giorni solo con se stesso, condividendo le proprie esperienze con le persone più care, famigliari e amici, non esponendo mai le sue opere ad eccezione di qualche mostra personale a Torino nel 1998, alla palazzina Liberty, e qualche partecipazione a mostre tematiche, come quella del 1998 a Santo Stefano Belbo, incentrate sulle tematiche di Pavese “La portatrice d’acqua”. Le sue ultime opere, che intitolerà “Seconda vita” si ispirano al riciclo di materiale tecnologico, schede, CD, tubi elettronici, tastiere, legni antichi in cui possono rivivere come sculture gli oggetti di arredamento. Il laboratorio è il luogo dove Paolo vive la sua seconda vita, lontano da un lavoro che non ama, dal rapporto conflittuale con la madre, dalla relazione dolorosa con la moglie, la cui malattia mentale divora a poco a poco il sorriso, l’amore e la dolcezza, al rapporto ambivalente con la figlia. Non a caso nelle sue opere si riconosce il tema centrale della maternità, rappresentata con colori, materiali e stili differenti, che la rendono una tematica controversa della sua vita, forse un bisogno mai risolto di quell’amore primigenio che ha sempre desiderato.

Mara Martellotta

Pietro Micca, nel bronzo la storia di un eroe popolare

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Nel 1863, dopo un primo e vano tentativo di fusione della statua, il fonditore francese Pietro Couturier portò a termine l’incarico assegnatogli; il Consiglio Comunale scelse quindi di innalzare la statua poco lontano dal luogo stesso dove un secolo e mezzo prima era successo il fatto, cioè di fronte al Mastio della Cittadella il quale, in onore dell’evento, venne opportunamente restaurato a carico del Ministero della Guerra

Il monumento è collocato all’angolo tra via Cernaia e corso Galileo Ferraris, nel giardino dedicato ad Andrea Guglielminetti. La statua ritrae Pietro Micca, posto sulla sommità di un alto basamento modanato, in posizione eretta con la divisa degli artiglieri presumibilmente nell’atto fiero e consapevole che precede lo scoppio delle polveri. Infatti, mentre nella mano destra tiene la miccia, la sinistra è serrata a pugno quasi a voler enfatizzare, unitamente alla tensione della leggera torsione, il momento decisivo che precede l’innesco delle polveri (in riferimento all’episodio eroico che lo rese celebre).

 

Pietro Micca nacque a Sagliano il 6 marzo 1677 da una famiglia dalle origini modeste. Arruolato come soldato-minatore nell’esercito del Ducato di Savoia, è storicamente ricordato per l’episodio di eroismo durante il quale perse la vita al fine di permettere alla città di Torino di resistere all’assedio del 1706, durante la guerra di successione spagnola.La tradizione narra che la notte tra il 29 ed il 30 agosto 1706 (e cioè durante il pieno assedio di Torino da pare dell’esercito francese) alcune forze nemiche entrarono in una delle gallerie sotterranee della Cittadella, uccidendo le sentinelle e cercando di sfondare una delle porte che conducevano all’interno. Pietro Micca, che era conosciuto con il soprannome di passepartout, decise (una volta capito che lui ed il suo commilitone non avrebbero resistito per molto) di far scoppiare della polvere da sparo allo scopo di provocare il crollo della galleria e non consentire il passaggio alle truppe nemiche. Non potendo utilizzare una miccia lunga perché avrebbe impiegato troppo tempo per far esplodere le polveri, Micca decise di impiegare una miccia corta, conscio del rischio che avrebbe corso. Fece allontanare il suo compagno con una frase che sarebbe diventata storica “Alzati, che sei più lungo d’una giornata senza pane” e senza esitare diede fuoco alle polveri.

Morì travolto dall’esplosione mentre cercava di mettersi in salvo correndo lungo la scala che portava al cunicolo sottostante; era il 30 agosto del 1706.Il gesto eroico del minatore-soldato sarà riconosciuto in seguito durante tutto il Risorgimento come autentico simbolo di patriottismo popolare, sino ad essere ricordato ai giorni nostri.L’idea di celebrare con un monumento l’eroe popolare, nacque già nel 1837 dal Re Carlo Alberto alla morte dell’ultimo discendente maschile del soldato ‘salvatore’ della Città. Modellato dallo scultore Giuseppe Bogliani, il busto di Pietro Micca (rigorosamente in bronzo) ritraeva l’eroe con il capo coronato di gramigna con accanto una Minerva-guerriera seduta con una corona di quercia. Il monumento però non sembrava rispondere completamente al concetto di popolare riconoscenza con cui si sarebbe voluto ricordare Pietro Micca e così venne per così dire abbandonato all’interno dell’ Arsenale di Torino. Dopo circa vent’anni, nel 1857, da parte di uno scultore dell’Accademia Albertina di Belle Arti, Giuseppe Cassano, venne ripresa l’idea di ritrarre Pietro Micca.

Il Consiglio comunale, in seduta del 29 maggio 1858, approvò l’iniziativa ed il Re Vittorio Emanuele II espresse il desiderio che la statua del Micca venisse realizzata in bronzo ed eseguita nelle fonderie dell’Arsenale. In momenti differenti il Parlamento stanziò per il monumento L. 15.000 con le quali vennero pagate le sole spese di fusione; unitamente la sottoscrizione pubblica stanziò L. 2.200 (appena utili al rimborso dello scultore Cassano), L. 7.700 a Pietro Giani per la realizzazione del piedistallo e L. 2.000 per la posa in opera, arrivando così ad un costo totale di L. 26.900.

Nel 1863, dopo un primo e vano tentativo di fusione della statua, il fonditore francese Pietro Couturier portò a termine l’incarico assegnatogli; il Consiglio Comunale scelse quindi di innalzare la statua poco lontano dal luogo stesso dove un secolo e mezzo prima era successo il fatto, cioè di fronte al Mastio della Cittadella il quale, in onore dell’evento, venne opportunamente restaurato a carico del Ministero della Guerra. La sera del 4 giugno 1864 venne finalmente inaugurato il monumento ad onorare il gesto eroico del soldato-minatore di Sagliano.L’importanza dell’impresa di Pietro Micca è celebrata anche nel Museo che porta il suo nome, luogo dove è esposto il monumento a Pietro Micca del Bogliani del 1836.

 

Ed anche per questa volta la nostra “passeggiata con il naso all’insù” termina qui. Ci rivediamo per il prossimo appuntamento con Torino e le sue meravigliose opere.

 

Simona Pili Stella

“Tradu/izioni d’Eurasia Reloaded”, in mostra al “MAO” . Ultimi giorni

 

Tra “frontiere liquide e mondi in connessione” dal Mediterraneo all’Asia Orientale

Fino al 1° settembre

La mostra ospitata, fino a domenica 1° settembre, al “MAO – Museo d’Arte Orientale” di Torino vuole celebrare i 700 anni dalla morte di Marco Polo, “messer Marco Milioni”, ponendosi come “riallestimento” (curato da Nicoletta Fazio, Veronica Prestini, Elisabetta Raffo e Laura Vigo) della precedente “Tradu/izioni d’Eurasia”, una mostra che “racconta – sottolinea Davide Quadrio, direttore del Museo di via San Domenico – una ‘Storia’ fatta di ‘storie’, di innesti, di contaminazioni e di tradimenti: è la nostra storia, una narrazione che accomuna angoli lontani del continente eurasiatico e che dimostra quanto il concetto di ‘confine’ sia sempre stata un’idea illusoria e arbitraria”.

Fra le novità più rilevanti sono da segnalare i numerosi e prestigiosi prestiti dagli “Uffizi”, dalla “Biblioteca Laurenziana” di Firenze, dal “Museo delle Civiltà” di Roma, da quello “Internazionale delle Ceramiche” di Faenza, così come dai “Musei Civici” di Bologna, dal “Museo della Ceramica Duca di Martina” di Napoli, assieme alle opere site specific dell’artista franco-marocchina Yto Barrada. L’iter espositivo procede per “nuclei tematici” ben precisi e volutamente alternati, nonché uniti da una nuova versione di “Distilled”, installazione sonora di Chiara Lee e Freddie Murphy che, dall’ottobre 2023, si è sviluppata e arricchita di nuovi elementi.

E’ il tema del “blu” spesso accostato al “bianco” (vasi, piatti e ciotole dalle provenienze più diverse) ad aprire l’iter espositivo, accanto a due barocche “nature morte” della pittrice e miniaturista Giovanna Garzoni (Ascoli Piceno, 1600 – Roma, 1670), preziosa testimonianza dei legami esistenti fra l’Asia e l’Europa e della potente fascinazione per l’esotico che ammaliò le corti europee, in particolare la corte medicea di Firenze, sin dal Quattrocento.

A seguire si passa, attraverso il “grappolo d’uva”– presentato in una selezione di ceramiche provenienti da Cina, Turchia e Iran- al cuore del “reolad”, dedicato alle opere “site specific” dell’artista franco-marocchina Yto Barrada, ospite d’onore del progetto espositivo, con la realizzazione di una serie di “otto tele” di medie dimensioni in cui l’artista affronta, in collaborazione con la “Fondazione Merz”, la questione del colore e dei suoi significati nelle opere delle collezioni del “MAO”. Autentica “chicca” – dopo aver peregrinato per “tessuti” e “ceramiche”, raffinati esemplari di produzione ottomana – il prezioso manoscritto illustrato del XVI secolo “Shanameh, Il libro dei re”, opera del poeta persiano Ferdowsi, restaurato e digitalizzato grazie al contributo del “MAO” e dell’“Istituto per l’Oriente Nallino” di Roma. Il manoscritto sarà anche oggetto di una giornata di studi aperta al pubblico prevista per il mese di giugno. Nelle successive sale, in una visita che è “meraviglia” totale per occhi e cuore, troviamo il “motivo delle squame”, tema iconografico legato alla buona salute e alla ricchezza ( con vasellame in metallo e ceramica proveniente da India, Turchia, Iran, Cina e Italia) e, a seguire, la rinnovata selezione di “sciammiti” del VII ed VIII secolo, drappi di seta anticamente utilizzati per paramenti e abiti lussuosi. E la chiusura è davvero suggestiva con due imperdibili “tappe” immersive. La prima: la poetica installazione Shimmering Mirage (Black)”, 2018, di Anila Quayyum Agha– artista contemporanea di origini pakistane, oggi residente negli Stati Uniti- che trasporta il pubblico in un “altrove” immaginario, e la sala di consultazione affidata alla curatela di Reading Room, spazio milanese dedicato alle pubblicazioni indipendenti e alle edizioni d’artista, dove è collocata anche l’opera video (versione post moderna del “sottotenente Drogo” de “Il deserto dei Tartari”) dell’artista libanese Ali CherriThe Watchman (2023).

Per finire, ultimo tassello espositivo, con l’installazione luminosa MOSADEGH” (2023), dell’artista iraniana (attiva fra Teheran e New York) Shadi Harouni, che invita alla “riflessione su temi quali democrazia e speranza attraverso il racconto poetico e feroce della complessa storia dell’Iran moderno”, in dialogo con “uno dei 100 frammenti” della copia di un tappeto caucasico prodotto per il “Pergamon Museum” di Berlino, affiancato da due preziosi tappeti caucasici del XVII secolo, provenienti dalla “Collezione Bruschettini”. Previsto anche un ricco “public program” con appuntamenti musicali e performativi, accanto ad un ciclo di conferenze e incontri a tema.

Gianni Milani

“Tradu/izioni d’Eurasia Reloaded”

MAO – Museo d’Arte Orientale, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436932 o www.maotorino.it

Fino al 1° settembre

Orari: mart. dom. 10/18. Lunedì chiuso

Nelle foto (credit Giorgio Perottino): Davide Quadrio, direttore MAO; Yto Barrada, ospite d’onore; “Shanameh, Il libro dei re”; Shadi Harouni, MOSADEGH”, insegna in plexiglass sign, 2023; Anila Quayyum Agha, “Shimmering Mirage (Black), acciaio, 2018;

Museo dal Vivo, Corpi Erratici al Castello di Rivoli

Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea
Presenta i nuovi appuntamenti autunnali del programma

Museo dal Vivo
Corpi Erratici
Due giornate di attività per il pubblico con la presenza degli artisti Mohammad Al Faraj, Moza Almatrooshi, Matilde Cerruti Quara, Ufuoma Essi, Lamin Fofana, Invernomuto, Lea Porsager

Il Castello di Rivoli presenta i due nuovi appuntamenti autunnali di Museo dal Vivo. Il programma promuove forme di sperimentazione a cavallo tra discipline diverse attraverso giornate in cui arte visiva e i vari linguaggi della contemporaneità, come il cinema, la danza e la musica, si mescolano. Il progetto esplora la duplice natura della parola ‘live’ (in italiano ‘dal vivo’ e ‘vivere’), evidenziando il legame indissolubile tra arte e partecipazione del pubblico all’interno degli spazi del Museo.

Gli appuntamenti di Museo dal Vivo si terranno nelle giornate di sabato 28 settembre e sabato 12 ottobre 2024 – Giornata del Contemporaneo AMACI – mettendo a disposizione del pubblico una serie di attività realizzate in collaborazione con artisti internazionali, presentati per la prima volta al Castello. I due incontri sono dedicati al tema dei Corpi Erratici – titolo mutuato dai massi erratici presenti nel paesaggio morenico della Val di Susa – e sono a cura di Giulia Colletti.
Trasportati dai ghiacciai alpini a fondovalle in era glaciale, questi imponenti blocchi di roccia depositati in luoghi inaspettati del territorio piemontese divenivano spesso oggetto di culto e di rituali sacri, di cui restano ancora tracce nel folclore popolare. Questo perché erano composti da sedimenti difformi dall’ambiente circostante e pertanto erano testimoni di un insolito vagare. I massi erratici materializzano pertanto una disposizione a situarsi ‘fuori posto’ rispetto al contesto che si trovano ad abitare, invitando a una riflessione sulle contemporanee dinamiche di migrazione e transizione di corpi umani e non umani nonché sulle sfide dei cambiamenti climatici passati ed attuali.

Gli artisti coinvolti nelle due giornate sono Mohammad Al Faraj, Moza Almatrooshi, Matilde Cerruti Quara, Ufuoma Essi, Lamin Fofana, Invernomuto, Lea Porsager.

Il programma mescola riti sociali, archivi immateriali e diversi linguaggi e approcci culturali che indagano, in due giornate, l’importanza della memoria collettiva, non come mera somma di esperienze individuali, ma come processo di narrazione condivisa che cementa un’identità comune. Promuovendo l’incontro di ricerche transdisciplinari, gli appuntamenti mettono in luce come le arti performative, così come i corpi viventi, non esistono in uno spazio circoscritto, ma prendono forma e senso nella loro esistenza erratica che muta di continuo direzione e che si nutre del superamento di confini geografici, disciplinari e di classificazioni imposte.

Il palinsesto comprende vari interventi artistici che affrontano le sfide individuali e corali legate alla cancellazione e alla riabilitazione della narrazione storica. L’accento è posto sul movimento, sia fisico sia immaginifico, con ricerche che indagano transiti, attraversamenti di confini e la costruzione di altri mondi, abbracciando uno stato di metamorfosi personale e collettiva.

Museo dal Vivo
Corpi Erratici I
28 settembre 2024

Nella mattina e nel primo pomeriggio, il pubblico è invitato a partecipare attivamente a Palinsesto, il primo capitolo dell’intervento di Matilde Cerruti Quara al Castello di Rivoli. L’artista invita i visitatori a interagire sul suo corpo, scrivendovi liberamente sopra in risposta alla domanda “CHI SEI TU?”. Annullando la propria identità artistica e guardando al ruolo del performer come a un canale di ricezione e trasmissione di un messaggio universale, Matilde si offre come pagina bianca e specchio del pensiero collettivo, invitando a una riflessione sui molteplici strati che compongono le narrazioni che ci raccontiamo. La performance trae spunto dalla storia del Castello, a suo modo un vero e proprio palinsesto, ed in particolare dalle incisioni rintracciate sulle pareti delle sue sale, lasciate dai soldati durante le occupazioni della Seconda Guerra Mondiale.

Il pomeriggio prosegue con l’anteprima del nuovo film di Lea Porsager incentrato sul muone, una particella subatomica instabile in grado di penetrare attraverso la materia rivelandone potenzialmente regioni nascoste. Alterandone la pronuncia ed evocando poeticamente il muggito di un bovino, il ‘muu-one’ è assimilato dall’artista a un suono mantrico che emerge dall’interno, una forza capace di penetrare l’impenetrabile.

Al tramonto, il pubblico è invitato a partecipare a Realismo Magico, performance immersiva di poesia che conclude l’intervento di Matilde Cerruti Quara, incentrata sulla memoria, sul trauma intergenerazionale e sul potere catartico del rituale collettivo. Esplorando il paradosso umano con la sua danza di luci e di ombre—in particolare modo in tempi di guerra— la performance si propone di offrire al pubblico un rituale poetico tra realtà e finzione, uno spunto di riconnessione con il proprio mondo interiore e con la propria comunità. Gli interventi di Cerruti Quara sono realizzati grazie al supporto del Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli.

Infine, Lamin Fofana presenta una nuova performance tesa a esplorare, attraverso la ritualità del suono, la nozione di estensione e fluttuazione del tempo.

Museo dal Vivo
Corpi Erratici II
12 ottobre 2024

Il 12 ottobre, il Castello di Rivoli presenta la programmazione di Museo dal vivo nel contesto della Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI.

Ispirato al testo di Toni Morrison, The Site of Memory, il film Half Memory di Ufuoma Essi è presentato e sonorizzato in anteprima al Castello di Rivoli. Si tratta di una meditazione profonda sulla memoria, l’isolamento e le storie contemporanee. Oscillando tra anni, città e immagini in evoluzione, il film esplora il presente come un artefatto del passato.

Mohammad Al Faraj presenta un’azione partecipativa basata sulla sua attuale ricerca in merito agli aspetti performativi della vita quotidiana nella regione del Golfo. Riferendosi a danze come l’Al Daha – una danza di guerra del nord dell’Arabia Saudita – l’Al Mizmar – una danza dell’Hijaz – e l’Al Aza – una forma di lutto poetico dei musulmani sciiti dell’est – l’azione esplora come queste espressioni artistiche fungano da modalità collettive per vivere, esprimere e comunicare esperienze comunitarie.

La Caffetteria del museo propone aperitivi speciali, occasione per gustare un drink e ascoltare un intervento sonoro dedicato. Gli aperitivi speciali sono ideati dall’artista Moza Almatrooshi e realizzati dalla caffetteria del Museo. La pratica artistica e culinaria dell’artista e chef Almatrooshi guarda alle mitologie antiche e moderne della Penisola Arabica, che influenzano sia la creazione delle sue ricette sia la sua ricerca politica sul cibo nella regione.

A seguire, Invernomuto presenta per la prima volta al Castello di Rivoli BlackMed, progetto che nasce come archivio digitale di suoni raccolti da diversi autori, ispirato dalle suggestioni formulate dalla studiosa Alessandra Di Maio sul Mar Mediterraneo. A partire dall’identificazione di questo luogo fluido e segnato dalle crisi migratorie che lo connotano indelebilmente, Invernomuto fa leva sui caratteri di mobilità, intersezione e scambio che sono costanti nella sua storia come nel suo presente.

In occasione della presentazione di BlackMed al Castello di Invernomuto, sarà possibile partecipare a una visita speciale alla Collezione Cerruti nel pomeriggio, ospitata presso la Villa Cerruti e guidata dallo storico dell’arte Fabio Cafagna. La visita si concentrerà sulle molteplici rappresentazioni del Mediterraneo nei secoli, partendo dalla collezione di atlanti seicenteschi e settecenteschi di Francesco Federico Cerruti. La visita sarà anche un’opportunità per reinterpretare alcune opere della Collezione da una prospettiva alternativa, mettendo in luce i legami tra le regioni che si affacciano sul Mediterraneo.

INFORMAZIONI AL PUBBLICO

Living Museum
Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea

Orari degli interventi artistici
(il programma è soggetto a possibili lievi variazioni)

28 settembre 2024
Performance partecipativa Capitolo I di Matilde Cerruti Quara, Sala dei Continenti, ore 12 – 16
Proiezione film di Lea Porsager, Teatro Castello, ore 18 – 20 (in loop)
Performance Capitolo II di Matilde Cerruti Quara, Atrio Castello, ore 19 – 20
Aperitivo in Caffetteria con menu ideato da Moza Almatrooshi, ore 18 – 22
Performance sonora dal vivo di Lamin Fofana, Atrio Castello, ore 21 – 22

12 ottobre 2024
Visita speciale alla Villa Cerruti a cura di Fabio Cafagna, ore 16.15
Proiezione e sonorizzazione dal vivo del film di Ufuoma Essi, Teatro Castello, ore 18 – 19
Performance partecipativa di Mohammad Al Faraj, Atrio Castello, ore 19 – 20
Aperitivo in Caffetteria con menu ideato da Moza Almatrooshi, ore 18 – 22
Sessione d’ascolto BlackMed di Invernomuto, Atrio Castello, ore 20 – 21

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Al Museo MIIT la mostra dell’artista indiano Holle

Riprendono, dopo la pausa estiva, le mostre al Museo MIIT di Torino in corso Cairoli 4, sotto la guida del  curatore Guido Folco.

Venerdi 30 agosto alle ore 18 si inaugurerà  la personale dell’artista indiano R. B. Holle intitolata “Infinity”. Sarà  visitabile fino al 5 settembre prossimo.

La mostra prosegue la collaborazione tra il maestro e il museo MIIT di Torino che, nel 2018, aveva ospitato la sua prima personale italiana. È comunque dagli anni Novanta che Holleespone in tutto il mondo i suoi lavori, che spaziano dalla grafica alla pittura, dalla scultura alle installazioni.

Nell’ambito della piccola, ma preziosa mostra presentata al Museo MIIT, R. B. Holle farà conoscere meglio al pubblico italiano le sue opere di grafica, dalle incisioni ai disegni.

Si tratta di una selezione di una ventina di lavori che ben  testimoniano la sua sperimentazione artistica  e visiva e la sua ricerca basate sulla percezione di forma e spazio, sulla loro complementarità e, in altri lavori, sul loro dinamismo cromatico del segno e del gesto, quasi una citazione  del dripping alla Jackson Pollock”.

“Le parole del grande poeta e drammaturgo, filosofo indiano Rabindranath Tagore – spiega il curatore della mostra Guido Folco – riassumono perfettamente l’essenza dell’arte di Holle, pervasa di immaginifico mistero e struggente emozione. Holle è maestro indiscusso dell’arte contemporanea internazionale e la sua poetica si nutre della perfetta armonia dell’universo, di quell’ordine cosmico e spirituale che affascina e rende attoniti al cospetto del creato.

La sua arte vive di ricordo ed emozione, di memoria e speranza, nascendo dalle esperienze formative della sua infanzia e dell’adolescenza, quasi una scuola di iniziazione dell’anima, fino alla modernità e alla sperimentazione su forma, luce, sogno e colore.

Holle ha compreso ben presto che l’arte è prima di tutto specchio dell’Io, della nostra essenza e, quindi, nei suoi dipinti, come nelle sue sculture e nei suoi disegni, nella grafica,  genera bellezza, sogno, eternità.

L’arte diventa per Halle lo strumento primario per estraniarsi dalla quotidianità,  per immergersi nella delicata e sorprendente bellezza della natura, piuttosto che nella infinita misura del Cosmo. Le sue opere sono ritmate da segni e colori, come il respiro lento o accelerato del cuore del mondo. La spirale, il segno dell’infinito, le cifre totemiche divenute graffiti incisi sul supporto, stelle e galassie come puntini iridescenti e cromatismi pulsanti  inondano le tele e i fogli dell’artista  tra monocromi raffinati e composizioni eleganti, quasi una danza della luce, un evocativo vibrato musicale.

Dall’action painting Holle eredita l’energia e quell’inarrestabile flusso  cromatico  e segnico che non intende rappresentare il reale, ma l’inesprimibile dell’anima e l’ordine nel caos tipico dell’Universo. La sua pittura si nutre della lezione dell’astrattismo e dell’informale, che l’artista interpreta in maniera assolutamente personale e nuova, scandagliando la profondità del suo cuore e delle sue emozioni più intime e intense, mentre nella terza dimensione sa esprimere con coerenza l’idea di spazio e tempo. Holle percorre le strade più  note al suo cuore e alla sua anima, quelle della sua infanzia, di quel desiderio mai sopito di libertà e perfezione che solo la natura o l’arte riescono a donare”.

“Indipendentemente dal fatto che l’artista Holle ci presenti dipinti, sculture o disegni, il suo universo personale è  costantementepresente e globale – precisa Patricia Alonso Arroba-

La sua arte astratta ci conduce in un’altra dimensione,  sempre cosmica e piena di sfumature cromatiche in grado di coinvolgere e stupire lo spettatore. L’artista, che attualmente vive e lavora  a Mumbai, è uno dei più giovani talenti emergenti dell’India, ha esposto in due gallerie veneziane in cui ha ottenuto un grande successo di pubblico e di critica.

Le sue opere trasmettono una sintonia armoniosa tra arte, musica, ritmo, natura e spazio, si tratta di un’enigmatica composizione di tutti questi componenti materici che, attraverso il colore e la distribuzione dei segni grafici, offrono un’esperienza visiva ricca e stimolante agli occhi dello spettatore. Un riflesso dell’anima dell’artista che, attraverso il solo movimento del pennello, riesce a trasmettere i suoi pensieri più cosmici.

Per lui lo spazio diventa infinito e, per questa ragione,  è sia capace di realizzare uno spazio tridimensionale,  sia di rappresentarlo in due dimensioni, il disegno e la pittura. Tutto merito della sua maestria nell’uso della giustapposizione di  colori che donano alle opere questo senso di profondità.  Concludendo possiamo affermare che il lavoro di Holle sia una sintonia perfetta tra paesaggi sonori pieni di colori, che si mescolano e si fondono con l’armonia cosmica capace di trasportare lo spettatore in altre realtà dove natura e musica possono incontrarci dal punto di vista visivo”.

 

Mara  Martellotta

Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto, ultimi giorni per la mostra sugli Anni ‘40/50

Fino a domenica I settembre 2024

La mostra, curata da Francesco Poli, intende riportare l’attenzione su una fase fondamentale per il rinnovamento della scena artistica di Torino tra gli anni ‘40/50 del Novecento: la grande stagione dell’Informale.

Nel percorso espositivo si trovano le opere dei principali artisti attivi in area torinese e piemontese, in dialogo con un’ampia scelta dei lavori dei più noti artisti italiani e stranieri presenti nelle mostre delle gallerie private e nelle rassegne in spazi pubblici.

Una trentina i pittori e gli scultori di area torinese: Nino Aimone, Franco Assetto, Annibale Biglione, Mario Calandri, Romano Campagnoli, Francesco Casorati, Antonio Carena, Sandro Cherchi, Mauro Chessa, Mario Davico, Pinot Gallizio, Albino Galvano, Franco Garelli, Mario Giansone, Ezio Gribaudo, Gino Gorza, Mario Lattes, Paola Levi Montalcini, Piero Martina, Umberto Mastroianni, Mario Merz, Mattia Moreni, Adriano Parisot, Enrico Paulucci, Carol Rama, Piero Rambaudi, Piero Ruggeri, Sergio Saroni, Filippo Scroppo, Piero Simondo, Giacomo Soffiantino, Luigi Spazzapan, Mario Surbone, Francesco Tabusso.

La selezione di artisti italiani e stranieri, invece, comprende: Afro, Pierre Alechinsky, Karel Appel, Enrico Baj, Alberto Burri, Giuseppe Capogrossi, Gillo Dorfles, Jean Fautrier, Lucio Fontana, Sam Francis, Gruppo Gutai, Hans Hartung, Toshimitsu Imaï, Asger Jorn, Georges Mathieu, Ennio Morlotti, Shigeru Onishi, Jean Paul Riopelle, Emilio Scanavino, Pierre Soulages, Antoni Tapiés, Giulio Turcato, Emilio Vedova.

ORARI

Martedì, mercoledì e venerdì 10-18 │ Giovedì 10-20 │ Sabato, domenica e festivi 10-19

La biglietteria chiude mezz’ora prima │Lunedì chiuso

COSTO

TARIFFA UNICA (comprensiva di ingresso al Museo): intero € 14,00; ridotto € 12,00

RIDOTTO: fino a 26 anni; over 65; convenzioni

RIDOTTO INSEGNANTI: € 6,00

GRATUITO: fino a 10 anni; possessori Abbonamento Musei, Torino + Piemonte Card e tessera ICOM; diversamente abili; giornalisti iscritti all’albo

MOSTRA CON VISITA GUIDATA

QUANDO: sabato e domenica ore 11.30 e 17.30

COSTO: € 3,00 oltre al biglietto d’ingresso (prezzo promozionale)

Giovedì 29 agosto, ore 18.30

ESTATE A COLORI | VERDE: LA NATURA E LA RIGENERAZIONE

Ultima visita a tema sui colori

Ultima visita dedicata ai colori, in occasione della mostra TORINO ANNI ‘50. LA GRANDE STAGIONE DELL’INFORMALE (Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto, fino al I settembre 2024).

Il percorso sui colori e sul loro potere espressivo si conclude con il VERDE, colore della natura, della vita e della rigenerazione. Artisti come Hans Hartung e Jean Fautrier mostreranno come il verde possa evocare un senso di rinascita e vitalità. Le loro opere, immergeranno i visitatori in un mondo di energia rinnovata e connessione con l’ambiente. Le opere degli ultimi naturalisti, Sergio Saroni e Francesco Soffiantino offriranno una prospettiva contemporanea e rigenerativa sul verde. Il verde, in tutte le sue sfumature, parlerà di crescita, speranza e tensione con il mondo naturale.

COSTO: € 6,00 oltre al biglietto d’ingresso

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA: 011 837 688 int. 3/biglietteria@fondazioneaccorsi-ometto.it

IMMAGINE: Sergio SARONI, Paesaggio appenninico, 1961. Torino, Galleria del Ponte