ARTE- Pagina 24

“Il Cortile delle Arti”, nel cuore di Torino, apre nuovamente le sue porte al pubblico

“Il Cortile delle Arti”, nel cuore di Torino, apre nuovamente le sue porte al pubblico, sabato 10 maggio 2025 per l’iniziativa “El Pugiöl – Spazio d’arte condiviso”; un luogo suggestivo in via Vanchiglia 16 a Torino con ben sette studi d’artista, una galleria d’arte e due laboratori artigianali. Negli anni ’20 in un proliferare di botteghe, nuove fabbriche e nascenti industrie si installa proprio lì la Fabbrica di Forniture per Ombrelli e Berretti della ditta di famiglia Ambrogio Merzagora/Mapelli, l’unica in Italia di questa tipologia di manifattura.

Il Merzagora, essendo lo zio materno di Giovanni Mapelli che a quel tempo aveva un negozio di cappelleria “esclusiva Borsalino” a Carmagnola, decide di offrire al nipote l’opportunità di collaborare nella sua fabbrica e non avendo figli lasciargliela in eredità, ma i bombardamenti della Seconda Guerra mondiale distruggono l’edificio e decretano la fine della fabbrica. Negli anni ’50 iniziano poi i lavori di ricostruzione per trasformare questi spazi in abitazioni civili, e la pittrice Adelma Mapelli che nel 1974 affitta l’ex portineria dello stabile per far nascere il suo studio di pittura, si prodiga con tanta passione e tenacia nel trasformare queste in atelier d’arte. Così poco per volta riesce a far confluire nel cortile artisti torinesi e non solo che prendono possesso degli spazi per finalmente creare questo affascinante e curioso “scrigno” di cultura e talenti.

L’ideatrice del progetto Adelma Maspelli nel corso della giornata di sabato, dalle ore 16 alle 23, organizza un incontro aperto a tutti di pittura dal vivo con tecniche a confronto insieme ad altri artisti e nel suo atelier si potrà anche visitare la mostra – fotografica “Torino a colori” di Silvia Finetti. Julien Cachki presenta invece la performance “Frammenti di opere a Profusione” nel corso della quale verranno frammentate 5 opere di grandi dimensioni in orari casuali e inattesi.

Per ogni performance una tela verrà geometricamente frammentata in 36 pezzi uguali e per volontà dell’artista se ne vedranno davvero delle belle… Hangar studio presenta invece “Madre”, una mostra di Claudio Cravero che insieme a Giampiero Trivisano realizzerà ritratti fotografici al pubblico con un set predisposto all’interno del locale. Inoltre, sul “Pugiöl”, il cosiddetto “ballatoio”, verranno esposte 20 gigantografie di ritratti fotografici ironici dello stesso Cravero scattati ai commercianti di via Vanchiglia.

Lo studio di Francesco Di Lernia ospita i lavori degli allievi dell’atelier “Paesaggi”, mentre in quello di Paola Gandini si potranno ammirare le sue vetrofusioni oniriche ed in quello di Mary Rigo le opere del progetto “Consumo di Suolo”, lavori ad olio su tela nei quali sarà possibile osservare la percentuale di suolo consumato nelle diverse regioni italiane. Alla Galleria “Febo & Dafne” invece viene inaugurata la mostra collettiva di fotografia: “Verità nascoste” che proseguirà fino al 14 giugno. L’intrattenimento musicale nel corso di tutto l’evento è assicurato da Giacomo Cornelio alla voce e Francesco Partipilo al sax.

IGINO MACAGNO

Al Museo MIIT triplice mostra degli artisti Forgione, Vitale e Rinaldi

“A quasi quindici anni dalla mia prima personale – spiega il maestro Enzo Forgione – sento la necessità di documentare il mio percorso artistico e l’evoluzione della ricerca pittorica che si è sviluppata negli anni. Il mio lavoro è articolato su diverse serie ed è essenzialmente incentrato su oggetti botanici e floreali. Le serie ne mostrano chiaramente l’evoluzione sia nella padronanza delle tecniche pittoriche, sia nel mettere a fuoco e trattare tematiche e interessi a me cari, come la botanica e la percezione visiva, che sono riuscito a coniugare e esprimere a pieno nella serie che ho chiamato ‘Narciso’. Sono sempre stato affascinato dagli aspetti della percezione visiva focalizzati sui ‘pattern’: insieme di linee, forme e strutture, che sono ovunque intorno a noi, sia nelle geometrie del nostro urbano quotidiano, sia soprattutto nell’apparente disordine della natura.

Definisco la mia pittura di oggi figurativa di stile ‘realista’; durante gli anni ho voluto fortemente allontanarmi dagli stilemi del ‘freddo’ iperrealismo, che caratterizzavano le mie prime opere, per avvicinarmi a una pittura più calda e coinvolgente e credo di essere riuscito nel mio intento. Lavoro prevalentemente a olio su tela, lino o su carta. La tecnica che uso ricorda quella detta ‘alla prima’, un approccio pittorico consistente nell’ottenere tutti gli effetti tonali e cromatici quando il colore è ancora fresco, con la differenza che il dipinto non viene completato in una singola sessione di lavoro”.

Il tempo, lo spazio, la natura, il progresso, la società, il dinamismo dell’esistenza e tutta l’esperienza della vita vibra nelle opere di Tommaso Vitale, maestro eclettico che, nel corso della sua carriera, ha sperimentato tecniche, materiali, stili, in una coerenza di linguaggio ed espressione mirabile e affascinante. Pittura, scultura, fotografia, installazioni rappresentano la sua palestra creativa in cui allenare genialità e personalità, raggiungendo risultati importanti nel mondo dell’arte contemporanea internazionale. Il Museo MIIT è quindi orgoglioso di presentare questa sua personale dal titolo ‘Remake’, una sorta d rivisitazione del suo percorso, quasi un riassunto essenziale, esistenziale ed estetico dell’anima dell’artista. Maurizio Vitale trascorre gran parte della sua giovinezza con Tommaso, nonno paterno, il quale gli trasmette la passione per l’arte e l’architettura. Altra figura sempre presente e fondamentale per la crescita artistica del giovane è nonno Pietro, tipografo amante dell’arte e collezionista. La sua passione artistica è sempre stata molto forte anche negli anni di studi all’istituto tecnico; a conferma di questo, gli ottimi voti e la volontà di seguire nel pomeriggio lezioni di storia dell’arte. Molto forte anche l’amore per i viaggi: spesso viaggia insieme a papà Benito per lavoro, sostando a Roma, il cui fervore storico-artistico ha sempre affascinato molto il giovane Tommaso. Negli anni ’80 si iscrive alla facoltà di Agraria dell’Università degli studi di Bari (che abbandona dopo non molto tempo), frequentando autonomamente lezioni in lingua inglese. Informato sul panorama artistico locale, partecipa a numerosi vernissage di mostre d’arte, dove conosce Graziella, insegnante calabrese che sposa nel 1991. Insieme adottano Alexandra, una bimba bielorussa. Lavorando nel settore della viabilità come geometra statale, non ha mai abbandonato il suo amore per l’arte e per i viaggi. Dalla fine degli anni ’90 partecipa attivamente a mostre d’arte, concorsi e fiere, vendendo opere e vincendo premi.

La mostra di Luigia Rinaldi si articola su varie serie pittoriche e fotografiche. Dalla serie dei Capperai ai dipinti ispirati ai muretti a secco della Liguria e agli ulivi secolari, fino ai vari personaggi politici e della società contemporanea che sono saliti alla ribalta delle cronache per le loro vicende spesso drammatiche. Volti di isolani e maltrattati dalla storia costituiscono  il tema di questa esposizione che unisce le varie anime di Luigia Rinaldi. Il lavoro dell’artista è caratterizzato da una pittura di intensa espressività e ritmo tonale, dopo aver iniziato, negli anni Settanta, dalla sperimentazione fotografica, a sottolineare una volta di più il rapporto stretto, complice, e talvolta oppositivo tra due tecniche che nascono con l’obiettivo di rappresentare la realtà. In un’epoca di ridefinizione dei generi la pittura mantiene la sua centralità riuscendo, nei casi migliori, a rinnovarsi da un punto di vista iconografico, quindi conservando quella caratteristica che le è propria, implicita nel concetto di “teknè”, di tirocinio artigianale visto in una dimensione di sublimazione dell’agire artistico, con modalità attente e riflessive, abbinando a questa antica vocazione la capacità di osservare con occhio partecipe, e disincantato al tempo stesso, l’esistente, decontestualizzandolo dalla sua effimera contingenza materiale, per dargli forma nella dimensione del simbolo.

Museo MIIT Italia Arte di Guido Folco – Corso Cairoli 4, Torino

Telefono: 011 8129776

Mara Martellotta

“Figure-miraggi domestici. Pittori a Torino 1900-1960”

Il gallerista Gian Enzo Sperone inaugura il 7 maggio, alle ore 19, presso lo Spazio Ersel di piazza Solferino 11

Si inaugura il 7 maggio, alle 19, presso lo Spazio Ersel di piazza Solferino 11, a Torino, la mostra voluta e curata dal gallerista Gian Enzo Sperone dal titolo “Figure- miraggi domestici. Pittori a Torino 1900-1960). La mostra rimarrà aperta al pubblico dall’8 al 30 maggio prossimo. L’esposizione è divisa per temi, come dimostra la sala dedicata alle opere dei futuristi, che rappresentavano un gruppo unito, e comprende 120 opere di 42 artisti, tutti protagonisti della Torino del 1900 fino al 1960, opere prestate dallo stesso collezionista, anche se provenienti per la maggior parte da collezionisti privati. Per Sperone era necessario fare una carrellata il più completa possibile di quegli artisti che hanno dominato sessant’anni di pittura del Novecento italiano, prima dell’avvento dell’arte povera e concettuale che, secondo lui, ha oscurato la bellezza della pittura. Tra gli artisti in mostra compaiono Spazzapan, Mario Merz, Carlo Levi, Mastroianni, Balla e Carol Rama, quest’ultima già protagonista di una personale in corso presso la Fondazione Accorsi Ometto di via Po.

Dopo l’apprendistato alla galleria Galatea e la direzione della galleria Il Punto, nel maggio del 1964 Gian Enzo Sperone apre un suo spazio in via Cesare Battisti 15 angolo via Carlo Alberto. Fin dalla mostra inaugurale con Rotella, Mondino, Pistoletto, Lichtenstein, la galleria Sperone assume un profilo votato alle sperimentazioni del presente. Grazie all’appoggio di Leo Castello e Ileana Sonnabend ospita i principali rappresentanti della pop art, da Robert Rauschenberg a James Rosenquist, nel 1964. Da Warhol a Jim Dine, nel 1965, a Tom Wesselmann nel 1967. La mostra personale di Pino Pascali, con le finte armi da guerra nel gennaio del 1966 e quella intitolata “Arte abitabile” con opere del Pistoletto, Piero Gilardi e Gianni Piacentino nell’estate del 1966, manifestano un precoce orientamento verso un’arte di carattere installativo, confermato dalla mostra “Con/Temp/L’Azione”, tenuta nel dicembre 1967 insieme alle gallerie Stein e il Punto. Nel settembre 1969 la personale di Carl Andre inaugura la nuova sede di corso San Maurizio 27, ricavata da un edificio industriale di 400 mq e gestita con Pierluigi Pero. Parallelamente Sperone collabora con il fotografo Paolo Mussat Sartor e intraprende un’attività editoriale finalizzata alla pubblicazione di libri d’artista. Con il decennio degli anni Settanta si lega professionalmente a Conrad Fischer e, nel novembre del 1972, aprono insieme una galleria a Roma, in piazza Santi Apostoli, con una mostra di Gilbert & George, fondando nel 1974, con Angela Westwater, una succursale newyorchese tuttora attiva. Da metà degli anni Settanta, fino alla chiusura torinese del 1981, Sperone si riavvicina alla pittura figurativa con mostre su Sandro Chia, Carlo Maria Mariani, Enzo Cucchi e Francesco Clemente.

Mara Martellotta

Una città regale, le grandi famiglie e le preziose collezioni

Nelle Sale delle Arti della Reggia di Venaria, sino al 7 settembre

Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare”, affermava nel 1352 Francesco Petrarca, mentre Montesquieu, al termine del secondo decennio del XVIII secolo, emetteva il proprio giudizio pesante come un macigno: “I Genovesi non si raffinano in nessun modo, sono pietre massicce che non si lasciano tagliare. Quelli che sono stati invitati nelle corti straniere, ne son tornati Genovesi come prima.” E non sai bene, ancora oggi, se il giudizio suoni lodevole caparbietà o presunzione. Due scrittori, due osservatori a guardare con occhi acuti ad una città che, con la sua maestosità, con l’eleganza, con la storia, con il suo stesso mare, dal 10 aprile – e fino al 7 settembre – occupa le Sale delle Arti al secondo piano della Reggia di Venaria con la mostra “Magnifiche collezioni. Arte e potere nella Genova dei Dogi”, a cura di Gianluca Zanelli, Marie Luce Repetto, Andrea Merlotti e Clara Goria, Genova città di patriziato ma una Repubblica con a capo un doge che, dal 1528, rimarrà in carica due anni, famiglie che si contendevano l’elezione, che mettevano in campo sfarzo e prestigio, prestigiose alleanze e protezioni, che allineavano saloni e ospitalità, servitù e carrozze, quelle collezioni che sono l’anima della mostra. Per secoli, i medesimi nomi, i Pallavicino, i Doria, gli Spinola, i Balbi, le collezioni oggi conservate a Palazzo Spinola della Pellicceria, qui un centinaio e oltre di opere tra dipinti, sculture, argenti e arredi, tra Sei e Settecento, la ricchezza delle raccolte ma soprattutto il racconto (e gli esempi splendidi) dell’affermazione di sé, dogi e cardinali – a ostentare la lucentezza dell’abito e della berretta, come Giovan Battista Spinola affida il proprio successo al pennello del Baciccio alla fine del Seicento -, politici, monache e nobildonne, ogni immagine rivolta al culto della persona, ogni tela o tavola pensata “ad maiorem domini gloriam”.

Suddiviso in sei sezioni e tredici sale – per apprezzare veramente quel che significhi “Superba” il visitatore non dimentichi e non si perda per un lungo attimo la bellezza delle grandi tele, i nomi sono quelli di Rubens, di Guidobono, di De Ferrari, e l’allestimento che Loredana Iacopino ha inventato e che nella ampia sala finale raggiunge l’apice della bellezza e della magnificenza, tra pareti e un pavimento riflettente che riporta alle porte di Torino la calma del mare genovese -, un percorso artistico in cui svettano Antoon van Dick (il pittore era giunto, appena ventiduenne, in città nel 1621: uno dei suoi capolavori è il “Ritratto di Caterina Balbi Durazzo”, eseguito in occasione delle nozze della fiera ed elegante signora) e Rubens (in città dal 1604, a lui si deve la redazione del volume “I palazzi di Genova”, uno studio illustrato delle più grandi e aristocratiche dimore): il suo “Ritratto di Giovan Carlo Doria a cavallo”, opera che s’inserisce tra gli anni 1607 e 1608, vero “manifesto di potenza”, apre il percorso della mostra, ricco di riferimenti simbolici, il cane come segno di fedeltà, l’aquila a immagine della casata, la foga del cavallo a contrasto della calma del cavaliere ovvero “l’uomo che con le sue virtù riesce a vincere sull’istinto”, la rossa croce dell’Ordine di San Giacomo aggiunta pochi anni più tardi; e con loro Orazio Gentileschi, Guido Reni, Luca Giordano, Carlo Maratti e poi ancora Angelica Kauffman e Hyacinthe Rigaud e quanti furono i maestri della grande scuola figurativa genovese come Bernardo Strozzi, Domenico Piola, il Grechetto, al secolo Giovanni Benedetto Castiglione, e Gregorio De Ferrari, sino allo spegnersi della grande Gloria in un infelice tramonto con le tele di Anton von Marton, morto a Roma nel 1808, davvero autentico canto del cigno.

Di luci e ombre tutte caravaggesche è costruito “Qui vult venire post me” (conservato nel Rettorato dell’Università degli Studi torinese) di Giovanni Battista Caracciolo, detto Battistello, uno dei primi seguaci del pittore a Napoli, proveniente dalla quadreria genovese di Marcantonio Doria, fratello maggiore di Giovan Carlo, acquistato nel 1614 tramite il procuratore della famiglia nel capoluogo campano. Poco oltre, ancora Van Dick a darci l’immagine – seppur oggi frammentaria – del piccolo Ansaldo Pallavicino, figlio del doge Agostino, che trentenne acquisterà il palazzo di piazza Pellicceria dando vita a una quadreria che sarà il vanto della casata, prediligendo l’artista nato nelle Fiandre e il fantasioso Grechetto (qui presente, tra l’altro, con “L’entrata degli animali nell’arca”, un incredibile quanto variopinto insieme di cani e pappagalli, di capre e gatti, di oche e tacchini e vettovaglie). Le sale d’esposizione ci fanno sempre più immergere in quel desiderio di essere ritratti, di tramandare la propria immagine, una celebrazione che coinvolgeva una pittura non per il tempo presente ma per il futuro. S’allineano il “Ritratto del doge Pietro Durazzo” del Mulinaretto, una scenografia ad effetto, il prorompente color porpora, i segni del potere posti in bella vista, quello di Anton Giulio II Brignole-Sale, il proprietario di Palazzo Rosso, ambasciatore alla corte di Parigi, tramandato da Hyacinthe Rigaud, la nobildonna in veste d’Astrea (di Nicolas da Largillière, dal prestigioso prestito del Sovrano Ordine Militare di Malta) e il “Ritratto di monaca”, dovuto al grande Bernardo Strozzi, mirabile ritrattista, in quei tocchi di bianco che la mano del pittore deposita vistosamente corposi: gli ultimi due appartenenti – capolavori della sala 8 – alla raccolta della famiglia Balbi (banchieri, che all’inizio del Seicento fondarono una strada che porta il loro nome), Francesco Maria prima e Costantino (questo passato all’immortalità con il ritratto di Pellegro Parodi), con cui si scavalca il secolo d’oro per arrivare al Settecento, poi, compositori di una raffinata quadreria, patrimonio diviso due generazioni dopo e per una serie di vicende ereditarie confluito in parte – nel 1824 – nelle raccolte di Palazzo Spinola di Pellicceria.

Molto ancora andrebbe citato di questa mostra, che l’appassionato d’arte non dovrà lasciarsi sfuggire, e del carico di Storia che la contiene (esemplarmente formulate le targhe esplicative a corredo), genovese ed europea in un abbraccio più largo. Certamente “L’ultima cena” del Procaccini, bozzetto preparatorio per la monumentale tela commissionata da un anonimo nobile milanese per il refettorio del convento genovese della Santissima Annunziata – uno dei tanti esempi della predilezione che i Doria ebbero per il pittore bolognese, la proprietà invidiata di settanta e più dipinti -, le grandi tele del Grechetto, “L’aria e il fuoco”, “La terra e l’acqua”, “L’adorazione dei Magi” del Baciccio, la luce con cui Orazio Gentileschi ci trasmette il “Sacrificio d’Isacco” (appartenuto un tempo al nobile Pietro Gentile, grande estimatore di Orazio come della figlia Artemisia).

Le ultime sale ci danno la presa di coscienza da parte degli ultimi rappresentanti di un grande passato dello sconquasso che s’aggirerà per l’Europa sul finire del Settecento, nel dipinto della Kauffman a rappresentare Paolo Francesco Spinola c’è la calma ma la eguale consapevolezza del cambiamento di governo, della fine dei privilegi, dell’avvento dell’impero napoleonico. L’ultimo sguardo è, attraverso l’incisione di Antonio Giolfi del 1769, sulla prospettiva della Strada Nuova, oggi via Garibaldi, sui suoi palazzi, sui suoi signori e le ricchezze, il passeggio dei signori e il lavoro dei servi, sulle tante collezioni che hanno fatto importante e preziosa una intera epoca.

Elio Rabbione

Nelle immagini di Giuliano Berti alcuni allestimenti della mostra; Peter Paul Rubens, “Ritratto di Giovan Carlo Doria a cavallo”, olio su tela, 1607 – 1608, Galleria Nazionale della Liguria; Orazio Gentileschi, “Sacrificio di Isacco”, olio su tela, 1612 ca., Galleria Nazionale della Liguria; Antoon va Dick, “Ritratto di Caterina Balbi Durazzo, olio su tela, 1624, Palazzo Reale di Genova.

Gli “Appunti di volo” di Fernanda Core

In mostra a Cella Monte 

Attraverso la mostra “Appunti di volo” Fernanda Core, con  grande capacità tecnica e stile personale, affronta un tema contemplato sino dai tempi antichi in vari modi, dalla mitologia alla filosofia, dalla letteratura alla musica, dalla religione alla scienza.

Ancora oggi affascinano il mito di Icaro che sfidò il sole con ali di cera, la teoria di Platone nel dare alla filosofia il compito di volare verso la conoscenza, Charles Baudelaire cantore, nei suoi  “Le Fleurs du mal” dell’Albatros goffo in terra ma elegante in volo, la psicanalisi di Freud con l’interpretazione dei sogni, tra cui quello di volare insito nell’uomo.

L’arte figurativa ha trattato il tema, in pittura e scultura, con capolavori quali la dea di Samotracia dalle grandi ali spiegate a cui  Pitocrito ha dato il nome di Nike, personificazione della vittoria ed anche i disegni delle macchine volanti di Leonardo che uniscono l’arte alla scienza; senza dimenticare in tempi a noi più vicini la rappresentazione dell’Icaro danzante tra le stelle, con un cuore rosso sul petto segno di slancio vitale trattato da Henry Matisse, oltre al dipinto di Chagall che con Bella volteggia sopra Vitebsk  abbandonando a terra le ingiustizie e le paure.

Come asseriva Freud, l’arte non rappresenta dunque la sublimazione di un meccanismo di difesa che allontana le cose spiacevoli facendo nascere il desiderio di volare al di sopra di esse?

Fernanda Core accoglie questa teoria affermando “con la mia pittura voglio creare un mondo in cui immergermi quando, come ora, la cronaca è dura, difficile dal edulcorare, per certi versi insopportabile.”

La sua poetica è improntata alla bellezza che deriva dal volo mentale, tradotto sulla tela nei luoghi del cuore a lei cari come le montagne della Val d’Ayas, il Monferrato e l’America ma anche dalle suggestioni lasciatele  dai grandi capolavori dell’arte passata.

Spesso infatti è stimolata dalle figure alate, in particolare di Vittore Carpaccio e Piero della Francesca, giocando con geniali trasformazioni e trasposizioni come nel “Sogno di sant’Orsola “ in cui l’angelo di Vittore, immobile sulla porta della camera, scompare volando in un  turbinio di linee di dinamicità futurista, abbandonando una leggera piuma allusiva delle ali.

Allo stesso modo nel “Retablo della notte di Natale” l’angelo musicante della “Natività” di Piero, viene fatto volare sopra il paesaggio del doppio ritratto di Federico da Montefeltro e Battista Sforza con l’aggiunta dello splendido putto alato che suona il liuto di Rosso Fiorentino.

Attraverso un salto di secoli, ci troviamo nel clima del romanticismo tedesco di Kaspar Friedrich, intriso di panteismo mistico delle “Due dame di Challant” di  “Mitterand” e della “Luna piena sul Cres” accogliendo la poetica del Sublime nel contemplare l’incommensurabilità del creato sovrastato da aquile ad ali spiegate.

Un’atmosfera magica traspare dalla riproduzione esatta delle splendide montagne di Segantini in “Maloja” dove la Core riporta però alla vita reale aggiungendo due bimbi che giocano a palle di neve.

Enigmatica ed esoterica in “Endorfine” la grande rosa aperta in massima fioritura da cui prende il volo una farfalla gioiosa.

Con “L’hommage a Magritte” siamo in pieno surrealismo  in quanto la chioma di un albero è rappresentata da una pallina da golf.

Un  sottile gioco tra realtà e immaginazione avviene anche nella bellissima acquaforte  acquarellata “Mein land ist nicht Mailand” con un profilo femminile sul cui capo campeggia un cappello su cui si posa un paesaggio del Monferrato.

Un’immersione nel visionario avviene in  “A che punto è la notte?” attraverso il volo di una donna le cui ali hanno lo stesso colore di quelle dell’angelo di Beato Angelico in una annunciazione,  mentre scappa verso un mondo migliore.

Interessante la sezione dedicata a piccoli quadri che confermano l’anelito alla pace  della pittrice trovata in alcuni luoghi in cui la natura è silente, i bambini sono innocenti e gli animali hanno uno sguardo amico e sincero.

Tra i tanti paesaggi troviamo “Il vecchio paese di Champoluc”, “Tramonto a Moleto”, “La chiesa di san Quirico” avvolti nel silenzio e nella natura incontaminata.

Fernanda riesce a trasmetterci  tutto questo con empatia cognitiva alimentando l’interesse degli spettatori facendoli coinvolgere nel grande mondo dell’Arte.

Giuliana Romano Bussola

La bellezza femminile, da Botticelli a Mucha alle divine del cinema muto

Nelle Sale Chiablese, sino al 27 luglio

 

Un percorso lungo più di quattro secoli si snoda attraverso le sale Chiablese, in piazzetta Reale (curato in collaborazione con Arthemisia con la ricchezza di oltre cento opere, sculture disegni dipinti, prestiti da musei nazionali e internazionali e raccolte private, dalle collezioni sabaude, da Annamaria Bava, sino al 27 luglio), andando “Da Botticelli a Mucha”, un percorso attraverso “bellezza, natura, seduzione” che riserva nell’ultima piccola sala gli sguardi e i veli, gli occhi a tratti allucinati e le movenze azzardate, i sorrisi delle bellissime e sospirose di quel cinema muto che ai primi anni Dieci dello scorso secolo enumerò Sarah Bernhardt e la sua rivale italica Eleonora Duse, che avrebbe girato nel ‘16 il solo “Cenere” di Febo Mari, Lyda Borelli e Francesca Bertini dalla lunga vita, con un ultimo applauso per la sua monaca nel “Novecento” di Bertolucci, sino a Lina Cavalieri, ovvero “la donna più bella del mondo” con il viso e le curve in seguito della Lollo, immortalata da Boldini, regina del Salone Margherita, “massima testimonianza di Venere in terra”, secondo il conio di Gabriele D’Annunzio, travolta nel ’44 durante un’incursione aerea alleata.

Undici sale e dieci sezioni, un percorso attraverso le tante forme di rappresentazione della bellezza, dell’eterno femminino, espresso in più differenti declinazioni, ad iniziare dai disseminati bassorilievi archeologici di età romana, e statue, al Quattrocento di Sandro Botticelli con la sua “Venere” (1485-1490, sinuosa ed elegante “espressione di un ideale di bellezza umanistico di stampo neoplatonico”, probabile ritratto di quella Simonetta Vespucci che fu amata da Giuliano de’ Medici, bellezza senza pari del proprio tempo: una versione pressoché identica è conservata alla Gemäldegalerie di Berlino) che trovò posto nelle collezioni Gualino dopo l’acquisto degli anni Venti – ora in bella e definitiva mostra alla Galleria Sabauda a cui il mecenate l’aveva destinata nel 1930: opera che finì nelle mani della Banca d’Italia allorché il regime, per nulla soddisfatto della disobbedienza dell’imprenditore, decretò il confino e una infelice requisizione, che portò l’opera ad arricchire significativamente gli arredi dell’ambasciata italiana a Londra. Sulla parete della sala odierna, s’allineano altresì i risultati delle indagini diagnostiche compiute sull’opera tra il 2020 e il 2023, i particolari e le correzioni, i ripensamenti dell’artista, e anche questo è manna per l’appassionato d’arte. La dea, simbolo altresì della forza generatrice della natura, avvicinata qui all’opera dallo stesso titolo di Lorenzo di Credi, dove più è considerata la plasticità del soggetto, gareggia in bellezza con il “Volto di fanciulla” disegno autografo di Leonardo, realizzato tra il 1478 e il 1485 circa e proveniente dalla Sabauda (il visitatore potrà accedere al nuovo “Spazio Leonardo” posto al primo piano, previo l’acquisto del biglietto combinato Mostra + Musei Reali e/o dei soli Musei Reali).

La seconda sezione vede un omaggio al Mito di Elena, bellezza e femminilità immortalate nelle tavole del tardo Cinquecento di Lambert Sutris e da due splendidi arazzi posti ad inizio del secolo successivo, dovuti alla Manifattura di Bruxelles, come dal gruppo marmoreo rappresentante “Il ratto di Elena” di Francesco Bertos (1738). E ancora le tre Grazie, considerate fin dall’antichità la personificazione in toto della grazia femminile, l’arte di Canova in tre disegni – un nudo femminile, un gruppo di ninfe con un amorino e un disegno a carboncino ritenuto uno dei più intensi tra i fogli preparatori per il celebre gruppo scultoreo, provenienti dalle collezioni della Biblioteca Reale ne mostra tutta la bellezza. Un’eleganza e una aggraziata raffinatezza che ritroviamo più in là con il gruppo “La danza” del torinese Edoardo Rubino. La successiva sezione ci fa conoscere il “Taccuino romano” di Girolamo da Carpi, ferrarese, attivo nella prima metà del Cinquecento, pittore e architetto affermato, dedito qui a quello che viene considerato il suo capolavoro, schizzi a raffigurare monumenti romani e sculture antiche, un grande album contenente 180 fogli, disegnati tutti su entrambi i lati, oggi smembrato e diviso tra la Biblioteca Reale di Torino, che ne detiene il maggior numero, ben novanta, il Rosenbach Museum&Library di Philadelphia e il British Museum londinese. Quanto attiene alla “meraviglia della natura”, è proprio del trionfo degli “album naturalistici” di Carlo Emanuele I, la natura intesa come dispiegamento di forze vitali, la rappresentazione coloratissima di fiori e pesci e uccelli, tavole che all’inizio del Seicento facevano parte della “camera delle meraviglie” del duca.

Con intenso interesse si guarda al “fascino dell’arte classica” e all’influenza che essa ebbe nella nascita del nostro Rinascimento. I punti d’attenzione sono Firenze e Roma, ma anche la meno importante Padova, grazie alla lunga permanenza del genio di Donatello e con l’influenza che certe sue opere ebbero ad esempio sugli allievi della bottega di Francesco Squarcione, quali Mantegna, Marco Zoppo e il dalmata Giorgio Schiavone, di cui dalla Sabauda arriva la “Madonna con il bambino”, una tavola composta tra il 1456 e il 1460, una rispettosa quanto vivace rivisitazione del mondo antico in quel maestoso arco trionfale  che avvolge la Vergine, in quegli inserti di marmi policromi e porfido, nei festoni di frutti e nei putti, alcuni in carne e ossa, altri come bronzetti animati. Ancora i nomi di Macrino d’Alba e del Garofalo, ancora il gusto per le “grottesche”, sviluppatesi con il primo venire alla luce della Domus Aurea neroniana, un tripudio inarrestabile di figure umane e mitologiche, di oggetti e di mostri, di prodotti del mondo vegetale, che coinvolgono con successo i nomi di Perin del Vaga e Giovanni da Udine, come quello di Baccio Bandinelli di cui s’ammira un foglio con “Due studi di figure femminili”, come non si passa indifferenti dinanzi all’imponenza della testa colossale proveniente da Alba, forse appartenente a una divinità femminile.

“L’universo della bellezza femminile” si alterna tra la virtù e la castità, “allegorie” che ancora una volta prendono a prestito il corpo femminile in tutta la sua avvenenza, l’immagine di Lucrezia emblema di eroismo e di forza morale, le varie Sibille in sei tele sono opera di Orsola Maddalena Caccia, monaca e pittrice, figlia di Guglielmo denominato il Moncalvo dal piccolo centro piemontese dove trascorse la maggior parte della vita e morì, un ciclo proveniente dal palazzo della famiglia Dal Pozzo del ramo di Castellino, in Moncalvo, una delle testimonianze più alte della produzione dell’artista; “Regine, principesse e belle di corte”, visi regali vissuti tra il Seicento e l’inizio del Settecento, trentasette ritratti femminili raccolti nell’Appartamento dei Principi di Piemonte (qui ne sono esposti sedici) tra gioielli preziosi e abiti sontuosi, giochi di ricami e passamanerie, non ultimi esempi di signorilità la Contessa di Castiglione, seducente agente segreto pronta a far breccia nel cuore dell’Empereur, e Margherita di Savoia, grazie ai pennelli di Michele Gordigiani (nel 1872), prima regina d’Italia che vede crescere la propria popolarità presso i sudditi grazie ai molti viaggi e alle pubbliche cerimonie, presenti entrambe in omaggi che guardano già alla fotografia. E l’incantevole Sissi, dalla tragica fine, resa celebre dai film della Schneider. Il finale che suona “Incanto e seduzione tra Ottocento e Novecento”, dove sono le prove importanti di Giacomo Grosso (“Nudo di donna”, 1915, dallo sguardo carico di sensualità nascosto dietro il braccio destro ripiegato, in cui il pittore rivisita “La source” di Ingres in una concezione più intima) e di Leonardo Bistolfi (testa di “La bellezza liberata dalla materia”, 1906, per il monumento funebre a Segantini a St Moritz, proveniente dal Museo Civico di Casale Monferrato), di Cesare Saccaggi la cui “Semiramide”, dipinta intorno al 1905, è venuta di recente a far parte delle raccolte dei Musei Reali torinesi. Nei passi finali, il “Ritratto femminile”, bellissimo gesso dovuto ancora a Bistolfi, comunica con le figure di Alphonse Mucha, cecoslovacco, nome di punta dell’Art Nouveau, scomparso nell’immediato indomani dell’invasione hitleriana del suo paese, avvolte di fiori e rimandanti ancora una volta allo spirito di raffinatezza del Rinascimento italiano: uno stile personalissimo che apriva le porte alla Belle Èpoque.

Elio Rabbione

Nelle immagini, Sandro Botticelli, “Venere”; tra gli allestimenti della mostra “Da Botticelli a Mucha”; “Nudo di donna” di Giacomo Grosso e “La bellezza liberata” di Leonardo Bistolfi; in primo piano “La danza” di Edoardo Rubino e alle spalle “Le tre grazie” di Pietro della Vecchia, tra i capolavori della mostra.

Ponte del primo maggio: Forma e colore. Da Picasso e Warhol

Sabato 3 maggio secondo appuntamento del ciclo di incontri esclusivi alla mostra curata da Vincenzo Sanfo  alla Galleria Sottana dell’Oratorio di San Filippo Neri.

 Ponte del 1° maggio a Torino nel segno della bellezza e dell’arte. Tra gli eventi previsti in città nel lungo fine settimana, sabato 3 alle ore 17:30 all’Oratorio della Chiesa di San Filippo Neri, visita guidata con la storica dell’arte Barbara Stabielli alla scoperta delle pregiate ceramiche della mostra Forma e Colore, da Picasso a Warhol – La Ceramica dei Grandi Maestri, organizzata da ArtBookWeb con Aics Torino, e curata da Vincenzo Sanfo e Giovanni Iovane.

Alla esclusiva visita guidata, durante la quale la mostra sarà chiusa al pubblico, seguirà il Concert Art dell’arpista Katia Zunino e un brindisi finale. L’evento è a cura dell’Associazione culturale Aics e di Scealta-Si.

Per partecipare, obbligatoria la prenotazione (massimo 60 partecipanti) all’e-mail: biglietteriamostrato@gmail.com, oppure al numero: 353.4780786. Acquisto biglietti su VivaTicket. Costo 25 euro.

L’esposizione ospita circa 70 opere in ceramica, di collezioni private e firmate da grandi artisti del ‘900 e contemporanei di tutto il mondo, a cominciare da Pablo Picasso con alcuni esemplari del periodo di Vallauris, e molti altri, tra i quali: Salvador Dalì, Joan Mirò, accanto a quelle di Marina Abramovic, di Keith Haring, Andy Warhol, Carla Accardi e Sol Lewitt, Ezio Gribaudo, Félix Bracquemond e Zhang Hongmei. Un viaggio da una parte all’altra del mondo attorno all’arte su ceramica, con i contributi di artisti abitualmente dediti ad altre forme d’arte, con incursioni nella porcellana e nella terracotta, visitabile sino al 2 giugno.

Sulla Terrazza Belvedere di Torre Canavese, la mostra “Natura Arte-Fatta”

Inaugura il 17 maggio presso la Pinacoteca “Raissa Gorbaciova”, sulla Terrazza Belvedere di Torre Canavese, la mostra “Natura Arte-Fatta”, con opere di Biagio Vellano, e una nuova sala della pinacoteca sarà dedicata a Marco Datrino

La mostra  dal titolo “Natura Arte-Fatta” verrà inaugurata il 17 maggio prossimo, alle 17.30, presso la Pinacoteca “Raissa Maksimovna Gorbaciova” sulla Terrazza Belvedere, in via Balbo a Torre Canavese, in provincia di Torino. Si tratta di un’esposizione di quadri-scultura creati con materiali di recupero e terre naturali dal Maestro Biagio Vellano, originario di Trino Vercellese, nato nel 1928 e scomparso a Brusaschetto, nell’Alessandrino, nel 2008.

Contestualmente all’apertura dell’evento artistico, la nuova sala della Pinacoteca verrà dedicata a Marco Datrino, importante gallerista, antiquario, proprietario del vicino castello, e protagonista della vita culturale di Torre Canavese, distintosi per meriti artistici e culturali.

“Intitolare questa nuova sala della pinacoteca a Marco Datrino – ha commentato Gian Piero Cavallo, Sindaco di Torre Canavese – è un gesto dovuto e doveroso per ringraziare e ricordare un concittadino che tanto ha fatto per il paese e il mondo dell’arte nel Canavese, instaurando scambi tra artisti e portando i Pittori per la Pace sul nostro territorio. Ci auguriamo che sia davvero un nuovo inizio e che questi spazi possano in futuro, come oggi, accogliere nuovi eventi importanti in grado di dare lustro al paese”.

L’allestimento, curato dalla critica d’arte Carla Bertone, resterà aperto fino al 15 giugno dal venerdì alla domenica, dalle 16 alle 19. Apertura straordinaria per la Camminata Reale domenica 18 maggio dalle 9 alle 12.

“La mostra sarà composta – spiega la curatrice –  da 25 opere materiche corredate da spiegazioni, didascalie e frasi dell’artista.  Il percorso sarà introdotto da una presentazione dell’artista con una biografia e una breve spiegazione delle opere, fotografie, acquerelli e disegni, in modo da fornire una visione completa del percorso artistico di Vellano.

Biagio Vellano, designer ed arredatore di talento, fu uno spirito introspettivo e coltissimo. Un filosofo che amava la vita. Un appassionato di archeologia e di musica jazz, innamorato e rispettoso del creato e dell’arte nella sua forma più alta e più pura.

Mai influenzato dalla materia di partenza, bensì soltanto dalla “materia ri-creata”, l’artista Biagio Vellano ha usato liberamente qualsiasi tecnica potesse corrispondergli: la pittura ad olio tradizionale, i fondi serigrafici stampati che riprendeva con diverse tipologie di pastelli, polverosi o cerosi, e i materici, le opere che costituiscono l’aspetto peculiare della sua creazione artistica. Nel momento della massima creatività delle avanguardie, l’artista indaga con tutto sé stesso il modo di ‘ricreare’ la natura che da sempre ha catturato con gli occhi e con gli obiettivi della sua macchina fotografica. Nascono così le opere più straordinarie di Biagio Vellano, uniche ed irripetibili, quelle che lo classificheranno per sempre nel firmamento della storia dell’arte: i materici.

Se infatti i pastelli sono colore e luce, i materici sono materia e ombra, un microcosmo, una natura ricreata. Sono ricami di materia colata, di parti sporgenti, ammassi di plastiche combuste con il cannello e lavorate ancora incandescenti, per ricreare rocce, ghiacciai, fondali marini, fango e terra calpestata. L’artista bruciava strati su strati di plastiche e colature di vinavil mentre le esalazioni nere ardevano nei suoi polmoni. La cosa più terribile è che sapeva a cosa stesse andando incontro, e che ha sempre accettato come una sortadi sacrificio sull’altare della grande arte”.

Per informazioni consultare il sito www.torrecanavese.piemonte.it

Mara Martellotta

La Fondazione Accorsi-Ometto rende omaggio a “Carol Rama – geniale sregolatezza”

Da martedì 15 aprile a domenica 14 settembre prossimi, a dieci anni dalla scomparsa, la Fondazione Accorsi-Ometto rende omaggio, attraverso una vasta retrospettiva intitolata “Carol Rama – geniale sregolatezza” alla grande artista torinese di fama internazionale scomparsa nel 2015, premiata con il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia del 2003. La mostra, curata da Francesco Poli e Luca Motto, presenta un’accurata
selezione di un centinaio di opere provenienti da importanti collezioni pubbliche e private, che documentano le principali tappe della ricerca
dell’artista dagli anni Trenta ai primi anni Duemila.

“Innanzitutto tengo a ringraziare il Presidente della Fondazione Accorsi-Ometto per aver voluto e poi promosso questa bellissima e curata mostra dedicata a Carol Rama, nel decennale della scomparsa, e che abitava proprio vicino a poche decine di metri dagli spazi del museo, in via Napione – ha dichiarato Luca Mana, direttore artistico della Fondazione Accorsi-Ometto – è importante sottolineare che il museo sta attraversando un periodo di trasformazione culturale, che ne vuole fare una vera e propria porta della città”

“L’esposizione, che si articola in diverse sezioni, otto per la precisione, si apre con una serie di acquerelli risalenti alla fine del decennio degli anni Trenta – hanno dichiarato i due curatori della mostra Francesco Poli e Luca Motto –
caratterizzati da una singolare libertà espressiva del segno grafico e da un’esplicita carica erotica, nei quali l’artista riversa le fantasie e le inquietudini della sua adolescenza, raffigurando personaggi e oggetti allusivi ed emblematici del suo vissuto. Si affianca la parallela produzione espressionista degli anni Quaranta di oli denotati da una densa materia pittorica e dai disegni rappresentanti volti, figure e paesaggi, per proseguire con le ricerche di inizio anni Cinquanta che si avvicinano all’astrattismo di matrice concreta e che confluiscono nell’Informale. Nel 1953 aderisce, unica donna insieme a Paola Levi Montalcini, alla compagine torinese del movimento “Arte concreta”, cui aderiscono Biglione, Galvano, Parisote Scroppo. Alla fine del decennio Carol Rama, come la maggior parte degli artisti, si rivolge all’Informale.

In mostra sono esposti una serie di dipinti denotati da una spessa materia pittorica dove emerge una potente carica cromatica e segnica. Segue la nota serie dei ‘Bricolages’ prodotta dalla metà degli anni Sessanta, che deve il suo nome al poeta Edoardo Sanguineti, ed esposti anche alla galleria di Luciano Anselmino: i Bricolages risalgono a partire dalla metà degli anni Sessanta e l’approccio pittorico a macchia, di derivazione Informale, è integrato con il collage di oggetti quali occhi di bambola, scarti della lavorazione del metallo, siringhe, pietre, tappi in gomma e molto altro. Si tratta di materiali e oggetti di recupero che per l’artista sono carichi di vissuto ed entrano nella composizione del dipinto. Vi sono poi I lavori risalenti alla fine degli anni Sessanta, composti da smalti, vernici nebulizzate e inserzioni di oggetti che attraverso l’allusione a figure con gli arti protesi a bombe atomiche rimandano alla condizione umana in piena Guerra Fredda. La sezione successiva della mostra prende in considerazione la produzione degli anni Settanta, in cui l’artista, con la serie delle cosiddette ‘Gomme’, si distanzia dalla produzione precedente propone opere d’impronta completamente rinnovata: scompare il pittoricismo di base a favore dell’esperienza del quadro in sé, ridotto nei suoi minimi termini. In superficie monocrome bianche o nere, Rama dispone porzioni di camere d’aria, talvolta pendule, in bilanciate composizioni astratte, animate soltanto dalle differenze cromatiche e dalle tracce dell’uso. Possiamo dire che in questo periodo l’artista sia passata dal colore all’oggetto come fine. Segue il ritorno a una rinnovata figurazione tipica degli anni Ottanta e Novanta dalla tecnica complessa e raffinata, cromaticamente accesa. I mondi di Carol Rama si popolano di figure umane, angeli, animali, geometrie, paesaggi e prospettiva fantastiche su carte prestampate, spesso del secolo precedente. L’esposizione si chiude con la produzione più recente, risalente al periodo compreso tra gli anni Novanta fino ai primi anni Duemila: figure umane, volti, animali, parti anatomiche costellano l’intricato linguaggio allusivo dell’artista. Carol Rama sviluppa a partire dalla metà degli anni Novanta un tema che sarebbe diventato una costante fino agli anni Duemila; dopo aver visto immagini riguardanti il morbo della mucca pazza, trae da essi ispirazione per costruire una nuova serie di opere dal forte impatto visivo.

Vi sarà inoltre una “mostra nella mostra”, intitolata “Inside Carol Rama”.
I 12 scatti fotografici dell’artista Bepi Ghiotti, realizzati in occasione del progetto omonimo del 2012-2014, permettono di addentrarsi nell’affascinante mondo di arredi, di oggetti e di immagini della mitica casa-studio di via Napione a Torino, dove Carol Rama ha vissuto per oltre
settant’anni.


Il visitatore è così catapultato nel magico mondo dell’abitazione dell’artista, luogo di creazione artistica, ma anche di
incontro e di scambio con artisti, intellettuali, critici, galleristi, musicisti tra i quali Felice Casorati, Albino Galvano, Italo Cremona,
Edoardo Sanguineti, Italo Calvino, Cesare Pavese, Massimo Mila e Luciano Berio.

Carol Rama nasce a Torino nel 1918 e conduce un’infanzia agiata grazie alla florida attività imprenditoriale del padre, una carrozzeria che produce materiali per automobili. A soli 18 anni, nel 1936, dipinge il suo primo quadro intitolato “Nonna Carolina”, ora conservato alla GAM di Torino. Risale alla prima metà degli anni Quaranta lo spostamento di casa in via Napione 15, un alloggio mansardato dove l’artista avrebbe lavorato e vissuto fino alla sua scomparsa. Qui avrebbe maturato contatti anche con Casorati e la moglie Dafne, oltre che con altri intellettuali. Entrata in contatto e amicizia con Paola Levi Montalcini, Italo Cremona e Albino Galvano, di Carol Rama si ricordano l’esposizione collettiva del 1946 presso la Galleria del Bosco, insieme a Casorati tra gli artisti. Espone fino agli anni Ottanta in tutta Italia, diventa maggiormente nota al pubblico conseguentemente alla mostra del 1985 a Milano curata da Lea Vergine. Da quella data si sarebbero susseguite importanti personali dell’artista in Italia e all’estero. Carol Rama muore a Torino il 24 settembre 2015.

Museo Accorsi-Ometto – Via Po 55, Torino

Info: info@fondazioneaccorsi-ometto.it

Telefono: 011 837688

Mara Martellotta

TAG Art Night, sabato 10 maggio dalle ore 19 alle ore 23

Nel mese torinese dedicato alla fotografia, l’associazione culturale no profit TAG Torino Art Galleries, si unisce all’intensa programmazione cittadina dedicata alla fotografia, in concomitanza con il festival Exposed e alla fiera The Phair. La programmazione delle gallerie associate a TAG sarà dedicata in larga parte al mezzo fotografico indagato in tutte le sue sfaccettature e possibilità attraverso mostre personali e collettive che presenteranno capolavori del Novecento e ricerche contemporanee. Ciò avverrà nel Gallery Weekend, in cui è prevista la nuova edizione della Gallery Art Night, la notte delle Gallerie TAG, sabato 10 maggio 2025 dalla ore 19 alle 23.

Si tratta di un evento collettivo e condiviso delle gallerie associate che fornirà agli appassionati di accedere liberamente in orari serali, al fine di incrementare la capacità inclusiva e l’accoglienza delle gallerie. L’evento offrirà così un libero percorso di mostre in giro per la città, ben evidente sul sito di TAG, www.artgalleries.it, realizzato grazie al sostegno della Fondazione per l’Arte moderna e contemporanea CRT, unico ente sostenitore fin dalla prima edizione. Nella stessa settimana TAG propone le “TAG Art Coffee Breakfast”. I visitatori potranno recarsi alle gallerie aderenti venerdì 9, sabato 10 e domenica 11 maggio, dalle ore 10 alle 12, ed essere accolti dalle “Colazioni con l’arte”. L’ingresso a tutti gli eventi di TAG è gratuito.

“L’associazione TAG – sostiene la Presidente Elisabetta Chiono – è lieta di prendere parte al mese della fotografia con iniziative che coinvolgono le gallerie associate, che esplorano in particolare il mezzo fotografico. La nostra città ha un’importante tradizione legata alla fotografia, e nuovamente accoglieremo il pubblico in occasione della Notte Bianca di sabato 10 maggio e delle Colazioni in galleria. Inizia in questa prima parte dell’anno la pianificazione  dedicata ai 25 anni dell’associazione. TAG, fondata nel 2000, riunisce 17 gallerie d’arte torinesi con l’obiettivo di favorire la crescita culturale del territorio e della comunità locale attraverso l’arte. Fin dalla sua costituzione, TAG si è posta come interlocutore privilegiato per gli enti locali, collaborando attivamente alle loro iniziative e sviluppando progetti autonomi volti a coinvolgere il pubblico di appassionati e le nuove generazioni.

Per maggiori informazioni sulle gallerie associate a TAG, consultare il sito www.torinoartgalleries.it

Mara Martellotta