ARTE- Pagina 23

Horst Bredekamp per “Risonanze” alla Gam

Morfologia senza fine. Sull’intelligenza artistica di funghi, coralli e batteri.

 

Uno dei principali problemi del presente è una conseguenza della separazione cartesiana tra mente e materia. Leibniz ha offerto un’alternativa con la sua filosofia delle petites perceptions. La conferenza ne ripercorrerà la tradizione attraverso una revisione del Libro della Natura di Galileo, dell’Albero della vita di Darwin e della ricezione di questa alternativa da parte di due artisti contemporanei.

Horst Bredekamp, nato a Kiel nel 1947, ha studiato storia dell’arte, archeologia, filosofia e sociologia a Kiel, Monaco, Berlino e Marburgo, dove ha conseguito il dottorato in storia dell’arte nel 1974. Dopo aver lavorato in un museo presso la Liebieghaus di Francoforte sul Meno, ha insegnato come assistente all’Università di Amburgo dal 1976 e come professore di storia dell’arte dal 1982. Dal 1993 è professore di storia dell’arte e della visione presso la Humboldt-Universität zu Berlin e dal 2019 è Senior Speaker del Cluster of Excellence “Matters of Activity”. Dal 2015 al 2018 è stato uno dei tre direttori fondatori della Humboldt Forum di Berlino.  È membro di sei accademie e dell’Ordine Pour le Mérite. Nel 2025 è stato nominato Cavaliere della Repubblica Italiana.

Costo: 6€ comprensivo di prevendita  Acquista il biglietto

RISONANZE
Primo ciclo di conferenze tra arte e filosofia

a cura di Chiara Bertola e Federico Vercellone

 

da giugno a ottobre 2025

GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino

Sala incontri

IL PRIMO APPUNTAMENTO

 

GIOVEDI 12 GIUGNO ORE 18

Horst Bredekamp

Morfologia senza fine. Sull’intelligenza artistica di funghi, coralli e batteri.

La mostra “Natura e vita” di Daniele Fissore

Un tributo all’arte e alla memoria e le parole di Miresi, sua moglie

Dal 5 aprile al 22 giugno 2025, le città piemontesi di Busca e Cherasco ospitano la mostra antologica “Natura e vita del pittore saviglianese Daniele Fissore. Le opere esposte percorrono il periodo che va dal 1973 al 2017 e sono un omaggio al loro autore, mancato nel 2017, figura emblematica e di rilievo dell’arte contemporanea italiana. L’esposizione, curata da Cinzia Tesio, e’ organizzata su due sedi: Casa Francotto a Busca e Palazzo Salmatoris a Cherasco, dove sono esposte 140 opere che rattraversano l’intera carriera dell’artista piemontese. La moglie Miresi, insieme si suoi tre figli, si occupa e gestisce il patrimonio lasciato da Fissore, non solo inteso come beni artistici, ma anche come eredita’ intellettuale che racconta di un artista impegnato, legato al territorio, ma apprezzato anche all’estero; ci parla con entusiasmo del successo delle mostre in corso “Ho avuto i numeri delle presenze di Cherasco e di Busca e devo dire che sono molto soddisfatta. I dipinti rappresentano l’itinerario dei cicli pittorici di mio marito dall’iperealismo, al periodo londinese, con le opere sui pic nic ad olio, i green e molto altro. Sono emozionata perche’ questa mostra che ha un obiettivo molto importante che e’ quello di far conoscere in generale la pittura di Daniele che, invece, e’ famoso e riconosciuto per i Green e per le Marine. Ci sono altri lavori molto interessanti che lo rappresentano come Eroica, i Video Spenti e Opposizione a cui dare spazio e valore”.

La biografia di Daniele Fissore e’ molto ricca e intensa. Dopo gli studi classici, nel 1968 si e’ iscritto all’Accademia di Belle Arti di Torino, ma in un breve periodo ha maturato il desiderio di proseguire autonomamente la sua ricerca artistica dedicandosi all’approfondimento delle tecniche del disegno. Nel 1975 ha partecipato alla X Quadriennale di Roma e l’anno successivo alla Biennale del Disegno di Milano . Negli anni ’80 si e’ trasferito a Londra, dove ha ottenuto dal governo britannico uno studio e nel 1981 ha esposto alla House Gallery, un vero orgoglio, dunque, per l’arte e la cultura italiana.

“I suoi dipinti sono cosi’ reali da sembrare utopici” hanno scritto i critici, da essi emerge la tecnica applicata minuziosamente, ma anche la capacita’ di riflessione e profondita’. Aggiunge Miresi Fissore “vorrei che si conoscesse maggiormente la ricchezza creativa di mio marito Daniele. Mi sono resa conto che e’ necessario andare avanti con questo lavoro di diffusione , di fare un salto qualitativo per far avere a Daniele il giusto riconoscimento che merita per quanto e come si e’ dedicato all’arte. E’ necessario che l’interesse nei confronti di questo artista sia istituzionalizzato per esempio attraverso l’acquisizione delle sue opere nelle gallerie moderne piu’ famose e nei musei. E’ un pittore che merita maggiore riconoscimento”.

Daniele Fissore e’ una figura centrale dell’arte contemporanea italiana, capace di unire tecnica impeccabile e profondità emotiva, che ha lasciato un segno indelebile nel panorama artistico nazionale e internazionale; queste sue ultime esposizioni ci raccontano di un pittore per cui l’arte e la pittura hanno rappresentato la vita; non ha dipinto semplicemente ciò che vedeva, ma si interrogava sulla realtà, sulla memoria e sull’identità. Nei suoi quadri c’e’ tensione emotiva, introspezione, un silenzio carico di senso oltre che una grande attenzione ai dettagli.

Maria La Barbera

Una nuova opera  per Vivarium, Reality Fiction di Maurizio Taioli

Giovedì 12 giugno prossimo alle ore 18.30 verrà inaugurata una nuova opera per Vivarium, il parco dell’arte di Flashback Habitat in corso Giovanni Lanza 75. Vivarium, derivato dal latino vivo, rappresenta l’esposizione permanente all’aperto di Flashback Habitat, che trasforma l’ampia area verde di 9 mila metriquadri in un parco d’arte in continua evoluzione. Nata nel 2022, l’idea è di creare uno spazio dove le opere possano integrarsi e interagire con l’ambiente naturale, storico e umano. Le opere sono adottate da Flashback, che le accoglie e le lascia radicare nel suo ecosistema.

Da martedì  20 maggio è  presente una nuova opera di Maurizio Taioli, dal titolo “Reality Fiction”, che verrà inaugurata giovedì 12 giugno alle 18.30 alla presenza dell’artista. La peculiare forma espressiva usata dall’artista, le sagome scultoree da lui create, conduce lo spettatore a confrontarsi con una tematica attuale, la violenza umana analizzata sia dal punto di vista sociale sia ontologico.

L’oggetto di questa riflessione è  svelato dal titolo , “Reality Fiction”, che si riferisce allo scontro tra realtà e immaginazione, tematica di grande attualità nel mondo della globalizzazione in cui i confini tra il reale, le immagini e i modelli imposti dalla fiction, in particolar modo dalla filmografia americana, sono sempre più labili e non consentono di distinguere cosa può essere definito con certezza “reale” o “immaginario”.

Le immagini che ogni giorno vengono proposte dai mass media sono ambigue, e ciò che viene indicato come reale spesso non lo è,  o ne è  solo una versione parziale. Allo stesso modo la cinematografia narrativa a volte contiene elementi di grande veridicità storica. Lo spettatore si trova di fronte a una serie di sagome di grandi dimensioni che catturano totalmente la sua attenzione inducendolo a una riflessione critica sulle tematiche trattate. Sculture, sagome di materiale metallico, immagini violente sottolineate dall’effetto ottico del metallo e da ombre fredde, sono il simulacro di una realtà inquietante che si confonde con la fiction, anch’essa per sua natura ambigua. Le grandi dimensioni, lo spessore, il peso delle opere suscitano una sensazione di smarrimento che, insieme alla gravità del tema, si riflette sull’osservatore, lasciandolo sgomento e con un senso di sospensione emotiva e psicologica.

Quotidiani, materiale scaricato dal web, locandine di film, pellicole americane di grande fama quali Matrix o Terminator, riviste e fumetti rappresentano il materiale informativo dal quale trae ispirazione il lavoro di Maurizio Taioli. Attraverso una selezione delle immagini più significative, dà vita ad una serie di opere che perdono il legame con la realtà per divenire altro, sculture in metallo di grandi dimensioni, icone che entrano a far parte del repertorio collettivo.

Maurizio Taioli ( 1959) studia a Verona e Venezia, dove si diploma all’Accademia di Belle Arti nel corso di pittura con Emilio Vedova. A partire dagli anni Novanta sceglie di aprire uno studio a Milano e dal 2007 il gallerista Franz Paludetto diventa il suo punto di riferimento, facendolo esporre al Castello di Rivara e alla Galleria Franz Paludetto di Roma.

Mara Martellotta

Torino, 1872: quando la statua di Balbo traslocò

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Alla scoperta dei monumenti di Torino / I lavori per il ricongiungimento della città storica con il Borgo Nuovo, stravolsero completamente l’area implicando la demolizione dello spalto al quale si appoggiava il giardino. Durante questa fase il monumento a Cesare Balbo subì uno spostamento provvisorio, per poi essere riposizionato, nei primi mesi del 1874, nella nuova Aiuola Balbo

Cari amici lettori e lettrici, eccoci nuovamente pronti per un’altra piacevole (si spera) ed interessante passeggiata per le vie della città alla scoperta delle sue affascinanti opere. Questa settimana vorrei parlarvi di un noto personaggio storico nato nel capoluogo piemontese e divenuto un personaggio di rilevante importanza per la città di Torino; sto parlando di Cesare Balbo e del monumento a lui dedicato. (Essepiesse)

La statua è situata in via Accademia Albertina sull’asse centrale dell’Aiuola Balbo, ai margini della vasca d’acqua centrale. Cesare Balbo è ritratto in posizione seduta, vestito in abiti borghesi con un ampio mantello sulle spalle; con la mano destra stringe gli occhiali, mentre sul ginocchio sinistro tiene aperto con la mano il libro “Le speranze d’Italia”, libro da lui scritto, pubblicato nel 1844 a Parigi e dedicato all’ideale politico dell’unificazione italiana.

 

Cesare Balbo nacque a Torino il 21 novembre del 1789 da Prospero Balbo già sindaco di Torino e ambasciatore di Parigi ed Enrichetta Taparelli D’Azeglio, fu un uomo politico, scrittore e Presidente del Consiglio del Regno di Sardegna. Cesare Balbo maturò culturalmente in varie città europee a causa della continua peregrinazione che il padre dovette subire nei difficili anni del regno di Vittorio Amedeo III di Savoia; fu così che venne a contatto con le nuove teorie illuministiche che, in quegli anni, stavano prendendo sempre più piede nei maggiori centri culturali europei.

Fu propugnatore dell’indipendenza d’Italia dal dominio austriaco ed uno dei più importanti esponenti della cultura liberale piemontese. Nel 1848, dopo la concessione dello Statuto Albertino, divenne presidente del primo Ministero costituzionale piemontese e fu deputato del Parlamento Subalpino fino alla sua scomparsa. Immediatamente dopo la sua morte, avvenuta a Torino il 3 giugno 1853, alcuni cittadini torinesi decisero di erigergli una statua alla memoria. Venne istituito il “Comitato per l’erezione di un monumento a Cesare Balbo” presieduto da Cesare Alfieri di Sostegno e del quale facevano parte Giuseppe Arconati, Ottavio di Revel, Federico Scoplis e Luigi Torelli.

Apertasi una pubblica sottoscrizione, in pochi mesi la cifra raggiunta superò le 10.000 lire delle quali circa la metà fu costituita da oblazioni private, mentre la restante parte venne donata da enti pubblici. Per ciò che riguardava invece il concorso del Municipio di Torino, si fu inizialmente orientati su due ipotesi diverse: rendere disponibile un’area all’interno del Camposanto generale oppure, nel caso il Comitato avesse voluto erigerlo in sito pubblico, concorrere economicamente alla sua realizzazione. Essendo scelta la seconda opzione, il Municipio decise di stanziare la somma di 3.000 lire, alla quale si aggiunsero i contributi dei Municipi di Pinerolo, Susa e della Provincia di Torino (1.000 lire), raggiungendo così la cifra di 10.554 lire.

Della realizzazione dell’opera venne incaricato Vincenzo Vela (lo stesso autore dell’opera già vista da noi “Alfiere dell’ Esercito Sardo”), da pochi mesi professore di scultura dell’Accademia Albertina di Torino. Vela scelse di rappresentare Cesare Balbo in una posa “naturale”, in un atteggiamento anche posturale, che ricordasse la sua vita, il suo lavoro ed anche il suo impegno di letterato e di scrittore. Per la realizzazione del monumento vennero versate a Vela circa £ 10.000, mentre le rimanenti 554 lire furono spese per la realizzazione di una cancellata di protezione.

Nei primi mesi del 1856, Cesare Alfieri propose al Sindaco Notta di posizionare l’opera nel Giardino dei Ripari, tra il nascente Borgo Nuovo e la città storica; il 5 giugno 1856 il Consiglio Comunale, venendo incontro a questa richiesta, diede il suo consenso alla collocazione della statua in cima al declivio che dalla via della Madonna degli Angeli conduce al Giardino. Il monumento a Cesare Balbo venne inaugurato l’8 luglio del 1856 ed in questa occasione venne donato al Municipio che lo accettò ufficialmente nella seduta del Consiglio Comunale del 15 novembre 1856.

In seguito però, nel 1872 delle nuove politiche condussero alla riconfigurazione dell’area occupata dal Giardino dei Ripari; i pesanti lavori per il ricongiungimento della città storica con il Borgo Nuovo, stravolsero completamente l’area implicando la demolizione dello spalto al quale si appoggiava il giardino. Durante questa fase il monumento a Cesare Balbo subì uno spostamento provvisorio, per poi essere riposizionato, nei primi mesi del 1874, nella nuova Aiuola Balbo dove ancora oggi si può ammirare. Purtroppo, durante la seconda guerra mondiale l’opera venne danneggiata durante i bombardamenti.

 

Visto che abbiamo accennato alla realizzazione della “nuova” Aiuola Balbo, ricordiamo che essa è un giardino d’origine tardo ottocentesca; è caratterizzata dall’essere realizzata su terrapieno e quindi delimitata da un perimetro murario che la isola, sollevandola, dalle strade che la circondano. Di forma rettangolare, ha come fulcro una importante fontana centrale ed è piantumata con alberi disposti in modo naturale lungo tutto il perimetro.

Il disegno definitivo dell’Aiuola Balbo venne realizzato nel 1873 dall’ingegnere capo Pecco, che progettò un giardino totalmente verde, sollevato di circa un metro e mezzo al di sopra del piano stradale. I monumenti a Cesare Balbo, Eusebio Bava e Daniele Manin vennero ricollocati in modo simmetrico e armonico nell’Aiuola Balbo, nel centro del giardino sul suo asse longitudinale; l’ inserimento dell’ importante fontana centrale vennedeciso solo più tardi, nel febbraio 1874. L’Aiuola Balbo, inaugurata il 19 settembre 1874, oggi ospita complessivamente sei monumenti che la caratterizzano come un giardino dedicato ai patrioti attivi nei moti per l’indipendenza degli stati europei.

Simona Pili Stella

Foto  G i a n n i  C a n e d d u

Musei Reali di Torino, nella Cappella della Sindone l’installazione multimediale Oculus Spei

Dal 6 giugno al 26 agosto prossimo, presso la Cappella della Sindone dei Musei Reali di Torino, sarà esposta al pubblico Oculus Spei, installazione multimediale di Annalaura di Luggo.

La mostra, curata da Ivan D’Alberto, promossa dai Musei Reali e dal Museo Diocesano di Torino, ha ricevuto il patrocinio morale del Giubileo 2025, del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e del Ministero della Giustizia.

La Cappella della Sindone, monumento che custodisce uno dei simboli della cristianità e della spiritualità universale, si apre all’arte contemporanea, accogliendo un progetto che intreccia tecnologia, arte e fede. In questo spazio sacro, dove la Sindone si offre come simbolo di redenzione, Oculus Spei propone un messaggio profondo: la speranza come forza positiva che permette di affrontare ogni sfida e difficoltà.

L’opera multimediale è interattiva dell’artista napoletana si articola attorno a 5 Porte Sante ideali, davanti alle quali il visitatore è invitato a bussare concretamente. Oltre alle prime 4 Porte Sante, il pubblico trova persone con disabilità provenienti dai 4 angoli del mondo. Sono uomini e donne che si fanno testimoni di forza e resilienza. Una luce che discende dall’alto, li attraversa aprendo un varco nel loro cuore e nel loro sguardo. Da sempre l’occhio, per Annalaura di Luggo, è la chiave d’accesso più profonda verso l’animo umano. La quinta Porta è ispirata a quella del carcere di Rebibbia, aperta da Papa Francesco come segno di accoglienza e misericordia, e rappresenta il momento più intimo e trasformativo del percorso. Il visitatore, ripreso in tempo reale, si trova in una gabbia simbolica che evoca ogni forma di prigionia, precarietà e vulnerabilità, ed è proprio in questa condizione di reclusione che la luce riappare, suggerendo una possibile liberazione interiore attraverso la speranza.

“L’esposizione dell’opera multimediale Oculus Spei di Annalaura di Luggo – afferma Mario Turetta, direttore dei Musei Reali di Torino – all’interno degli spazi fortemente caratterizzati della cappella, consente di far dialogare le opere del passato con le espressioni artistiche contemporanee. L’attraversamento simbolico delle opere di Oculus Spei, ideate con un sapiente uso della luce, protagonista della stessa architettura barocca della Sindone, implica una visione inclusiva pienamente in linea con la missione degli stessi Musei Reali, aperta a tutti i pubblici, e per i quali l’arte costituisce uno strumento cruciale di mediazione e condivisione”.

“L’opera avvicina – spiega Lorenza Santa, curatrice delle collezioni di Palazzo Reale – ha esperienze, emozioni, difficoltà e sogni – invitando lo spettatore a riflettere e a superare confini e barriere”.

“Dopo l’allestimento nel Pantheon romano – spiega Gianluca Popolla, direttore del Museo Diocesano – arriva a Torino questo evento che ci consente di informare e orientare gli occhi, fisici e simbolici, poiché crea un singolare e affascinante dialogo tra il percorso  architettonico e artistico ideato secoli fa dal genio di Guarino Guarini nel luogo dove era ospitata la Sacra Sindone, e le moderne installazioni multimediali della grande artista”.

Ad ampliare il senso dell’opera, l’omonimo documentario di Annalaura di Luggo, che approfondisce i temi del progetto attraverso un racconto visivo che intreccia le immagini delle Porte Sante con riflessioni e testimonianze sul tema della speranza. Ne emerge una narrazione corale dove l’arte diventa spazio di ascolto e condivisione.

Annalaura di Luggo è nata nel 1970 a Napoli, dove vive e lavora, e il suo percorso si esprime attraverso la ricerca a multimediale, fotografia, video e regia. Le sue opere e installazioni sono realizzate attraverso la fusione di tecnologie e manualità, e dialogano con il fruitore che spesso è protagonista dell’azione, portato a riflettere su questioni sociali e ambientali, e su temi come i diritti umani, la cecità, il mondo animale, la natura e la biodiversità.

Presentando il biglietto d’ingresso al Museo Diocesano, è previsto uno sconto di 5 euro per visitare i Musei Reali (10 euro anziché 15).

Mara Martellotta

Foto Andrea Guermani Musei Reali

La Farina, il siciliano sabaudo

Alla scoperta dei monumenti di Torino Una nota curiosa per quanto riguarda il monumento è la presenza, sul lato posteriore della balaustra, di un pannello decorato con il simbolo della Trinacria

Collocata all’interno di piazza Solferino, quasi all’altezza dell’intersezione con via Lascaris, la figura di La Farina è ritratta in piedi, appoggiata ad una balaustra. Le gambe sono leggermente sovrapposte in posizione rilassata ed indossa un cappotto chiuso dove sulla spalla sinistra, si dispiega un mantello che ricade sull’elemento architettonico. La Farina viene rappresentato mentre sta lavorando ad uno scritto: nella mano sinistra sorregge dei fogli che corregge con una penna stretta nella mano destra appoggiata anch’essa alla balaustra,mentre alle sue spalle un libro ferma alcuni fogli già letti. La balaustra presenta posteriormente un pannello decorato con il simbolo della Trinacria inquadrato tra due colonnine dal disegno complesso.

 

Nato a Messina il 20 luglio del 1815, Giuseppe La Farina fu un patriota, scrittore e politico italiano. Avvocato dalle idee liberali, sviluppò un interesse crescente per gli studi storici e letterari che lo portarono a pubblicare, lungo tutta la sua vita, numerosissimi scritti (tra i quali la Storia d’Italia dal 1815 al 1850) e a collaborare con giornali e riviste (è stato fondatore e collaboratore del giornale L’Alba che fu tra i primi a tendenza democratica-cristiana).

Nel 1837 cominciò a sostenere la causa per la liberazione della Sicilia, partecipando al primo movimento insurrezionale anti-borbonico. Dopo un periodo di esilio dall’isola, nel 1848 venne eletto deputato alla camera dei Comuni di Messina assumendo, in seguito, la carica di Ministro della Pubblica Istruzione; fece anche parte (assieme ad Emerico Amari) della missione incaricata di offrire la corona di Sicilia al Duca di Genova.

A seguito della riconquista borbonica della Sicilia, l’anno successivo si rifugiò in Francia da dove continuò la sua attività letteraria. Nel 1854 si stabilì a Torino e poco dopo fondò la “Rivista Enciclopedica Italiana”, il giornale politico “Piccolo Corriere d’Italia” e nel 1857 la Società Nazionale Italiana, un’associazione politica finalizzata a realizzare l’unità del Paese sotto la guida della Casa Savoia. La Società Nazionale Italiana aveva come presidente Daniele Manin e come vice presidente Giuseppe Garibaldi.

Dal 1856 venne chiamato a collaborare con Cavour che, nel 1860, gli affidò il delicato incarico di rappresentare in Sicilia il governo; dopo essere rientrato a Torino nel 1861, venne eletto al Parlamento italiano e nominato vice presidente della Camera dei Deputati. Muore a Torino il 5 settembre 1863. Subito dopo la sua scomparsa un comitato, composto da alcuni uomini politici, iniziò a sostenere l’erezione di un monumento alla sua memoria ma la proposta venne sospesa a causa dei lavori collegati al trasferimento della capitale da Torino a Firenze.

Nel novembre del 1866, grazie a Filippo Cordova (a quel tempo ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio), l’idea venne ripresa e fu aperta una pubblica sottoscrizione a livello nazionale; nel dicembre 1868 il Comitato promotore per l’erezione del monumento a Giuseppe La Farina, incaricòGiovanni Duprè, autorevole scultore toscano, della realizzazione dell’opera. Tuttavia fu solo dopo dieci anni e cioè nel 1878, che il progetto cominciò a prendere vita; Giovanni Duprè venne sostituito dallo scultore e scrittore palermitano Michele Auteri Pomar, che con le 24.000 lire raccolte, creò un monumento di una certa rilevanza.

Il monumento venne collocato nell’aiuola a mezzogiorno di piazza Solferino e fu inaugurato il 1 giugno del 1884, esattamente sedici anni dopo l’approvazione del progetto; il giorno precedente l’inaugurazione, i rappresentanti del Comitato promotore lo donarono con atto ufficiale alla Città di Torino.  Nel febbraio 1890, a seguito del progressivo distacco delle lettere bronzee che compongono l’epigrafe, il testo dell’iscrizione venne inciso sul fronte del basamento.

Una nota curiosa per quanto riguarda il monumento è (come già ricordato prima) la presenza, sul lato posteriore della balaustra, di un pannello decorato con il simbolo della Trinacria. Questo antico simbolo (Triscele per i greci e Triquetra per i romani), raffigura una testa gorgonica, con due ali, dalla quale si dispongono in giro simmetrico tre gambe umane piegate. La sua presenza sul monumento ricorda non solo le origini siciliane del personaggio, ma anche l’impegno da lui profuso nella lotta per l’indipendenza della Sicilia, durante la quale il bianco vessillo gigliato dei Borboni fu sostituito dal tricolore che recava al centro il simbolo triscelico.

 

Avendo già accennato la storia riguardante Piazza Solferino, grazie alle precedenti opere di cui abbiamo parlato, aggiungerò semplicemente che il monumento commemorativo a Giuseppe La Farina, dopo essere stato inaugurato nel 1884 all’interno dell’aiuola centrale meridionale, vi rimase fino al 2004, anno in cui la statua fu spostata per permettere alla piazza di ospitare i padiglioni Atrium per i Giochi Olimpici Invernali 2006. Il monumento fu provvisoriamente ricoverato all’interno di un deposito comunale per poi essere ricollocato, all’interno della piazza, il 16 giugno 2013. Oggi il monumento si erge in tutto il suo splendore all’interno di piazza Solferino.

 

Anche per oggi il nostro viaggio in compagnia delle opere di Torino termina qui. L’appuntamento è sempre per la prossima settimana per la nostra (mi auguro) piacevole passeggiata “con il naso all’insù”tra le bellezze della città.

 

 

Simona Pili Stella

Museo Nazionale della Montagna: “Guido Rey. Un amateur tra alpinismo, fotografia e letteratura”

Un’importante mostra dedicata all’eclettica figura del grande alpinista, pronipote di Quintino Sella

Fino al 19 ottobre

“Io credetti, e credo, la lotta coll’Alpe utile come il lavoro, nobile come un’arte, bella come una fede … La Montagna è fatta per tutti, non solo per gli Alpinisti: per coloro che desiderano il riposo nella quiete come per coloro che cercano nella fatica un riposo ancora più forte”. C’è in queste parole tutta l’essenza e la complessità dell’uomo, grande appassionato di montagna e alpinismo, e, al contempo, profondo narratore e, pur anche (quale fu) attento illustratore per parole ed immagini di quell’universo roccioso che seppe tenerlo a sé legato per l’intera vita. Sono parole tratte dall’introduzione di “Alpinismo acrobatico” (1914), fra le varie opere dedicate alla montagna e scritte fra i primi del ‘900 e la metà degli anni ’30, da Guido Rey (Torino, 1861 – 1935) “figura chiave al crocevia tra alpinismo, fotografia e letteratura” della cultura piemontese e del panorama nazionale ed internazionale a cavallo di Otto e Novecento. Pronipote di Quintino Sella, ministro del Regno e fondatore nel 1863 del “Club Alpino Italiano” (in cui anche Guido tenne sempre un ruolo di primissimo piano) a lui il “Museomontagna” di Torino dedica, fino a domenica 19 ottobre, una nuova retrospettiva, dopo la monografica già proposta nel 1986. Il progetto, curato da Veronica Lisino e Mattia Gargano, nasce dal riordino del complesso dei “Fondi Guido Rey”, conservato dal “Centro Documentazione” del “Museo” di Piazzale Monte dei Cappuccini e catalogato nel 2024.

Curioso l’aggettivo amateur parte del titolo. Si tratta di un termine, spiegano i curatori, “che – privo dell’odierna accezione negativa ‒ indicava chi, tra XIX e XX secolo, si dedicava a un’attività per puro passatempo. L’essere ‘dilettante’ consentì a Rey di esprimersi in maniera più libera e disinvolta, tra scrittura, disegno e fotografia. Ciascuno di questi linguaggi diventa un filtro che gli permette di prendere le distanze da una realtà per lui limitata e di proiettarsi così in un ‘mondo altro’”. In un mondo ideale che accanto “all’intimità delle scene famigliari”, fu soprattutto per Guido rifugio inviolabile dove toccare vedere e ascoltare i luoghi amatissimi delle sue “terre alte”, in particolare di “quella montagna” a pronunciata forma piramidale che, per mano allo zio Quintino, Guido imparò a conoscere fin dal 1874, all’età di soli 13 anni. Era un bimbo e quello fu il suo primo grande grandissimo amore: quei 4.478 metri del “Cervino” (settima vetta e terza montagna italiana per altitudine), cui più tardi (1904) dedicò anche un libro “Il Monte Cervino”, con splendide vedute disegnate dall’amico – scultore Edoardo Rubino e l’introduzione di Edmondo De Amicis, al quale insieme al figlio Ugo, lo legò una profonda e sincera amicizia. Sul Cervino, Rey ebbe modo di salire più di cinque volte, attraverso imprese (anche letterarie e fotografiche) che ne fecero l’alpinista italiano più amato e tradotto prima di Walter Bonatti.

Al centro dell’iter espositivo, uno spazio dedicato alle sue vicende biografiche. Attorno si sviluppano quattro sezioni tematiche: Letteratura alpinistica, Fotografia di montagna, Fotografia tra montagna e pittorialismo, Fotografia pittorialista, quella attraverso cui Rey amava ricreare quadri famosi con effetti di “tableaux vivants”. Si tratta di aree da vedersi come ambienti in continua connessione tra loro che consentono al visitatore di muoversi liberamente, senza obblighi di percorso, tra le imprese alpinistiche, la cultura fotografica e gli interessi letterari, accompagnati dagli “occhi pieni di visioni” e dall’“animo ricco di ardimenti” di Guido Rey.

Sottolineano ancora i curatori: “La mostra ha l’obiettivo di riconsiderare la sua figura, confinata in passato entro schemi fin troppo rigidi e che invece merita di essere rivalutata nella molteplicità delle sue manifestazioni. Riprendendo le parole del suo amico e compagno di cordata Ugo De Amicis, è un pregiudizio pensare che l’acuta sensibilità artistica sia incompatibile con quella dell’uomo d’azione, poiché quel dualismo interiore ed esteriore, cioè del sentire e dell’agire, significa integrazione e ricchezza, invece che contraddizione e debolezza. Questa visione si riflette nella varietà dei materiali in mostra, che spaziano dalle fotografie e dagli apparecchi fotografici a schizzi, disegni, volumi, riviste, diari e lettere, fino all’attrezzatura alpinistica, offrendo un ritratto sfaccettato del suo universo creativo ”.

Gianni Milani

“Guido Rey. Un amateur tra alpinismo, fotografia e letteratura”

“Museo Nazionale della Montagna”, Piazzale Monte dei Cappuccini 7, Torino; tel. 011/6604104 o www.museomontagna.org

Fino a domenica 19 ottobre

Orari: mart. – ven. 10,30/18; sab. e dom. 10/18

Nelle foto: Ugo De Amicis “Guido Rey guardando il Cervino”, stampa alla gelatina bromuro d’argento, post 1910 e (tableau vivant) da Caspar David Friedrich “Il viandante sul mare di nebbia”, olio su tela, 1817, “Amburgher Kunsthalle”, credit WikimediaCommons; Guido Rey “Grandes Jorasses”, stampa alla celloidina, 1905 ca.; Guido Rey “L’Hotel del Giomein e il Cervino”, stampa alla gelatina bromuro d’argento, 1899 ca.

Casa del Conte Verde, a Rivoli una raffinata mostra di Angela Sepe Novara

“Colori tra cielo e terra, le quattro stagioni atmosferiche tra ispirazioni vivaldiane ma non solo” è il titolo della personale di Angela Sepe Novara, che abbellirà dal 6 al 29 giugno prossimo le sale della Casa del Conte Verde.

L’esposizione dell’artista, sempre attenta alla relazione tra musica e colore, si sviluppa come un percorso emozionale tra i colori dell’anima e quelli del paesaggio, ispirandosi alle celebri Quattro Stagioni di Vivaldi, ma superando la lettura musicale per esplorare dimensioni più ampie.

I dipinti esposti evocano il ciclo naturale e umano delle stagioni, attraverso una pittura intensa e poetica in cui la luce e il colore diventano strumenti per raccontare il tempo, il cambiamento e la memoria.

L’inaugurazione è prevista venerdì 6 giugno alle ore 18, alla presenza di Annalisa Polesello Ferrari, Vicepresidente della Fondazione Internazionale per l’Arte Francesco Federico Cerruti Castello di Rivoli, dove alcune opere dell’artista sono presenti nella collezione, e dell’Onorevole Mauro Laus. La mostra è nata nel 2013 al Museo Regionali di Scienze Naturali di Torino, con un testo critico del Prof. Fiorenzo Alfieri, ed è stata selezionata per rappresentare l’Italia al Museo Italo-Americano di San Francisco nel 2018, con il Patrocinio del Consolato d’Italia e dell’Istituto Italiano di Cultura di San Francisco. Durante l’inaugurazione sarà presentato il libro di poesie “Le Stagioni del Tempo”(Genesi Editrice), una raccolta lirica in cui parole e immagini si intrecciano; alcune  opere sono infatti riprodotte nel volume, accompagnando le riflessioni dell’autrice sul fluire delle stagioni dentro e fuori di noi.

Angela Sepe Novara, artista e autrice torinese, ha al suo attivo importanti collaborazioni culturali e artistiche, tra cui le 34 illustrazioni dedicate alla cultura piemontese per il quotidiano La Repubblica, attraverso i ritratti delle più significative figure storiche della Regione.

Inaugurazione venerdì 6 giugno alle ore 18 – Casa del Conte Verde, via Piol 8, Rivoli

Dal mercoledì al venerdì dalle 16 alle 19 – sabato e domenica dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19 – lunedì e martedì chiuso.

Telefono: 011 9563020

Mara Martellotta

Flashback Habitat apre il Padiglione A dell’ex brefotrofio di Torino

Sabato 7 giugno, dalle 11 alle 23, a Flashback Habitat, in corso Giovanni Lanza 75, a Torino, verrà aperto al pubblico il Padiglione A dell’ex brefotrofio di Torino.

Flashback Habitat nasce e all’interno dell’ex IPI Istituto per l’infanzia della provincia di Torino, brefotrofio cittadino attivo fino agli anni Ottanta. Tra le sue mura generazioni di neonati, bambini e madri hanno attraversato momenti di fragilità e costruzione, in particolare il Padiglione A era il primo luogo in cui arrivavano madri e neonati, il punto di contatto tra una condizione di sospensione e un possibile nuovo inizio. Oggi il Padiglione A è stato riattivato nel cuore pulsante di Flashback Habitat – Ecosistema per le culture contemporanee. È lo spazio dei Residenti, ovvero di chi lo vive quotidianamente, gli artisti e le associazioni.

Due lrogetti principali animano il Padiglione, Stanze Viventi / Living Rooms. Nel 2022, a seguito di un bando pubblico, 14 artisti sono stati selezionati da una giuria composta dal gallerista Guido Costa, dalla curatrice Caterina Avataneo e dalla direzione di Flashback Habitat per trasformare le stanze in opere site specific, ispirate alla storia del luogo e delle persone che lo hanno vissuto. Una volta completate, le stanze sono state adottate da associazioni che lo utilizzano oggi per incontri e progetti culturali e sociali. È questo doppio passaggio, l’intervento creativo dell’artista, seguito dalla riappropriazione viva dello spazio da parte della comunità, a rendere le stanze davvero viventi. Giornalmente le associazioni vivono le opere abitandole, non più come semplici spazi espositivi, ma luoghi vissuti dive l’arte e la vita si intrecciano nel presente, mantenendo viva la memoria e aprendosi al futuro . Il Padiglione A ospita anche una rete di atelier pensati per offrire spazi di lavoro agli artisti visivi che operano sul territorio. Questi studi rappresentano un’opportunità concreta per chi è alla ricerca di uno spazio dove produrre, sperimentare e confrontarsi all’interno di un contesto dinamico e condiviso. Gli atelier sono parte integrante dell’ecosistema di Flashback Habitat: luoghi in cui la pratica artistica individuale si intreccia con il dialogo collettivo, favorendo la nascita di collaborazioni, relazioni e nuove prospettive. Luogo di accoglienza culturale, il confronto con le diversità, Flashback Habitat è un concentrato di un mondo possibile in cui persone, idee e linguaggi differenti si intrecciano dando vita a nuove forme di comunità, di pensiero e di convivenza. Una volta al mese il Padiglione A apre le sue Stanze Viventi e i suoi atelier d’artista al pubblico. Si tratta di un’occasione per conoscere meglio e scoprire un’altra anima dell’Ecosistema per le Culture Contemporanee che è Flashback Habitat.

Sabato 7 giugno è previsto il primo open day.

Flashback Habitat – Ecosistema per le Culture Contemporanee – corso Giovanni Lanza 75, Torino

info@flashback.to.it

Telefono: 393 6455301

Orari: giovedì dalle 18 alle 24 / venerdì, sabato e domenica dalle 11 alle 24

La mostra in corso a Flashback è intitolata “Fondato sul lavoro”, a cura di Alessandro Bulgini. Visitabile fino al 27 luglio prossimo – Padiglione B – ingresso gratuito

Mara Martellotta

“ASA NISI MASA”, le grandi sculture di Giuseppe Maraniello

 

I Musei Reali di Torino tributano un omaggio dal titolo “Asa-nisi-masa” all’artista napoletano Giuseppe Maraniello con le sue sculture allestite in piazza Castello e alla Galleria Sabauda

I  Musei Reali di Torino rendono omaggio dal 30 maggio al 16 settembre prossimo  a uno dei protagonisti dell’arte italiana degli ultimi decenni, Giuseppe Maraniello, nativo di Napoli nel 1945. E lo fanno con  una mostra realizzata  da Nicola Loi Studio Copernico e curata da Francesco Tedeschi, dal titolo “Asa-nisi-masa”. L’esposizione presenta una serie di quattordici opere scultoree e ambientali, che dialogano con gli spazi storici e monumentali circostantI. Cuore della rassegna il Giardino di Levante,  ritornato l’11 aprile scorso  alla completa fruizione da parte del pubblico dopo i lavori di riqualificazione realizzati con i fondi del Pnrr.

“’Asa nisi masa’ è  molto più  di un  titolo evocativo – dichiara Mario Turetta, delegato dei Musei Reali di  Torino – è una chiave che ci invita a entrare nel linguaggio simbolico , stratificato e visionario dell’artista. Dalla Piazzetta Reale ai Giardini  Reali e al primo piano della Galleria Sabauda, le sue  sculture tracciano un percorso  che attraversa la memoria, il mito e la materia, in continuo equilibrio tra forma e mistero. Sono figure enigmatiche, materiali recuperati, strutture che sembrano emergere da un tempo sospeso. Tutto nelle sue opere parla un linguaggio che non si lascia tradurre, ma si offre solo allo sguardo come esperienza, come soglia da attraversare. Con questa mostra i Musei Reali di Torino rinnovano il proprio impegno nel dare spazio all’arte contemporanea,  promuovendo una visione  del museo come laboratorio aperto, dove le espressioni del presente possono confrontarsi  con la storia e nutrirsi di essa”.

Per l’artista la frase scelta come titolo della mostra non significa nulla. È  la frase che, nel film “Otto e mezzo” di Federico Fellini, Marcello Mastroianni scrive su di un foglietto trasmesso dal mago a Mademoiselle Maya, che non comprende il significato preciso delle parole, ma lo percepisce.

Le opere di Giuseppe Maraniello, che sono andate definendosi progressivamente attraverso la combinazione di tele, materiali di recupero ed elementi scultorei in bronzo e ferro, si sviluppano  secondo diverse soluzioni, sia a parete, sia nello spazio architettonico e paesaggistico, secondo una sintesi tra la memoria di temi e immagini  e l’elaborazione dei materiali.

Nelle sculture di Maraniello, anche quelle di grande formato, allestite in Piazzetta Reale e nei Giardini Reali, le figure del suo mondo fantastico prendono forma in situazioni di forte impatto visivo. Qui si incontrano demoni, come il diavolo alato che riporta alla mente le immagini del Cimitero Monumentale di Pisa, centauri della mitologia greca che si combattono in duello, in una sorta di allegoria dell’uomo che lotta contro se stesso, figure ibride, di funamboli, di ermafroditi, figure che alludono ai miti, riletti con estrema ironia. Sono presenti nelle sue opere scultoree alambicchi, otri, borracce che ricordano certe forme disseminate in molti dei dipinti di Hieronymus Bosch. Di particolare rilevanza è  l’opera intitolata “Il Nido”, un luogo che accoglie la ragnatela dei sogni e delle fantasie possibili, dalla struttura esile di rami derivate dalle colate di fusione che, come altri materiali di recupero, diventano parte delle sue composizioni.

“Ecco che scatta – spiega Sandro Parmiggiani – in chi si sofferma davanti a queste opere l’invito a immergersi, almeno in parte, in una sorta di mistero, sulle tracce delle ignote  associazioni che, nella fantasia dell’artista, li hanno generati, cercando di svelare qualcuno dei significati profondi che vi sono racchiusi e  che ancora non sono venuti alla luce”.

Il percorso espositivo si conclude con tre sculture al primo piano della Galleria Sabauda, precisamente con una scultura dal titolo  “Il gatto dorme rotondo” del 2009 in marmo statuario e oro a foglia su bronzo e due mosaici con inserti in bronzo e ferro, dal titolo “Tueio” (2005) e “L’occhio di Narciso” ( 2009).

Mara Martellotta

 

foto IGINO MACAGNO