ARTE- Pagina 19

Guglielmo Caccia e l’iconografia Mariana

Sino al 14 settembre 2025, è in corso “Una Mostra”, duplice esposizione di opere di Guglielmo Caccia, uno dei massimi manieristi secenteschi, che si svolge contemporaneamente in due sedi diverse (ma legate dallo stesso intento) il Palazzo Mazzetti di Asti attraverso la Fondazione Asti Musei in collaborazione con la Fondazione Cassa di Risparmio, e il Museo Civico di Moncalvo con A.L.E.R.A.M.O. Onlus. È disponibile un prezioso esauriente catalogo, ideato da Giancarlo Boglietti, a cura del direttore scientifico Alberto Cottino e del conservatore di Palazzo Mazzetti Andrea Rocco, con i contributi critici di Giuliana Romano Bussola e Carlo Prosperi.

Proponiamo un breve commento sull’evoluzione dell’iconografia Mariana, della collaboratrice del “Il Torinese”, Giuliana Romano Bussola. 

Per celebrare i quattrocento anni dalla morte di Guglielmo Caccia, quale sede più consona del Museo civico di Moncalvo situato nell’ex Convento delle Orsoline, da lui fatto costruire per collocarvi le figlie monache ed in particolare Orsola che avviò la sua scuola di pittura.

Massimo esponente del Manierismo piemontese durante la Controriforma, il Moncalvo proseguì il movimento sorto nel 1510, ancor vivo Raffaello, che diede artisti dallo stile personalissimo sfatando il malinteso che il termine Manierismo sia da associare all’accademismo ripetitivo come mera imitazione di illustri formule precedenti..

Se altri piemontesi, come il superbo Tanzio da Varallo e il casalese Nicolò Musso, si ispirarono alla drammaticità caravaggesca, al contrario Guglielmo si nutrì piuttosto di armoniose reminiscenze raffaellesche, di delicate suggestioni fiorentine, di insegnamenti della scuola dei figli di Bernardino Lanino, guardando alle morbidezze tonali del Correggio, alle luminosità carraccesche e alle trasparenze madreperlacee di Gaudenzio Ferrari.

Fu facile per lui, di temperamento mite, pietoso e sinceramente religioso, inserirsi nei dettami dell’arte tridentina improntati alla pittura decorosa, escludendo atteggiamenti considerati immorali e nudità provocanti, propagando le sacre scritture di forte presa sulle masse popolari, senza ne venisse soffocata la libertà stilistica.

I bellissimi dipinti con madonne dai delicati colori e i tenui atteggiamenti presenti in mostra, sono conferma di come il Caccia prediligesse il culto mariano nelle varie tipologie, rifiorito dopo le ostilità della riforma protestante.

L’arte tridentina, perdurata per l’intero seicento, iniziò ad affievolirsi con l’avvento della filosofia dell’illuminismo che contribuì alla crisi dell’arte sacra per cui si passò dalla trascendenza all’immanenza.

Con il Preromanticismo iniziò l’arte moderna portando una nuova sensibilità che, priva del sostegno divino foriero di certezze e verità assolute, provocherà la cosiddetta “infelicità romantica” e la disperata solitudine di molti artisti, basti pensare a Caspar Friedrich che, nello sperduto Crocifisso invocato nel “Mattino sul Riesengebirgen” simboleggia, attraverso la poetica del Sublime, la nostalgia dell’Infinito a cui si aspira ma che mai più si potrà raggiungere.

Per tutto l’ottocento e una parte del novecento si vedono ancora madonne di stampo raffaellesco e una invasione di oleografie a basso costo ma si muovono anche importanti artisti che propongono nuove iconografie.

Spesso sono la donna amata o una figura femminile appartenente alla famiglia  che danno il proprio volto alla Vergine, come Teresa moglie di Giuseppe Pellizza da Volpedo che diventa madonna laica mentre Gala, ritratta da Salvator Dalì in “Madonna di Guadalupe” mantiene un forte sentimento religioso pur in atmosfera surreale.

Paul Gauguin in “Orana Maria” ritrae la compagna Pahura in abito taytiano interpretando il bisogno di religiosità polinesiana primitiva e incontaminata.

Dante Gabriel Rossetti invece demitizza la sorella Cristina in veste di madonna mentre rannicchiata su un umile lettuccio indossando una semplice camiciola, spaventata, accoglie l’angelo annunziante.

Van Gogh si serve della sorella Willemein dandole il ruolo di Madonna dolorosa con in braccio il Cristo, dal suo stesso volto, per simboleggiare la propria sofferenza.

Sconvolgente nel 1895 la Madonna del grande simbolista Edward Munch che, rappresentandola come perversa femme fatale, seminuda e seducente ammaliatrice, tra Eros e Tanathos anticipa l’espressionismo.

Ancor più dissacrante la litografia contornata da spermatozoi per negarne la verginità; al contrario di Gaetano Previati che nella “Vergine dei gigli” la avvolge in un clima di misticismo visionario esaltandone la purezza.

Più semplici le madonne di Fernando Botero che, tra ricordi rubensiani e realtà colombiane, si diverte e ci diverte rendendole voluminose.

Il massimo della demitizzazione iconografica sarà però attuato da Andy Warool con la serigrafia di Jakee Kennedy come madonna resa icona della cultura di massa del consumismo Pop Art alla stregua delle lattine di soup Campbell e della Coca Cola.

 

Giuliana Romano Bussola

Non solo nero. Un incontro su fotografia e moda nell’Italia del Ventennio

Martedì 27 maggio 2025 | ore 18.30 | Gymnasium di CAMERA

Via delle Rosine 18, Torino

Torino, 23 maggio 2025 – È in arrivo a CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia un incontro speciale per presentare il volume, fresco di stampa, La moda nell’Italia fascista edito da Dario Cimorelli Editore (2025). Scritto dall’accademica Eugenia Paulicelli, il libro si concentra sul rapporto tra moda e fascismo nell’Italia degli anni Venti e Trenta del Novecento ed è corredato da una ricca selezione di fotografie dell’epoca che mette in luce come il regime abbia influenzato non solo il settore tessile, ma anche i concetti di genere, identità nazionale e modernizzazione.

Attraverso un’analisi dettagliata, Paulicelli esplora le strategie con le quali il fascismo ha sfruttato la moda come strumento di propaganda, imponendo codici estetici e processi di uniformazione. L’autrice indaga il ruolo avuto dell’industria tessile nel consolidare l’immagine dell’Italia all’estero, aprendo una riflessione più ampia sulle connessioni tra politica, tradizione e innovazione.

Il libro raccoglie anche un’intervista alla stilista e imprenditrice Micol Fontana, un saggio della scrittrice Gianna Manzini sulla teoria della moda, racconti della poetessa Alba de Céspedes e della scrittrice Anna Banti, oltre a un testo di Eleanor Lambert, fashionista ante-litteram, dedicato alla sfilata della moda italiana all’Esposizione Universale di New York del 1939 per un approfondimento ampio ed esaustivo sul rapporto tra moda, fotografia e cinema nell’Italia del Ventennio. Scorrendo le pagine, spiccano infatti le immagini tratte dagli archivi di Giulio Parisio, dei fratelli Troncone e di Michele Cioci, a cui l’autrice ha dedicato un’intensa attività di ricerca e che riflettono su temi quali la costruzione dell’identità di genere, la standardizzazione dell’individualità attraverso le divise, l’ideologia della razza nell’Italia coloniale e l’influenza del cinema, tra cui i cinegiornali LUCE, e della stampa nell’immaginario dell’epoca.

Martedì 27 maggio ore 18.30 in Sala Gymnasium a CAMERA l’autrice sarà in dialogo con Giulia Carluccio – prorettrice dell’Università di Torino, studiosa e docente di Cinema, Fotografia, Televisione e Media audiovisivi – e Barbara Bergaglio – responsabile degli Archivi di CAMERA – in un racconto a più voci che offrirà al pubblico anche un punto di vista approfondito e inedito sul contesto storico e culturale della città di Torino, considerata in quegli anni come Capitale sia della moda sia del cinema italiani.

Biografia

Eugenia Paulicelli è professoressa ordinaria di Italianistica e Letterature comparate, studi di genere, cinema e cultura dei media, al Queens College e al Graduate Center della City University di New York dove ha fondato la specializzazione in Fashion Studies e co-dirige il Fashion Institute.

“Palazzo Madama – Arts and Crafts in Italy 7th – 19th Century” all’Art Museum Riga Bourse

Dal 22 maggio al 24 agosto  apre la mostra “Palazzo Madama – Arts and Crafts in Italy 6th-19th century” ospitata all’Art Museum Riga Bourse, presso la Repubblica Lettone

Alla presenza del Presidente della Repubblica lettone Valdis Zatlers, del Ministro degli Esteri Balba Brazě e del Ministro della Cultura Agnese Lâce si è inaugurata all’Art Museum Riga Bourse la mostra “Palazzo Madama – Arts and Crafts in Italy 7th – 19th Century”. La mostra si sviluppa dal 22 maggio al 24 agosto 2025. Si tratta di una eccezionale esposizione dedicata al “saper fare” italiano, quella altissima qualità della manifattura che ha consentito ai suoi grandi artisti di creare quei capolavori che hanno ammaliato intere generazioni, e che ora, grazie al Museo Nazionale Lettone d’Arte e la Fondazione Torino Musei, sotto l’egida dell’Ambasciata d’Italia a Riga, potranno essere ammirati dal pubblico della Capitale lettone. Sono oltre 100 le opere provenienti dalla collezione di Palazzo Madama che, integrate e poste in dialogo con un selezione di opere delle collezioni del Museo Nazionale Lettone d’Arte, narrano il ruolo delle arti decorative applicate tra il 6th e 19th secolo. Si tratta di una mostra del tutto singolare nella sua capacità di raccontare quasi 15 secoli d’arte italiana, attraverso capolavori che toccano diverse arti e raccontano storie millenarie, a partire da quella del Tesoro di Desana, uno dei più straordinari complessi italici di gioielli del periodo posteriore al 476 d.C., capaci di gettare una fondamentale luce sugli atelier degli orefici nel mediterraneo. Accanto ai reperti tratti da esso, si ammireranno preziose oreficerie, avori, bronzi, vetri dorati, dipinti, tessuti, maioliche e porcellane, rilegature di libri, mobili e intarsi, che rappresentano l’essenza stessa dell’arte, non solo occidentale, ma capace di definire un insieme di arti che sono memoria, identità e proiezione di ogni cultura, ed è da qui che nasce il lavori in concerto con la direzione dell’Art Museum Riga Bourse e il personale scientifico di Palazzo Madama, consacrato al “mestiere delle arti”, quella gamma di lavorazioni materiali accompagnati dal valore aggiunto di un preciso contenuto artistico e capaci di raggiungere rari esiti di stile e qualità. È il mondo degli orafi e dei gioiellieri, dei vetrai e degli ebanisti, dei tessitori, a dare vita a oggetti che saranno poi celebrati e ripresi in migliaia di sculture, pitture e architetture, avendo una radice in tradizioni operative che affondano la loro origine nei secoli, e che neanche la Rivoluzione Industriale sarà in grado di mutare.

“La mostra, organizzata con il sostegno della Fondazione Boris e Ināra Tetereb, vede quale tema conduttore il “saper fare”, che è il segreto della genialità creativa italiana – afferma il direttore di Palazzo Madama Giovanni Carlo Federico Villa – l’eccellenza dell’abilità e la qualità dell’esecuzione hanno permesso ai grandi artisti di creare opere che hanno attraversato i secoli, incantando generazioni. Palazzo Madama, con una collezione di 80 mila opere, una delle più ricche al mondo tra le arti applicate, ed è profondamente grato al Museo Rīgas Birža per aver congiuntamente dato vita a una mostra che auspichiamo possa entusiasmare il pubblico lettone e rafforzare il legame culturale tra i nostri Paesi, assecondando l’auspicio del nostro Ambasciatore Alessandro Monti e del suo eccezionale staff, che tanto ha contribuito al positivo esito di questo progetto”.

“La collaborazione tra Palazzo Madama e il Museo Riga Bourse rappresenta un grande successo della nostra diplomazia culturale, che offrirà al pubblico lettone l’opportunità di scoprire le radici del ‘saper fare’ italiano attraverso un serie di opere straordinarie – ha dichiarato l’Ambasciatore italiano in Lettonia Alessandro Monti – un progetto ambizioso, frutto di anni di lavoro, che conferma il ruolo centrale della cultura nella proiezione internazionale dell’Italia e nel rafforzamento delle relazioni bilaterali con la Lettonia”.

In mostra, tra le opere esposte al Rigas Birž, vi sarà anche l’occasione per il pubblico locale di sfogliare virtualmente e ammirare dal vivo l’edizione del 1568 de “Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti “ di Giorgio Vasari (1511 -1574), in prestito dalla sezione manoscritti e libri rari dell’Università della Lettonia.

“I progetti che nascono da un intenso lavoro di ricerca e da una collaborazione internazionale, e che offrono qualcosa di unico al pubblico lettone, sono quelle che danno maggiore soddisfazione e ottengono il più grande apprezzamento – afferma Daiga Upeniece, direttrice del museo Rigas Birža – in questa occasione è stato un onore e un piacere collaborare con Palazzo Madama. È divenuta una prassi che i progetti siano attuati in collaborazione con la Fondazione Boris e Ināra Tetereb, perché progetti di tale livello richiedono investimenti seri e a lungo termine. Ringraziamo di cuore la Fondazione, perché l’iniziativa di questo anno, il 15esimo anniversario, era ambiziosa e siamo riusciti a realizzarla”.

Mara Martellotta

Incanti e disincanti

In questo ultimo weekend del mese di maggio è ancora possibile incontrare,  nella suggestiva cornice della Giardiniera del Circolo degli Artisti di Torino, la magica pittura di Gabriella Malfatti, nell’ambito della sua personale: “Incanti e disincanti”, in corso San Maurizio, 6. L’artista, monregalese di nascita e da sempre molto legata alla sua terra anche se da anni vive e lavora a Collegno, incontra le suggestioni poetiche di un gigante della letteratura, Jorge Luis Borges e quelle non meno cariche di incanti del poeta langarolo Remigio Bertolino.

Con il suo stile personale ed una libertà interiore non etichettabile e fuori dagli schemi come la sua arte  Gabriella Malfatti si racconta con charme, grazia, tanta passione ed un innato entusiasmo:

“Ho sempre disegnato sin da bambina, ho poi sin da giovanissima insegnato per tanti anni educazione artistica alle scuole medie e superiori, successivamente storia dell’arte all’Unitre di Collegno, e sulla scia del mio prozio Mario Malfatti, ho sempre partecipato a mostre collettive, ideato e realizzato delle mie personali e spesso sono stata autrice di varie pubblicazioni e opere eseguite per incarico di comuni e istituzioni, l’ultima è esposta qui alla Giardiniera: un piatto celebrativo per il Santuario di Vicoforte, in provincia di Cuneo.

” E poi, questo sabato e domenica, c’è ancora da scoprire, ai Giardini Reali di sotto, dalle ore 15.30 alle 19.30, “La signora degli anelli”, un’altra opera di Gabriella Malfatti che ha tutta una sua bellissima e magica storia…

 

Igino Macagno

Castelli Aperti: “Tutti colori della Cultura”

 

Nel 2025, il progetto Castelli Aperti celebra trent’anni di attività con un’edizione speciale che unisce storia, creatività e partecipazione. Nata per promuovere e rendere accessibile il vasto patrimonio di castelli, borghi, dimore storiche e musei del Piemonte, l’iniziativa ha coinvolto in tre decenni centinaia di luoghi e migliaia di visitatori, diventando uno degli appuntamenti culturali più longevi e riconoscibili della regione.

Per festeggiare questo importante anniversario, nasce “30 anni di Castelli Aperti – Tutti i Colori della Cultura”, un progetto diffuso che dal 25 maggio al 29 giugno propone cinque weekend tematici, ciascuno ispirato a un “colore” simbolico e a un’esperienza culturale diversa: il teatro, il mistero, la musica, la natura, il romanticismo. Un viaggio emozionante tra le tante anime della cultura, declinato nei luoghi più affascinanti del Piemonte.

Il primo appuntamento di questa rassegna si terrà proprio domenica 25 maggio a Pamparato, in provincia di Cuneo, con “CASTELLI IN SCENA”, la sezione dedicata al colore del teatro. Il borgo, incastonato tra i boschi della Val Casotto, diventerà palcoscenico per lo spettacolo itinerante “Impronte di storia a Pamparato”, una produzione originale del Teatro delle Dieci, con la regia e drammaturgia di Fulvia Roggero. Gli attori, in costume d’epoca, guideranno il pubblico tra le vie, le piazze e il castello, dando voce a personaggi realmente esistiti e a vicende che hanno segnato la storia locale. Uno spettacolo immersivo ed emozionante, che si svolgerà in quattro repliche (ore 11.00, 15.00, 16.30 e 18.00), con prenotazione consigliata sul sito www.castelliaperti.it. L’inaugurazione perfetta per una rassegna che mette al centro il potere evocativo della parola, della scena e della memoria.

Nel giorno d’apertura della manifestazione, anche la provincia di Torino propone diverse opportunità di visita che valorizzano l’eleganza architettonica e paesaggistica delle sue dimore storiche.

Arignano, il maestoso Castello delle Quattro Torri, tra i più scenografici del torinese, apre le sue porte con visite guidate alle ore 15.00. Il parco sarà visitabile dalle 14.00 alle 17.00. L’ingresso è di 10€ intero e 5€ ridotto, per un pomeriggio che unisce storia, natura e bellezza paesaggistica.

Caravino, si potrà visitare il meraviglioso Castello e Parco di Masino, proprietà del FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano. Aperto con orario continuato 10.00 – 18.00, il sito offre un itinerario tra architetture nobiliari, giardini storici e collezioni d’arte. L’ingresso combinato castello + parco costa 15€ intero8€ ridotto. Gli iscritti FAI entrano gratuitamente.

Chieri, nella frazione Pessione, sarà eccezionalmente aperto il Castello di Castelguelfo, con visite guidate alle ore 11.00 e 15.00. L’ingresso è di 10€ intero e 6€ ridotto: un’occasione speciale per scoprire una dimora privata normalmente non accessibile al pubblico, tra affreschi, stanze storiche e un parco suggestivo.

Infine, a PiossascoCasa Lajolo, elegante residenza con giardino all’italiana e orto-giardino storico, sarà visitabile con tour guidati dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.30 alle 18.00. L’ingresso è di 10€ e comprende l’accompagnamento a cura dei Ciceroni, per una visita attenta ai dettagli artistici, botanici e storici della villa.

Per informazioni dettagliate e aggiornamenti su tutte le aperture: www.castelliaperti.it

Info e contatti
www.castelliaperti.it | info@castelliaperti.it
https://www.facebook.com/castelli.aperti/ | https://www.instagram.com/castelliaperti/

Il Museo Accorsi-Ometto apre al pubblico i suoi depositi

Domenica 25 maggio, e dalla domenica successiva nei fine settimana

Il Museo Accorsi-Ometto renderà visibile per la prima volta al pubblico, domenica 25 maggio dalle 13 alle 18.30, le opere “invisibili” dei suoi depositi, e lo farà in occasione della Festa dei Vicini di via Po. Dalla domenica successiva sarà fruibile nei fine settimana. I suoi depositi comprendono 700 oggetti tra argenti, ceramiche e orologi, oggetti montati, lampadari, dipinti e sculture.

“È la prima volta in 25 anni che il Museo Accorsi-Ometto apre i suoi depositi ‘ragionati’, e questo è stato possibile grazie al lavoro di catalogazione iniziato 5 anni fa. Da domenica 1 giugno sarà possibile fare visite guidate prenotando sul nostro sito – ha dichiarato il direttore Luca Mana”.

La ricerca è durata anni ed è stata condotta sugli oggetti che il collezionista Pietro Accorsi ha comprato o ricevuto in eredità, o come donazioni, e quelle che Giulio Ometto ha collezionato durante la sua vita, alcuni dei quali esposti in Museo. Il deposito si articola in due piani , ma l’unico accessibile è il primo, in cui sono presenti 2 mila opere inventariate, mentre quelle non esposte sono soprattutto mobili. Le quattro sale visitabili sono state allestite a partire da una serie di opere legate ad Accorsi e la sua vicenda biografica, come quelle di Ettore Sobrero, che risalgono agli anni 1972-1973. Nella seconda e terza sala vi sono innumerevoli oggetti appesi alle pareti e esposti sugli scaffali. Ospitano dipinti, come “Il bosco di faggi” di Marco Calderini, risalente circa al 1900, sculture come “Il cavallo” di Davide Calandra, del 1915, e i gessi di Ignazio Filippo Collino, intitolati “La città che riceve dalla fama, i simboli della pace e del commercio”, risalenti al 1790. Tra i dipinti risulta d’interesse anche la veduta di Camino, dove si vede la Mole ancora in costruzione. Di particolare interesse sono gli acquerelli che il Comune di Torino commissionò ai più importanti artisti del territorio per farne dono ai Duchi d’Aosta, e rappresentano un documento prezioso per lo stato dell’arte a Torino nel 1870.

Nella quarta e ultima sala figurano i sette sacramenti, risalenti al 1733, realizzati da Pierre Charles Trémolières. Tra i cimeli visibili non mancano opere d’arte figurativa come la poltrona confessionale, proveniente dalla casa dei Conti Bogino, della metà del Settecento. Non ancora tutto il deposito del Museo Accorsi-Ometto è reso visibile, in quanto al di sotto delle quattro sale di prossima apertura si trovano ancora degli arredi lignei, il cui accesso sarà difficilmente realizzabile per ragioni di sicurezza.

Gian Giacomo Della Porta

L’Aeropittura di Michele Falanga, un originalissimo artista che reclama una scoperta

Alla Galleria Pirra, una mostra curiosa e imperdibile

È il risultato di una ricerca improvvisa e di un innamoramento da parte di Daniela Pirra, dei successivi colloqui con uno dei bisnipoti, Daniele (settembre 2024), e di un viaggio con un aereo che di lì a pochi giorni partiva per Catania, la scoperta di Michele Falanga (1865 – 1937), di origini calabre ma trasferitosi a Messina per insanabili rapporti con il padre. Una vita trascorsa in gran parte nel grande laboratorio di pellami e scarpe, attraversata drammaticamente soprattutto dal terremoto del 1908 nella città siciliana, evento dal quale Falanga uscì vivo (sepolto sotto le macerie ma portato in salvo da un amico) ma perse due dei suoi figli: da quell’evento significativo e distruttivo gli nacque una complessa concezione della vita e del destino, il desiderio a dedicarsi alla scrittura prima attraverso testi in prosa e poesia e alla pittura poi, immersa in quella corrente del Futurismo che in Sicilia conosce le prove di Pippo Rizzo e Giulio D’Anna. Dagli anni Venti, con bozzetti, disegni, progetti e opere pittoriche s’addentra sempre maggiormente all’interno di quel mondo, inteso anche come “forma di testimonianza storica”, apprezzando nella corrente anche “una rivoluzione tecnologica e una nuova visione del mondo, dove velocità, dinamismo e potenza si fondono con una ricerca estetica che celebra sia la modernità che l’eredità del passato”, ha sottolineato Tommaso Polleschi nella presentazione alla mostra che la Galleria Pirra offre nei propri spazi sino al 6 luglio prossimo.

È in primo luogo un sobrio quanto perfetto “artigiano” Falanga, capace di posare la sua pittura su mezzi inusitati: non tele e non tavole, ma la semplicità di un mezzo altrettanto importante, la carta di giornale, in gran parte quegli stessi fogli di quotidiano che ogni mattina possono essere passati sotto la sua mattutina lettura (si va dal 1910 al 1935). Altri capitati nel suo studio chissà come. Metodicamente come con un estro pieno d’invenzioni, Falanga dà luogo ad aerei futuristi, ad architetture monumentali (vede Messina risorgere a poco a poco dalle macerie e tutti i suoi moderni cambiamenti) e a paesaggi siciliani, coglie tutto il movimento in queste nuove quanto innovative forme a cui dava vita per un divertimento e una necessità personali, per donarle agli amici, senza mai il pensiero di una vendita. Una produzione rara (in totale circa 150 soggetti), che d’improvviso prende giusto valore e che, dopo le recenti presenze in mostre a Lecco e Como, è ospitata con due esemplari nella mostra intorno al “Mondo Futurista” curata al Castello di Desenzano del Garda da Giordano Bruno Guerri e Matteo Vanzan, visitabile sino al prossimo 26 ottobre, accanto a Balla e Boccioni, a Plinio Nomellini e a Italo Fasulo e a Cesare Andreoni, agli scritti di Marinetti.

Eclettico e fantasioso, nei quotidiani e nei settimanali come La Stampa (la Cronaca Cittadina del 28 settembre 1933 mostra un’illustrazione di Felice Vellan circa l’imminente inaugurazione del Monumento all’Arma dei Carabinieri nella parte esterna dei Giardini Reali) e La Gazzetta del Popolo (in una prima pagine del 28 febbraio 1935 s’allineano “La potenza dell’Italia caposaldo della pace europea”, “Il fraterno omaggio alla giovinezza grigioverde” che si deve “alle gloriose memorie delle Ardenne e di Verdun” e “Il saluto del popolo di Messina al vessillo e alle truppe partenti”, secondo la grammatica altisonante dell’epoca), Le peti journal (che il 5 novembre 1926 ci informa, allo stesso tempo, in prima pagina, di una turista americana a Parigi vittima del furto di una borsa contenenti valori per 300 mila franchi suddivisi tra gioielli e denaro e dello scoppio di una mina che ha ucciso cinquanta minatori) e L’Avvenire d’Italia (ai primi di gennaio 1909, squilla il titolo “Sulle ruine bagnate di pianto”), La Domenica del Corriere (Beltrame raffigura “La conquista della Libia: ricognizione pacifica all’interno per amicarsi le popolazioni e riconoscere i luoghi”) e testate dell’isola (“Il luminoso sorriso di una bella bocca è sempre elemento primo di bellezza, vanto di chi usa la classica Pasta Dentificia Erba”, recita una pubblicità) come su cartine dell’Africa Orientale di cui esistono tre soli esemplari: è su questi “supporti” che Falanga opera. Aerei soprattutto, che si alzano tra le nubi o sorvolano campi disseminati d’alberi dalle ricche chiome verdi, magari occasioni per una pubblicità di un amaro o di una marca di calze, diversamente colorati a pastello, che si mescolano a onde azzurre più o meno alte, degne del miglior Hokusai, e poi vulcani e ponti e bianche costruzioni che sono di volta in volta chiese grandiose e palazzi che potremmo trovare all’Eur di Roma, agglomerati urbani, la scenografia di certe piazze e le architetture piacentiniane, un veliero e le stilizzate figure di coraggiosi carabinieri, ancora aerei rossi e verdi a mescolarsi, tra le colonne del “Nuovo Giornale”, ai “Nuovi prezzi della Rinascente”: tecnica mista e collage impressi sulle pagine del 30 maggio 1927.

Originalissimo (si veda anche quel collage firmato e apposto sul coperchio di una piccola valigia, molto in “area dada”), curioso e inaspettato, l’omaggio a Falanga è la scoperta di un passato che con ogni probabilità reclama ancora studi e occasioni maggiori, di una modernità e di un’estetica estremamente vivaci, di una figura che nel dinamismo e nelle nuove sperimentazioni esprime tutta se stessa. È la conferma di certi azzardi che i galleristi devono osare e costruire, dell’offerta che può essere artisticamente data al visitatore non frettoloso e in cerca ancora una volta di quella novità che mai ci si aspetterebbe.

Elio Rabbione

Nelle immagini: di Michele Falanga, “Aeropittura su pagina de La Stampa del 1910 (1933-1937), tecnica mista, 43×59 cm; Aeropittura su pagine de La Stampa del 1933 (1933.1937), tecnica mista, 86×59 cm (da notare in alto a sinistra un’illustRazione di Felice Vellan dell’imminente inaugurazione del monumento all’arma dei Carabinieri nella parte esterna dei Giardini Reali); Aeropittura – Crociera aerea del 1933 (1935-1937), tecnica mista su pagine della Gazzetta del Popolo del 1935, 86×60,5 cm.

“Contrasti. Racconti di un mondo in bilico” in mostra al “Forte di Bard”

La nuova rassegna fotografica realizzata in collaborazione con l’“Agence France-Press”

Da sabato 8 marzo a domenica 20 luglio

Bard (Aosta)

Tanto audace da imbambolarti e tanto bella e geniale da apparirti impossibile! Il “Salto dell’atleta paralimpico francese Arnaud Assoumani davanti alla Piramide del Louvre, in vista delle Olimpiadi e Paralimpiadi di Parigi 2024”, opera del fotografo parigino Franck Fife, è solo una delle 84 fotografie ospitate, fino a domenica 20 luglio, nelle Sale dell’“Opera Mortai” del “Forte di Bard”, che con questa rassegna torna a rinnovare la stretta collaborazione con l’“Agence France-Press”, una delle principali e più autorevoli e pluripremiate “Agenzie di Stampa” al mondo, fondata a Parigi nel 1835 (con la denominazione di “Agence des feuilles politiques, correspondance générale”) dal banchiere Charles-Louis Havas e oggi rappresentata da una rete di oltre 450 fotografi sparsi in tutto il mondo e completata dalle produzioni di oltre 70 Agenzie partner.

La mostra dal titolo “Contrasti. Racconti di un mondo in bilico”, segue (e di sicuro è destinata ad ottenere non minor successo) la precedente “Non c’è più tempo”, realizzata, dal 29 marzo al 21 luglio del 2024, sempre in collaborazione con l’“AFP” (curata dal giornalista, responsabile della promozione dei contenuti multimediali dell’Agenzia, Pierre Fernandez) e rivolta ad indagare, anche in quel caso attraverso un’ottantina di mirabili scatti, le conseguenze disastrose dei cambiamenti climatici sul Pianeta, nostra “Casa comune”. Obiettivo di entrambe le rassegne, scuotere le coscienze ed offrire spunti di riflessione sulle vicende che tendono a ‘mortificare’ o, in qualche modo, a ‘creare speranze’ rispetto all’attualità e alle attese future del mondo contemporaneo, evidenziandone le contrapposizioni e le diseguaglianze che ne segnano a fondo, dalle Americhe all’Europa all’Asia e all’Africa, le varie società.

Ecco allora, accanto alla succitata – pagina aperta a svolazzi di gioia e speranza – foto di Franck Fife, quella del messicano di Puebla, Pedro Pardo, con la toccante dolorosa immagine della “Famiglia di migranti che attraversa il muro di confine fra Messico e Stati Uniti”. Scatto del 25 novembre del 2018. C’è un padre, una madre e un piccolo che, con aria incredula, neppur tanto impaurita, passa a fatica di braccia in braccia. “Contrasti”, per l’appunto. E altri bimbi troviamo nelle foto del nigeriano Benson Ibeabuchi, di Sergei Chuzavkov e di Bashar Taleb. A firma del primo, la struggente delicata poetica immagine di una “fanciulla che si allena nelle povere, terrose strade di Ajangbadi, sobborgo di Lagos, in Nigeria”; non meno capace di prenderti il cuore e l’anima, l’immagine di Chuzavkov, con quella “bimba in monopattino, ancora l’incredulità negli occhi, tra le case del villaggio di Horenka, nella regione di Kiev, colpito dai bombardamenti russi”. E che dire, ancora, del “gruppo di bambini che corre tra le case distrutte lungo una strada di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza”, immagine fermata nel tempo e nella parte più amara dei ricordi dal fotoreporter Bashar Taleb? “Racconti di un mondo in bilico”, come ci ricorda e ci palesa davanti agli occhi, il sottotitolo della rassegna.

Mostra che t’inchioda al soggetto. Che ti impone la domanda, domanda d’obbligo Ma come farà un fotoreporter a scattare tali fotografie? A trovarsi nel posto giusto al momento giusto? Sempre. E, soprattutto, intuire che quello, proprio quello, è il posto giusto e il momento giusto. E riuscire a raccontare e a trasmettere emozioni, gioie, sogni, illusioni e disillusioni in un semplice sguardo rubato in un nanosecondo. E cristallizzato a vita! E poi, piccole storie, a raccontare tutto un mondo.

 

Nei suoi molteplici aspetti. Dall’economia alla guerra, dalle tradizioni culturali al mondo dell’arte, dello sport e dello spettacolo, senza tralasciare l’emergenza climatica e l’inarrestabile urbanizzazione. Temi, tutti quanti, che ritroviamo raccontati per immagini nel “progetto espositivo” oggi realizzato al “Forte” valdostano, vero “Polo Culturale” delle Alpi occidentali. Temi comuni, in fondo, in piccola o in grande parte, a realtà sociali assai diverse e assai lontane tra loro. Pedine di un grande gioco, spesso “gioco al massacro” simile ad “un grande affresco di un mondo sempre più in bilico: il nostro”.

Gianni Milani

“Contrasti. Racconti di un mondo in bilico”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/83381 o www.fortedibard.it

Fino al 20 luglio

Orari: mart. – ven. 10/18; sab. dom. e festivi 10/19

Nelle foto: France Fife “Un salto dell’atleta paralimpico Arnaud Assoumani davanti alla Piramide del Louvre”; Pedro Pardo “Una famiglia di migranti attraversa il muro di confine Messico – USA”; Benson Ibeabuchi “Una ballerina nelle strada di Ajangbadi , un sobborgo di Lagos”; Sergei Chuzavkov “Una bambina in monopattino tra le case di Horenka – Kiev, colpita dai bombardamenti russi”; Bashar Taleb “Bambini che corrono tra le case distrutte di Khan Yunis, nel Striscia di Gaza”

“Uno che disegnava, uno che scriveva”. Mostra in ricordo di Benny Naselli

Anja Langst, bavarese di nascita naturalizzatasi nostra cittadina da tanti anni, in quanto valida artista di lunga carriera e moglie del compianto Benny Naselli ha avuto l’idea di inaugurare una mostra retrospettiva sui lavori di suo marito.

“Uno che disegnava, uno che scriveva” è titolo intelligente che riassume in pochi accenni chi veramente fosse Benny. La semplicità descrittiva del titolo rappresenta in toto l’anima artistica di Benny. E’ stato un personaggio letteralmente vulcanico, mancato in tarda età, ma operativo nel mondo dell’arte praticamente fino al suo ultimo giorno di vita, in quanto della vita, Benny Naselli fu veramente innamorato!

Già, la vita .. forse pecchiamo di superficialità quando ci esprimiamo a proposito della nostra esistenza. In linea di massima – non avendo nessuno di noi (almeno consciamente), esperito altre realtà – tutti ci riteniamo attaccati alla vita. È, però, spesso un superficiale e vuoto modo di dire.

L’amor mundi di Benny si esplicitava in un inguaribile ottimismo che, nonostante sofferenze che non gli sono mancate, non gli è mai venuto meno.
Grande ritrattista, con pochi schizzi di carboncino o pennarello, era allegramente in grado di ‘cogliere’ velocemente quanto poteva esprimere un viso, un personaggio, tante figure famose (come il suo John Wayne, Clark Gable e altre star di Hollywood).

Da giovane, per anni, è stato vignettista di personaggi legati all’epopea del western americano (le famose ‘strisce’ di gran moda negli swinging anni ‘60), principalmente lavorando per editori della sua Liguria, ma anche creando suoi simpatici personaggi. Lui disegnava, disegnava ininterrottamente, ma sapeva anche scrivere. Di un buon livello intellettuale sono, infatti, le pubblicazioni inerenti la sua vita, una sua particolare visione del mondo, le tante creazioni artistico-fumettistiche.
Benny scriveva come disegnava: come quando gestiva un pennello o un carboncino, scriveva velocemente e allegramente. Anche sulla carta stampata, chi lo leggerà ritroverà il suo magico stile di vignettista… veloce, essenziale, preciso. Da ogni pagina scritta, evidente usciranno la sua infantile e prorompente allegria, la bonaria ironia, una personale forma di tatto stilistico e l’innato rispetto per il prossimo.
Dato che la retrospettiva a lui dedicata è concomitante con il Salone del Libro, interessante sarà l’elenco delle sue pubblicazioni: Parole Dipinte (poesie), del 2010; Tequila, l’indiano del 2000 (comic strips, del 2012); Angeli, pepe e sorrisi (racconti e vignette), del 2014; Oltre il lenzuolo (autobiografia), del 2016.

Ma l’uomo non vive solo d’arte. Dietro occhi azzurri di bimbo adulto, sempre ridenti e che sapevano di mar ligure, la sua esperienza esistenziale si coniugava (ancora felicemente) con la sua attività di ferroviere e di … papà single di non pochi figli, tutti gestiti, educati, fatti meravigliosamente fiorire alla vita.

Poi l’arte, tanta arte, creatività, curiosità senza limiti, amore per il teatro, letture importanti… e infine (come spesso capita nelle fiabe) con l’età della consapevolezza, Benny finalmente approda all’amore degli amori: la meravigliosa Anja, il suo approdo più sicuro.

MOSTRA IN RICORDO DI BENNY NASELLI: Torino, via Belfiore 18, fronte strada

-Venerdì 16 e Sabato 17 maggio 2025 – per info: 349/12.56.345

(dalle 16.00 alle 22.00)

Ferruccio Capra Quarelli

Tinissima, la fotografa che mise a fuoco il mondo

Il 2025 si sta rivelando l’anno di Tina Modotti a Torino. Dopo la lunga e apprezzatissima esposizione al Museo Camera, il capoluogo piemontese ha ospitato un incontro vivo, vibrante, presso la Fondazione Circolo dei Lettori. Protagonista, la giornalista e agitatrice culturale Annalisa Camilli, che ha restituito al pubblico non solo il ritratto di una fotografa straordinaria, ma il mosaico complesso di una donna dalle mille vite. Durante l’incontro, nell’ambito del progetto “Giornaliste. Raccontare e fotografare il mondo”, Camilli ha raccontato Modotti con passione e intensità, intrecciando la narrazione storica con le immagini del suo viaggio personale a Città del Messico, sulle tracce della tomba ormai dimenticata di Tina. Lì, nel Panteón de Dolores, tra tombe in rovina, ha faticosamente ritrovato il luogo dove riposa colei che fu operaia, attrice, modella, fotografa, militante comunista e funzionaria politica. Una donna che, in soli 46 anni, ha attraversato quattro continenti senza mai perdere contatto con le proprie origini, anzi facendone motore della sua arte e militanza. “Descriverla solo come fotografa sarebbe riduttivo”, ha detto Camilli, e basta scorrere la sua biografia per capirlo.

Modotti – fotografa, attrice, militante comunista, amante, musa e pioniera – non ha mai vissuto una sola vita. Ne ha attraversate molte, come onde. Nata a Udine, figlia di un padre emigrato, ha iniziato a lavorare a tredici anni in una fabbrica tessile. Nel 1913 lasciò la madre in Italia per raggiungere il padre a San Francisco, attraversando l’Atlantico e chiudendosi alle spalle il Golfo di Napoli. Non mise mai più piede nella sua patria, che le fu preclusa a causa della sua attività politica. San Francisco, risorta dopo il terremoto del 1906, la accoglieva come città di rinascita. Qui Tina si inserisce subito nella comunità italiana e inizia a recitare per loro. Lavora come sarta, posa come modella, recita nei primi film muti: è il prologo di una metamorfosi. Nel 1918 sposa Roubaix de l’Abrie Richey, “Robo”, e con lui condivide il sogno di una vita d’artista, combattuta tra l’arte e la vita stessa: “C’è troppa arte nella mia vita”, scrisse, “e mi rimane poca creatività”. Si sposta a Los Angeles ed entra nello studio fotografico di Edward Weston, dove scopre il potere della luce e delle forme. Modotti ne diventa modella, assistente e amante. Quando Robo si trasferisce a Città del Messico, Tina lo raggiunge, portando con sé anche l’amate e maestro Weston. Una scelta difficile, che segna una frattura personale e morale: Weston ha moglie e figli, ma a proposito dice “sarei diventato veleno per me stesso e per gli altri, se fossi rimasto”. In Messico tutto cambia. Weston matura come artista e Tina impara a fotografare. Diventa autrice. Infatti bene presto passa dal ruolo di musa a quello di sguardo. Il suo è un occhio attento ai simboli nascosti nella realtà, ma soprattutto rivolto agli ultimi: contadini, donne, mani che lavorano. Il suo sguardo è quello di un’emigrata, di una donna che conosce la fatica e crede nel riscatto. Si lega al Partito Comunista Messicano, diventa amica di Frida Kahlo e pubblica per “El Machete” con  fotografie di  volti e corpi con uno stile nuovo, politico e poetico insieme. Dopo la morte di Weston si lega a Julio Mella, con il quale approfondisce l’interesse e la passione politica. Ma l’anno dopo, un colpo durissimo proprio il suo compagno Julio Antonio Mella- giovane rivoluzionario cubano-  il quale viene assassinato. Tina viene subito coinvolta mediaticamente: i giornali insinuano un delitto passionale, pubblicano sue foto di nudo, la trasformano da testimone a colpevole. È una distorsione tutta patriarcale: da militante a “femme fatale”, da artista a oggetto. La sua casa viene perquisita, i beni sequestrati, la dignità violata.

Dopo il processo, Tina si rifugia nel Sud del Messico, vicino al Chiapas. In una comunità matriarcale, torna alla fotografia, questa volta con un taglio etnografico e antropologico. Scatta immagini cariche di rispetto, curiosità e ascolto.

Ma la pace dura poco. Un attentato al presidente messicano la coinvolge indirettamente e le accuse ricadono nuovamente su di lei: è costretta a lasciare il Paese. Parte per l’Europa in pieno fermento prebellico, accompagnata dal comunista italiano Vittorio Vidali. Smette di fotografare. Scrive a Weston la sua decisione: ora è la militanza politica a chiamarla.. In Spagna partecipa alla guerra civile, poi torna in Messico nel 1939.  La città però è cambiata. Gli amici si sono dispersi, i sogni affievoliti. Muore sola, su un taxi, nel 1942. Morte naturale, dicono. Ma in pochi ci credono. Nemmeno Neruda:

Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome, quelli che da tutte le parti, dall’acqua, dalla terra, col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo. Perché non muore il fuoco

Tina Modotti non è mai stata solo una fotografa. È stata un’idea in movimento, un corpo in lotta, uno sguardo che resiste. Oggi, anche dalla polvere, continua a parlarci. E non dorme. No, non dorme.

VALERIA ROMBOLA’