A Torino passando per via Garibaldi, poco prima di arrivare all’incrocio con via XX Settembre, si può vedere un presidio tutto al femminile, fatto di un ampio striscione, volantini e della forza delle sostenitrici che fanno parte delle Casa delle Donne di Torino e che partecipano con la loro manifestazione al movimento delle Donne in Nero ogni ultimo venerdì del mese dalle ore 18 alle 19

Donne in Nero il movimento a cui la Casa delle Donne di Torino afferisce, è nato in Israele nel 1988 e da allora in varie parti del mondo manifesta principalmente contro la guerra e contro il ruolo tradizionalmente attribuito alla donna nei confronti dei conflitti, un ruolo di passività e remissività. Donne in Nero si impegna affinché sia le condizioni di pace sia le prospettive che la pace porta con sé non siano dimenticate e inoltre chiede che nessuna guerra sia messa a tacere. donne (in nero) è anche una serie che collega le donne in nero che rispondano a due caratteristiche: facciano parte della storia dell’arte e siano legate alla città di Torino. Per la terza uscita della serie donne (in nero) come di solito vediamo qualcosa di pittorico, ossia il Polittico di Sant’Anna di Gaudenzio Ferrari (1475/1480-1546), in parte conservato ai Musei Reali. L’opera esposta nella Galleria Sabauda è composta da quattro parti, di cui tre una in fila all’altra e la quarta sopra. La scena centrale ritrae Sant’Anna, la madre di Maria, che regge sulle gambe il bambin Gesù mentre Maria è accanto. Ed è proprio da lì che partiamo, dallo spazio che separa la madre e il bambino. Maria ha un vestito rosso e, ancora una volta, indossa un mantello nero, portato su una spalla sola a ricordo della sua purezza. Il cedere e il sostenere di Sant’Anna è un gesto antico che Gaudenzio Ferrari sapientemente ci mostra, così come ci mostra l’abbraccio che dà sollievo nella parte di destra e la fuga, a sinistra, mentre il Salvator Mundi sovrasta- nella realtà fisica del polittico così come nella simbologia- le azioni e le scelte umane. Ma scegliamo la scena centrale come la più significativa per il polittico perché la tensione dell’avvicinamento è così evidente -nel mentre in cui Santa Maria si congiunge al piccolo- che sembra
di sentire il contatto delle mani e lo sfiorarsi delle teste. Nella precedente uscita della serie donne (in nero) abbiamo detto qualcosa sul polittico, è stato anticipato come un’opera plurale e fin qui abbiamo visto il perché, le scene che si svolgono sotto la paziente attesa, potremmo dire sotto l’Eternità del Salvator Mundi sono molteplici, ritraggono Gioacchino Cacciato dal Tempio e l’incontro tra Gioacchino e Sant’Anna presso la Porta Aurea, ma abbiamo anche detto di una musicalità che il polittico porta con sé, cioè la melodia suggerita dai due angeli musicanti alle spalle delle due sante. La scena centrale è la più significativa per riconoscere all’italiano Gaudenzio Ferrari una delle sue più belle caratteristiche, quella del riempimento, dello scorcio, della prospettiva; come non soffermare lo sguardo sull’orizzonte del quadro per riconoscervi il blu oltremare che nelle giornate buone si vede nell’aldilà degli alberi di un remoto bosco alpino, lo stesso tratteggiato nella seconda tavola Gioacchino che abbraccia Sant’Anna alle spalle di Gioacchino, come per raccontarci qualcosa del suo passato; lo stesso che si intravede in un punto insignificante sui tetti, là sulla casa oltre l’arco, alla fine dello scorcio prima che sia di nuovo cielo, nella scena di Gioacchino cacciato dal tempio, lo stesso blu da cui il Salvator Mundi sembra emergere rasserenandosi. Gaudenzio Ferrari -di cui parleremo ancora per la serie donne (in nero)- è stato un pittore molto prolifico, per questo le sue opere sono catalogate su base decennale. Il Polittico di Sant’Anna è del 1508, si trova dunque, per chiunque volesse approfondire, tra le opere del primo decennio del XVI secolo, periodo in cui seppur in una fase iniziale della sua carriera, è già considerato magister e lavora su commissione. Il polittico, realizzato per la chiesa di Vercelli, conta altri due pezzi oltre a quelli dei Musei Reali di Torino, le due tavole sono alla National Gallery di Londra, raccontano dell’annunciazione dell’arcangelo Gabriele e di Santa Maria vergine.
Elettra -ellie- Nicodemi
https://www.museireali.beniculturali.it/opere/polittico-di-santanna/

Facciamo subito chiarezza sul titolo della mostra. In giapponese il termine onna significa “donne” e per onnagata, termine in uso dal Seicento, si intendevano, sempre nel “Paese del Sol Levante”, “attori maschi” travestiti con indumenti e sembianze femminili. Il titolo, dunque, dato alla nuova rotazione di kakemono (dipinti o calligrafie giapponesi su seta, cotone o carta a forma di preziosi e fragili rotoli da appendere in verticale) proposta, fino al 17 aprile del prossimo anno, dal MAO di Torino, chiarisce subito l’obiettivo di un evento espositivo teso ad invitare il visitatore a esplorare la varietà dell’universo femminile giapponese: dalle divinità alle dame di corte, dalle danzatrici alle popolane fino agli onnagata e senza dimenticare la simbologia di fiori e uccelli correlati alla femminilità. Discorso alquanto complesso. Fino al VI secolo circa, la società giapponese era infatti una società che manteneva ancora elementi di tipo tribale e una forte impronta matriarcale: grazie anche allo shintoismo, che attribuiva grande considerazione alle donne per la loro capacità di generare la vita, in Giappone non mancavano sacerdotesse, regine e dee. Con l’arrivo del buddhismo e del confucianesimo le cose cambiarono drasticamente: la donna perse gradualmente il suo ruolo sociale e fu obbligata all’obbedienza all’uomo, padre, fratello o marito. Eppure, nonostante il ruolo di subordinazione a cui le si volle relegare, le donne, in particolare quelle appartenenti all’aristocrazia o alla corte imperiale, continuarono a godere di stima, rispetto e anche di una parziale libertà, soprattutto in ambito amoroso. Ed è proprio, sottolineano al MAO, “grazie all’amore, ai diari e ai carteggi fra amanti, che nacque la letteratura giapponese: se i contratti e i documenti ufficiali erano appannaggio maschile, le opere letterarie presero vita dall’ingegno femminile”. Attorno all’anno Mille, videro la luce opere che hanno attraversato i secoli e dettato le regole della letteratura nipponica, fra cui i celeberrimi “Genji Monogatari” e “Makura no Soshi”, le “Note del guanciale”. Per non dire del teatro. All’epoca della sua fondazione da parte di Izumo no Okuni, una ballerina itinerante, il teatro tradizionale kabuki era una forma d’arte esclusivamente femminile. Gli spettacoli riscuotevano enorme successo presso tutte le classi sociali e cominciarono ad essere emulati persino nei bordelli, tanto che lo shogun (i dittatori militari che governarono il Giappone fra il 1192 ed il 1868) decise di vietarli. Per questa ragione, attorno al 1630, le onna, termine giapponese – come detto – per “donne”, furono rimpiazzate in scena da ragazzi, gli onnagata (letteralmente “a forma di donna”), uomini travestiti con abiti femminili e, da quel momento, il teatro fu considerato un luogo disdicevole, non adatto alle donne.