ARTE- Pagina 18

Il paesaggio ottocentesco, dall’età romantica al simbolismo

A Novara, negli spazi del castello visconteo, sino al 6 aprile

Due figure femminili, di differenti età, introducono dalla mura del castello visconteo di Novara alla mostra “Realtà Impressione Simbolo. Paesaggi. Da Migliara a Pellizza da Volpedo”, visitabile sino al 6 aprile prossimo (www.metsarte.it): la pastorella, ovvero la bambinaia dei figli del pittore, che, posta da Segantini nella distesa dei prati e tra le nevi del Cantone dei Grigioni, si mette al riparo del sole facendosi ombra con il cappello di paglia a larga falda e con il palmo della mano (“Mezzogiorno sulla Alpi”, 1891), e la vecchia, nello sguardo di Carlo Fornara, in un incessante susseguirsi di piccoli e ravvicinati tratti di colore, lineari e in spirale, curva sotto il peso del fascio di legna che avanza sotto le sferzate del freddo vento del nord in un sapiente alternarsi di azzurri e di rosati, “L’aquilone” del 1902. Un sipario d’introduzione ma rintracciabili nell’ultima delle nove sezioni in cui è suddivisa la mostra, là dove il divisionismo oltre ai succitati abbraccia alcune opere di Morbelli – il paese sull’alto della collina con i pochi personaggi, “Nebbia domenicale” del 1880, riproposto sotto diversa atmosfera trentacinque anni dopo – e di Pellizza da Volpedo, di cui si rivede quel capolavoro di vita e di arte che è “Sul fienile” (1902), un favolistico tratteggio in terra monferrina che confina per molti versi con il pointillisme parigino, intimo e struggente, una scena d’agonia e di sacramenti tra religiosità e povertà posta nell’ombra e messa a confronto con la luce netta che piove su una calda giornata d’estate. Un divisionismo, ancora con Segantini, capace di sfociare in una nuova sperimentazione linguistica e in una incursione in netto clima simbolista, nell’”Amore alla fonte della vita”, del 1896, proveniente dalla Galleria d’Arte Moderna di Milano, commissionata dal principe russo Jussopoff di San Pietroburgo, “l’amore giocondo e spensierato della femmina, e l’amore pensoso del maschio, allacciati insieme dall’impulso naturale della giovinezza e della primavera” ebbe a scrivere l’artista in una lettera a Domenico Tumiati, fratello dell’attore Gualtiero, mentre “un mistico angiolo sospettoso stende la grande ala sulla misteriosa fonte della vita, l’acqua scaturisce dalla viva roccia, entrambi simboli dell’eternità”.

Uno sguardo per “Paesaggi” che s’incrocia su Piemonte e Lombardia soprattutto, unendo altresì la Liguria (i nomi e la zona di Carcare) e le valli svizzere, con le ricche testimonianze – in un percorso coordinato per isole da Elisabetta Chiodini – provenienti dalle Gam di Torino Milano e Genova e Ricci Oddi di Piacenza, dal museo Segantini di St. Moritz e quello del Paesaggio di Verbania, dalla Galleria Giannoni di Novara. Un percorso che ha inizio dall’età romantica del paesaggio, a partire da quella serie di vedute lombarde che nel 1807 Eugenio di Beauharnais, vicerè d’Italia, commissiona a Marco Gozzi “con l’intento di documentare le località più pittoresche e le opere di ingegneria d’importanza strategica nello sviluppo del territorio”. Faranno seguito i panorami della Franciacorta ad opera di Luigi Basiletti, ville e poderi e personaggi ripresi con netto realismo sino all’arrivo a Milano di Massimo d’Azeglio che s’afferma sulla scena artistica con la formula del “paesaggio istoriato” (“La morte del conte Josselin di Montmorency”, 1825), ove prevale l’aspetto storico immerso in ampie vedute studiate dal vero, e alla “sensibilità moderna” di Giuseppe Canella (del ’38 è la sua “Veduta della laguna di Venezia”, barche e pescatori rischiarati da un vasto tratto d’orizzonte illuminato dalle ultime luci della sera), colpito dall’esempio dei maestri fiamminghi incontrati nelle sale del Louvre all’epoca del suo viaggio parigino. La necessità di andare oltralpe, di superare i confini per saggiare apporti diversi che possono giungere tra gli artisti del nord Italia: si sviluppa l’area mitteleuropea, con i suoi personaggi immersi in un’atmosfera romanticonaturalista, con l’influenza tra gli altri di Alexandre Calame, ginevrino, e Julius Lange, tedesco, che spingeranno i loro colleghi a studiare la natura dal vero, e con gli incontri – da parte di Fontanesi, ad esempio, nelle sale dell’Esposizione Universale parigina del 1855 – con la scuola di Barbizon, con Corot e Daubigny e Rousseau, autore quest’ultimo del bellissimo “Ancien moulin de Saint-Ouen” datato intorno al 1832.

Sarà, verso gli anni Sessanta, la città di Ginevra il punto d’incontro dei tanti artisti, con la scuola di Calame, con gli incontri e le amicizie e i sodalizi artistici che nascono tra il torinese Avondo e il portoghese de Andrade, tra il genovese Rayper ed Ernesto Bertea, pinerolese, consolidati tra i tavolini del caffè du Bourg: una spinta a immergersi al centro della natura, a coltivare l’en plein air, a sviluppare le successive esperienze d’ambito realista, pronte a trovare sede a Rivara, nel canavese, in casa di Carlo Ogliani cognato di Carlo Pittara, e a Carcare, nel savonese, dove prenderà forma la “Scuola dei Grigi”. La natura soprattutto, certo, come è per Fontanesi (“Aprile. Sulle rive del lago del Bourget”, 1864), ma anche l’occasione per guardare – all’interno di un paesaggio livido e spoglio – alla vita sociale, per cui “Buoi al carro” di Pittara può essere anche letto come “Le imposte anticipate” (1865), o al progresso che avanza, unica quella “Via ferrata” di Tammar Luxoro, di origini genovesi, con il treno e il suo sbuffo che attraversano la campagna, e siamo già al 1870. Ad ingigantire il confronto tra il pittore e ciò che lo circonda, saranno Fisanotti e Riccardi, professori di paesaggio a Brera, a portare tra i Sessanta e i Settanta i loro allievi a dipingere nelle campagne dei dintorni di Milano, “spronandoli a confrontarsi con il vero e a cercare di restituire sulla tela le luci, i colori, le ombre” che esistono in natura: quindi non più il paesaggio concepito come una veduta scenografica dove dettano ordini rigide norme compositive e di prospettive, un unicum di accordi di luci e di colori dovranno avere il sopravvento, alla ricerca di una esatta “impressione”. La figura di maggior spicco Filippo Carcano, in sala tutta l’ampiezza (101 x 200 cm) della sua ”Isola dei Pescatori”- il pittore è quarantenne – gioiello del lago Maggiore, datato 1880, in collezione privata, la sponda e le case e il campanile quasi miniaturizzati in tanta precisione, lasciando al paesaggio tutt’intorno la libertà di una tranquilla dispersione.

Con Carcano compaiono i nomi di Delleani (“Giochi di bimbi”, 1885), di Francesco Filippini e il suo ampio sguardo, quasi a perdita d’occhio e dove è meraviglioso perdersi, sull’andata al “Vespro” (1891), di Eugenio Gignous ancora a guardare, sei anni dopo, alle luci dell’”Isola dei Pescatori”, di Achille Befani Formis che “Sulla Strona” guarda alla fatica e ai canti delle lavandaie. Il paesaggio si trasporta altresì nel cuore della città, nel rappresentazione della veduta urbana, coglie le attività quotidiane, le voci e i volti, le differenti età di chi la abita, le contrastanti classi sociali, fotografa ricchezza e nobiltà, la povertà che serpeggia ovunque. Il “naturalismo lombardo” s’impossessa non più dei motivi agresti e montani finora imperanti, ma delle vie e delle strette strade che brulicano di gente mattiniera, degli angoli nascosti e poco frequentati, magari banali, delle trasformazioni che abbelliscono e ingigantiscono l’intera città. È una scommessa a rendere in ambienti del tutto nuovo, ben altro da quanto frequentato in precedenza, i giochi di luci, l’intrecciarsi di riflessi, il sovrapporsi di fresche e felici suggestioni, maestri nel dividersi tra ambienti ora colpiti dalla luce piena del sole come offuscati da giornate nebbiose e rabbuiate. Grandi segnali arrivano dalla “Nevicata” di Segantini e dagli angoli notturni o ancora coperti di neve di Mosè Bianchi, vero cantore della sua Milano, le luci che rischiarano e mettono in mostra gli abiti delle signore forse alla ricerca di una carrozza (“Milano di notte”, 1886) o quella “Prima neve” (1890), dove si va di fretta, dove s’aprono passaggi sgombri, dove poveri calessi tentano d’avanzare a fatica.

Al termine del percorso – preciso, suggestivo, accattivante nei soggetti e nello svolgimento, nell’intreccio di luci e colori, nella sequenza dei tanti nomi – attendono ancora i dipinti di Leonardo Bazzaro, un angolo intimo di vita e di piacevolezze familiari, realizzati tra il 1900 e il 1905, ambientati in quell’oasi felice che per il pittore fu la residenza all’Alpino, un villino fatto costruire sulla strada che conduce da Gignese al Mottarone: felicità di soggiorni estivi soprattutto, tra amici, la cura dei fiori (“I miei fiori” venne presentato alla mostra della Promotrice torinese nel 1900, e riapparve solo qualche anno fa, dopo oltre un secolo) e le chiacchiere al tavolino con le amiche o i giochi con le piccole nipoti da parte della moglie del pittore. E un breve focus intorno alla figura di Pellizza, lo studio del paesaggismo inglese da Turner a Constable, le riflessioni su Fontanesi, uno sguardo più attento a quanto ci circonda devenuto uno dei temi prediletti dell’ultima stagione pittorica, la tecnica che il pittore stesso definisce impressionistica, il perfetto risultato che sono “La Clementina” e “Valletta a Volpedo”: una nuova visione, il paesaggio osservato dal vero che diviene “un luogo mentale”, una rilettura, “un’immagine universale della natura e del potere rigenerativo della luce”.

Elio Rabbione

Nelle immagini: Giovanni Segantini, “Mezzogiorno sulle Alpi”, 1891, olio su tela, St. Moritz, Segantini Museum, proprietà della Fondazione Otto Fischbacher – Giovanni Segantini; Carlo Fornara, “L’Aquilone”, 1902, olio su tela, coll privata; Giuseppe Pellizza da Volpedo, “Sul fienile”, 1893-94, olio su tela, coll privata; Antonio Fontanesi, “Aprile. Sulle rive del lago del Bourget, in Savoia”, 1864, olio su tela, coll privata; Mosè Bianchi, “La prima neve”, 1890, olio su tela, coll privata.

Ferdinando Scianna racconta Henri Cartier-Bresson

I Giovedì in CAMERA

 

Il maestro dei maestri

27 febbraio 2025, ore 18.30

CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia

 Via delle Rosine 18, Torino

 

Martine Franck, Henri Cartier-Bresson e Ferdinando Scianna, Bagheria, Italia, 1986 © Martine Franck, Magnum Photos

Il 27 febbraio 2025, alle ore 18.30, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia inaugura il ciclo di incontri I Giovedì in CAMERA dedicati alla nuova mostra Henri Cartier-Bresson e l’Italia, ospitando Ferdinando Scianna, primo fotografo italiano membro della leggendaria agenzia Magnum Photos.

A partire dalle immagini esposte in mostra, Scianna ripercorrerà la lunga carriera di Henri Cartier-Bresson, guidando il pubblico alla scoperta dell’occhio del secolo che ha cambiato per sempre il modo di vedere il mondo attraverso un obiettivo.

 

Per Scianna, Cartier-Bresson non è stato solo un punto di riferimento ma un vero e proprio mentore, “il maestro dei miei maestri”, ed in effetti il fotografo francese ha ispirato generazioni di artisti e fotoreporter, attraverso scatti che hanno fatto la storia della fotografia per la straordinaria gestione dello spazio dell’immagine, il rapporto tra realtà e invenzione e la capacità di cogliere l’istante: tematiche, del resto, definite proprio in Italia, nelle fotografie realizzate durante il primo viaggio nel Paese, nel 1932. È a Parigi, tuttavia, che Scianna incontra il maestro, con il quale instaura non solo una lunga collaborazione professionale – sarà proprio Cartier-Bresson a introdurlo tra i grandi talenti di Magnum Photos – ma anche un legame di profonda ammirazione e amicizia, che li accompagnerà fino alla scomparsa del fotografo francese, avvenuta nel 2004.

 

Durante l’incontro, in compagnia di Walter Guadagnini, direttore artistico di CAMERA e co-curatore della mostra, Scianna coinvolgerà il pubblico in una conversazione che, tra immagini e aneddoti personali, approfondirà la figura e l’impatto di un protagonista assoluto della storia della fotografia. Un’opportunità unica per immergersi nell’arte e nella vita di Henri Cartier-Bresson, attraverso la voce di un altro grande fotografo che lo ha conosciuto da vicino.

 

L’incontro ha un costo di 3 euro. Per partecipare è consigliato prenotare sul sito di CAMERA

Da Picasso a Warhol, la ceramica dei grandi maestri

“Forma e colore – da Picasso a Warhol”, la ceramica dei grandi maestri è protagonista alla galleria Sottana dell’oratorio San Filippo Neri di una interessante mostra aperta fino al 2 giugno prossimo

La galleria Sottana dell’oratorio San Filippo Neri ospita da sabato 15 febbraio la mostra intitolata “Forma e colore. Da Picasso a Warhol”, la ceramica dei grandi maestri.

“Un importante storico dell’arte del Novecento – cita Giovanni Iovane – Henri Focillon, in un suo saggio ‘Vita delle forme’ nel 1936 così scriveva ‘ ogni materia porta racchiusa in sé  la propria vocazione formale’. La vocazione formale della ceramica  e dei suoi derivati come la terracotta, vanta una sua storia plurisecolare , ma è con le avanguardie storiche del Novecento che riscopre una apertura  verso quei materiali di uso quotidiano,  verso quegli oggetti come i piatti, ma anche i giornali, il  cartone e la plastica che ci circondano e reclamano, oltre all’uso e alla funzione, una propria vocazione formale. Le cose che ci circondano, nella vita quotidiana, non sono solo elementi aggiuntivi o sostitutivi dei materiali canonici della storia dell’arte, ma hanno titolo e diritto a reclamare una propria autonomia formale come il marmo o la pittura a olio o acrilico.

La ceramica un tempo era una forma di arte minore o un  riempitivo economico come in Renoir. “Dopo Picasso – spiega Vincenzo Sanfo, curatore della mostra insieme a Giovanni Iovane – quello che prima era considerato soltanto un passatempo per gli artisti  diventa a tutti gli effetti una pratica artistica a tutto tondo e in cui tutti gli artisti tenteranno di cimentarsi a volte con risultati sorprendenti. Nel Novecento si aprirà quindi una gara fra gli artisti di tutto il mondo che, sull’onda di Picasso, vorranno cimentarsi anch’essi con questa tecnica e con le sue diverse sfaccettature. Ne nasce, in parallelo, un collezionismo attento e paro a quello dei dipinti, dei disegni, della scultura e che consente  di allargare il piacere della collezione anche a fasce di pubblico economicamente meno privilegiate.

La ceramica, per la sua duttilità, la sua luminosità, la ricchezza della sua cromia e, non da ultimo, per la facilità della sua collocazione, troverà grandi spazi nel mondo artistico internazionale dando a questa pratica la possibilità di divenire estremamente popolare e diffusa”.

“È stato Picasso – prosegue Vincenzo Sanfo –  a sdoganare la ceramica e a introdurla nel mondo dell’arte, segnando un nuovo percorso che, dopo di lui, vedrà altri grandi maestri dedicarsi a nuove modalità espressive, deviando dai loro consuetudinari ambiti, come la pittura e la scultura. In questa mostra ne sono presenti circa un centinaio, provenienti da ogni parte del mondo, dalla Spagna alla Cina, passando per il Messico, per una esposizione unica nel suo genere”.

“La ceramica, per la sua duttilità, luminosità, ricchezza di cromia e, non ultimo, per la facilità di collocazione, troverà grandi spazi nel mondo artistico e internazionale – precisa Vincenzo Sanfo – dando a questa pratica la possibilità di diventare estremamente diffusa. Non si contano i piatti decorati, i vasi, gli oggetti da collezione, le piccole o grandi sculture che, presenti ovunque, addobbano e danno forza anche dal lato meramente decorativo, a collezioni importanti e diffuse in tutto il mondo”.

Fino al 2 giugno prossimo, la galleria Sottana, attigua alla chiesa più grande di Torino, San Filippo Neri, accoglie circa 100 opere in ceramica provenienti da collezioni private firmate da grandi artisti del Novecento e contemporanei, originari di gran parte del mondo, che hanno praticato l’arte della ceramica senza essere ceramisti puri, bensì, per lo più scultori e pittori. Per quanto riguarda la Cina, sono in mostra opere di Ai Weiwei e Zhang Hongmei, due tra i più grandi maestri del panorama artistico cinese, in cui vi è una visione del tutto antitetica che trova nelle opere di artisti come Pan Lusheng, Liu Ruo Wang e Xu De Qi, i loro compagni di strada, una lucidità di percorso tra poesia e contestazione.

Un mondo in parte ancora sconosciuto è quello della creatività latino americana che spazia dall’arte optional di Julio Le Parc al surrealismo contemporaneo di Vik Muniz, fino alle presenze sofferte di Javier Marin. Sono tutti artisti che ci portano a scoprire una creatività in divenire, raccontandoci con la ceramica l’inquietudine e le speranze di un continente complicato e complesso.

Il mondo dell’arte italiana frequenta da sempre la ceramica, dai derivati della terracotta alla porcellana, sino ai gessi e ai cementi. In mostra si possono ammirare le ceramiche di Marco Nereo Rotelli, una vetrina dedicata a Ezio Gribaudo, una a Marco Lodola, ceramiche di Enzo Rovella e Franco Garelli, che dimostrano come questo rapporto tra la terra e il fuoco sia presente nel nostro DNA. La ceramica è anche stata capace di abbracciare l’arte concettuale, e lo dimostrano le presenze in mostra delle opere di Sol LeWitt, Rudolf Stingel, Alighiero Boetti, che ci riportano a un concetto rigoroso e mentale dell’opera d’arte.

Molto significativa è la sezione e dedicata a Picasso. L’arrivo a Vallauris di Picasso, e il suo improvviso innamoramento per la ceramica, complici anche i begli occhi di Jacqueline Roque, che diverrà da lì in avanti la sua compagna di vita, costituisce una sorta di spartiacque tra una concezione utilitaristica o decorativa della ceramica e un suo approdo nel mondo dell’arte moderna che guarderà al fare ceramica in modo nuovo e con crescente interesse.

La creatività femminile trova, in questa sezione, tutta la sua ricchezza: la ceramica è anche donna e lo dimostra la creazione di Marina Abramovic per Illy Cafè, i lavori di Louise Bourgeois, di Jenny Holzer e Yoko Ono, che raccontano con le loro opere come la creatività femminile sappia essere protagonista anche nel mondo della ceramica.

Oratorio San Filippo Neri – galleria Sottana – via Maria Vittoria 5, Torino

Martedì-domenica dalle 10 alle 19 / lunedì chiuso / Pasqua chiuso / aperture straordinarie 21/04 e 02/06

Mara Martellotta

Berthe Morisot Pittrice impressionista: superati 77mila visitatori, ultimi giorni per visitare la mostra

GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino Fino a domenica 9 marzo 2025

 

Giovedì 6 marzo:

dalle ore 18:00 momenti musicali gratuiti in mostra a cura del Conservatorio Statale

di Musica Giuseppe Verdi di Torino e apertura fino alle ore 21:00

Finissage domenica 9 marzo:

mostra aperta fino alle ore 21:00

La biglietteria chiude alle ore 20:00

www.gamtorino.it

Installation view ‘Berthe Morisot. Pittrice impressionista’, GAM Torino. Ph. Perottino

Superati i 77.000 visitatori per la mostra “Berthe Morisot. Pittrice impressionista” che prosegue con successo alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino fino a domenica 9 marzo.

In occasione degli ultimi giorni di apertura, giovedì 6 marzo e domenica 9 marzo la mostra resterà aperta fino alle ore 21:00 (chiusura biglietteria ore 20:00) per consentire al pubblico di scoprire la storia e i capolavori di Berthe Morisot, unica donna tra i fondatori del movimento impressionista.

Inoltre, per offrire un’esperienza di visita ancora più coinvolgente, giovedì 6 marzo sono previsti tre momenti musicali gratuiti in mostra – alle ore 18:00, 19:00 e 20:00 – a cura del Conservatorio Statale di Musica Giuseppe Verdi di Torino (Classe di Arpa della Prof.ssa Patrizia Radici e di Musica da camera della Prof.ssa Francesca Gosio. Michele Ruggieri, Silvia Cavallotto, violini; Irene Dosio, viola; Chiara Boido, violoncello; Elisa Giordano, flauto; Dorian Zolfaroli, clarinetto; Francesco Cassone, Emanuele Raviol e Leonardo Zaccarelli, arpe; Gabriele Manfredi, chitarra; Musica di Cesar Franck, Alexandre Tanzman, Maurice Ravel).

Berthe Morisot, Pastorella sdraiata , 1891, olio su tela.

Parigi, musée Marmottan Monet, legs Annie Rouart, 1993. lnv. 6021

L’esposizione è organizzata e promossa da Fondazione Torino Musei, GAM Torino e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, a cura di Maria Teresa Benedetti e Giulia Perin, con il sostegno eccezionale del Musée Marmottan Monet di Parigi, istituzione che vanta la più grande raccolta di opere di Berthe Morisot da cui provengono importanti dipinti, e realizzata grazie allo sponsor BPER Banca.

La mostra illustra il legame di Morisot con la poetica del movimento e fa emergere il suo personalissimo timbro nel cogliere la labilità dell’attimo, a simbolo della fragilità dell’esistenza, capace di rappresentare con grazia gli elementi della natura e della realtà.

L’allestimento dell’esposizione accoglie anche un display, realizzato da Stefano Arienti, artista italiano tra i più riconosciuti, che si inserisce all’interno di un progetto concepito da Chiara Bertola, Direttrice della GAM – Galleria Civica di Arte Moderna e Contemporanea, intitolato l’Intruso. In dialogo con le opere di Morisot, il contributo di Arienti si sviluppa lungo tutto il percorso espositivo, utilizzando una varietà di elementi per immaginare un contesto e un’ambientazione inedita delle opere dell’artista che arricchisce l’esperienza dei visitatori.

Con Audace Resa, le ceramiche dei Cantieri Montelupo

A Torino presso Flashback Habitat

La mostra con Audace Resa: dai Cantieri Montelupo, si è inaugurata, presso gli spazi di Flashback Habitat Ecosistema per la culture contemporanee, in corso Giovanni Lanza 75, e rimarrà aperta fino al 18 maggio prossimo. L’esposizione racconta l’evoluzione del progetto di residenza d’artista a Montelupo Fiorentino, attraverso una selezione di opere che documentano il lavoro nelle botteghe e la ricerca sviluppata nel confronto con i ceramisti.

Si tratta di un percorso in continua trasformazione che riflette il dialogo tra arte e artigianato attraverso un processo dinamico e aperto. La rassegna rappresenta il momento conclusivo di un progetto nato alcuni anni fa di un percorso di residenza d’artista realizzato dalla Fondazione del Museo di Montelupo Fiorentino, con il sostegno del bando Toscanaincontemporanea. Il principio alla base dei Cantieri Montelupo è chiaro: gli artisti invitati non hanno esperienza pregressa con la ceramica, né devono partire con un progetto predefinito. La creazione nasce dal dialogo tra arte e artigianato, attraverso un confronto diretto con chi lavora la materia ogni giorno. Nel corso degli anni il progetto ha generato un intreccio di relazioni tra laboratori, botteghe e persone, arricchendosi di workshop e momenti condivisi. La mostra restituisce questa rete di scambi e sperimentazioni, e offre uno sguardo privilegiato su un’esperienza artistica in continua evoluzione. Il progetto è stato curato da Christian Caliandro, che ha messo in correlazione  gli artisti e i designer ospiti con gli artigiani del territorio, per lo sviluppo di opere, collezioni e manifatture. Il risultato è ora visibile nel complesso diretto da Alessandro Bulgini, ed è rappresentato da quelle ceramiche frutto dell’interazione tra alto artigianato e arte contemporanea.

Si può ammirare una serie intitolata Ruud Ralith. Si tratta di lastre, scodelle, brocche, mattone refrattario che sembrano manufatti nuovi e antichi. Sono il frutto del lavoro della fotografa Maria Palmieri insieme a Patrizio Bartoloni, cimentandosi un un’innovazione della fotoceramica e creando un lavoro sperimentale sulle superfici. Duecento piattini decorati con la figura dell’uccellino, motivo più ricorrente della pittura su ceramica di Montelupo, sono opera del più giovane degli artisti invitati: Giovanni Ceruti, affiancato nel suo lavoro da Stefano Bartoloni. Sono anche presenti oggi a metà strada tra moda, design e artigianato come i completi intimi tra ceramica e tessuto di Manuela Barilozzi Caruso, realizzati con le ceramiche Gilio, Ivana Antonini, Veronica Fabozzo, in collaborazione con la sartoria di Angela Corsani.  La storia del museo di Montelupo risale al primo dopoguerra, ma la tradizione della ceramica affonda le sue radici in epoca dantesca. Il museo è collocato in un edificio degli anni Trenta, una ex scuola elementare, con 1500 mq espositivi e 5 mila pezzi storici frutto di scavi e ricerche lunghe trent’anni.

Mara Martellotta

Il racconto del fumetto, la narrazione della mente

Due di quadri” alla Galleria Febo&Dafne, sino al 1° marzo

Doppia personale negli ambienti della galleria Febo&Dafne, via Vanchiglia 16, al centro del “cortile delle arti” che da un po’ di tempo agisce con proposte e appuntamenti nel cuore del borgo accanto al fiume, idea vincente della pittrice Adelma Mapelli e dei tanti collaboratori. “Due di quadri”, a cura di Carina Leal, visitabile sino al 1° marzo prossimo, porta le firme di Gloria Fava e di Marco D’Aponte, un doppio sguardo sull’arte del fumetto e della pittura fatta di suggestioni e personali impressioni.

Marco D’Aponte, che oggi vive tra Torino e Sestri Levanti dove è animatore di parecchie iniziative culturali, è pittore, illustratore, sceneggiatore e autore di fumetti, vanta un ricco curriculum da quel 1971 in uscita dal corso di pittura all’Accademia Albertina, alla scuola di Piero Martina: poi un lavoro continuo, a fissare sulla carta, nei riquadri che suddividono le pagine delle tante storie inventate come le vicende di personaggi legati alla storia e alla letteratura, dando ai visi e alle menti sentimenti e ansie, progetti ed emozioni, caratteri e concretezza. Dal 2000, lo ha interessato il “Popolo rosso”, dedicato agli indiani d’America, negli anni 2007/’09 ha espresso in più mostre, tra Mantova e Brescia e Torino, il suo affetto per Tazio Nuvolari, mentre quattro anni dopo espone in memoria dello stesso campione una serie di dipinti e le tavole della biografia a fumetti “Nuvolari vince sempre” (Mantova, Museo Nuvolari) per ritornarvi (2018) con “Nuvolari Tazio pilota” (Daniela Piazza editore), volume di cui è anche autore dei testi. E ancora sono storie comiche (“Le avventure di sir Philby Smith”) e collaborazioni con il settimanale “Tiramolla”, all’inizio del millennio la generosa accoppiata con Guido Ceronetti per dar vita a quattro storie nelle pagine della Stampa – “L’ultima giornata di Marilyn Monroe”, una per tutte -, le illustrazioni e le sceneggiature catturate da due romanzi della scomparsa giallista torinese Gianna Baltaro, “Pensione Tersicore” e “Una certa sera d’inverno”, protagonista il commissario Martini tra omicidi da risolvere e vigne nelle Langhe, per le edizioni Angolo Manzoni e ora riproposte da Golem Edizioni, l’interesse che va alla “Luna e i falò” di Pavese, come al “Principio di Archimede” dal romanzo di Dario Lanzardo e “Sostiene Pereira” di un grande Antonio Tabucchi: non senza dimenticare la passione e il cuore per una squadra che lo portano all’enorme successo de “Il Grande Torino a fumetti”.

Recentissimi, dal 2022 a oggi, sono il “Codex Rubens” sceneggiatura di Michel Hoellard e Nathalie Neau, “Il magnifico 7”, la sceneggiatura e i disegni per “Uova fatali” di Bulgakov e quelli tratti da Bruno Morchio per “Maccaia”. Mentre le leggi del fumetto gli impongono nitidezza e chiarezza di racconto (con l’intento raggiunto d’avvicinare e coinvolgere quanti raramente possono avvicinarsi a una espressione che ha comunque in sé i contorni dell’arte), magari preferendo l’artista intrecciare tempi antichi e attualizzati (Rubens seduto a rimirare nel proprio studio giovani personaggi femminili di oggi), ricchi di ricercati quanto ben visualizzati particolari, o intrecci comici tra le maschere di un carnevale veneziano, i suoi acrilici su tela – “Atlantico”, ad esempio – mostrano il vorace nervosismo di una pittura affacciata pienamente sulle odierne composizioni, diremmo prepotenti in quel lottare continuo di acqua e di cielo, in pieno movimento, in un avvincente mescolarsi di colori, ragguardevoli esempi di compiuto dinamismo.

Accanto a lui, Gloria Fava, mantovana di nascita, laureata in architettura, dedita al design e alla grafica editoriale, quarant’anni di mostre di successo, tra Torino e Milano, Melbourne e Napoli, Atene e Lisbona. Nella ricercatezza pittorica dei suoi oli, lavora sugli ampi spazi della memoria, sulla “narrazione di luoghi psicologici”, viaggiando tra emozioni e ricordi, desideri per lungo tempo forse sopiti pronti a tornare in superficie, percorsi che s’intrecciano e si sovrappongono in un incessante fluttuare. Non soltanto immagini della memoria poste sulla tela, ma anche differenti supporti che sono carta legno pigmenti su cui poi intervenire digitalmente. Punto di partenza una vecchia fotografia, ma altresì l’agire di una successiva forma e di un riscoperto significato. Occhi che ti guardano immersi in visi bellissimi, nuvole nerastre che attraversano la mente, montagne ad occupare parte di quei visi senza lasciar trasparire nevi immacolate; come bambole e vecchi giocattoli che abitano tramonti vivi e rossastri, immagini infantili?, riscoperte di un vecchio baule in una vasta soffitta che trascinano passati e suggestioni?, dove qualcosa d’inquietante (una antica garguglia di pietra) prova dolorosamente a inserirsi. E la mente dello spettatore si mette ad ammirare e a decifrare, a porre interrogativi, a cercare letture, a guardare alla perfetta riuscita dei tanti messaggi che stanno “sottopelle”.

Elio Rabbione

Nelle immagini, Marco D’Aponte, “Rubens al castello di Steen”, acrilico su tela; Marco D’Aponte, “Atlantico”, acrilico su tela; Gloria Fava, “Quanto dura la memoria – Le cose”, olio su tela; Gloria Fava, “Quanto dura la memoria – Il viaggio”, olio su tela.

Gli appuntamenti della Fondazione Torino Musei

SABATO 22 FEBBRAIO

Sabato 22 febbraio ore 16.30

ONE WAY Together

MAO – Visita guidata in collaborazione con Orchestra Filarmonica di Torino

Arte e musica: un abbinamento dal quale sprigiona bellezza. Ispirati dai concerti della Stagione concertistica dell’Orchestra Filarmonica di Torino, i musei della Fondazione Torino Musei ogni sabato precedente il concerto propongono a rotazione un ciclo di visite guidate al proprio patrimonio museale.

SORRISI E ABBRACCI

Nella collezione di statuaria indiana, il dio Shiva e la sua consorte Parvati siedono abbracciati con un sorriso lieve, mentre alcune sale più in là, nei bronzi e nei dipinti tibetani, divinità terrifiche dall’aspetto feroce stringono la loro partner tantrica in un abbraccio furioso. A partire da questi spunti, il percorso si sviluppa tra la statuaria di soggetto buddhista e induista proveniente dall’Asia Meridionale e dal Sud-est asiatico e gli oggetti di arte religiosa dallo straordinario impatto visivo che rappresentano lo sterminato pantheon del Buddhismo tantrico.

Visita guidata a pagamento. Costo: 7 € per il percorso guidato + biglietto di ingresso al museo secondo tariffe (gratuito con Abbonamento Musei e Torino Piemonte Card).

Info e prenotazioni: t. 011 5211788 (lun-dom 9-17.30); prenotazioniftm@arteintorino.com – è possibile effettuare l’acquisto online https://www.arteintorino.com/

 

 

DOMENICA 23 FEBBRAIO

 

Domenica 23 febbraio ore 11-13 e 15-17

LAMENTI/AMO         

MAO – performance a cura di YizhongArt

YizhongArt svolge un percorso di ricerca sull’incontro e la relazione che si esprimerà attraverso la serie di perfomance, “OUYU偶遇”.

“Lamenti/AMO” è il primo progetto performativo della serie in residenza al MAO e prende spunto dal concetto del lamentarsi sia come espressione di dolore o rammarico sia come azione che crea connessione. Attraverso di esso si comunica disagio, si condividono ostacoli e, paradossalmente, si costruiscono legami. In Italia, lamentarsi è spesso un atto che avvicina permettendo agli interlocutori di esprimere empatia e comprensione reciproca. “Lamenti/AMO” esplora questa necessità creando uno spazio dove il lamento diventa un mezzo per favorire l’incontro e il dialogo interculturale.

Nella cultura cinese, quando si menziona il carattere “怨” (yuan = lamento/lamentarsi), si percepisce spesso un’aura negativa. Si ritiene, infatti, che “怨” rappresenti l’irrisolto e quindi una delle cause per cui le anime non trovano pace dopo la morte.

Dal punto di vista della calligrafia, il carattere “怨” viene talvolta scritto con la parte superiore rappresentata dal carattere “死” (si=morte) e la parte inferiore dal carattere “心” (xin=cuore). Guardando la forma del carattere si può interpretare come uno stato di dolore e rimpianto che nasce nel cuore. Il carattere “怨” , sia nella sua forma sia nel suo significato, riflette la complessità del pensiero e dei sentimenti, il disappunto che persiste nel cuore (attaccamento), ma anche l’opportunità per una trasformazione (distacco).

La performance si svolgerà nel giardino zen del MAO e coinvolgerà i visitatori in uno scambio “uno a uno”, per dare la possibilità al singolo partecipante di potersi “lamentare con il performer”.

La partecipazione è gratuita. Gradita la prenotazione su yizhongart@gmail.com

Domenica 23 febbraio ore 11.30 e ore 16

DIANA LOLA POSANI

Un’esplorazione del non detto, come un urlo che si trasforma in silenzio

MAO – performance nell’ambito del public program della mostra Rabbit Inhabits the Moon

Diana Lola Posani è una sound artist, performer vocale e facilitatrice di Deep Listening certificata dalla Deep Listening Foundation. Si esibisce internazionalmente, scrive sulla rivista A Row of Trees, della Sonic Art Research Unit (SARU) – Oxford Brookes University e cura il sound art festival AKRIDA. Attualmente è interessata a indagare lo spazio comune tra suono e immaginario poetico, attraverso opere interdisciplinari e poesie sonore.

Il suo lavoro è stato presentato in diversi contesti tra i quali il Padiglione Italia alla Biennale d’Arte di Venezia 2024, MACRO museo d’arte contemporanea, Accademia di Spagna di Roma, Museo MADRE di arte contemporanea e Museo del novecento e del contemporaneo di Palazzo Fabroni.
A Marzo 2023 è stata pubblicata la sua traduzione del libro “Deep Listening – La pratica sonora di una compositrice” di Pauline Oliveros per la casa editrice Timeo e nel Dicembre 2023 è seguita la pubblicazione di “Quantum Listening” di Pauline Oliveros, di cui ha curato anche la prefazione.

Ingresso incluso nel biglietto di mostra.

(cs in allegato)

 

Domenica 23 febbraio ore 10.30

IMPRESSIONI DI COLORE

GAM – Attività per le famiglie

Bambini 3-5 anni

In occasione della mostra “Berthe Morisot. Pittrice impressionista”, la GAM propone un percorso che celebra la storia dell’unica donna tra i fondatori dell’Impressionismo.

Durante il percorso di visita I bambini verranno accompagnati tra le tele dell’artista che, attraverso l’uso sapiente di pennellate brillanti, trasmettono atmosfere vibranti e cromaticamente intense.

In laboratorio il colore diventerà materia da plasmare e attraverso una vera azione di manipolazione, darà vita a una esplorazione creativa.

Grazie alla collaborazione tra la Fondazione Torino Musei e Biraghi al termine dell’attività sarà offerta la merenda a tutti i partecipanti.

Costo bambini: 8 € (biglietto d’ingresso al museo gratuito)

Costo adulti accompagnatori: biglietto d’ingresso alla mostra ridotto, ingresso gratuito ai possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte e Valle d’Aosta

Informazioni e prenotazioni: 0115211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

Prenotazione obbligatoria e pagamento online entro il venerdi alle ore 18

Domenica 23 febbraio 2025, ore 15

I GIARDINI DI BERTHE

GAM – Attività per le famiglie

Bambini dai 6 anni in su

La visita alla mostra dedicata a Berthe Morisot permetterà ai bambini di scoprire una delle poche artiste legate all’impressionismo, che amava dipingere “en plein air” persone, paesaggi e momenti di vita quotidiana catturando con la sua pennellata luci e atmosfere uniche.

I suoi giardini saranno il punto di partenza per un’attività di laboratorio pittorico nello spazio dell’Educational Area, dove i partecipanti potranno creare colorate composizioni a colpi di pennello.

Grazie alla collaborazione tra la Fondazione Torino Musei e Biraghi al termine dell’attività sarà offerta la merenda a tutti i partecipanti.

Costo bambini: 8 € (biglietto d’ingresso alla mostra ridotto)

Costo adulti accompagnatori: biglietto d’ingresso alla mostra ridotto, ingresso gratuito ai possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte e Valle d’Aosta

Informazioni e prenotazioni: 0115211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

Prenotazione obbligatoria e pagamento online entro il venerdi alle ore 18

 

 

LUNEDI 24 FEBBRAIO

 

Lunedì 24 febbraio ore 17

IL PROGETTO LEVINET: I CARTEGGI TEDESCHI DI PRIMO LEVI

Palazzo Madama – conferenza nell’ambito della mostra Giro di posta

Intervengono Martina Mengoni, Alice Gardoncini, Camilla Veneziani.

Quando Se questo è un uomo esce in una nuova edizione per Einaudi nel 1958, Primo Levi viene a sapere che un editore tedesco vuole tradurlo. Finalmente, il libro sarà letto dai tedeschi, dagli ex aguzzini, dai loro figli e figlie. Sul principio degli anni sessanta, Levi comincia a ricevere lettere dai suoi lettori tedeschi e germanofoni: nascono scambi, amicizie, vere e proprie reti di corrispondenza. Come raccontare Auschwitz per immaginare una nuova Europa? E come farlo in un’Europa già divisa in due blocchi? È possibile parlare con i tedeschi che ad Auschwitz stavano «dall’altra parte»? Lo straordinario carteggio tedesco di Primo Levi emerge per la prima volta grazie al progetto ERC Starting Grant LeviNeT, che sta costruendo un’edizione on line ad accesso libero in italiano e in inglese di queste lettere. Uno spaccato di storia culturale europea visto attraverso gli occhi di uno dei maggiori scrittori del novecento italiano.

Ingresso libero.

MERCOLEDI 26 FEBBRAIO

Mercoledì 26 febbraio
BIANCO AL FEMMINILE
Palazzo Madama – apre il nuovo riallestimento collezioni tessuti

In occasione del riallestimento della Sala Tessutimercoledì 26 febbraio 2025 Palazzo Madama presenta un’esposizione che racconta la stretta connessionemateriale e simbolica, che lega il bianco, il colore naturale della seta e del lino, alla donna.

Attraverso una ricca selezione di cinquanta manufatti tessili, di cui sei restaurati in occasione di questa occasione quattordici esposti per la prima volta, la curatrice Paola Ruffino tesse il filo di una storia secolare che passa per ricami minuti, intricati merletti e arriva al più iconico degli indumenti femminili di colore bianco: l’abito da sposa.

Ingresso incluso nel biglietto delle collezioni.

 

Mercoledì 26 febbraio ore 15.30-17.30

L’ARTE DELLA POTATURA

Palazzo Madama – appuntamento dedicato al giardinaggio nel Giardino Botanico

Rose e frutti, siepi e rampicanti: dare forma alle piante che ci circondano è un modo per mantenerle in salute e rendere più equilibrato il giardino. Nella parte teorica si discuterà delle motivazioni e delle scelte che portano a potare le piante, nella parte pratica si eseguiranno delle dimostrazioni dei tagli corretti sulle piante del giardino.

Costi: 5 € Ingresso giardino (gratuito abbonamento musei) + 5€ ogni incontro

Info e prenotazioni: tel. 011 4429629; e- mail: madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

Prenotazione consigliata

GIOVEDI 27 FEBBRAIO

 

Giovedì 27 febbraio ore 20:30

CONCERTO IN MEMORIA DI PRIMO LEVI – DON’T FORGET ABOUT THAT

Palazzo Madama – concerto di Sira Hernandez nell’ambito della mostra Giro di posta

Il concerto si svolge nella Sala Concerti del Conservatorio “Giuseppe Verdi”

Musica e interprete: Sira Hernandez

«L’intera composizione è molto complessa e può essere letta in modi diversi. La struttura semplice su cui si basa, con un’alternanza di accordi angosciati e ossessivi che si ripetono come solidi blocchi e la sottile e dolce melodia che si insinua in questo cupo sottofondo, suggerisce che anche nelle immagini più dolorose c’è e può esserci serenità e speranza, nonostante tutto» (Enrico Fubini)

Sira Hernández è considerata una pianista tra le più brillanti del panorama contemporaneo spagnolo. Nata a Barcellona, ha studiato musica presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino sotto la guida del Maestro Remo Remoli e successivamente di Felice Quaranta. Ritornata a Barcellona ha perfezionato i suoi studi presso l’Accademia Marshall, ricevendo lezioni dalla grande pianista Alicia de Larrocha. Sira Hernández è conosciuta come una grande pianista, tuttavia la sua intensa attività non si è limitata all’esecuzione ma ha felicemente toccato anche il campo della composizione.

Ingresso libero.

 


Theatrum Sabaudiae
 propone visite guidate in museo
alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO.
Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html

Re Umberto I, il conservatore che abolì la pena di morte

Alla scoperta dei monumenti di Torino / Prese parte alla Seconda Guerra d’Indipendenza, distinguendosi nella battaglia di Solferino del 1859.Il 9 gennaio del 1878, alla morte del padre, salì sul trono italiano con il nome di Umberto I e con il nome di Umberto IV su quello sabaudo, dal momento che suo padre aveva stabilito, malgrado l’unità nazionale, il prosieguo della tradizione nominale sul trono sabaudo

Nel piazzale, davanti alla Basilica di Superga, si innalza imponente il monumento dedicato al Re Umberto I di Savoia. Su un basamento di marmo si erge un Allobrogo, guerriero capostipite dei piemontesi, con indosso un elmo alato, lunghe trecce, ascia e corno di guerra. Il guerriero tiene un braccio levato mentre con l’altro punta una spada sulla corona ferrea circondata dalle palme del martirio, in segno di fedeltà e con accanto uno scudo sabaudo lambito da due serpenti, simboli rispettivamente della dinastia reale e del tempo. Alle spalle del guerriero si trova un’ alta colonna corinzia di granito, il cui capitello in bronzo si prolunga in una figura d’aquila imperiosa ad ali spiegate, trafitta da una freccia; allegoria del re assassinato.

 

Umberto I nacque il 14 marzo 1844 a Torino, precisamente a Palazzo Moncalieri, da Vittorio Emanuele II (allora duca di Savoia ed erede al trono sabaudo) e da Maria Adelaide d’ Austria. Ebbe, come da tradizione sabauda, un’educazione essenzialmente militare e nel marzo del 1858 intrapreseproprio la carriera militare, cominciando con il rango di capitano; successivamente prese parte alla Seconda Guerra d’Indipendenza, distinguendosi nella battaglia di Solferino del 1859.Il 9 gennaio del 1878, alla morte del padre, salì sul trono italiano con il nome di Umberto I e con il nome di Umberto IV su quello sabaudo, dal momento che suo padre aveva stabilito, malgrado l’unità nazionale, il prosieguo della tradizione nominale sul trono sabaudo.

Assunse, sul fronte della politica interna, una posizione rigida e autoritaria soprattutto in senso anti-parlamentare: le insurrezioni e i moti, come quelli dei Fasci dei Lavoratori in Sicilia e l’insurrezione della Lunigiana (1894), che minacciavano l’ordine interno e l’unità stessa dell’Italia, lo portarono a firmare provvedimenti come ad esempio lo Stato d’Assedio. A seguito di questi e di altri gravi avvenimenti, si procedette, ad opera del governo Crispi,allo scioglimento del Partito Socialista, delle Camere del Lavoro e delle Leghe Operaie. Il suo regno fu contrassegnato da opinioni e sentimenti opposti, infatti se da alcuni venne elogiato per per il suo atteggiamento dimostrato nel fronteggiare sciagure come l’epidemia di colera a Napoli del1884 ( si prodigò personalmente nei soccorsi), o ad esempio per la promulgazione del cosiddetto codice Zanardelli che portò all’abolizione della pena di morte, da altri fu aspramente avversato per il suo duro conservatorismo. Fu aspramente criticato dall’opposizione anarchico-socialista e repubblicana italiana, soprattutto per la decorazione del generale Fiorenzo Bava-Beccaris che fece uso dei cannoni contro la folla a Milano per disperdere, il 7 maggio 1898, i partecipanti alle manifestazioni di protesta scatenate dalla tassa sul macinato. Dopo esser sfuggito a due attentati, Umberto I venne ucciso a Monza il 29 luglio del 1900, per mano dell’anarchico Gaetano Bresci.

A pochi mesi di distanza dall’attentato di Monza, il vice-presidente dell’Unione Artisti ed Industriali di Torino, Alessio Capello, propose l’erezione di un monumento in memoria di Umberto I, con l’idea di farlo sorgere sul colle di Superga, presso le tombe degli avi di Casa Savoia. L’assemblea dell’Unione Artisti ed Industriali, presieduta da Giacomo Rava, acconsentì all’ iniziativa e venne immediatamente costituito un Comitato esecutivo che aprì una sottoscrizione e raccolse, nel giro di pochissimo tempo, una somma di 15.000 lire provenienti da oltre ottanta comuni piemontesi e da circa cento Associazioni. L’incarico di scolpire il monumento fu affidato allo scultore Tancredi Pozzi che concluse l’opera in poco più di un anno dall’approvazione del progetto. L’inaugurazione avvenne l’ 8 maggio del 1902 alla presenza del sindaco di Torino Severino Casana, del presidente del Comitato esecutivo Alberini e del canonico Amedeo Bonnet, prefetto della Basilica di Superga, che prese in custodia il monumento per conto della Casa Reale. 

 Simona Pili Stella

 

Foto Xavier Caré / Wikimedia Commons

A Bardonecchia la mostra “I sussurri del colore”di Elena Giannuzzo

Volti, bolle, schizzi di natura e, soprattutto tanto colore. È stata inaugurata, oggi, al Palazzo delle Feste di Bardonecchia, nell’ambito della rassegna “Scena Arte 1312”, la mostra di pittura “I sussurri del colore”, che presenta le opere della torinese Elena Giannuzzo.

La mostra racconta, attraverso opere di varie dimensioni – dai piccoli formati di 10×15 cm fino alle grandi tele di 120×120 cm – il percorso di una ricerca, un viaggio attraverso il colore alla scoperta di “qualcosa “.

Si parte dall’essenzialità del nero e del blu, per poi aprirsi gradualmente a una gamma cromatica sempre più ampia e a spazi più vasti. “Il colore – spiega l’artista – diventa così strumento di esplorazione, fino a sfiorare il figurativo: volti accennati emergono sulla tela, evocando uno sguardo femminile che interroga la coscienza”. Questo percorso trova il suo culmine in “Ernestina”, una sorta di autoritratto intimo che racchiude il senso profondo della ricerca.

La mostra sarà visitabile fino al prossimo 5 marzo.

 

Camera, in mostra ‘Henri Cartier Bresson e l’Italia’ e il torinese Riccardo Moncalvo

 

Dopo il successo delle mostre dedicate a due grandi maestri della fotografia italiana e internazionale come Tina Modotti e Mimmo Jodice,  Camera inaugura il periodo espositivo 2025 con le mostre dedicate a ‘Henri Cartier Bresson  e l’Italia’ e “Riccardo Moncalvo. Fotografie 1932-1990”. 

La mostra su Henri Bresson, ‘l’occhio del secolo’, è  curata da Clément Chéroux e Walter Guadagnini in collaborazione con la Fondation Henri Cartier Bresson e propone un racconto dedicato al legame tra il fotografo francese e l’Italia, uno dei Paesi da lui più frequentati e amati. L’esposizione è scandita cronologicamente dai viaggi del fotografo attraverso il territorio, da Nord a Sud , dall’effervescenza che il paesaggio, soprattutto umano, è stata in grado di trasmettergli e dalla ricchezza delle testimonianze documentali, tra giornali, riviste e libri, capaci di raccontare le tappe del rapporto del maestro con l’Italia.

L’esposizione,  promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, presenta160 immagini che si focalizzano su alcuni temi e periodi centrali della carriera del fotoreporter a partire dagli anni Trenta. È  proprio nel corso di questo primo viaggio che il fotografo, ancora giovanissimo, acquisisce nuove consapevolezze sulla sua carriera e definisce la cifra stilistica che lo renderà riconoscibile  in tutto il mondo.

Nato nel 1908 da una famiglia benestante, dopo aver studiato pittura con André Lhote si introduce nel circolo surrealista parigino e nel 1932 visita per la prima volta l’Italia. Nonostante sia all’inizio della sua carriera, è in quel periodo che definisce alcune tematiche che caratterizzeranno tutta la sua successiva produzione artistica, come la straordinaria gestione dello spazio immagine, il rapporto tra realtà e invenzione e la capacità di cogliere l’istante, in particolare all’interno di alcuni paesaggi urbani si nota un processo di geometrizzazione del reale che è testimonianza di un suo uso mentale della macchina fotografica. 

Dopo aver fondato con Robert Capa, David Chim Seymour, George Rodger e William Vandivert l’agenzia Magnum Photos nel 1947, il fotografo torna in Italia nel 1951, in un Paese profondamente cambiato , reduce dalla sconfitta della seconda guerra mondiale e in corso di ricostruzione. In qualità di fotoreporter realizza servizi per diverse testate internazionali concentrandosi soprattutto su Roma e sul Sud Italia, due luoghi che presentano caratteristiche sociali e visive ben riconoscibili. Questi scatti documentano il disagio e le criticità del contesto sociale meridionale e le novità introdotte dalla riforma agraria.

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta  Cartier Bresson lavora a numerosi servizi sulle città di Roma, Napoli e Venezia, nei quali ai può apprezzare la sua capacità  di interpretare la vita quotidiana delle città e dei loro abitanti, dall’altro la sua abilità di ritrattista anche degli intellettuali del tempo, come Pier Paolo Pasolini, Roberto Rossellini, Giorgio De Chirico.

L’ultimo periodo italiano risale agli anni Settanta, poco prima di allontanarsi dalla fotografia professionale, quando il fotografo si focalizza sul rapporto tra uomo e macchina e sull’industrializzazione,  in particolare del Sud Italia.

La mostra si chiude idealmente con il ritorno a Matera per raccontare, negli stessi luoghi fotografati vent’anni prima, la nuova realtà che avanza con la modernità,  rimanendo comunque imprescindibilmente legata alla realtà locale.

La Project Room di Camera, fino al 6 aprile prossimo, ospita l’esposizione dedicata a ‘Riccardo Moncalvo. Fotografie 1932-1990’ a cura di Barbara Bergaglio. L’importante fotografo torinese inizia ad approcciarsi al mezzo fotografico appena tredicenne, seguendo le orme paterne. Moncalvo lavora sin da subito a fianco delle massime istituzioni culturali torinesi, il Museo Egizio, l’Armeria Reale, ma anche  a fianco di realtà industriali come Fiat, Pininfarina e Recchi.

Si tratta di attività commissionate, che permettono di instaurare un forte legame con il territorio rendendolo testimone di cambiamenti urbani e sociali. Il fotografo torinese sviluppa, così,  un “linguaggio autonomo” con una particolare sensibilità per la modernità, che lo porta negli scatti tra fine anni Trenta e fine anni Quaranta ad accostarsi al linguaggio della Nuova Visione.

A questa attività Moncalvo affianca quella della ritrattistica che lo vede immortalare momenti privati e pubblici di tante famiglie torinesi dell’aristocrazia e della grande borghesia.

Il riconoscimento internazionale arriva negli anni Cinquanta, quando viene selezionato dall’Agfa- Gevaert per apprendere il nuovo metodo di stampa a colori: da lì seguirà l’adozione delle pellicole negativo/positivo, della ferraniacolor arrivando nel 1958 a essere il primo in Italia autorizzato da Kodak all’uso delle sue pellicole.

La mostra di Camera raccoglie cinquanta stampe vintage, in bianco e nero e a colori, provenienti dall’Archivio Riccardo Moncalvo e altri materiali originali provenienti da collezioni private, che ripercorrono quasi sessanta anni di carriera.

In occasione dei Giochi Mondiali invernali Special Olympics Torino n. 2025 una sezione della  mostra sarà ospitata a Sestrieres: venti scatti iconici di Riccardo Moncalvo racconteranno le evoluzioni del campione di sci alpino Leo Gasperl.

Camera, Centro Italiano per la Fotografia 

Via delle Rosine 18

Henri Cartier Bresson e l’Italia dal 14 febbraio al 2 giugno 2025

Riccardo Moncalvo Fotografie 1932-1990  dal 14 febbraio al 6 aprile 2025

Mara   Martellotta