A cura di Davide Quadrio e Stefania Stafutti dal 9 settembre al 2 ottobre 2022
“In Occidente l’immaginario visivo della Cina era, come un po’ ancora oggi, quello del già defunto Mao e della già conclusa Rivoluzione Culturale. Figlio dei miei tempi e allenato com’ero a cercare oltre gli stereotipi anche in patria, fotografavo una Cina non vista e, quel che è peggio, nemmeno immaginata, quindi invisibile. Le cose già viste soddisfano, consolano, hanno a che fare con la memoria mentre il non visto è secco, scostante, refrattario, a volte antipatico. La Cina mi si presentava come uno straordinario bazar di oggetti, scene e comportamenti non omologati tra i nostri cliché culturali. Per me era irresistibile: gli oggetti in vista, la totale mancanza di privacy, le attività umane messe in scena su un palcoscenico sempre aperto, il paradiso del fotografo”.
Andrea Cavazzuti
Il MAO Museo d’Arte Orientale è lieto di ospitare la mostra fotografica “稍息 Riposo! Cina 1981-84. Fotografie di Andrea Cavazzuti”, promossa dall’Istituto Confucio dell’Università di Torino, a cura di Davide Quadrio e Stefania Stafutti, dal 9 settembre al 2 ottobre 2022, in via San Domenico 11 a Torino.
Il progetto espositivo inaugura una nuova fase di collaborazione fra il Museo e l’Università di Torino, che coinvolgerà in particolare le discipline di studio sull’Asia, con un ampio ventaglio di proposte culturali e formative.
“La fotografia, meglio di altri strumenti, restituisce il clima della Cina di quegli anni: un paese ancora povero, ma affacciato su un futuro denso di speranza e animato da un entusiasmo che fa di quel periodo uno dei momenti più interessanti e, a mio avviso, più belli della storia recente di questo complesso paese”, commenta Stefania Stafutti, direttrice di parte italiana dell’Istituto Confucio dell’Università di Torino e docente ordinaria di Lingua e Letteratura cinese del Dipartimento di Studi Umanistici.
Al MAO saranno esposte oltre 70 immagini in bianco e nero, scattate in Cina fra l’81 e l’84, che dialogherannoper l’occasione con alcune opere delle collezioni museali, per leggere l’opera di Cavazzuti e comprendere una Cina che sta scomparendo.
Andrea Cavazzuti vive e lavora da più di trent’anni in Cina, dove approdò nel 1981.
Il titolo dell’esposizione, “稍息 Riposo!”, è un riferimento agli anni di passaggio tra un periodo drammatico e l’avvio della rincorsa alla modernità attuale. Le sue immagini hanno seguito e immortalato la Cina e i suoi giganteschi cambiamenti dagli anni Ottanta a oggi, costituendo una testimonianza preziosa oltre che un’opera affascinante e corposa.
Con sguardo nitido, poetico e senso dell’umorismo, Andrea Cavazzuti cristallizza in queste immagini una Cina che non esiste forse più, ma che è indispensabile conoscere per comprendere la storia e la personalità del colosso mondiale di oggi. Il suo sguardo è quello di uno straniero senza arroganza: la nostalgia gratuita è messa al bando, così come la trita ricerca dell’esotico. L’occhio di Cavazzutti coglie bellezza, comicità, fascino e stranezze con la freschezza del primo incontro. Le opere esposte, influenzate dalla forza della fotografia italiana di quegli anni, dimostrano però di trovare anche una strada del tutto personale.
La mostra è completata dalla proiezione di tre film:
Nati a Pechino, di Olivo Barbieri, Andrea Cavazzuti e Daria Menozzi, 1995, italiano, 21′: un breve ritratto di alcuni artisti nella Pechino dei primi anni ‘90, che poisarebbero diventati le star dell’arte contemporanea cinese.
Bambini (Fictional Kids), di Andrea Cavazzuti, 2000, 27′: un montaggio di scene di strada coi bambini come protagonisti in varie parti della Cina durante gli anni ‘90, accompagnato dalle colonne sonore di famosissimi film occidentali del secolo scorso.
The Warehouse, titolo originale 臆想仓库, di Andrea Cavazzuti, 2018, cinese sottotitolato in italiano, 28′: video realizzato per la mostra omonima, curata da Lu Yue 卢悦 e Da Shi 大石, tenutasi al CHAO di Pechino nel 2018. Responsabile artistico Yang Jun 杨君. Un gruppo di artisti, perlopiù giovani, si è cimentato nel creare opere per un grande magazzino dei pensieri e delle fantasie più recondite.
Sabato 1 ottobre ore 16
IL PRIMO INCONTRO CON LA CINA. Andrea Cavazzuti e Olivo Barbieri in dialogo.
Modera Stefania Stafutti, Università degli Studi di Torino.
Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili.
L’accesso all’esposizione sarà consentito con il titolo d’ingresso al Museo, senza nessun ulteriore costo di biglietto mostra.


Una cinquantina sono invece le opere esposte a firma di Ketty La Rocca, artista (prematuramente scomparsa, fra i maggiori esponenti della “poesia visiva”) in una personale curata da Raffaella Perna e Monica Poggi, in cui si pone in chiara evidenza il bisogno e la volontà dell’artista spezzina di fare della sua arte un banco di indagine relativamente al rapporto fra fotografia e parola, gesto e linguaggio. Attraverso una rielaborazione di immagini iconiche, intrecciate alla scrittura (ricorrente il suo “you”), come quella che ritrae Fidel Castro, o le cartoline dell’“Archivio Alinari”, l’artista reinterpreta con la propria calligrafia la storia della fotografia del Novecento in chiave del tutto personale. Interessante anche il mito del viaggio, capovolto in chiave ironica con i cartelli stradali della performance “Approdo”, in una commistione fra arte e vita. Che diventa appunto il suo “fotovivere”.


Un bel regalo per il suo decennale. Dopo il “Pala Alpitour” e la “Caserma” di via Asti, “Flashback Art Fair” (la Fiera dove “l’arte è tutta contemporanea”, come da sempre recita il suo claim) spegnerà infatti, quest’anno, le sue prime dieci candeline inaugurando un nuovo importante spazio nel quartiere di Borgo Crimea, in corso Giovanni Lanza al civico 75, a Torino, in quella che nell’Ottocento fu la villa del noto banchiere Luigi Marsaglia e che, dal 3 al 6 novembre prossimi, ospiterà l’attesa “Fiera d’Arte” diretta da Ginevra Pucci e Stefania Poddighe ma che, fra i suoi obiettivi, vanta anche quello ben preciso – e assai importante – di tenere le porte aperte tutto l’anno. “Flashback Habitat, Ecosistema per le Culture Contemporanee”: questo il progetto e il nome (per esteso) della nuova location, sede delle attività dell’“Associazione Flashback”, un grande hub culturale, nato con l’obiettivo di dare nuova vita a un immobile inutilizzato, che oggi rinasce grazie allo strumento urbanistico dell’uso temporaneo deliberato dal Comune di Torino e a un accordo stipulato da “Flashback” con il “Gruppo Cassa Depositi e Prestiti”, cui appartiene l’intera area. Sotto la direzione artistica di Alessandro Bulgini (artista di origini tarantine ma torinese d’adozione ed ideatore del progetto “Opera Viva Barriera di Milano”) “Habitat” concretizza l’intento di “far entrare l’arte – afferma Bulgini – nella quotidianità di ciascuno di noi e di ridare vita a quanto è stato dimenticato, trascurato, siano esse opere, luoghi o persone”. L’idea è da sposare, ma non semplice. Non semplice, poiché innesca un processo di rinnovamento urbano in Borgo Crimea che ha l’obiettivo di rigenerare più di 20mila metri quadri di spazio attualmente in disuso dato in concessione all’Associazione e immerso in una grande e area verde, dalle enormi potenzialità espositive. Cui, a partire dagli anni Venti, si sono aggregati altri quattro edifici che hanno ospitato l’ “Istituto Provinciale per l’Infanzia e la Maternità (IPI)” e successivamente la sede della “Provincia di Torino”. “Borgo Crimea – sottolineano Ginevra Pucci e Stefania Poddighe – è un quartiere nato con un’anima duplice, da un lato la collina dall’altro il fiume Po, da un lato le proprietà nobiliari dall’altro l’attività dei lavandai, un quartiere dove la natura conserva ancora un importante ruolo di spartiacque”. E dove appaiono ancor oggi necessari interventi di aggregazione sociale che proprio attraverso seri e coraggiosi progetti di attività culturali possano arrivare ad acchiappare lo scopo. “Il termine ‘habitat’ indica il posto – ancora Bulgini – dove ‘abitiamo’, dove viviamo e cresciamo, quel luogo inserito in un ecosistema dove interagiamo tra di noi e l’ambiente che ci circonda; ‘Flashback Habitat’ vuole essere proprio quell’ambiente dedicato all’arte e alla cultura dove sviluppiamo la nostra creatività e troviamo quel nutrimento essenziale per l’anima, un luogo parte di un ecosistema aperto, proteso verso le relazioni, uno spazio sia espositivo che di formazione con studi, laboratori, sale di consultazione e di produzione, perché è proprio attraverso la multidisciplinarietà che si crea un luogo dove fruire dei contenuti, crearne e imparare, dove incontrarsi, discutere e far vibrare energie creative, anche dedicando un’area all’incontro, alla ristorazione e all’acquisto e consultazione di libri”. “Flashback si riafferma quindi – conclude – come un format innovativo anche nella scelta della sede, concentrandosi sulla capacità di guardare a ciò che già esiste, a ciò che è stato trascurato per ribadirne l’esistenza e la forza, esportando lo stesso modus operandi che è stato il tratto distintivo sia della fiera d’arte antica e moderna che delle attività nelle periferie”. E mentre si lavora alla sistemazione del nuovo quartier generale di corso Lanza, in attesa del via alla “Fiera” (il 3 novembre prossimo), si tirano le somme certamente positive degli ultimi anni, con il numero dei visitatori arrivato ad oltre 18mila nel 2021 e il numero degli espositori che quest’anno toccano quota 50 adesioni. Il che, ancora una volta, consolida l’evento come un “unicum” nel panorama italiano delle fiere d’arte.
A presentazione della mostra, le parole illuminanti (che ben introducono al complessivo significato dell’esposizione) dello scrittore e poeta americano John Updike: “L’arte moderna è una religione assemblata con i frammenti delle nostre vite quotidiane”. Parole lucide pur nella loro voluta complessità, sulla scorta delle quali possiamo addentrarci con maggiore serenità negli spazi ospitanti, fino al prossimo 18 settembre, le grandiose sculture (alcune superano i tre metri d’altezza) in acciaio a specchio lucidato a mano collocate ai 1.159 metri di altitudine del complesso monumentale (sito UNESCO) del Santuario di Oropa. Creature d’arte piena che raccontano quelle “pieghe dell’anima” (come suggerisce il titolo) che quotidianamente ci portano a ragionare sul senso mistico del Creato, sui sottintesi, i dubbi, le paure che “piegano” la linearità dei nostri giorni: “espressione fisica del cambiamento, del movimento, della vita”. Così racconta lo stesso artista, Daniele Basso. Origini moncalieresi ma assolutamente biellese d’adozione (palmarés di tutto rispetto, tre Biennali di Venezia, mostre in Italia e all’estero, opere in alcune delle più importanti istituzioni museali, pubbliche e private, internazionali), Basso presenta a Oropa nove opere, in un percorso (curato da Irene Finiguerra) che coinvolge prevalentemente lo spazio esterno al Santuario, ma anche altre parti della struttura aperte al pubblico proprio in occasione della mostra. Rassegna che ci pone di fronte a cifre stilistiche di convinta e meditata contemporaneità – artigiana e singolare in quei lavori in metallo lucidato a specchio – in dialogo con la solenne sacralità del luogo, circondato dall’anfiteatro naturale delle montagne: l’effetto e il contrasto seducono. Fin dall’entrata al Santuario Mariano.
Posizionati nel piazzale basso e in quello antistante la Basilica Superiore, ecco “Boogyeman” (la paura – “L’uomo nero” delle favole) affrontato da “Ikaros” (il coraggio, l’aspirazione al volo): metafore fra le debolezze e le aspirazioni di ognuno, “le due sculture definiscono l’intero percorso della mostra come alfa e omega, principio e fine di questo viaggio”. Opere di grande, industriale maestria. In cui la materia si piega a giochi figurali di imponente surreale creatività (Henry Moore docet?) perennemente in bilico fra casualità ed intelletto. L’iter prosegue nella Basilica Antica, con il blu“Cristo Ritorto”, di plastica lineare bellezza, mentre sotto al colonnato, mirabile è il falco “Achill” dal “mistico volo”, che per certi versi e con uno sforzo di fantasia, che pure non mi pare del tutto fuori luogo, ci riporta alla celebre “Maiastra”, l’uccello mitico ossessione di Constantin Brancusi, senza però concedersi alla pura essenzialità della forma raggiunta invece dall’artista rumeno. La realtà non cede ancora il passo all’astrazione. Che invece troviamo abbozzata nelle opere “Frame” allocate nella Biblioteca, aperta al pubblico in occasione della mostra; opere volutamente incompiute (fra cui una versione in acciaio della “Venere di Milo”) che ci obbligano ad un processo di astrazione e fantasia creativa per dare forma completa alle immagini.
Da segnalare anche il “Re Leone” e la “Blue Vierge” nelle stanze del “Museo dei Tesori” e nella “Manica di Sant’Eusebio”, espressione di (vera?) “regalità e potere” il primo e reinterpretazione dell’“ex-voto” come sentimento potente di riconoscenza, la seconda. In un continuo variegare di forme “specchianti” che sono “riflessioni sulla contemporaneità”, dal Santuario la mostra di Basso scende nella città di Biella, dove prosegue in varie sedi: nel “Palazzo del Governo” (Prefettura) con l’esposizione di “Bimbo Faber” (omaggio al mondo dell’eccellenza artigiana e industriale italiana), in “Biblioteca Civica” e presso il “Museo del Territorio Biellese” con le opere “Aureo” e “Aureo jr” (realizzate nel 2016 quale simbolo di “Officina della Scrittura-Museo del Segno e della Scrittura” di Torino). Nel cortile interno di “Palazzo Ferrero” e in “Palazzo Gromo Losa”, la rassegna si chiude con l’opera di straordinario vigore plastico “Hic Sunt Leones”, mai esposta prima, così come le opere della serie “Ironman Frame”, ispirate al supereroe della “Marvel Comics”.


