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Clinica dentale Cappellin, prima Società Benefit odontoiatrica

La prima  in Italia, inaugura la sua nuova sede torinese al 12° piano di Palazzo Lancia, con 8 unità operative su oltre 500mq di superficie.

Nel cuore della città sabauda, apre un nuovo centro di riferimento di eccellenza, guidato dal prof. Mario R. Cappellin, dove professionisti si avvalgono delle tecnologie più innovative e all’avanguardia. Il team di lavoro della Clinica può contare oggi su oltre 60 professionisti che lavorano da oltre 12 anni nella sede di Pinerolo (oltre 1.200mq di superficie su quattro piani, con 14 unità operative e un laboratorio in esclusiva con le migliori tecnologie digitali).

La filosofia aziendale è caratterizzata da investimenti costanti per favorire una crescita delle risorse umane, non solo mediante una formazione tecnica che tenda all’eccellenza, ma soprattutto nel creare le condizioni affinché portare il proprio personale contributo di valore per il benessere dell’intero team.

La Clinica dentale Cappellin non è solo un’eccellenza nel campo dell’odontoiatria, è una società Benefit, la prima in Italia del settore. A differenza di una normale società a fine di lucro lo scopo ultimo di una Società benefit non è esclusivamente il profitto, bensì il benessere di chi ne fa parte e ne riceve i servizi: il guadagno non è più il fine della società stessa, ma un mezzo per raggiungere fini sociali, in un delicato e armonico equilibrio fra un’attività economica imprenditoriale e una positiva ricaduta sociale sui dipendenti, sugli utenti e sulla comunità in cui l’azienda è inserita.

Al supermercato per rubare con cappotto, occhiali da sole e cappellino

Effettua un furto ma viene scoperta: arrestata dalla Polizia di Stato

E’ entrata lo scorso venerdì pomeriggio all’interno di un supermercato di via della Robbia, calzando un cappellino di paglia, degli occhiali da sole, la mascherina e un cappotto: Gli addetti dell’esercizio commerciale vedevano la donna prelevare alcuni prodotti dagli scaffali e nasconderli sotto il lungo cappotto; dopodiché, oltrepassava le casse e spostava un espositore piazzandolo dietro di sé al fine di garantirsi la fuga più agevolmente.  Una dipendente del supermercato riusciva, però, a raggiungerla e la invitava a riconsegnare la merce sottratta. La donna, per tutta risposta, dopo aver gettato gli oggetti all’interno di un bidone, la graffiava alle braccia e la spintonava. Un secondo dipendente riusciva a seguire la rea mettendosi in contatto con le forze dell’ordine. Personale della Polizia di Stato della Squadra Volante e del Comm.to San Paolo intercettava la donna in corso Francia angolo Brunelleschi e la fermava. Si tratta di una trentaduenne di nazionalità francese; è stata arrestata per tentata rapina.

Cerca di rubare giubbotto e cappellino: arrestato

È accaduto venerdì pomeriggio, intorno alle 16.30, quando gli agenti della Squadra Volante sono intervenuti alla Rinascente di via Lagrange dopo che un cittadino cinese di 57 anni era stato fermato da personale dell’attività commerciale.

L’uomo era stato notato occultare sotto ai propri indumenti un giubbotto smanicato e un cappellino. Tuttavia, nonostante lo straniero avesse eliminato le etichette e una placca antitaccheggio, superate le colonnine il sistema dei sensori sonori si era attivato, fatto che aveva portato gli addetti alla sicurezza a fermarlo. L’uomo è stato poi arrestato per tentato furto aggravato

Oggi al cinema. Le trame dei film nelle sale di Torino

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A cura di Elio Rabbione

Anatomia di una caduta – Drammatico/thriller. Regia di Justine Triet, con Sandra Hüller. Sandra, Samuel e il loro figlio ipovedente Daniel vivono da un anno in una remota località di montagna. Quando Samuel viene trovato morto fuori casa, viene aperta un’indagine per morte in circostanze sospette. Sandra è incriminata: è stato un suicidio o un omicidio? Un anno dopo Daniel assiste al processo della madre, una vera e propria dissezione del rapporto tra i genitori. Palma d’oro a Cannes. Film capolavoro, assolutamente da non perdere. Designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani con la motivazione: “Justine Triet capovolge le dinamiche di genere e di potere all’interno di una coppia, utilizzando i meccanismi della detection e del courtroom drama per raccontare la difficoltà contemporanea nel ritarare i rapporti fra uomini e donne, impantanati in narcisismi e interpretazioni contrastanti della realtà, rancori, rivendicazioni e mal digerite rinunce. Qui niente è come sembra e niente è chiaramente visibile, o interpretabile. Con una Sandra Hüller in stato di grazia.” Durata 150 minuti. (Nazionale sala 3 anche V.O. e sala 4)

C’è ancora domani – Commedia drammatica. Di e con Paola Cortellesi, con Valerio Mastandrea, Emanuela Fanelli, Vinicio Marchioni e Giorgio Colangeli. Delia è la moglie di Ivano, la madre di tre figli. Moglie e madre. Questi sono i ruoli che la definiscono e questo le basta. Siamo nella seconda metà degli anno Quaranta e questa famiglia qualunque vive in una Roma divisa tra la spinta positiva della liberazione e le miserie della guerra da poco alle spalle. Ivano è capo supremo e padrone della famiglia, lavora duro per portare i pochi soldi a casa e non perde occasione per sottolinearlo, a volte con toni sprezzanti, altre direttamente con la cinghia. È primavera e tutta la famiglia è in fermento per l’imminente fidanzamento dell’amata primogenita Marcella che, dal canto sui, spera soltanto di sposarsi in fretta con un bravo ragazza di ceto borghese, Giulio, e linerarsi finalmente di quella famiglia imbarazzante. Durata 118 minuti. (Ambrosio sala 2, Classico, Massaua, Due Giardini sala Ombrerosse, Eliseo, Fratelli Marx sala Groucho, Ideal, Lux sala 2, Reposi sala 2, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Cento domeniche – Drammatico. Di e con Antonio Albanese, con Sandra Ceccarelli, Giulia Lazzarini, Bebo Storti e Maurizio Donadoni. Antonio è un operaio a cui sta a cuore il proprio lavoro, che si prodiga con gli altri, anche con quello che vogliono imparare un mestiere. Ha una madre affetta da demenza senile, una ex moglie con cui ha mantenuto uno splendido rapporto, soprattutto una figlia per cui continua a sognare il meglio. Quando la ragazza gli esprime l’intenzione di sposarsi, per Antonio scatta il momento più bello di una vita intera, preparare per lei quel gran ricevimento che entrambi hanno sempre sognato. Ma la cerimonia ha i suoi costi. Ed ecco che allora Antonio va nella banca in cui per anni ha depositato i propri risparmi, per prelevare: ma il direttore gli consiglia al contrario un prestito con una finanziaria per non alleggerire delle azioni che stanno andando veramente bene. Ma la verità non è quella che direttore e impiegati, sempre più impegnati, sempre più sfuggenti, continuano a mettergli sotto il naso. E’ ben diversa e Antonio dovrà affrontarla. Durata 94 minuti. (Ambrosio sala 3, Massaua, Due Giardini sala Ombrerosse, Fratelli Marx, Ideal, Lux sala 1, Reposi sala 4, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

La chimera – Drammatico. Regia di Alice Rohrwacher, con Josh O’Connor, Alba Rohrwacher e Isabella Rossellini. Ognuno insegue la sua chimera, senza mai riuscire ad afferrarla. Per alcuni è il sogno del guadagno facile, per altri la ricerca di un amore ideale… Di ritorno in una piccola città sul mar Tirreno, Arthur ritrova la sua sciagurata banda i tombaroli, ladri di corredi etruschi e di meraviglie archeologiche. Arthur ha un dono che mette al servizio della banda: sente il vuoto. Il vuoto della terra nella quale si trovano le vestigia di un mondo passato. Lo stesso vuoto che ha lasciato in lui il ricordo del suo amore perduto, Beniamina. In un viaggio avventuroso tra vivi e morti, tra boschi e città, tra feste e solitudini, si svolgono i destini intrecciati di questi personaggi, tutti alla ricerca della Chimera. Durata 90 minuti. (Nazionale sala 1)

Comandante – Drammatico. Regia di Edoardo De Angelis, con Pierfrancesco Favino. Salvatore Todaro è al comando del sommergibile Cappellini. Durante laSeconda Guerra Mondiale, nel 1940, mentre perlustra l’Atlantico in cerca del nemico, si imbatte nel Kabalo, un mercantile armato belga. Il Belgio è una nazione neutrale però il battello naviga a luci spente e trasporta aerei inglesi. Scoppia una battaglia in cui Todaro perde uno dei suoi uomini e affonda il mercantile senza pietà. Non è però l’affondamento che fa di lui un eroe consegnato alla memoria eterna. Piuttosto è il salvataggio dei 26 naufraghi, effettuato navigando in emersione per quattro giorni e quattro notti, mettendo a repentaglio la sua vita e quella dei suoi uomini. Il capitano del Kabalo, congedandosi da lui, gli chiede perché si sia esposto ad un tale rischio per loro che al contrario non lo avrebbero mai fatto. Todaro rispose: “Noi siamo italiani”. Durata 92 minuti. (Reposi sala 5, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Napoleon – Storico. Regia di Ridley Scott, con Joaquin Phoenix e Vanessa Kirby. Uno sguardo personale sulle origini del condottiero francese e sulla sua rapida e impetuosa ascesa ad imperatore. La storia è raccontata da Scott attraverso la lente del rapporto dipendente e volatile di Napoleone con la prima moglie Giuseppina, suo unico vero amore. Durata 158 minuti. (Ambrosio sala 1 anche V.O. e sala 2, Massaua, Eliseo, Fratelli Marx, Ideal anche V.O., Lux sala 3, Reposi sala 1, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

The Old Oak – Drammatico. Regia di Ken Loach. Incentrato su un villaggio del nord-est dell’Inghilterra. Dato che le miniere del paesino sono state chiuse, le persone, in particolare i giovani, stanno abbandonando la terra. E’ così che quella che un tempo era una fiorente comunità, si ritrova piena di rabbia, risentimento e senza un briciolo di speranza per il futuro. Le case tornano disponibili e a un prezzo economico, offrendo un posto sicuro ai rifugiati siriani giunti in Gran Bretagna negli ultimi anni. Ma come saranno accolti i siriani dalla gente del posto? E cosa ne sarà di The Old Oak, l’ultimo pub del villaggio? Durata 113 minuti. (Eliseo, Nazionale sala 2 e sala 4 V.O.,

Oggi al cinema. Le trame dei film nelle sale di Torino

A cura di Elio Rabbione

Anatomia di una caduta – Drammatico/thriller. Regia di Justine Triet, con Sandra Hüller. Sandra, Samuel e il loro figlio ipovedente Daniel vivono da un anno in una remota località di montagna. Quando Samuel viene trovato morto fuori casa, viene aperta un’indagine per morte in circostanze sospette. Sandra è incriminata: è stato un suicidio o un omicidio? Un anno dopo Daniel assiste al processo della madre, una vera e propria dissezione del rapporto tra i genitori. Palma d’oro a Cannes. Film capolavoro, assolutamente da non perdere. Designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani con la motivazione: “Justine Triet capovolge le dinamiche di genere e di potere all’interno di una coppia, utilizzando i meccanismi della detection e del courtroom drama per raccontare la difficoltà contemporanea nel ritarare i rapporti fra uomini e donne, impantanati in narcisismi e interpretazioni contrastanti della realtà, rancori, rivendicazioni e mal digerite rinunce. Qui niente è come sembra e niente è chiaramente visibile, o interpretabile. Con una Sandra Hüller in stato di grazia.” Durata 150 minuti. (Nazionale sala 1 anche V.O. e sala 2)

A passo d’uomo – Drammatico. Regia di Denis Imbert, con Jean Dujardin, Josephine Japy e Anny Duperey. Pierre è uno scrittore, ha sempre viaggiato e nei suoi libri sempre ha trasportato le tante considerazioni sui suoi viaggi. Un incidente, una caduta che lo blocca a letto per troppo tempo, lo fa ritornare sui suoi vecchi ricordi e sulla promessa, una volta ristabilito, di compiere una vera impresa. La promessa è di compiere un viaggio attraverso la Francia di oltre 1300 chilometri, percorrendo strade e sentieri sino a quel momento poco battuti. Durata 95 minuti. (Centrale)

C’è ancora domani – Commedia drammatica. Di e con Paola Cortellesi, con Valerio Mastandrea, Emanuela Fanelli, Vinicio Marchioni e Giorgio Colangeli. Delia è la moglie di Ivano, la madre di tre figli. Moglie e madre. Questi sono i ruoli che la definiscono e questo le basta. Siamo nella seconda metà degli anno Quaranta e questa famiglia qualunque vive in una Roma divisa tra la spinta positiva della liberazione e le miserie della guerra da poco alle spalle. Ivano è capo supremo e padrone della famiglia, lavora duro per portare i pochi soldi a casa e non perde occasione per sottolinearlo, a volte con toni sprezzanti, altre direttamente con la cinghia. È primavera e tutta la famiglia è in fermento per l’imminente fidanzamento dell’amata primogenita Marcella che, dal canto sui, spera soltanto di sposarsi in fretta con un bravo ragazza di ceto borghese, Giulio, e linerarsi finalmente di quella famiglia imbarazzante. Durata 118 minuti. (Ambrosio sala 1, Massaua, Due Giardini sala Ombrerosse, Eliseo, Fratelli Marx sala Groucho, Greenwich Village sala 1, Ideal, Lux sala 2, Reposi sala 1, Romano sala 2, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Comandante – Drammatico. Regia di Edoardo De Angelis, con Pierfrancesco Favino. Salvatore Todaro è al comando del sommergibile Cappellini. Durante laSeconda Guerra Mondiale, nel 1940, mentre perlustra l’Atlantico in cerca del nemico, si imbatte nel Kabalo, un mercantile armato belga. Il Belgio è una nazione neutrale però il battello naviga a luci spente e trasporta aerei inglesi. Scoppia una battaglia in cui Todaro perde uno dei suoi uomini e affonda il mercantile senza pietà. Non è però l’affondamento che fa di lui un eroe consegnato alla memoria eterna. Piuttosto è il salvataggio dei 26 naufraghi, effettuato navigando in emersione per quattro giorni e quattro notti, mettendo a repentaglio la sua vita e quella dei suoi uomini. Il capitano del Kabalo, congedandosi da lui, gli chiede perché si sia esposto ad un tale rischio per loro che al contrario non lo avrebbero mai fatto. Todaro rispose: “Noi siamo italiani”. Durata 92 minuti. (Ambrosio sala 3, Massaua, Due Giardini sala Nirvana, Eliseo, Fratelli Marx sala Chico, Ideal, Reposi sala 4, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Dogman – Drammatico. Regia di Luc Besson, con Caleb Landry Jones e Marisa Berenson. Doug è sempre stato un emarginato, fin quando da piccolo, vittima delle violenze del patrigno, aveva come suoi unici amici e confidenti una muta di fedelissimi cani. Ora è divenuto adulto ma egualmente tormentato. Doug possiede ancora questo strano legame e lo userà per vendicarsi dei torti subiti. Durata 114 minuti. (Nazionale sala 3)

La guerra del Tiburtino III – Commedia. Regia di Luna Gualano, con Paolo Calabresi e Paola Minaccioni. Al Tiburtino III, all’estrema periferia romana, un piccolo meteorite cade dal cielo e viene raccolto da Leonardo De Sanctis, il padre di Pinna, uno spacciatore del posto. Nei giorni successivi quasi tutti gli abitanti del quartiere iniziano a comportarsi in modo strano alzando delle vere e proprie barricate attorno al loro territorio. Pinna decide di indagare sul fenomeno insieme ai suoi amici e a Lavinia, famosa fashion blogger rimasta intrappolata suo malgrado nel quartiere. Gli alieni, partendo dal Tiburtino III, sono intenzionati a conquistare il mondo. A Pinna e al suo improbabile gruppo il compito di salvarlo. Durata 95 minuti. (Nazionale sala 4)

Io Capitano – Drammatico. Regia di Matteo Garrone, con Seydou Sarr e Moustapha Fall. Il regista di “Dogman” e di “Pinocchio” narra la giovinezza di due ragazzi senegalesi, il loro desiderio di lasciar Dakar per affrontare il cammino verso l’Italia e qui trovare spazi dove mostrare la loro voglia di far musica. Nonostante il divieto della madre, Seydou parte con il cugino Moussa: la traversata del deserto, dove si può essere dimenticati a morire, il denaro utile per i passaporti e per qualsiasi richiesta di gente senza scrupoli, la natura sempre contraria, la prigionia e le torture, la Libia delle promesse che nasconde soltanto soprusi, le ferite, l’obbligo a guidare una delle tante carrette del mare per un ragazzo che non sa nemmeno nuotare, le coste italiane viste in lontananza. Per Garrone, il viaggio di Seydou finisce con il grido di “Io Capitano”: al di là c’è il futuro. Quale? Durata 121 minuti. (Romano sala 3)

Io, noi e Gaber – Documentario. Regia di Riccardo Milani, con le testimonianze di Vincenzo Mollica, Gianni Morandi, Massimiliano Pani, Claudio Bisio e Ombretta Colli. Girato tra Milano e Viareggio, nei luoghi della vita di Giorgio Gaber, protagonista assoluta di una delle pagine più preziose dello spettacolo italiano, dalla musica leggera al teatro canzone. Un viaggio intimo ed esclusivo. Da una parte la storia più privata attraverso le parole della figlia e delle persone storicamente più vicine a lui. Dall’altra, un racconto corale di grandi personaggi e artisti che lo hanno amato e vissuto negli anni. Ognuno di loro attraverserà, a suo modo, l’Italia per raggiungere uno dei teatri storici milanesi più cari al signor G: il teatro Lirico Giorgio Gaber. A vent’anni dalla scomparsa il primo docufilm ufficiale sull’indimenticato personaggio. “Una serie di memorabili canzoni piene di rabbia e di poesia, contro l’omologazione, profezie a volte scomode sulla libertà che non è stare sopra un albero”, ha scritto Maurizio Porro nel Corriere della Sera. Durata 135 minuti. (Eliseo)

Lubo – Drammatico. Regia di Giorgio Diritti, con Franz Rogowski e Valentina Bellè. All’alba del secondo conflitto mondiale, nel cantone dei Grigioni, la storia di Lubo, zingaro di etnia Jenisch, artista di strada, reclutato nella neutrale Svizzera nel momento stesso in cui la polizia gli uccide la moglie e affida i suoi tre figli ad altrettante diverse famiglie. Lubo fugge, sognando la propria vendetta, in un susseguirsi di avventure, sino all’incontro con una ragazza che potrebbe cambiare la sua vita. Quinta opera, presentata a Venezia, dell’autore di “Il vento fa il suo giro” e “Volevo nascondermi”. Durata 181 minuti. (Ambrosio sala 2, Fratelli Marx sala Harpo, Uci Moncalieri)

Killers of the flower moon – Drammatico. Regia di Martin Scorsese, con Leonardo DiCaprio, Robert De Niro e Lily Gladstone. All’inizio del XX secolo la scoperta del petrolio trasformò l’esistenza degli indiani Osage che diventarono da un giorno all’altro immensamente ricchi. L’improvviso benessere di questi nativi americani attirò l’interesse dei bianchi che iniziarono a manipolare, estorcere e sottrarre con l’inganno i beni degli Osage fino a ricorrere all’omicidio. Durata 206 minuti. (Massaua, Greenwich Village sala 2 V.O., Ideal, Reposi sala 2, Romano sala 1, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Oppenheimer – Storico, drammatico. Regia di Christopher Nolan, con Cillian Murphy, Emily Blunt, Robert Downey jr., Kenneth Branagh, Matt Damon e Gary Oldman. Nel 1942, in piena Seconda Guerra Mondiale, convinti che la Germania di Hitler stia sviluppando un arma nucleare, gli Stati Uniti danno il via, nel più grande segreto, a Los Alamos, nel deserto del New Mexico, al progetto Manhattan destinato a mettere a punto la prima bomba atomica della storia. Il governo americano decide di mettere a capo del progetto il brillante fisico Robert J. Oppenheimer. Nato a New York nel 1904 da genitori di origini tedesche ed ebraiche, a poco meno di quarant’anni aveva già dato un grande contributo allo sviluppo della fisica moderna. Nei laboratori segretissimi di Los Alamos, lo scienziato e la sua squadra di esperti iniziano a progettare un’arma rivoluzionaria le cui terribili conseguenze continuano a farsi sentire ai giorni nostri. Durata 184 minuti. (Greenwich Village sala 3)

Riabbracciare Parigi – Drammatico. Regia di Alice Winocour, con Virginie Efira e Benoît Magimel. Traduttrice dal russo, Mia vive a Parigi con il fidanzato medico Vincent. La sera del 13 novembre 2015, lasciata sola da Vincent per un’emergenza in ospedale, Mia decide di fermarsi in un locale del centro: sarà una delle cento persone ferite ma sopravvissute agli attentati terroristici di quella sera. Per reazione allo shock, nei mesi successivi l’attentato Mia dimentica tutto e nel tentativo di recuperare i ricordi di quella sera e di ridare un senso alla sua vita comincia a ricostruire ciò che ha vissuto, cercando in particolare la persona con la quale ha passato quei tragici momenti. Per Mia sarà l’inizio di un cammino doloroso ma necessario, aiutata da altri sopravvissuti come lei, e in particolare da Thomas, gravemente ferito ma ancora vivo. Durata 122 minuti. (Classico)

Odontoiatria sociale: “Denti Fissi per Tutti”

Denti Fissi per Tutti” è un progetto di ODONTOIATRIA SOCIALE in cui 15 odontoiatri volontari aiuteranno pazienti che hanno bisogno di riabilitare una dentatura fissa su impianti all’interno del Master post universitario “Chirurgia Implantare, Rigenerativa e Implantoprotesi” di PgO UCAM (Università Cattolica di Murcia) rivolto a laureati in Odontoiatria iscritti all’Albo e abilitati a operare sul territorio nazionale.

PgO UCAM è una istituzione che patrocina centinaia di corsi di specializzazione e Master post-universitari, con migliaia di studenti in tutto il mondo: i percorsi didattici permettono ai medici di formarsi ad alto livello e contemporaneamente di offrire a costi ridotti cure di qualità eccellente ai pazienti seguiti nella parte pratica dei corsi. PgO UCAM a Torino ha scelto la Clinica dentale Cappellin come sede esclusiva per Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, affidando il ruolo di Direttore accademico al prof. Mario R. Cappellin (prof. a.c. di Ergonomia e Discipline odontoiatriche all’Università di Modena e Reggio Emilia). Le motivazioni di questa scelta sono il livello tecnologico e innovativo della struttura, l’esperienza didattica del prof. Cappellin e il progetto di odontoiatria sociale che la Clinica dentale Cappellin come Società benefit da anni offre a pazienti in difficoltà economiche.

Grazie al supporto di PgO UCAM, l’iniziativa “Denti Fissi per Tutti” diventa economicamente sostenibile su numeri molto più consistenti. Si prevede che nella prima edizione del Master (16 mesi) verranno erogate cure di Implantologia, Implantoprotesi e Rigenerazione Ossea a circa 600 pazienti con l’inserimento di circa 60 impianti per ogni odontoiatra partecipante (in totale circa 900), per un valore complessivo di oltre 2.000.000 di euro di cure erogate (ipotesi sul tariffario medio ANDI). – www.dentifissipertutti.it

Oggi al cinema. Le trame dei film nelle sale di Torino

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A cura di Elio Rabbione

Anatomia di una caduta – Drammatico/thriller. Regia di Justine Triet, con Sandra Hüller. Sandra, Samuel e il loro figlio ipovedente Daniel vivono da un anno in una remota località di montagna. Quando Samuel viene trovato morto fuori casa, viene aperta un’indagine per morte in circostanze sospette. Sandra è incriminata: è stato un suicidio o un omicidio? Un anno dopo Daniel assiste al processo della madre, una vera e propria dissezione del rapporto tra i genitori. Palma d’oro a Cannes. Film capolavoro, assolutamente da non perdere. Designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani con la motivazione: “Justine Triet capovolge le dinamiche di genere e di potere all’interno di una coppia, utilizzando i meccanismi della detection e del courtroom drama per raccontare la difficoltà contemporanea nel ritarare i rapporti fra uomini e donne, impantanati in narcisismi e interpretazioni contrastanti della realtà, rancori, rivendicazioni e mal digerite rinunce. Qui niente è come sembra e niente è chiaramente visibile, o interpretabile. Con una Sandra Hüller in stato di grazia.” Durata 150 minuti. (Nazionale sala 1 anche V.O., sala 2 e sala 3)

A passo d’uomo – Drammatico. Regia di Denis Imbert, con Jean Dujardin, Josephine Japy e Anny Duperey. Pierre è uno scrittore, ha sempre viaggiato e nei suoi libri sempre ha trasportato le tante considerazioni sui suoi viaggi. Un incidente, una caduta che lo blocca a letto per troppo tempo, lo fa ritornare sui suoi vecchi ricordi e sulla promessa, una volta ristabilito, di compiere una vera impresa. La promessa è di compiere un viaggio attraverso la Francia di oltre 1300 chilometri, percorrendo strade e sentieri sino a quel momento poco battuti. Durata 95 minuti. (Centrale anche V.O.)

Assassinio a Venezia – Mistero. Regia di Kenneth Branagh, con Tina Fey, Kelly Reilly, Riccardo Scamarcio, Jamie Dornan e Kenneth Branagh. Il celebre Hercule Poirot ha detto basta. Nonostante i cliente non smettano di inseguirlo anche a Venezia, dove si è ritirato in pensione, il suo è soprattutto un esilio volontario. La sua vecchia amica Ariadne Oliver, scrittrice di gialli, non vuole però credere che Poirot possa stare lontano da un mistero da risolvere più del tempo di un capriccio, e per questo lo invita, la notte di Halloween, a prendere parte a una seduta spiritica nel palazzo della cantante d’opera Rowena Drake, convincendolo che sarà divertente, per lui, poter sfatare davanti a tutti il mito della medium Joyce Reynolds. Naturalmente l’occasione si arricchisce di un omicidio e Poirot è costretto, nonostante tutto, a rimettersi al lavoro. Durata 90 minuti. (Lux sala 3, Uci Lingotto, Uci Moncalieri)

Il caftano blu – Drammatico. Regia di Maryam Touzani, con Loubna Azabal e Saleh Bakri. Halim e Mina gestiscono un negozio di caftani tradizionali in una delle medine più antiche del Marocco. Per stare al passo con le richieste dei clienti più esigenti, assumono Youssef. Il talentuoso apprendista mostra la masima dedizione nell’imparare l’arte del ricamo e della sartoria da Halim. Lentamente Mina si rende conto di quanto il marito sia commosso dalla presenza del giovane. Durata 122 minuti. (Classico)

C’è ancora domani – Commedia drammatica. Di e con Paola Cortellesi, con Valerio Mastandrea, Emanuela Fanelli, Vinicio Marchioni e Giorgio Colangeli. Delia è la moglie di Ivano, la madre di tre figli. Moglie e madre. Questi sono i ruoli che la definiscono e questo le basta. Siamo nella seconda metà degli anno Quaranta e questa famiglia qualunque vive in una Roma divisa tra la spinta positiva della liberazione e le miserie della guerra da poco alle spalle. Ivano è capo supremo e padrone della famiglia, lavora duro per portare i pochi soldi a casa e non perde occasione per sottolinearlo, a volte con toni sprezzanti, altre direttamente con la cinghia. È primavera e tutta la famiglia è in fermento per l’imminente fidanzamento dell’amata primogenita Marcella che, dal canto sui, spera soltanto di sposarsi in fretta con un bravo ragazza di ceto borghese, Giulio, e linerarsi finalmente di quella famiglia imbarazzante. Durata 118 minuti. (Ambrosio sala 1, Massaua, Due Giardini sala Ombrerosse, Eliseo, Fratelli Marx sala Groucho, Greenwich Village sala 1 e sala 2, Ideal, Lux sala 2, Reposi sala 2, Reposi sala 5, Romano sala 2, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Comandante – Drammatico. Regia di Edoardo De Angelis, con Pierfrancesco Favino. Salvatore Todaro è al comando del sommergibile Cappellini. Durante laSeconda Guerra Mondiale, nel 1940, mentre perlustra l’Atlantico in cerca del nemico, si imbatte nel Kabalo, un mercantile armato belga. Il Belgio è una nazione neutrale però il battello naviga a luci spente e trasporta aerei inglesi. Scoppia una battaglia in cui Todaro perde uno dei suoi uomini e affonda il mercantile senza pietà. Non è però l’affondamento che fa di lui un eroe consegnato alla memoria eterna. Piuttosto è il salvataggio dei 26 naufraghi, effettuato navigando in emersione per quattro giorni e quattro notti, mettendo a repentaglio la sua vita e quella dei suoi uomini. Il capitano del Kabalo, congedandosi da lui, gli chiede perché si sia esposto ad un tale rischio per loro che al contrario non lo avrebbero mai fatto. Todaro rispose: “Noi siamo italiani”. Durata 92 minuti. (Ambrosio sala 2, Massaua, Due Giardini sala Nirvana, Eliseo, Fratelli Marx sala Harpo, Ideal, Massimo sala Cabiria, Reposi sala 3, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Dogman – Drammatico. Regia di Luc Besson, con Caleb Landry Jones e Marisa Berenson. Doug è sempre stato un emarginato, fin quando da piccolo, vittima delle violenze del patrigno, aveva come suoi unici amici e confidenti una muta di fedelissimi cani. Ora è divenuto adulto ma egualmente tormentato. Doug possiede ancora questo strano legame e lo userà per vendicarsi dei torti subiti. Durata 114 minuti. (Classico, Nazionale sala 2 e sala 4, Uci Lingotto, The Space Beinasco)

Foto di famiglia – Commedia drammatica. Regia di Ryota Nakano. Nella famiglia Asada tutti hanno un sogno nel cassetto: il padre avrebbe voluto fare il pompiere, il fratello maggiore il pilota di Formula 1 e la madre si è sempre immaginata come la moglie di un gangster della Yakuza! Masashi, il figlio minore, grazie ai sogni della famiglia riesce a realizzare il suo: affermarsi come fotografo, specializzandosi nel ritrarre con originalità altre famiglie, regalando loro ricordi indelebili. La carriera di Masashi subisce però un arresto quando il Giappone viene colpito dal terremoto nel 2011. Intenzionato a fare qualcosa di utile, si unisce a un gruppo di volontari in un’importante missione: recuperare le foto e gli album di famiglia andati perduti nel crollo delle case e restituirli ai proprietari. Durata 117 minuti. (Nazionale sala 1)

La guerra del Tiburtino III – Commedia. Regia di Luna Gualano, con Paolo Calabresi e Paola Minaccioni. Al Tiburtino III, all’estrema periferia romana, un piccolo meteorite cade dal cielo e viene raccolto da Leonardo De Sanctis, il padre di Pinna, uno spacciatore del posto. Nei giorni successivi quasi tutti gli abitanti del quartiere iniziano a comportarsi in modo strano alzando delle vere e proprie barricate attorno al loro territorio. Pinna decide di indagare sul fenomeno insieme ai suoi amici e a Lavinia, famosa fashion blogger rimasta intrappolata suo malgrado nel quartiere. Gli alieni, partendo dal Tiburtino III, sono intenzionati a conquistare il mondo. A Pinna e al suo improbabile gruppo il compito di salvarlo. Durata 95 minuti. (Nazionale sala 2 e sala 3)

Io Capitano – Drammatico. Regia di Matteo Garrone, con Seydou Sarr e Moustapha Fall. Il regista di “Dogman” e di “Pinocchio” narra la giovinezza di due ragazzi senegalesi, il loro desiderio di lasciar Dakar per affrontare il cammino verso l’Italia e qui trovare spazi dove mostrare la loro voglia di far musica. Nonostante il divieto della madre, Seydou parte con il cugino Moussa: la traversata del deserto, dove si può essere dimenticati a morire, il denaro utile per i passaporti e per qualsiasi richiesta di gente senza scrupoli, la natura sempre contraria, la prigionia e le torture, la Libia delle promesse che nasconde soltanto soprusi, le ferite, l’obbligo a guidare una delle tante carrette del mare per un ragazzo che non sa nemmeno nuotare, le coste italiane viste in lontananza. Per Garrone, il viaggio di Seydou finisce con il grido di “Io Capitano”: al di là c’è il futuro. Quale? Durata 121 minuti. (Ambrosio sala 3, Romano sala 3)

Kafka a Teheran – Drammatico. Regia di Ali Asgari e Alireza Kathami. La storia segue persone comuni di vari ceti sociali mentre si muovono tra vincoli culturali, religiosi e istituzionali, imposti loro da diverse autorità, dagli insegnanti ai burocrati, nell’Iran contemporaneo. Ogni storia o ambiente (nove complessivi) ritrae e cattura lo spirito e la determinazione di queste persone, che affrontano le avversità. Il film è quindi un ritratto di una società complessa e delle sue contraddizioni. Scrive Maurizio Porro nelle colonne del Corriere della Sera: “Una spietata e illuminata indagine sui problemi quotidiani nell’Iran di oggi, dove ogni richiesta provoca un interrogatorio senza fine, sia si tratti di lavoro, patente, di un neonato… assurdo per obbligo e ironico controvoglia, questo eccezionale spaccato di vita moltiplica un ‘processo’ di cui non conosciamo né il reato né la pena e l’assistervi colpisce al cuore, ci rende tutti Josef K.”. Durata 77 minuti. (Nazionale sala 4)

Killers of the flower moon – Drammatico. Regia di Martin Scorsese, con Leonardo DiCaprio, Robert De Niro e Lily Gladstone. All’inizio del XX secolo la scoperta del petrolio trasformò l’esistenza degli indiani Osage che diventarono da un giorno all’altro immensamente ricchi. L’improvviso benessere di questi nativi americani attirò l’interesse dei bianchi che iniziarono a manipolare, estorcere e sottrarre con l’inganno i beni degli Osage fino a ricorrere all’omicidio. Durata 206 minuti. (Ambrosio sala 3, Massaua, Fratelli Marx sala Chico, Greenwich Village sala 1 e sala 2 V.O., Ideal, Massimo V.O., Reposi sala 2, Romano sala 1, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Oppenheimer – Storico, drammatico. Regia di Christopher Nolan, con Cillian Murphy, Emily Blunt, Robert Downey jr., Kenneth Branagh, Matt Damon e Gary Oldman. Nel 1942, in piena Seconda Guerra Mondiale, convinti che la Germania di Hitler stia sviluppando un arma nucleare, gli Stati Uniti danno il via, nel più grande segreto, a Los Alamos, nel deserto del New Mexico, al progetto Manhattan destinato a mettere a punto la prima bomba atomica della storia. Il governo americano decide di mettere a capo del progetto il brillante fisico Robert J. Oppenheimer. Nato a New York nel 1904 da genitori di origini tedesche ed ebraiche, a poco meno di quarant’anni aveva già dato un grande contributo allo sviluppo della fisica moderna. Nei laboratori segretissimi di Los Alamos, lo scienziato e la sua squadra di esperti iniziano a progettare un’arma rivoluzionaria le cui terribili conseguenze continuano a farsi sentire ai giorni nostri. Durata 184 minuti. (Greenwich Village sala 3)

L’ultima luna di settembre – Commedia drammatica. Diretto e interpretato da Amarsaikhan Baljinnyam. Quando l’anziano padre si ammala gravemente, Tulgaa, che da anni vive in città, torna al suo villaggio natale sulle remote colline della Mongolia per assisterlo. Il destino farà però il suo corso e poco dopo l’anziano uomo verrà a mancare. Tulgaa deciderà di restare a vivere nella iurta del padre, per portare a termine il raccolto che l’uomo aveva promesso di completare prima dell’ultima luna piena di settembre. Mentre lavora nei campi, Tulgaa incontra un bambino di circa dieci anni, che vive da solo con i nonni mentre la mamma lavora in città. Tra i due nasce un rapporto inizialmente di sfida ma che andrà via via ad allentarsi per far spazio a un legame di sfida e condivisione. Durata 90 minuti. (Nazionale sala 4)

L’ultima volta che siamo stati bambini – Commedia drammatica. Di e con Claudio Bisio, con Alessio Di Domenicantonio, Vincenzo Sebastiani e Carlotta De Leonardis. Un gruppo di bambini, Vanda, Cosimo e Italo, un’età sui dieci anni, soffrono il tempo della guerra ma questo non impedisce loro di continuare a giocare con Riccardo, un coetaneo ebreo. Durante il rastrellamento feroce del Ghetto romano nell’ottobre del ’43, Riccardo scompare: i piccoli amici partiranno e si metteranno alla sua ricerca, seguendo la ferrovia. Verranno aiutati da Vittorio, fratello di Italo e militare fascista e da una suora dell’istituto per orfani in cui è ospitata Vanda. Durata 90 minuti. (Uci Lingotto)

Manca un’anima allo Scorsese di oggi e “Killers” s’inaridisce e si ripete

Sugli schermi “Killers of the flower moon” con DiCaprio e De Niro

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Arrivato al suo ventiseiesimo titolo in veste di regista – per tacere dei documentari e dei cortometraggi, degli abiti di produttore e delle sceneggiature scritte per sé e per altri, della sua faccia di italoamericano prestata agli amici (c’è di tutto, da Kurosawa ad Arbore) – Scorsese ha deluso. Certo anche prima, tra il 1967 e il 2019, ci sono stati titoli capolavoro (uno per tutti, “Quei bravi ragazzi”), titoli che ti sono rimasti fissati nella memoria e altri che di anno in anno sono scivolati via (uno per tutti, “Al di là della vita”, la presenza di Nicolas Cage non è mai una garanzia), titoli che forse non hanno aggiunto granché ad un ricordo o ad una convinzione. Adesso sforna sugli schermi “Killers of the flower moon”, un “filmone”, spettacolare, derivato dal romanzo/inchiesta di David Grann “Gli assassini della terra rossa”, pubblicato sei anni fa e ispirato a fatti realmente accaduti negli anni Venti americani, quelli che hanno definitivamente messo da parte “l’età dell’innocenza”), 206’ implacabili che dovrebbero tenere lo spettatore appiccicato alla poltrona del cinema. Per carità, Scorsese è e rimane sempre Scorsese, ma conduce le vicende non tanto con il piacere quanto con la caparbietà ossessiva del racconto, sì certo, illumina alcuni squarci che ne rimettono in gioco la vibrante personalità, affida con risultati discutibili ai suoi due attori monstre, De Niro e DiCaprio, la malvagità conclamata, rivestita di un bene chiamato a fare da paravento, e quella sottotono, impacciata, strisciante, debole, che intacca le fondamenta di un rapporto familiare giorno dopo giorno, senza via di fuga. E nella parte centrale del film, ampissima oltre ragionevolezza, l’attenzione langue, fino a rasentare la noia. È la sceneggiatura, scritta da Eric Roth oltre che dal regista, ad essere sbagliata, debordante, incredibilmente ripetitiva, incapace di tagliare gran parte di quelle piccole vicende di secondo piano che disturbano e ostacolano una narrazione che avrebbe la necessità di correre sulla limpidezza, quelle tante parole e dialoghi che ascolti in più occasioni in tutta la loro similarità, quei personaggi minori che non hanno uno sviluppo e ti cascano lì, senza preparazione, con il solo fine di non riuscire a memorizzarne contenuti e finalità.

Poi, nel finale che sa di cinema nel cinema, ma qui il cinema si chiama radio – magistrale a confronto di un sottofinale che sono le poche scene del processo, impoverite e senza spazio -, grandioso colpo d’ala, ti riappacifichi con l’autore, nella ricostruzione radiofonica di quanto ci è stato dato vedere nelle ore precedenti, tra stacchetti musicali, utilizzo di voci e finestre che si chiudono e sfrigolii e rumori di stoviglie rotte e bottiglie e tappi che saltano. La parola e il gesto più forti della immagine? Un mondo totalmente diverso (in cui fa capolino anche il regista) da quello violento che lo ha preceduto, una parte dedicata allo stermino e un’altra all’arrivo (finalmente) dell’FBI di Hoover di fresca nomina a cercare di far luce sulle tante uccisioni, le ultime scene per mostrare un’invenzione, un carattere antico, il solido svolgersi di certe leggi visive.

E allora che cosa, prima? La descrizione dello sterminio di un popolo, quello degli indiani Osage, nativi del Kansas e da lì trasferiti nelle terre dell’Oklahoma, una quarantina d’anni prima dei fatti narrati, cui la natura ha regalato i giacimenti dell’oro nero, di quel petrolio che li rende da un attimo all’altro tra le persone più ricche d’America. E allora ecco che sono case signorili, begli abiti e cappellini piumati, signore che scendono da eleganti auto aiutate da autisti bianchi che mal sopportano con il sorriso sulle labbra. Il malvagio William Hale, per tutti “the king”, proprietà al centro della pianura, intenzionato oltre misura ad accrescere il proprio patrimonio, che tende a fare il bello e il cattivo tempo nell’intero territorio, mal sopporta e all’arrivo nella natìa Fairfax del nipote Ernest, dal conflitto mondiale dove ha combattuto, inizia a tessere alla grande la sua tela, buttandolo alla scoperta di Mollie, indiana Osage, e della sua ricca famiglia: matrimoni e ammazzamenti, ereditiere e mariti bianchi pronti a ereditare, all’ombra d’un gufo che si mostra ad annunciare prossime morti. Gli omicidi diventano banalità quotidiana. Matrimonio e prole non tardano ad arrivare ma il cattivo non sta certo con le mani in mano: intesse agguati e omicidi, esplosioni, assoldando, o meglio facendo assoldare nell’intento di non sporcarsi in prima persona le mani, brutti ceffi che compiono appieno il lavoro di pulizia. Mentre lo Stato debolmente promette, prima del definitivo arrivo dei nostri, come nel vecchio West, il nipotino s’incanala nei disegni dello zio, cercando di accelerare l’agonia della moglie già sofferente di diabete. È in quella carneficina (che non tralascia neppure cervelli spappolati e mani ritrovate nell’incendio: certi particolari da horror film Scorsese li avrebbe messi in qualche suo passato gangster movie?) che il regista mostra le proprie maggiori debolezze, nel ripetersi senza alcun guizzo di uccisioni, di coltellate e di pistolettate sparate a bruciapelo, in un imbarazzante copiaincolla, in una faticosa sequenza di immagini che lasciano trasparire apertamente il loro esatto doppio poco oltre. E una cosa che, di conseguenza, Scorsese dimentica è quell’appropriarsi, da parte di un’autentica ”anima”, delle tante e differenti storie, da parte dell’anima del regista, di una concreta partecipazione, che altrove – nelle carneficine di “Goodfellas” e di “Gangs of New York”, nel ghigno del Nicholson di “Departed”, nei pugni di “Toro scatenato”, nella grandezza malefica di “Casinò” – ha avuto maggior peso. Pur nella descrizione di quello stesso male.

Pur nelle zone d’ombra, si respirano attimi di “Nascita di una nazione” o dei “Cancelli del cielo”, spruzzate del cinema di Sergio Leone e del “Petroliere” e del “Gigante”, tutti quanti a mostrarci crudeltà, arrivismo, avidità da sempre al centro dell’eterno “atomo opaco”. In questa sorta di traballamento generale e di scossoni positivi che non risolvono, De Niro è malvagissimo quando deve fare il malvagio, e soprattutto sa farlo, Di Caprio si stampa in viso la maschera dell’imbelle e non la lascia più, incarognendola ancor più con quel trucco alla “Padrino” di Marlon Brando, cotone tra gengive e guance e bocca che guarda in giù. Non aiuta certo la Mollie di Lily Gladstone, anima del Bene, ma troppo sottotono per reggere il peso della bontà e della vittoria.

Le sere torinesi di Gozzano: la malinconica poesia del quotidiano

Solo Gozzano è riuscito a descrivere Torino come in effetti è. Il poeta parla della sua città natale con una splendida ironia malinconica, prendendola un po’ in giro, ma con garbo e con affetto, esaltandone i caratteri sommessi, le cose quotidiane; del nostro capoluogo sottolinea l’anima altezzosa ed elegante, intellettuale e civettuola, riuscendo a far emergere i tratti che ne contraddistinguono la bellezza e l’unicità, nel presente e nei suoi aspetti “d’altri tempi” con un gusto da stampa antica.

Nel componimento “ Le golose”, Gozzano considera un semplice momento di vita quotidiana, elevandolo a situazione poetica: in questo caso Guido, grazie alla sua vena brillante e ironica, gioca a descrivere il comportamento delle “giovani signore” torinesi all’interno di Baratti, uno dei bar storici della città. Le “signore e signorine”, che subito riusciamo ad immaginarci tutte imbellettate, con tanto di cappellino e veletta, non resistono alla tentazione di assaporare un pasticcino, e, davanti alla invitante vetrina dei dolciumi, indicano con il dito affusolato al cameriere quello che hanno scelto, e poi lo “divorano” in un sol boccone.

È un momento qualsiasi, è l’esaltazione del quotidiano che cela l’essenza delle cose. Nella poesia citata l’eleganza torinese è presa alla sprovvista, colta in flagrante mentre si tramuta in semplice golosità. Ma Gozzano sfalsa i piani e costringe il lettore a seguirlo nel suo ironizzare continuo, quasi non prendendo mai niente sul serio, ma facendo riflettere sempre sulla verità di ciò che asserisce. Se con “Le golose” Guido si concentra su una specifica situazione, con la poesia “Torino”, dimostra apertamente tutto il suo amore per il luogo in cui è venuto alla luce.
Guido Gozzano nasce il 19 dicembre 1883 a Torino, in Via Bertolotti 3, vicino a Piazza Solferino. È poeta e scrittore ed il suo nome è associato al Crepuscolarismo – di cui è il massimo esponente – all’interno della corrente letteraria del Decadentismo. Inizialmente si dedica all’emulazione della poesia dannunziana, in seguito, anche per l’influenza della pascoliana predilezione per le piccole cose e l’umile realtà campestre, e soprattutto attratto da poeti stranieri come Maeterlinck e Rodenback, si avvicina alla cerchia dei poeti intimisti, poi denominati “crepuscolari”, amanti di una dizione quasi a mezza voce. Gozzano muore assai giovane, a soli trentadue anni, a causa di quello che una volta era definito “mal sottile”, ossia la tubercolosi polmonare. Per questo motivo Guido alterna alla elegante vita torinese soggiorni al mare, alla ricerca di aria più mite, (“tentare cieli più tersi”), soprattutto in Liguria, Nervi, Rapallo, San Remo, e anche in montagna. Un estremo tentativo di cura di tale malattia porta Guido a intraprendere nel 1912, tra febbraio e aprile, un viaggio in India, nella speranza che il clima di quel Paese possa migliorare la sua situazione, pur nella triste consapevolezza dell’inevitabile fine (“Viaggio per fuggire altro viaggio”): il soggiorno non migliora la sua salute, ma lo porta a scrivere molto.

Al ritorno redige su vari giornali, tra cui La Stampa di Torino, alcuni testi in prosa dedicati al viaggio recente, che verranno poi pubblicati postumi nel volume “Verso la cuna del mondo” (1917). A parte l’ampio poema in endecasillabi sciolti, le “Farfalle”, essenziali per comprendere la nuova poesia di Gozzano sono le raccolte di versi “La via del rifugio” (1907) e “I colloqui” (1911), il suo libro più importante. Questo è composto da ventiquattro componimenti in metri diversi, legati tra loro da una comune tematica e da un ritmo narrativo colloquiale, con, sullo sfondo, un giovanile desiderio di felicità e di amore e una struggente velatura romantica. Intanto il poeta scopre la presenza quotidiana della malattia (“mio cuore monello giocondo che ride pur anco nel pianto”), della incomunicabilità amorosa, della malinconia. Egli ama ormai le vite appartate, le stampe d’altri tempi, gli interni casalinghi, ma, dopo aver esaltato le patetiche suppellettili del “salotto buono” piccolo borghese di nonna Speranza con “i fiori in cornice e le scatole senza confetti, / i frutti di marmo protetti dalla campana di vetro”, non esita a definirle “buone cose di pessimo gusto”. Di contro al poeta vate dannunziano, all’attivismo, alla mitologia dei superuomini e delle donne fatali, egli oppone la banale ovvietà quotidiana, alla donna-dea oppone “cuoche”, “crestaie” (“sognò pel suo martirio attrici e principesse, / ed oggi ha per amante la cuoca diciottenne”), alla donna intellettuale contrappone una donna di campagna (“sei quasi brutta, priva di lusinga/ …e gli occhi fermi e l’iridi sincere/, azzurre d’un azzurro di stoviglia”). Si tratta di Felicita che, con la sua dimessa “faccia buona e casalinga” , gli è parsa, almeno per un momento, l’unico mezzo per riscattarsi dalla complicazione estetizzante.

Eppure non vi è adesione a questo mondo, mondo creato e nel contempo dissolto, visto in controluce con la consapevolezza che a quel rifugio di ingenuità provinciale il poeta non sa ne può aderire e, tra sorriso, affetto e vigile disposizione ironica, si atteggia a “buon sentimentale giovane romantico”, per aggiungere subito dopo: “quello che fingo d’essere e non sono”.
Oltre che per questa nuova e demistificante concezione della poesia, l’importanza di Gozzano è notevole anche sul piano formale: “egli è il primo che abbia dato scintille facendo cozzare l’aulico col prosaico” (osserva Montale), e che, con sorridente ironia, riesca a far rimare “Nietzscke” con “camicie”. Gozzano piega il linguaggio alto a toni solo apparentemente prosastici. In realtà i moduli stilistici sono estremamente raffinati. E la sua implacabile ironia non è altro che una difesa dal rischio del sentimentalismo. La consapevolezza ironica abbraccia tutto il suo mondo poetico, le sue parole, i suoi atteggiamenti, i suoi gesti.

Avviciniamoci ancor di più al letteratissimo poeta torinese disincantato e amabile, e cerchiamo di approfondire il suo contesto familiare. Guido nasce da una buona famiglia borghese.
Il Dottor Carlo Gozzano, nonno di Guido, amico di Massimo D’Azeglio, appassionato di letteratura romantica del suo tempo, presta servizio come medico nella guerra di Crimea. Carlo Gozzano, borghese benestante, possiede ampie terre nel Canavese. Il figlio di Carlo, Fausto, ingegnere, porta avanti la costruzione della ferrovia canavesana che congiunge Torino con le Valli del Canavese. Fausto si sposa due volte, dalla prima moglie ha cinque figli; dopo la morte della prima consorte, Fausto incontra nel 1877 la bella diciannovenne alladiese Diodata Mautino, che sposa e dalla quale ha altri figli, tra cui Guido. La donna ha un temperamento d’artista, ama il teatro e si diletta nella recitazione, ed è altresì la figlia del senatore Massimo, un ricco possidente terriero, proprietario della villa del Meleto, ad Agliè (la villa prediletta dal poeta).

Guido frequenta dapprima la scuola elementare dei Barnabiti, poi la «Cesare Balbo», avvalendosi anche dell’aiuto di un’insegnante privata, poiché il piccolo scolaro è tutt’altro che ligio al dovere.
Da ragazzo viene iscritto nel 1895 al Ginnasio-Liceo Classico Cavour di Torino, ma la sua svogliatezza non lo abbandona, egli viene bocciato e mandato a recuperare in un collegio di Chivasso; ritorna a studiare nella sua Torino nel 1898, poco tempo prima della morte del padre, avvenuta nel 1900 a causa di una polmonite. Le difficoltà scolastiche del futuro poeta lo costringono a cambiare scuola ancora due volte, finché nel 1903 consegue finalmente la maturità al Collegio Nazionale di Savigliano. Le vicissitudini tribolanti degli anni liceali sono ben raccontate da Guido all’amico e compagno di scuola Ettore Colla, scritti in cui si evince che il giovane è decisamente più interessato alle “monellerie” che allo studio.

Nel 1903 vengono anche pubblicati sulla rivista torinese “Il venerdì della Contessa” alcuni versi di Gozzano, di stampo decisamente dannunziano (qualche anno dopo, in un componimento del 1907 “L’altro” il poeta ringrazia Dio che – dichiara – avrebbe potuto “invece che farmi Gozzano /un po’ scimunito ma greggio / farmi gabrieldannunziano /sarebbe stato ben peggio!”). Guido si iscrive poi alla Facoltà di Legge, ma nella realtà dei fatti frequenta quasi esclusivamente i corsi di letteratura di Arturo Graf. Il Professore fa parte del circolo “Società della cultura”, la cui sede si trovava nella Galleria Nazionale di via Roma, (poi spostatosi in via Cesare Battisti); anche il giovane Gozzano entra nel gruppo. Tra i frequentatori di tale Società, nata con lo scopo di far conoscere le pubblicazioni letterarie più recenti, di presentarle in sale di lettura o durante le conferenze, vi sono il critico letterario e direttore della Galleria d’Arte Moderna Enrico Thovez, gli scrittori Massimo Bontempelli, Giovanni Cena, Francesco Pastonchi, Ernesto Ragazzoni, Carola Prosperi, il filologo Gustavo Balsamo Crivelli e i professori Zino Zini e Achille Loria; anche Pirandello vi farà qualche comparsa. Nell’immediato dopoguerra vi parteciperanno Piero Gobetti, Lionello Venturi e Felice Casorati.

Gozzano diviene il capo di una “matta brigada” di giovani, secondo quanto riportato dall’amico e giornalista Mario Bassi, formata tra gli altri dai letterati Carlo Calcaterra, Salvator Gotta, Attilio Momigliano, Carlo Vallini, Mario Dogliotti divenuto poi Padre Silvestro, benedettino a Subiaco e dal giornalista Mario Vugliano.
Va tuttavia ricordato che per Guido quel circolo è soprattutto occasione di conoscenze che gli torneranno utili per la promozione dei suoi versi, egli stesso così dice “La Cultura! quando me ne parli, sento l’odore di certe fogne squartate per i restauri”. Con il passare del tempo, matura lentamente in lui una più attenta considerazione dei valori poetici della scrittura, anche grazie (ma non solo) allo studio dei moderni poeti francesi e belgi, come Francis Jammes, Maurice Maeterlinck, Jules Laforgue, Georges Rodenbach e Sully Prudhomme.
Da ricordare è anche la tormentata vicenda amorosa (1907-1909) tra Gozzano e la nota poetessa Amalia Guglielminetti, una storia destinata alla consunzione, caratterizzata da momenti di estrema tenerezza e molti altri di pena e dolore.

Ma torniamo a Torino, la sua città natale, la amata Torino, che è sempre nei suoi pensieri: “la metà di me stesso in te rimane/ e mi ritrovo ad ogni mio ritorno”. Torino raccoglie tutti i suoi ricordi più mesti, ma è anche l’ambiente concreto ed umano al quale egli sente di appartenere. Accanto alla Torino a lui contemporanea, (“le dritte vie corrusche di rotaie”), appare nei suoi scritti una Torino dei tempi antichi, un po’ polverosa che suscita nel poeta accenti lirici carichi di nostalgia. “Non soffre. Ama quel mondo senza raggio/ di bellezza, ove cosa di trastullo/ è l’Arte. Ama quei modi e quel linguaggio/ e quell’ambiente sconsolato e brullo.” Con tali parole malinconiche Gozzano parla di Torino, e richiama alla memoria “certi salotti/ beoti assai, pettegoli, bigotti” che tuttavia sono cari al per sempre giovane scrittore. “Un po’ vecchiotta, provinciale, fresca/ tuttavia d’un tal garbo parigino”, questa è la Torino di Gozzano, e mentre lui scrive è facile immaginare il Po che scorre, i bei palazzi del Lungo Po che si specchiano nell’acqua in movimento, la Mole che svetta su un cielo che difficilmente è di un azzurro limpido.
Il poeta fa riferimento alle “sere torinesi” e descrive così il momento che lui preferisce, il tramonto, quando la città diventa una “stampa antica bavarese”, il cielo si colora e le montagne si tingono di rosso, (“Da Palazzo Madama al Valentino /ardono l’Alpi tra le nubi accese”), e pare di vederlo il “nostro” poeta, mentre si aggira per le vie affollate di dame con pellicce e cappelli eleganti, e intanto il giorno volge al termine e tutti fanno ritorno a casa.

Gozzano, da buon torinese, conosce bene la “sua” e la “nostra” Torino, di modeste dimensioni per essere una grande metropoli, e troppo caotica per chi è abituato ai paesi della cintura, un po’ barocca, un po’ liberty e un po’ moderna, stupisce sempre gli “stranieri” per i “controviali” e i modi di dire. Torino è un po’ grigia ed elegante, per le vie del centro c’è un costante vociare, ma è più un chiacchiericcio da sala da the che un brusio da centro commerciale, è piccola ma a grandezza d’uomo, Torino è una cartolina antica che prova a modernizzarsi, è un continuo “memorandum” alla grandezza che l’ha contraddistinta un tempo e che, forse, non c’è più. Di Torino è impossibile non innamorarsi ma è altrettanto difficile viverci, e, se uno proprio non se ne vuole andare, c’è solo una cosa che può fare, prestare attenzione alla sua Maschera: “Evviva i bôgianen… Sì, dici bene,/o mio savio Gianduia ridarello!/ Buona è la vita senza foga, bello/ godere di cose piccole e serene…/A l’è questiôn d’ nen piessla… Dici bene/ o mio savio Gianduia ridarello!…”

Alessia Cagnotto

“Stanze da un altro secolo. Gruppo di artisti in un interno”. Ultimo giorno

In mostra, al “Palazzo Lomellini” di Carmagnola, “stanze” e “interni” raccontati attraverso cinque secoli di storia dell’arte

Fino al 30 luglio

Carmagnola (Torino)

La bellezza salverà il mondo. Con queste parole (citazione – mantra fin troppo abusata … ma pazienza!), messe in bocca dal “genio crudele” Dostoevsij al suo principe “idiota” Miskin, me ne uscivo nei giorni scorsi dalle Sale del quattrocentesco “Palazzo Lomellini” di Carmagnola – dal ’39 proprietà del Comune e sede della “Civica Galleria d’Arte Moderna” – dopo aver visitato l’enciclopedica Rassegna espositiva “Stanze da un altro secolo”, promossa dal Comune di Carmagnola, in collaborazione con l’Associazione “Amici di Palazzo Lomellini” e l’organizzazione e la curatela di Elio Rabbione, amico e critico d’arte, da alcuni anni organizzatore attento, competente e instancabile (mai come questa volta) di mostre ad alto tasso di gradevolezza. Come quella attualmente in corso, per l’appunto, nello storico Palazzo carmagnolese: una cavalcata attraverso cinque secoli di storia dell’arte, alla rincorsa di un soggetto neppure poi tanto praticato (Sei-Settecento a parte), come gli “interni”, le “stanze” di casa, botteghe d’arte, salotti borghesi o umili antri popolari o cucine con frutta ortaggi e pollame e selvaggina in bella vista o, ancora, squallide bettole con vogliosi “vecchiacci” intenti a corteggiare le giovani e generose bellezze di turno. Cinque secoli di storia, si diceva. Dal “Sei-Settecento” fino al “Contemporaneo”. Oltre 120 i pezzi espostiun’ottantina abbondante gli artisti rappresentati. Chapeau a Rabbione! Ma impossibile dar conto di tutti. D’obbligo, per la pagina seicentesca menzionare la grande tela (immagine – guida della mostra) “La bottega dell’arte” appartenente al “secolo d’oro” dell’arte fiamminga e firmata da Jacques de Claeuw: gli alunni impegnati a lavorare di buona lena, il maestro che corregge gli errori di un giovane discepolo, busti e fogli sparsi a terra, una statua di classica fattura e una colonna dorica sullo sfondo che apre al plumbeo paesaggio esterno, in primo piano un mappamondo a rappresentare il potere della Repubblica olandese dopo la “Guerra degli 80 anni”, che ne sancì l’indipendenza. E via fra cucine più o meno “importanti”, il rituale protetto dalle mura domestiche della “ricerca di pidocchi”, le tante oscure bettole con il ridanciano “brillo” che alza il calice a se’stesso o con il monaco (di Godgried Schalcken) che offre denaro alla ragazza abbondante “di petto”, fino al triplice susseguirsi degli ambienti raffinati e di minuta eleganza di Pieter de Hook e al “Gesù nella stanza del Fariseo” del nostro Michele Antonio Milocco. Passando all’Ottocento, che meraviglia (da starci davanti a tempo illimitato) quegli “Occhi severi” di Demetrio Cosola da San Sebastiano Po: gli occhi del padre (è proprio vero! Allora bastava uno sguardo), la mano pronta al ceffone della mamma e il sorriso bonario del nonno. Lui, il piccolo “furfantello”, cappellino in testa, occhi bassi, atteggiamento pentito da non lo faccio più. Olio godibilissimo. E poi nomi che non necessitano di presentazioni, dal “fiammingo piemontese” Giovanni Battista Quadrone, alla “Donna al focolare” del biellese Lorenzo Delleani, seguito dal più estroso e “moderno” Vittorio Cavalleri, via via fino alle stupende incisioni di Celestino Turletti e del francese Carl Albert Waltner. Una trentina di artisti ci regala il Novecento. Dagli ambienti intimi e famigliari di Nella Marchesini, allo studio d’artista (al lavoro) di Ottavio Mazzonis, fino all’inquietante “Sogno – Presagio” di Francesco Tabusso, alle incisioni di Mario CalandriVincenzo Gatti e Giacomo Soffiantino, accanto a quattro corpose sculture di Riccardo Cordero, alla magnifica donna immobile di “Tre palle un soldo” di Guido Bertello, fino a “L’odalisca” di Giulio Da Milano, alla nitida sincerità di Enrico Paulucci, all’esaltazione del colore di Gianni Sesia della Merla (di recente scomparso e a cui la mostra al “Lomellini” è dedicata) e all’onirica evanescenza dell’“Autoritratto in studio” di Francesco Menzio. Due su tutti i contemporanei. Pippo Leocata con la poetica ma ingegnosa site-specific “Stanza dei ricordi” (legni e acrilici), separé dai blu profili umani e dalle “iconiche” skyline di cupole e santuari, memorie di storie e paesaggi lontani nel tempo e nello spazio, ma ben vive e presenti per l’artista – architetto di origini siciliane, che in mostra presenta anche un “Omaggio a Mollino”, suo indimenticato maestro. E, per ultimo, l’“Inside. La vita è lì dentro” di Luisella Rolle. Finestre accese nel buio della sera. In attesa di spegnersi per dare spazio alla notte. Scrive Rabbione: “E’ la rarefazione dell’intera mostra, per offrire in chiave moderna un panorama nuovo, solitario e anonimo, il respingimento, il ritratto del tempo che stiamo vivendo”.

Gianni Milani

“Stanze da un altro secolo. Gruppo di artisti in un interno”

Palazzo Lomellini, piazza Sant’Agostino 17, Carmagnola (To); tel. 011/9724220 o www.palazzolomellini.com

Fino al 30 luglio

Orari: dal giov. al sab. 15,30/18,30; dom. 10,30/12,30 e 15,30/18,30

Nelle foto: Jacques de Claeuw: “La bottega dell’arte”, olio su tela; Demetrio Cosola: “Occhi severi”, olio su tela, 1884; Guido Bertello: “Tre palle un soldo”, acrilico su tela, 1980; Pippo Leocata: “La stanza dei ricordi”, legni e acrilici, 2023

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