Capi belli ed eleganti, abiti ed accessori all’ultima moda nel rispetto dell’ ambiente e degli animali, ovvero di tutte quelle unità ecologiche il cui benessere dipende anche dai nostri comportamenti. Oggi si può, finalmente possiamo scegliere di acquistare consapevolmente, possiamo vestirci senza danneggiare la natura. Sono sempre più numerosi gli stilisti e le case di moda che decidono di investire in materie prime alternative per
soddisfare nuove generazioni di consumatori, un pubblico sempre più cosciente e attento nelle scelte d’acquisto, più riguardoso nei confronti degli ecosistemi e determinato a sostenere attivamente il nostro pianeta. Materie prime ricavate dagli scarti agricoli, valorizzazione di rifiuti vegetali come la mela, l’ananas o il cocco con cui produrre delle deliziose e stilosissime scarpe, borse eleganti ricavate da un fungo, il phellinus elipsoideus , che ha dato vita al Muskin una pelle scamosciata, atossica e idrorepellente, vegetale al cento per cento. Che dire poi del vino che con i suoi scarti – semi e bucce – è in grado di creare tessuti di alta qualità e delle arance capaci produrre un tessuto simile alla seta. E’ straordinario come in questo settore si sia andati avanti, come e quanto si sia compreso che la produzione e il conseguente consumo etico siano il solo futuro possibile, che il tempo avvenire dovrà essere caratterizzato da una maggiore responsabilità ecologica e che non è più possibile continuare a sfruttare la terra ed i suoi abitanti in maniera sconsiderata. Possiamo e dobbiamo fare di più, ma basti sapere intanto che già da qualche anno, in base alla Relazione sullo Stato della Green Economy in Italia e in Europa, il nostro paese,
secondo alcuni indicatori chiave legati a tematiche fondamentali come emissioni di gas serra, fonti energetiche rinnovabili, eco-innovazione e agricoltura biologica, gode, insieme ad altri importanti stati occidentali, di un’ottima posizione. L’Italia sta lavorando bene dunque, la tendenza ad impiegare comportamenti e azioni ecosostenibili è in aumento, la consapevolezza che economia e ambiente devono viaggiare su un binario parallelo, dove la prima non può più fare a meno di tener conto dell’altro, dove la sostenibilità è irrinunciabile e dove il realizzabile deve essere subordinato al rispetto dell’ambiente, è più forte. E’ molto importante che ognuno di noi, attraverso uno stile di vita eco-orientato, contribuisca al consolidamento di questo risultato e persino al suo miglioramento, è necessario, attraverso comportamenti messi a sistema quotidianamente, contribuire affinché la natura e il mondo animale siano messi a riparo da danni ingenti e irrecuperabili. Lavorando come comunità globale saremo in grado di far vivere le future generazioni in un ambiente migliore, ma cosa più importante gli attori di domani, coloro che erediteranno i benefici del nostro impegno, avranno più consapevolezza e potranno gestire tali problematiche senza commettere gli errori che hanno messo il nostro ecosistema in serio pericolo.
Maria La Barbera

































ricerca di simbologie, di tratti nuovi, di sperimentazioni, di alternanze tra zone opache e trasparenti e biancastre, di equilibri che a poco a poco si posano all’interno dell’opera, di un concreto sviluppo emotivamente valido. Di linee che di volta in volta, in una maniera sempre diversa, sono preparate e addomesticate, raccolte in un unico sguardo, racchiuse e armonizzate. Una ricerca che ha radici lontane, sperdute nei secoli, facilmente confluibili in un mondo mitteleuropeo come nel nostro Liberty, una ricerca che coinvolge prima di ogni altra cosa la materia, trattata con estrema e accorta manualità, con reinvenzioni di svelto dinamismo, condotta ad effetti e risultati a tratti inaspettati, una superficie liscia fatta di eleganza e di delicatezza che la padronanza artistica forgia a forme articolate, sempre leggere, immaginifiche, misteriose il più delle volte (Spirito del 2006), interessata e piegata ai rapporti che corrono con la luce, vista questa attraverso i molteplici giochi
di frammentazione che vi trovano posto. C’è questo, e certo molto altro, nel mondo delicato di Marina Monzeglio, come quell’angolo di magia che inevitabilmente finisce col farla da padrone in ogni sua opera, quella sottile spazialità che leggerissima si pone al centro di una mostra o come pezzo prezioso d’arredamento. Sculture concrete ma affidate allo stesso tempo al sogno e all’irrealtà, forti della loro fragilità, che appartengono ad un mondo fatto di tranquillità e meditazione, ad un appartarsi di studio e di invenzioni che lascia intravedere una profonda quanto sincera maestria.
Un rinnovamento profondo dunque, un ritiro dal mondo fatto di contemplazione e di preghiera meditativa, un modo meno divertente forse di concepire la vacanza ma senz’altro più intenso e con risultati più duraturi. Porre l’attenzione su se stessi assentandosi dalla modernità soffocante, al riparo da tecnologia e presenzialismo, ritrovare il contatto con la propria interiorità rivalutando le priorità lontani da condizioni e influenze, questa è una vacanza spirituale, una vera sospensione dalla vita di sempre che ci accompagna in una dimensione lenta, di raccoglimento e osservazione, spesso anche di ozio, un concetto in contrasto con la produttività a tutti i costi che si sta via via rivalutando. Non si
tratta tuttavia di vacanze esclusivamente religiose, la possibilità di praticarle laicamente nutrendo la propria spiritualità indipendentemente da credenze e appartenenze è assolutamente possibile.
55, a Torino. Curatori dell’evento saranno Piero Gondolo della Riva e Marco Albera, che per apparecchiare la tavola del Museo, secondo i canoni imposti alle famiglie benestanti del tempo, hanno attentamente scelto, dalle loro collezioni, la serie completa della Reale Manifattura Dortu (con immagini stampate sotto smalto di palazzi, chiese, regge, residenze sabaude e piazze piemontesi) e utilizzato argenterie mauriziane e bicchieri della Regia Fabbrica di vetri e cristalli di Chiusa Pesio, della stessa epoca del servizio. La Reale Manifattura torinese Dortu fu fondata dal francese Frédéric Dortu che, trasferitosi in Piemonte dalla Svizzera, ottenne nel 1824 le regie patenti per la fabbricazione della ceramica detta “terra di pippa”, materiale a metà via fra la costosa porcellana e la maiolica comune, che conobbe un notevole successo commerciale. La produzione durò una ventina d’anni, esaurendosi verso la metà del secolo. L’allestimento rappresenta, quindi, un’occasione unica per ammirare nella sua interezza un rarissimo servizio di porcellane Dortu. L’appuntamento di giovedì 8 marzo, ore 17,30, è a ingresso libero, fino ad esaurimento posti. Ma resterà visibile, solo con la visita guidata del Museo, dal 9 marzo al 3 giugno.