La bella dimora settecentesca situata a Ponzano nel cuore del Monferrato, a pochi passi dal Sacro Monte di Crea patrimonio dell’Unesco, tipico esempio di casa padronale con adiacenti antiche costruzioni agricole, è stata restaurata con rispetto conservativo e trasformata dall’attuale proprietario in centro culturale denominato “Atelier al Sagittario”
Ettore Cascioli, milanese, professore universitario di metodi quantitativi per i processi decisionali, si è qui trasferito da alcuni decenni soddisfacendo l’esigenza a lungo accarezzata di trovare un luogo ideale, vera casa d’artista, lontano dal frastuono della città e dedicarsi ad un’assidua  sperimentazione della foto pittura, forma d’arte contemporanea, di cui è maestro, che, partendo dalla fotografia, realizza con interventi creativi immagini dalla parvenza simile alla pittura. L’artista non si è chiuso però nella cosiddetta torre d’avorio poiché ha accresciuto i propri intenti culturali attuando un interessante progetto di valorizzazione del territorio col dotare i rustici di ogni moderna attrezzatura al fine di rendere attuabili conferenze, seminari, mostre d’arte, incontri musicali e manifestazioni enogastronomiche. E’ stata data anche l’opportunità di avere a
sperimentazione della foto pittura, forma d’arte contemporanea, di cui è maestro, che, partendo dalla fotografia, realizza con interventi creativi immagini dalla parvenza simile alla pittura. L’artista non si è chiuso però nella cosiddetta torre d’avorio poiché ha accresciuto i propri intenti culturali attuando un interessante progetto di valorizzazione del territorio col dotare i rustici di ogni moderna attrezzatura al fine di rendere attuabili conferenze, seminari, mostre d’arte, incontri musicali e manifestazioni enogastronomiche. E’ stata data anche l’opportunità di avere a  disposizione una struttura indipendente, per chi volesse soggiornarvi, dotata di ogni confort, affacciata su un giardinetto privato da cui si accede alla chiesetta dedicata a san Bernardo, consacrata nel 1783 come attesta un documento manoscritto e firmato, nel cui interno, lasciato appositamente disadorno come ai tempi, si respira il sentore della fede umile e sincera della popolazione agreste del passato. Spettacolare e lussureggiante, al contrario, sulla lato est a fianco della casa padronale, lo splendido parco alterna zone d’ombra sotto alberi secolari, dominati dal maestoso cedro del Libano, a distese soleggiate di profumata lavanda, roseti, cespugli di azalee, peonie ed erbe officinali, mentre il geometrico labirinto segnato da fitte siepi di bosso riconsegna l’eleganza dei giardini all’italiana delle antiche dimore signorili.
disposizione una struttura indipendente, per chi volesse soggiornarvi, dotata di ogni confort, affacciata su un giardinetto privato da cui si accede alla chiesetta dedicata a san Bernardo, consacrata nel 1783 come attesta un documento manoscritto e firmato, nel cui interno, lasciato appositamente disadorno come ai tempi, si respira il sentore della fede umile e sincera della popolazione agreste del passato. Spettacolare e lussureggiante, al contrario, sulla lato est a fianco della casa padronale, lo splendido parco alterna zone d’ombra sotto alberi secolari, dominati dal maestoso cedro del Libano, a distese soleggiate di profumata lavanda, roseti, cespugli di azalee, peonie ed erbe officinali, mentre il geometrico labirinto segnato da fitte siepi di bosso riconsegna l’eleganza dei giardini all’italiana delle antiche dimore signorili.
Giuliana Romano Bussola
 
                    













 la tela, ma il polistirene espanso, quest’ultimo diventa materiale scultoreo tridimensionale lavorato inciso bruciato colorato ad olio e resine, tale in alcuni passaggi, da trasformarlo in qualche cosa di non immediatamente percepibile che dispone nell’osservatore la necessità di toccarlo per capirne la natura e il segreto. Nascono così questi lavori ridefiniti dall’artista come ”OOPART “ dall’acronimo inglese “Out of Place Artifact “acronimo che raggruppa tutte quelle opere archeologiche misteriose, di cui non si riesce a stabilire con certezza , provenienza , datazione e significato.
la tela, ma il polistirene espanso, quest’ultimo diventa materiale scultoreo tridimensionale lavorato inciso bruciato colorato ad olio e resine, tale in alcuni passaggi, da trasformarlo in qualche cosa di non immediatamente percepibile che dispone nell’osservatore la necessità di toccarlo per capirne la natura e il segreto. Nascono così questi lavori ridefiniti dall’artista come ”OOPART “ dall’acronimo inglese “Out of Place Artifact “acronimo che raggruppa tutte quelle opere archeologiche misteriose, di cui non si riesce a stabilire con certezza , provenienza , datazione e significato. Sabato 19 maggio alle ore 16 nella sala Kolbe, Convento di San Francesco, I piano, piazza San Francesco 3
Sabato 19 maggio alle ore 16 nella sala Kolbe, Convento di San Francesco, I piano, piazza San Francesco 3 
 in bocca …sputandola, disgustato, un attimo dopo. Nella carta della “Golia“, il perfido Dante, aveva avvolto una piccola pallina di cacca di capra. A prima vista sembrava proprio una caramella e la golosità aveva tradito l’anziano che diede fondo, in breve, al suo repertorio di parolacce e bestemmie, giocandosi le residue “chance” di poter accedere – se non proprio al paradiso – quantomeno al purgatorio. Una sera entrò tutto trafelato anche Quintino, con il volto e le mani “sgarbellate“, cioè graffiate.  Aveva lasciato da meno di un’ora l’osteria, salutando tutti, ubriaco da far paura, ed insieme a Berto Grada erano partiti alla volta di Oltrefiume. I due, traditi dal vino e dall’asfalto bagnato, erano finiti con la Vespa giù dritti per la scarpata della ferrovia, infilandosi tra i rovi sul greto del torrente. Berto, più per lo spavento che per la botta, era svenuto. E Quintino, dopo averlo cercato al buio, gridando il suo nome, spaventatosi per il silenzio dell’amico, era tornato all’osteria – barcollando – per chiedere aiuto. Erano una coppia di “originali“. Berto lavorava come muratore e a tempo perso dava una mano ad Alfonso che di mestiere faceva il becchino al cimitero di Baveno, in cima al viale dei Partigiani. Lavorava come una ruspa e capitava spesso che bisognava intimargli “l’alt” mentre scavava una
in bocca …sputandola, disgustato, un attimo dopo. Nella carta della “Golia“, il perfido Dante, aveva avvolto una piccola pallina di cacca di capra. A prima vista sembrava proprio una caramella e la golosità aveva tradito l’anziano che diede fondo, in breve, al suo repertorio di parolacce e bestemmie, giocandosi le residue “chance” di poter accedere – se non proprio al paradiso – quantomeno al purgatorio. Una sera entrò tutto trafelato anche Quintino, con il volto e le mani “sgarbellate“, cioè graffiate.  Aveva lasciato da meno di un’ora l’osteria, salutando tutti, ubriaco da far paura, ed insieme a Berto Grada erano partiti alla volta di Oltrefiume. I due, traditi dal vino e dall’asfalto bagnato, erano finiti con la Vespa giù dritti per la scarpata della ferrovia, infilandosi tra i rovi sul greto del torrente. Berto, più per lo spavento che per la botta, era svenuto. E Quintino, dopo averlo cercato al buio, gridando il suo nome, spaventatosi per il silenzio dell’amico, era tornato all’osteria – barcollando – per chiedere aiuto. Erano una coppia di “originali“. Berto lavorava come muratore e a tempo perso dava una mano ad Alfonso che di mestiere faceva il becchino al cimitero di Baveno, in cima al viale dei Partigiani. Lavorava come una ruspa e capitava spesso che bisognava intimargli “l’alt” mentre scavava una fossa perché, se stava per lui, non era mai abbastanza profonda, con il rischio di rimanere lui stesso sepolto vivo se gli franava addosso l’enorme cumulo di terra. All’osteria lo prendevano in giro perché era tanto buono ma anche un pò tontolone. Mario il Milanese l’aveva preso di mira con i suoi scherzi. Quando Berto comandava un piatto di trippa in umido o di minestra di fagioli, lo faceva distrarre per allungargliela con un mestolo d’acqua tiepida. Il Berto continuava a mangiare finché nel piatto restava solo un brodo insipido e leggero come l’acqua. Per fortuna c’era Maria, cuoca dal cuore d’oro, a difenderlo quando s’esagerava. Brandendo il grosso mestolo che serviva per girare la polenta, minacciava i burloni gridando: “Basta adesso. Il gioco è bello se dura poco. Lasciate stare il Berto, altrimenti vi faccio assaggiare questo bastone sulla gobba e vi assicuro che sono di mano pesante”.Maria metteva d’accordo tutti. Aveva un certo stile, deciso e convincente. Ma, essendo d’animo buono, perdonava tutti. A volte capitava che si venisse accolti per una rapida visita alla cucina esterna dell’osteria. Era quello il suo vero “regno“, ricavato dall’antica stalla. Accedervi era un privilegio. Il pavimento era stato ribassato rispetto al resto della costruzione. Il grande camino veniva utilizzato per l’essiccazione delle castagne ed i ganci appesi al soffitto servivano per asciugare i salami, che dopo la macellazione venivano appesi per una decina di giorni  a “sudare”, sgocciolando il grasso. Nella cucina Maria aveva conservato diversi attrezzi che venivano utilizzati in passato: la
 fossa perché, se stava per lui, non era mai abbastanza profonda, con il rischio di rimanere lui stesso sepolto vivo se gli franava addosso l’enorme cumulo di terra. All’osteria lo prendevano in giro perché era tanto buono ma anche un pò tontolone. Mario il Milanese l’aveva preso di mira con i suoi scherzi. Quando Berto comandava un piatto di trippa in umido o di minestra di fagioli, lo faceva distrarre per allungargliela con un mestolo d’acqua tiepida. Il Berto continuava a mangiare finché nel piatto restava solo un brodo insipido e leggero come l’acqua. Per fortuna c’era Maria, cuoca dal cuore d’oro, a difenderlo quando s’esagerava. Brandendo il grosso mestolo che serviva per girare la polenta, minacciava i burloni gridando: “Basta adesso. Il gioco è bello se dura poco. Lasciate stare il Berto, altrimenti vi faccio assaggiare questo bastone sulla gobba e vi assicuro che sono di mano pesante”.Maria metteva d’accordo tutti. Aveva un certo stile, deciso e convincente. Ma, essendo d’animo buono, perdonava tutti. A volte capitava che si venisse accolti per una rapida visita alla cucina esterna dell’osteria. Era quello il suo vero “regno“, ricavato dall’antica stalla. Accedervi era un privilegio. Il pavimento era stato ribassato rispetto al resto della costruzione. Il grande camino veniva utilizzato per l’essiccazione delle castagne ed i ganci appesi al soffitto servivano per asciugare i salami, che dopo la macellazione venivano appesi per una decina di giorni  a “sudare”, sgocciolando il grasso. Nella cucina Maria aveva conservato diversi attrezzi che venivano utilizzati in passato: la  cassetta per la conservazione della farina per la polenta o per quella di castagne; le terracotte, i
cassetta per la conservazione della farina per la polenta o per quella di castagne; le terracotte, i