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Ettore Cascioli e l’atelier in Monferrato

La bella dimora settecentesca situata a Ponzano nel cuore del Monferrato, a pochi passi dal Sacro Monte di Crea patrimonio dell’Unesco, tipico esempio di casa padronale con adiacenti antiche costruzioni agricole, è stata restaurata con rispetto conservativo e trasformata dall’attuale proprietario in centro culturale denominato “Atelier al Sagittario”


Ettore Cascioli, milanese, professore universitario di metodi quantitativi per i processi decisionali, si è qui trasferito da alcuni decenni soddisfacendo l’esigenza a lungo accarezzata di trovare un luogo ideale, vera casa d’artista, lontano dal frastuono della città e dedicarsi ad un’assidua sperimentazione della foto pittura, forma d’arte contemporanea, di cui è maestro, che, partendo dalla fotografia, realizza con interventi creativi immagini dalla parvenza simile alla pittura. L’artista non si è chiuso però nella cosiddetta torre d’avorio poiché ha accresciuto i propri intenti culturali attuando un interessante progetto di valorizzazione del territorio col dotare i rustici di ogni moderna attrezzatura al fine di rendere attuabili conferenze, seminari, mostre d’arte, incontri musicali e manifestazioni enogastronomiche. E’ stata data anche l’opportunità di avere a disposizione una struttura indipendente, per chi volesse soggiornarvi, dotata di ogni confort, affacciata su un giardinetto privato da cui si accede alla chiesetta dedicata a san Bernardo, consacrata nel 1783 come attesta un documento manoscritto e firmato, nel cui interno, lasciato appositamente disadorno come ai tempi, si respira il sentore della fede umile e sincera della popolazione agreste del passato. Spettacolare e lussureggiante, al contrario, sulla lato est a fianco della casa padronale, lo splendido parco alterna zone d’ombra sotto alberi secolari, dominati dal maestoso cedro del Libano, a distese soleggiate di profumata lavanda, roseti, cespugli di azalee, peonie ed erbe officinali, mentre il geometrico labirinto segnato da fitte siepi di bosso riconsegna l’eleganza dei giardini all’italiana delle antiche dimore signorili.

 

Giuliana Romano Bussola


 

DON ADRIANO GENNARI: “UNA PIAZZA PER IL MONASTERO ABBAZIALE DI CASANOVA”

Il delicato appello del sacerdote al Comune di Carmagnola (TO) per la risistemazione dell’area antistante lo storico complesso millenario, sempre più meta di un frequente pellegrinaggio religioso e culturale.

Il Monastero Abbaziale di Casanova, in provincia di Torino, è da anni ormai un luogo di culto e di cultura dall’affluenza sempre crescente, che richiama fedeli e visitatori da ogni parte d’Italia per assistere alle numerose celebrazioni eucaristiche che ivi ricorrentemente si svolgono.

Lo storico complesso millenario cistercense, risalente anticamente alla fine del 1200, caduto in stato di abbandono dalla metà degli anni Settanta, ha conosciuto una nuova rinascita a partire dal 1999, quando venne acquisito dal ‘Cenacolo Eucaristico della Trasfigurazione Onlus (www.cenacoloeucaristico.it), l’Associazione di volontariato e Comunità di Preghiera riconosciuta di fedeli in cammino fondata dal sacerdote cottolenghino torinese Don Adriano Gennari, conosciuto per le sue celebrazioni eucaristiche seguite da preghieredi intercessione per malati, bisognosi, poveri e sofferenti, già fondatore e animatore anche della ‘Mensa dei Poveri’ in Via Belfiore 12 a San Salvario, nel cuore di Torino, che sfama mensilmente migliaia di senzatetto e indigenti grazie al provvidenziale aiuto di un coeso e nutrito gruppo di volontari e benefattori.

Desidero rivolgere un delicato e speranzoso appello al Comune di Carmagnola, per chiedere un interesse vivo sull’area antistante il Monastero, che necessita di un piano di intervento strutturale importante, per restituire decoro e accoglienza ai numerosi visitatori del complesso”, spiega il sacerdote, anche Collaboratore della Parrocchia di Casanova intitolata all’Assunzione di Maria Vergine.

Disponibilissimi anche per un tavolo di confronto condiviso e costruttivo con l’Amministrazione Pubblica, al fine di integrare sempre più l’Abbazia di Casanova nel contesto delle eccellenze carmagnolesi che possano fungere da richiamo e attrattiva anche culturale e turistica, oltre che religiosa, per la cittadinanza Carmagnolese”, conclude fiducioso Don Adriano Gennari, Superiore dei Sacerdoti dell’Ordine di San Giuseppe Benedetto Cottolengo.

Dormire sotto le stelle

Notti stellate, aurore boreali, viste incantevoli sull’oceano, tramonti mozzafiato circondati dalla giungla in compagnia di gazzelle o giraffe, una vacanza all’aperto, senza barriere tra l’uomo e la natura, senza filtri architettonici, liberi ma allo stesso tempo coccolati in strutture magnifiche, magari con piscina privata, letto a baldacchino o nei glamping, i campeggi di lusso

Una volta la vacanza a stretto contatto con l’ambiente era appannaggio di chi era disposto a soggiornare con vari disagi o di chi era dotato di una buona attitudine all’adattamento, ripagato ovviamente da visioni e sensazioni senza prezzo. Nella vacanza open air, nei camping soprattutto, i comfort non sono ammessi e ci si affida all’arte dell’arrangiarsi: niente bagno privato, cucina improvvisata, continui compromessi con l’habitat circostante. In molti, probabilmente, hanno rinunciato ad una esperienza simile per la poca confidenza con la scomodità, gli imprevisti o perché la vacanza spesso non può essere considerata tale se non comprende assistenza e sicurezza. Un vero peccato perdersi spettacoli naturali magici e straordinari, esibizioni uniche e indimenticabili non replicabili artificialmente. Le ultime   e modernissime realtà virtuali, per quanto avanzate e veritiere, non sono in grado di ricreare totalmente il profumo selvaggio del deserto né procurare la sensazione da brivido che solo una vera foresta e la sua fauna possono assicurare. Le cose sono cambiate però, finalmente si può pensare di fare una vacanza in mezzo alla natura e le sue meraviglie in ambienti confortevoli, circondati dalle comodità e perfino dal lusso. L’offerta turistica di hotel, resort e glamping che propongono questo tipo di servizio è notevolmente aumentata, moltiplicata potremmo dire, forse perché la tendenza è cambiata, forse perché la voglia di scoprire le bellezze naturali è nuovamente l’obiettivo per una vacanza da sogno. Se ne possono trovare di bellissimi e incredibili come l’hotel a zero stelle”, sul Gobsi in Svizzera un letto in cima alla montagna e niente più, a parte un maggiordomo a disposizione e uno chalet di appoggio in caso di emergenza. A Sumba, in Indonesia, tra la giungla e la scogliera, un meraviglioso e suggestivo baldacchino sotto il firmamento, lezioni di yoga ed escursioni. Nella Lapponia finlandese, un igloo moderno per ammirare le costellazioni e contare le stelle distesi comodamente sul letto. Fuori un paesaggio incantato, una natura sognante e silenziosa. In Malawi, il cielo dentro la camera da letto, una riserva popolata da animali protetti e rispettati, una esperienza dotata di ogni confort nell’Africa più bella, quella più selvaggia. In piena Europa, a Berlino nel quartiere Prenzlaurberg, una esperienza Balinese, un giardino esotico, una atmosfera lontana e affascinante. Veli, piante, letto all’esterno, niente ascensore ma molta atmosfera.

 

Maria La Barbera

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

10 cose che (forse) non sai sull’Erasmus

Era il semestre invernale dell’a.a. 2017/2018, quando mi buttai allo sbaraglio nell’ardua impresa di sopravvivere 6 mesi nel capoluogo della Renania Nord-Occidentale, presso l’Heinrich Heine Universität, facoltà di filosofia. Mi rivolgo a te, che stai pensando di partire per un periodo Erasmus, ti avverto: sarà uno shock culturale. Ecco 10 curiosità che devi sapere prima di avventurarti in un periodo Erasmus


1) È un’ansia continua Carte su carte, scartoffie a non finire… Durante il tuo Erasmus dovrai rassegnarti a convivere con uno scambio epistolare INFINITO di documenti per il contratto tra università, per ottenere uno studentato nel paese di arrivo, per le borse di studio… E poi ti toccherà combattere con changes continui del learning agreement e miliardi di scadenze… Insomma, riuscire a mantenere la sanità mentale dietro a tutto questo, mentre stai anche preparando gli esami, richiede non poca resistenza, capacità organizzativa e memoria.

2) Richiede coraggio Eh sì, mollare famiglia, amici di sempre e magari un amore, per partire per mesi da solo per un paese sconosciuto può non suonare allettante per tutti… ma le difficoltà non sono mica tutte lì! Una volta partito dovrai anche essere in grado di organizzarti il viaggio da solo e orientarti all’estero, fino a raggiungere il tanto agognato, per quanto modesto, studentato (se hai avuto la fortuna di vedertene assegnato uno!)

3) Ti rende un po’ bohème… I continui viaggi che caratterizzano lo studente Erasmus e le risorse modeste, date dai risparmi di un lavoro saltuario e la misera borsa di studio, ti insegneranno l’arte dell’arrangiarsi con poco e sentirti comunque il giovane più felice e fortunato dell’universo!

4) Ti insegna il valore della condivisione Come solo uno studente fuori sede può capire, condividere è ESSENZIALE quando non hai vicino una famiglia che può sostenerti e i soldi scarseggiano sempre… Ma questo non crea affatto depressione, come qualcuno potrebbe immaginare! Si viene anzi a creare una sorta di atmosfera di “decrescita felice”, in cui gli sprechi sono nulli, la condivisione è massima e i legami sociali con i vicini di casa e i nuovi amici diventano sempre più stretti, quasi a formare un nuovo nucleo familiare.

5) Ti fa scoprire più fratelli e sorelle di quanti credevi di averne Come dice il proverbio: mal comune, mezzo gaudio! Ebbene sì, in mezzo ai mille disagi del doversi ambientare alla cultura locale e del dovere imparare a districarti con la lingua, i tuoi fratelli di Erasmus, ossia gli altri studenti aderenti al progetto, saranno anche i compagni tuoi di sventure, con cui potrai confrontarti, ridere delle piccole disavventure quotidiane e costruire bellissimi ricordi insieme. Senza contare i nuovi amici del posto! Se sarai fortunato ti sarà affidato uno o più buddies dalle associazioni universitarie, ossia uno studente dell’università ospitante che si offrirà volontario per  farti da Cicerone per quanto riguarda il campus universitario e la città stessa. Un buon buddy ti saprà consigliare dove bere una buona birra la sera, un ottimo buddy ti porterà a bere tutta la notte!

6) Rinforza il legame con Casa Prima di partire credevo che vivere all’estero mi avrebbe fatto, se non perdere, quantomeno affievolire i legami con gli amici di sempre, la famiglia e il mio stesso Paese… Non mi sono mai sbagliata tanto. È incredibile quanto si rafforzi il legame di solidarietà tra compaesani quando ci si ritrova in un paese straniero e quanto sia grande la gioia che si prova quando i tuoi vecchi amici o i parenti vengono a trovarti a sorpresa! È scioccante quanto sembra che si amplifichino le emozioni in un contesto del genere.

7) Ti fa capire che non tutto si può tradurre Parola di una studentessa di Lingue: non tutto è traducibile. Avete mai sentito parlare dei Realia? Ebbene, sono delle parole strettamente collegate alla cultura locale, agli usi e costumi, ai gusti e al modo di sentire tipico della gente del posto. Un Glühwein ha tutta un’altra connotazione emotiva rispetto al nostro vin brulè, l’Einsamkeit è ben più di un semplice senso di solitudine e lo Stammtisch è un meraviglioso momento e un rituale di aggregazione che non sembra avere una parola corrispondente nella nostra lingua. Mentre per quanto riguarda invece il tipico abbiocco italiano, i tedeschi sembrano non capire bene fino in fondo di cosa si tratti e quanto esso sia inevitabile dopo una bella mangiata.

8) Ti fa prendere coscienza della tua “italianità” Non hai idea di quanto il tuo accento, il tuo modo di fare e perfino di camminare sia italiano, finché non vai a vivere all’estero. Spiazzante ma allo stesso tempo divertente, questa nuova consapevolezza emergerà quando meno te l’aspetti. Mentre chiacchieri, studi o brindi con la gente del posto o studenti di altre nazionalità che all’improvviso se ne usciranno con un “typisch italienisch!” o “that’s so typical of Italians!” riferendosi a piccoli particolari quotidiani o modi di dire che tu credevi fossero culturalmente neutri o quantomeno internazionali.

9) È un investimento Richiede soldi… tanti soldi! Molti studenti Erasmus spesso infatti finiscono per trovarsi un lavoretto da affiancare alle attività di studio perché, effettivamente, le borse di studio coprono malapena i costi dell’affitto. E inoltre ti fa perdere tempo, in termini accademici, in quanto, per esempio, il progetto Erasmus+ non permette di poter dare esami di più annualità della stessa lingua nello stesso anno accademico, limite invece assente (per fortuna!) all’Università degli Studi di Torino.

10) È un’esperienza pirandelliana: ti trasforma in uno, nessuno e centomila! Nonostante i mille ostacoli e difficoltà una cosa è certa: una volta tornato a casa, la depressione postErasmus per te sarà inevitabile. Ti mancherà terribilmente lo stimolante ambiente interculturale e la possibilità di imparare sempre cose nuove sulle altre culture ma contemporaneamente, per contrasto, anche sulla tua. Ti accorgerai di avere assunto dei modi di fare e di dire tipici della cultura del paese che ti ha ospitato per tanti mesi, ma di cui non ti eri accorto finché non sei rimpatriato. Realizzerai all’improvviso quanto sei unico ma allo stesso tempo piccolo in un mondo così grande, e imparerai che superare la propria zona di confort implica sì dei rischi, ma anche delle meravigliose avventure. In Germania esiste una parola: Fernweh. Essa indica il dolore per ciò che è lontano, per un luogo che non è la tua patria, ma è un posto in cui sei stato e hai lasciato un pezzo di cuore, in cui vorresti disperatamente ritornare. Chissà, forse, quando hanno coniato questo termine, i teutonici pensavano proprio alla nostra bella Italia, ma io, invece, penso alla cittadina di Düsseldorf, che mi ha ospitato per sei mesi, diventando la mia casa. Ma questo Erasmus mi ha insegnato anche il Wanderlust, l’istinto migratorio, la voglia irrefrenabile di viaggiare e scoprire posti nuovi, ampliando la mia identità da italiana a cittadina del mondo. In conclusione, se deciderai di partire per questa esperienza, non posso garantire che tornerai… E se lo farai, non sarai più lo stesso.

 

Valentina Scebba

Il “Volo dei numeri” di Merz illumina la Mole

Il ‘volo dei numeri, opera dell’artista Mario Merz ispirata alla serie di Fibonacci, collocata sulla cupola della Mole Antonelliana nel 2000, resterà d’ora in poi costantemente accesa, dall’imbrunire di ogni giorno fino all’una d’estate e a mezzanotte d’inverno. I numeri “in volo” nell’installazione di Merz sono quelli della serie di Leonardo Pisano, detto Fibonacci. Il matematico medievale toscano – che introdusse tra l’altro in Italia l’uso delle cifre arabe – così sintetizzava la progressione che, in natura, determina la crescita e la proliferazione delle forme: in questa successione, ogni numero è la somma dei due precedenti. L’artista ha più volte utilizzato la serie di Fibonacci come elemento delle sue installazioni; allo stesso modo, è stato fra i primi ad assumere la luce fluorescente come metafora dell’energia. Qui, però, la successione numerica assume nuovi significati sia come forte segnale luminoso disposto sulla Mole, sia in rapporto alla curva (altro schema di frequente utilizzazione matematica) della cupola della costruzione di Antonelli. L’opera, illuminandosi tutte le sere, diventerà un tutt’uno col monumento simbolo della città.

L’arte di Giselle Treccarichi

Pittrice siciliana,  nasce a Cesarò nel 1973, il suo percorso artistico inizia da autodidatta
La sua arte è in continua evoluzione, dal realismo all’impressionismo, dall’espressionismo all’astratto, all’informale. Utilizza varie tecniche e materiali prediligendo acrilico e olio su tela.
In continua ricerca guarda alla natura, universo di incessanti stimoli visivi e sentimentali.

 

La mia visione dell’arte. Racchiudere l’arte in delle correnti è un’esigenza dell’uomo. Chiedersi oggi com’è l’arte contemporanea è come cercare una via da seguire per immettersi in un percorso sociale e regolare fatto di schemi mascherati di anticonformismo, un falso problema quindi. L’arte è un linguaggio universale che fa leva sull’immediatezza di comunicazione rispetto alla Babele linguistica costruita dall’umanità. Vedo il tempo, rispetto all’uomo, in sovrapposizioni di bianco e nero che arricchiscono la nostra identità di luci e ombre, di amore e dolore. Tutto ciò che è colore, nella percezione che io ho del colore, è ubiquo solo in natura: ciclica, spettacolare, misteriosa. Potrei impegnare un tempo infinito nell’osservazione di un fiore, di un insetto, di un albero per cogliere quell’attimo di luce che sprofonda nella materia e che ne risalta la magnificenza. L’ideale di giungere con un’opera alla bellezza della natura è per me un continuo stimolo fatto di consapevoli chimere, ma nel contempo cerco di trasmettere le mie percezioni attraverso le mie opere, comunicare perciò attraverso l’arte il riflesso della natura, in un continuo fluire di informazioni da trasmettere.  Racchiudere, quindi, il tempo nell’opera stessa:
il passato, poiché quello che osservo ora è già passato adesso ed è frutto di
un passato primordiale;
il presente, poiché quello che dipingo racchiude il passato osservato e percepito e anticipa il futuro;
il futuro che è la continua trasmissione di sensazioni veicolate dall’opera e percepita dagli astanti. L’insieme dei tempi diventa fluido come il colore, come la luce, come l’ombra. Questa è dunque la mia prospettiva di oggi sull’arte, una prospettiva rivolta ovviamente all’uomo, ma veicolare dell’elemento naturale.

 

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Nella foto grande l’opera ” L’essenziale” che partecipa al concorso di arti figurative “Metropoli di Torino” (bandito dal centro artistico culturale “Arte Città Amica”) , che sarà esposta a Torino presso il palazzo Birago di Borgaro in via Carlo alberto, 16 (dal 16 al 28 giugno 2018). Nella foto in bianco e nero l’artista Giselle Treccarichi.

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“AZIENDE E CITTADINI INDEBITATI: ECCO COME USCIRNE”

Diventa dunque ancor più importante, alla luce delle concrete e reali possibilità offerte dalle leggi dello Stato, diffidare di fantomatiche e improbabili agenzie stralcia-debito che proliferano come funghi qua e là sul web, tartassando gli italiani con migliaia di newsletter e annunci promozionale che lasciano il tempo che trovano, e proponendo improbabili soluzioni che non fanno altro che arricchire ingiustamente le loro tasche”. Esordisce così Serafino Di Loreto, esperto di restructuring per privati e imprese, da anni in prima linea nel sostenere cittadini e aziende in difficoltà.La crisi ha prodotto, come ultimo effetto, una nuova categoria di soggetti in difficoltà: i cosiddetti ‘sovraindebitati’, ovvero cittadini, consumatori, liberi professionisti, artigiani e piccole e medie imprese che, a causa della perdita o del drastico scemare del lavoro, non riescono più a far fronte alla gestione delle proprie spese (in primis mutui, affitti, leasing, finanziamenti e versamento delle imposte).Ritrovandosi travolti da un monte debiti in costante aumento. Da qui, 6 anni fa, il varo della cosiddetta Legge 3/2012 – meglio nota come ‘Legge salva-suicidi’ -, finalizzata a salvare dal tracollo economico (ma anche fisico e psichico) persone vittime della cosiddetta ‘morte civile’: impossibilità di intestarsi un bene mobile o immobile (auto o casa, per paura che venga aggredito dai creditori), di accedere a finanziamenti o di avere carte di credito, bancomat.

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“Un provvedimento legislativo efficace ma di cui poco o niente si parla, teso alla rinascita delle persone sovraindebitate: le quali, mettendo a disposizione parte del proprio reddito o il proprio patrimonio, si esdebitano: vale a dire che, con il poco che hanno, salvaguardando la loro parte di entrate atta a garantire il prosieguo di una vita dignitosa, ottengono la cancellazione, in alcuni casi, anche fino al 90% del cumulo debiti maturato verso privati, banche e Fisco. Compresa la rimozione del proprio nominativo da tutte le banche dati dei cattivi pagatori. E poter così ripartire da zero, liberi da ogni vincolo con un passato disastroso e penalizzante”, spiega Serafino Di Loreto, Fondatore di ‘Fondazione SDL per l’Educazione Finanziaria delle Imprese e per gli Studi Aziendali’, stimato Ente presieduto dall’ex magistrato Piero Calabrò, primo ad aver ottenuto nel 1999 una serie di sentenze storiche contro l’anatocismo e l’usura bancaria applicate ingiustamente dagli istituti di credito nei confronti dei consumatori. “Le ultime stime indicano che, nel 2017, il totale dei debiti di cittadini e famiglie ammonta a circa quota 550 miliardi: per le imprese, invece, si parla almeno di tre volte tanto. A farne le spese? Economia e occupazione, specie per le PMI“, aggiunge Serafino Di Loreto, tra l’altro anche Presidente dell’Osservatorio Europeo sull’Educazione Finanziaria: e che, con ‘Sdl Centrostudi Spa’ (www.sdlcentrostudi.it), al momento, in 7 anni, ha restituito alle tasche di cittadini e contribuenti ingiustamente vessati da banche e Fisco ingiusto oltre 250 milioni di euro.

 

Revellino, la “chimica” dell’arte

Michele Revellino rende meno triste questa città.  Diciamocelo pure: a volte, noi torinesi apparivamo un po’ dimessi. Saranno state le varie ” rapine ” che abbiamo subito dopo aver dato tutto alla causa che ci ha tradito. Unità d’ Italia con Roma capitale (sicuramente nell’ ordine delle cose) poi la Fiat definitivamente ” evaporata” in tutte le parti del mondo (e questo è stato meno nell’ordine delle cose). Michele inizia il suo percorso come chimico, affrontando la manipolazione  della materia plastica con  la ricerca dei colori sgargianti e di sicuro impatto. Inserendosi in tendenze internazionali e locali.
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Biografia di Michele Revellino
Nasce a Torino il 23/06/1962. Formazione in chimica e nel settore gomma plastica, che lo influenzerà anche artisticamente. Inizia negli anni 80’ un percorso artistico in una Torino giovanile in fermento, che guardava alle influenze Punk e alla nascente New Wave Inglese, Si confronta artisticamente con le avanguardie ad esempio gli Young British Artist e si accomuna alle ideologie e alle opere dei graffitisti americani e della transavanguardia Italiana. Nascono i primi lavori, collage e acrilici su cartoncino , riutilizzando oggetti recuperati e decontestualizzandoli in un amalgama di sensazioni con lo scopo di ricercare un arte ancestrale innata e che comunichi su piani sequenziali multipli. Nascono negli anni 90 le tele elaborate al computer con l’utilizzo degli smalti industriali del silicone, ai sugheri per arrivare negli anni 2000 ai poliuretani alla resine e l’utilizzo degli ink jet, miscelati con ricercata tecnica ai materiali tradizionali della pittura, in una continua aspirazione della rappresentazione emozionale anche attraverso quei materiali sintetici, che sono i testimoni del nostro tempo, Gli ultimi lavori dai primi anni 2000 ad oggi, sono forse la sintesi di questa ormai lunga sperimentazione e ricerca, o meglio quella che come la definisce l’artista in unica parola“TRASFORMAZIONE” , che l’hanno portato a coniugare un supporto che non è più la carta o la tela, ma il polistirene espanso, quest’ultimo diventa materiale scultoreo tridimensionale lavorato inciso bruciato colorato ad olio e resine, tale in alcuni passaggi, da trasformarlo in qualche cosa di non immediatamente percepibile che dispone nell’osservatore la necessità di toccarlo per capirne la natura e il segreto. Nascono così questi lavori ridefiniti dall’artista come ”OOPART “ dall’acronimo inglese “Out of Place Artifact “acronimo che raggruppa tutte quelle opere archeologiche misteriose, di cui non si riesce a stabilire con certezza , provenienza , datazione e significato.Opere ironicamente datate dall’artista B.C. Before Crhist. Un richiamo alle antiche civiltà in un ponte immaginario spazio temporale che unisce le differenti culture umane in unico scopo, insito in tutte le opere artistiche, che dai primordiali uomini delle caverne ad oggi ci proiettano senza limiti espressivi al prossimo futuro.
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Al circolo degl Artisti riesce a conquistarsi un intera parete che dove le sue opere sequenziali evidenziano il  suo percorso intellettuale. Visitabile fino al 19 Maggio in via Bogino 9
Patrizio Tosetto

Strategie militari degli antichi romani

Sabato 19 maggio alle ore 16 nella sala Kolbe, Convento di San Francesco, I piano, piazza San Francesco 3 a Susa la Segusium Società di Ricerche e studi valsusini presenta un evento di archeologia sperimentale con Marco Berardinelli (Habemus in cena), la posca come strategia militare e Filippo Crimi (Legio VIII Augusta), il lavoro militare delle legioni romane. Ospite d’onore Gabriella Pantò, in rappresentanza dei Musei Reali di Torino. 

Il “campionario umano” dell’Osteria dei Contrabbandieri

All’osteria dei Contrabbandieri ci si trovava in compagnia. Soprattutto il sabato sera. Nel locale l’aria era densa come la nebbia di Milano. Solo che non era la fitta bruma che saliva dai Navigli ma il fumo dei sigari toscani e delle “nazionali” senza filtro. Un’aria malsana e spessa, da tagliare con il coltello. Sui tavoli infuriavano discussioni “ a molteplice tema” ( come diceva l’ex agente del dazio, Alfonso Merlone). Sport –  con ciclismo e calcio a far da padroni -, politica, vicende del paese s’intrecciavano in una baraonda dove sfiderei tutti voi a trovare il bandolo della matassa , tant’era intricata.

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E le partite a carte? Combattutissime, “tirate” allo spasimo tra segni e parole, “liscio e busso” e compiaciute  manate sulle spalle tra i soci. Il “campionario umano”, come avrebbe detto il dottor Segù, era  di prim’ordine. Il più vecchio era il “Babbo”, un toscanaccio tutto nervi che aveva superato gli ottant’anni da un pezzo. Quando lo tiravano fuori dai gangheri urlava “Ti sbuccio!”, minacciando l’interlocutore  con un  coltellino che non serviva nemmeno a far schiudere il gheriglio di una noce dal tanto che era piccino. Tutta scena, ovviamente, perché  non sarebbe  mai stato capace di far male ad una mosca. Nemmeno quella volta che Dante Marelli, gli offri una “Golia“. L’ometto era golosissimo della liquirizia e quelle caramelline lo facevano impazzire. La scartò al volo e se la infilò carte-osteriain bocca …sputandola, disgustato, un attimo dopo. Nella carta della “Golia“, il perfido Dante, aveva avvolto una piccola pallina di cacca di capra. A prima vista sembrava proprio una caramella e la golosità aveva tradito l’anziano che diede fondo, in breve, al suo repertorio di parolacce e bestemmie, giocandosi le residue “chance” di poter accedere – se non proprio al paradiso – quantomeno al purgatorio. Una sera entrò tutto trafelato anche Quintino, con il volto e le mani “sgarbellate“, cioè graffiate.  Aveva lasciato da meno di un’ora l’osteria, salutando tutti, ubriaco da far paura, ed insieme a Berto Grada erano partiti alla volta di Oltrefiume. I due, traditi dal vino e dall’asfalto bagnato, erano finiti con la Vespa giù dritti per la scarpata della ferrovia, infilandosi tra i rovi sul greto del torrente. Berto, più per lo spavento che per la botta, era svenuto. E Quintino, dopo averlo cercato al buio, gridando il suo nome, spaventatosi per il silenzio dell’amico, era tornato all’osteria – barcollando – per chiedere aiuto. Erano una coppia di “originali“. Berto lavorava come muratore e a tempo perso dava una mano ad Alfonso che di mestiere faceva il becchino al cimitero di Baveno, in cima al viale dei Partigiani. Lavorava come una ruspa e capitava spesso che bisognava intimargli “l’alt” mentre scavava unaosteria1 fossa perché, se stava per lui, non era mai abbastanza profonda, con il rischio di rimanere lui stesso sepolto vivo se gli franava addosso l’enorme cumulo di terra. All’osteria lo prendevano in giro perché era tanto buono ma anche un pò tontolone. Mario il Milanese l’aveva preso di mira con i suoi scherzi. Quando Berto comandava un piatto di trippa in umido o di minestra di fagioli, lo faceva distrarre per allungargliela con un mestolo d’acqua tiepida. Il Berto continuava a mangiare finché nel piatto restava solo un brodo insipido e leggero come l’acqua. Per fortuna c’era Maria, cuoca dal cuore d’oro, a difenderlo quando s’esagerava. Brandendo il grosso mestolo che serviva per girare la polenta, minacciava i burloni gridando: “Basta adesso. Il gioco è bello se dura poco. Lasciate stare il Berto, altrimenti vi faccio assaggiare questo bastone sulla gobba e vi assicuro che sono di mano pesante”.Maria metteva d’accordo tutti. Aveva un certo stile, deciso e convincente. Ma, essendo d’animo buono, perdonava tutti. A volte capitava che si venisse accolti per una rapida visita alla cucina esterna dell’osteria. Era quello il suo vero “regno“, ricavato dall’antica stalla. Accedervi era un privilegio. Il pavimento era stato ribassato rispetto al resto della costruzione. Il grande camino veniva utilizzato per l’essiccazione delle castagne ed i ganci appesi al soffitto servivano per asciugare i salami, che dopo la macellazione venivano appesi per una decina di giorni  a “sudare”, sgocciolando il grasso. Nella cucina Maria aveva conservato diversi attrezzi che venivano utilizzati in passato: la osteria-polentacassetta per la conservazione della farina per la polenta o per quella di castagne; le terracotte, i tund, cioè i piatti e il paiolo di rame per la polenta; il querc, il coperchio che veniva  utilizzato per servire le portate , come nel caso delle frittate; il putagé,un fornello a braci dove si poteva fondere il lardo. Attorno al camino, vicino alla soglia in pietra c’erano le molle, il barnasc (la paletta per le braci), il frustino in legno di bossoutilizzato per mescolare la polenta. La semplicità e l’accoglienza di quell’ambiente ci ricordava i tempi della nostra gioventù, la sobrietà dell’alimentazione a base di  polenta, consumata tutti i giorni, e di  minestra, preparata la sera, il cui avanzo costituiva la colazione del mattino dopo. I ricordi erano come una bacchetta magica che faceva tornare d’incanto la serenità ed anche Mario il milanese, a quel punto, prendeva sottobraccio Berto, scusandosi in una maniera che il Grada accettava subito – scusate il gioco di parole –  di buon grado : offrendo pane, formaggio e vino buono.

Marco Travaglini