Fiera di primavera a San Gillio

Il Comune di San Gillio, in collaborazione con la Pro Loco Sangilliese, presenta la consueta “Fiera di Primavera”, appuntamento clou degli eventi in programma nel mese di giugno a San Gillio.

Domenica 25 giugno quindi il paese sin dal mattino lungo tutto il centro storico, sarà colorato dal “Mercatino dell’artigianato e del food” con espositori provenienti dal torinese, artigiani, hobbisti, piccoli produttori a km 0.

Due le mostre fotografiche di grande interesse, visitabili tutto il giorno: “Istanti di note” di Rita Bernardi presso la Sala Consigliare (via Roma 6) e “La scuola, il nostro… tesoro” per una raccolta fondi a sostegno delle scuole colpite dal terremoto del centro Italia, organizzata dal Comitato Genitori nella chiesa di San Rocco.

La scuola di danza “La Rosa dei Venti” intratterrà il pubblico con esibizioni e balli in piazza Bovetti; per i più piccoli, ma non solo, il fascino del trenino elettrico. Alle ore 21.30 gran chiusura della Fiera in via Roma, con il concerto jazz del trio Marsico-Borotti-Minetto.

Sabato 24 alle ore 18 verrà inaugurata la mostra “Il Cinema dipinto”, locandine e manifesti cinematografici visitabili sino al 1 luglio presso la Società di Mutuo Soccorso (via San Rocco 6)

“Alimentazione, idratazione e movimento in estate

Il 6 luglio si terrà l’incontro “Alimentazione, idratazione e movimento in estate” a cura dell’ASL Città di Torino promosso dal progetto “Essere anziani a Mirafiori sud” in collaborazione con il progetto “Argento Attivo”

Latte! Latte appena munto!

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castagne magnan“Me lo ricordo, il Meo. Veniva da Carpugnino in bicicletta e portava a tracolla una sacca di tela in cui teneva gli attrezzi da lavoro e il materiale: aghi e filo per il rammendo, manici e stecche di ricambio, puntali di legno. Urlava a squarciagola “Umbrelàt, umbrelàt!”, annunciando il suo arrivo nei paesi attorno al Mottarone”

Ricordi quando girava per le strade l’umbrelàt? Eh, altri tempi! Ora gli ombrellai sono spariti. Non servono più; sono diventati inutili. A parte il Bortola, quello di Domo dove talvolta si serve il Faustino, non ne conosco altri. Chi vuoi che faccia riparare l’ombrello,oggi? Basta un sfriis, un piccolo segno nel telo o una bacchetta storta e l’ombrello va dritto nella spazzatura, sostituito con uno nuovo”. Dino Denti, mi parla e scuote la testa. “ Un tempo, che ti piacesse o no, eri  costretto a risparmiare. Si stava attenti alla roba e, quando l’ombrello si rompeva, si aspettava il passaggio dell’ombrellaio. Me lo ricordo, il Meo. Veniva da Carpugnino in bicicletta e portava a tracolla una sacca di tela in cui teneva gli attrezzi da lavoro e il materiale: aghi e filo per il rammendo, manici e stecche di ricambio, puntali di legno. Urlava a squarciagola “Umbrelàt, umbrelàt!”, annunciando il suo arrivo nei paesi attorno al Mottarone”. Mi sembra di capire che stasera, qui all’osteria, c’è aria di ricordi. Infatti, zittitosi Dino ecco partire in quarta l’Evaristo. “Io rammento quando girava per le vie e i cortili il magnan, lo stagnino. Ero piccolo e quando tornavo a casa sporco dopo un pomeriggio di giochi alla Madonna del Popolo mia madre mi gridava “Vunciòn d’un vunciòn, ti s’è cunscià ‘mé ‘l Belgio, négar cumpàgn d’un magnan”. In effetti ero nero come poteva esserlo solo uno stagnino che aveva a che fare tutto il giorno con paioli di rame, pentole di ferro, tegami d’alluminio”.

L’arrivo del magnano non passava inosservato. Gridava forte, annunciandosi, il Mario Colombo tradendo, con la sua inconfondibile pronuncia, le origini lombarde: “Tosann, gh’è chi el magnan ch’el gh’ha voeuja de laurà” (“Ragazze, c’è qui lo stagnino che ha voglia di lavorare”). “E del cadrigàt, del riparatore di sedie, non diciamo niente?”, interviene Bartolo, accompagnando le parole con una gran manata sul tavolo. “ Quando una cadréga si rovinava non c’era che lui in grado di risistemarla, soprattutto quelle impagliate.Era uno delle Quarne, testardo e risoluto come tutti i montanari. Viaggiava anche lui in bici, con un sacco  che conteneva martello, seghetto, trapano e pialla. Si sedeva sui gradini e, con la paglia della segale, intrecciava sedili quando non doveva piallare gambe e rinforzare schienali”. Mansueto conferma che ormai c’è una gara in corso a chi ricorda i mestieri di un tempo. “L’Ubaldo di Coiromonte, chi di voi l’ha più visto? Dev’essere morto e sepolto perché quand’ero ragazzo era già in là con gli anni. Vendeva ai mercati o davanti al sagrato delle chiese i filoni di castagne cotte al forno, copiando la moda della bassa. Girava tutto gobbo, piegato in due, con tutte quelle collane di castagne che portava a tracolla od appese in spalla”. “Mio nonno vendeva al giaz, il ghiaccio”.

La voce è quella del Martino Piana ma non riesco a vederlo. Ah, eccolo: è talmente mingherlino che la botte vuota dove Maria affigge i suoi menù lo nascondeva alla vista. “ Sì, perché negli anni trenta non c’erano in giro i frigoriferi elettrici e per tenere al fresco gli alimenti si usavano i giazaròl, le ghiacciaie, dei mobiletti di legno le cui pareti interne erano rivestite da un’intercapedine di sughero e zinco. Si aprivano dall’alto con uno sportello e vi si infilava il blocco di ghiaccio per creare il fresco. Mio nonno, Gustavo Piana, viaggiava con un carrettino su cui c’erano dei pani di ghiaccio lunghi quasi un metro e di circa venti centimetri di lato. Ognuno ne acquistava la quantità che gli serviva e le signore ricche lo usavamo anche per fare le granite. A volte, proprio loro, facevano storie per pagare ma mio nonno, deciso a farsi valere, diceva che “gnànca ‘l can al fa nà la cùa par nuta” neanche il cane dimena la coda per niente) e non mollava l’osso finché non riceveva il giusto compenso. E che sudate nel su e giù per i paesi di montagna!”.

Questi mestieri sono del tutto scomparsi e , poco o tanto, la stessa traccia che hanno lasciato nella memoria di chi li ha potuti conoscere si affievolisce. Tempo qualche anno e chi si rammenterà più che, nei mercati, c’erano i venditori d’acciughe salate, aringhe affumicate (le saracche che davano profumo alla polenta dei più poveri) e il tonno sott’olio. Chi si ricorderà quei barili aperti con questi pesci accomodati a raggiera, in bella vista?  E i lattai ambulanti che arrivavano fin dalle prime ore del mattino dalla valle Strona o dai paesi del Mottarone e della valle dell’Agogna, con la brenta del latte fresco in spalla? Per attirare l’attenzione urlavano “Lac’! Lac’! Lac’ pèna mungiù!” (Latte! Latte! Latte appena munto!). C’era chi vendeva il castagnaccio e chi le mele, chi i frutti di bosco e chi i funghi. Uno dei pochissimi che resistono ancora sono i venditori di caldarroste. Pochi ma  ne sono ancora in giro. Anche loro hanno dovuto stare al passo con i tempi.  Le caldarroste erano vendute in fogli di giornale a forma di imbuto. Ora se non usano il sacchettino con la scritta “per alimenti” finiscono per prendersi multa e denuncia. Forse è il momento, dico io, di farci su una bella bevuta prima che la nostalgia ci faccia venire un groppo alla gola. Intanto, guardando fuori dalla finestra a fianco del bancone della mescita, la luce di una bella luna – tonda e gialla come una polenta – attenua il buio e fa dolce la sera.

Marco Travaglini

L’Evelina dell’Uva Matta

RISTORANTE GALLORISTORANTE OSTERIAOltre alla varietà dei salumi, la trattoria era  uno dei pochi, se non l’unico posto, dove si cucinava ancora il “ragò“, un piatto a base di verze arrosto con costine e cotenne di maiale. Non propriamente un piattino leggero e dietetico che però solleticava le papille gustative a molti, tant’è che venivano persino dall’Oltrepò a gustarlo. Previa prenotazione, ovviamente

Evelina Castiglioni, vedova Borlazza era – oltre che zia di Ercolino, avendo sposato il compianto Ruggero, uno dei fratelli del padre del Vicesindaco – la proprietaria dell’unico ristorante di Buttignolo, la trattoria dell’ Uva Matta. Beh, proprio l’unico no, a dire il vero. C’erano anche “Il rustico” dell’Arduino Pombini e “La lucerna” di Vittorino Ardemagni ma erano due bettole, dove si mangiava piuttosto male e si beveva peggio. Dall’Evelina, grazie anche allo “chef” Lunardotti che aveva lavorato per qualche anno nei migliori ristoranti di Pavia e Alessandria, chi “metteva i piedi sotto il tavolo” ( come amava dire la corpulenta ristoratrice) non si poteva lamentare del menù, sempre ricco e vario. Grazie a lei Buttignolo si era fatto riconoscere come una delle mete per le merende e per le cene che venivano organizzate in zona. Vuoi che fossero gli operai della “Casalini Guarnizioni e Freni”, i ferrovieri del pavese, le varie società sportive o famiglie che cercavano un posto dove mangiar bene con poca spesa per festeggiare compleanni o anniversari vari, in cucina  all’Uva Matta non si stava mai con le mani in mano.

La cucina di Evelina ,fortemente influenzata dalla civiltà contadina della risaia e dell’orto, era una cucina paesana e povera, fatta di piatti semplici ma genuini. Tra gli antipasti  non mancavano il “salam d’la duja“, sapido salame di maiale conservato sotto grasso nelle olle, i caratteristici recipienti in terracotta dall’imboccatura stretta, e, vera leccornia, il  celebrato salame d’oca. E poi, a seguire, il classico “bagnetto” verde,  le frittatine, i funghi sott’olio che lei stessa confezionava,  l’insalata di nervetti e il pesce in carpione. I clienti più “rustici” e più affezionati andavano matti per l’insalata di fagioli borlotti; belli grossi, tondi e venati di rosa. Nei primi piatti  a farla  da padrone era il riso: dai minestroni ai risotti. La scìura  Castiglioni aveva imparato dal fù Borlazza, buon anima, a preparare  il “risotto giallo”,  quello con i “fagiolini dell’occhio” o con le “barlande” ( le erbette prataiole), con i funghi porcini, con le tinche, le quaglie, gli asparagi, la trippa e le ortiche.  Una varietà incredibile che lasciava gli avventori a  bocca aperta e incerti su cosa assaggiare, obbligandoli a tornare all’Uva Matta. Restando sui primi, se a mezzogiorno tutto questo s’accompagnava anche a ravioli ripieni di arrosto e conditi con il sugo,  lasagne con le rigaglie e tagliolini con gli asparagi o con panna e funghi, alla sera si andava di minestre. Oltre al classico minestrone, l’Evelina preparava un ottimo riso e una trippa in brodo da resuscitare i morti, tralasciando di parlare delle zuppe di ceci , di cipolle e di rane. Ai secondi ci pensava Romildo Lunardotti che variava dalle lumache e rane (fritte, in guazzetto, con la frittata) che rappresentavano  la base dei piatti più tradizionali della Lomellina, alle  pietanze a base di maiale, manzo e oca, per non parlare dei gustosi pesci del Ticino (anguille, trote, tinche, carpe) accompagnati il più delle volte dalla polenta.

Oltre alla varietà dei salumi, la trattoria era  uno dei pochi, se non l’unico posto, dove si cucinava ancora il “ragò“, un piatto a base di verze arrosto con costine e cotenne di maiale. Non propriamente un piattino leggero e dietetico che però solleticava le papille gustative a molti, tant’è che venivano persino dall’Oltrepò a gustarlo. Previa prenotazione, ovviamente. E per finire, i dolci. La zia del Borlazza li annunciava cinguettando tra i tavoli  “dulcis in fundo”, alludendo al fatto che a quel punto veniva  il bello, pardon, il buono. E via con l’onda glicemica a base di uova, burro, farina. Il “carrello” proponeva torte come  la “virulà” (bianca e nera), quella di riso, di pane o la torta paradiso. Ed ancora i biscotti Bramantini di Vigevano, quelli di riso ed il “dolce del Moro”, la cui ricetta risaliva al tempo di Ludovico il Moro. Senza dimenticare le reginette dei dolci lomellini: le Offelle di Parona.Facile immaginare il perché, nella famiglia Borlazza, il più “patito” era bianco e rosso di carnagione e pesava non meno di novanta chili, a prescindere dall’essere uomo o donna. La cucina dell’Evelina e le tradizioni di famiglia non consentivano a nessuno di sgarrare , tant’è che Carlino Borlazza, il figliolo dell’ostessa, innamoratosi di una impiegata della posta di Mortara, venne costretto dal parentado ad interrompere quella liaison dangereuse poiché la giovane era (orrore!) vegetariana. “Non vorrai mica rovinarti con una così, eh, Carletto!”, lo investì la madre, puntando gli avambracci sui larghi fianchi. E il figlio, abbassando lo sguardo, risposte, rassegnato: “No, no, mamma. Le ho già detto che non è il tipo che fa per me”.L’Uva Matta ospitava, talvolta, anche i matrimoni, come nel caso di Filippo e Danielina, convolati a nozze nella chiesa di Sant’Eusebio e poi a pranzo dall’Evelina,accompagnati da testimoni e parenti ( in tutto una cinquantina di commensali). Seguendo il copione delle tradizioni goliardiche, i due fratelli Carletto ( quelli della “Carletto Spurghi”) – Virginio e Vannino, detti anche “i due vù” – amici di vecchia data dello sposo, distribuirono a tutti dei profilattici della Durex, in confezione da uno. Ridendo come matti, ne fecero dono anche alla signora Evelina che ringraziò educatamente, mettendosene in tasca un paio.

Tornata in cucina, la titolare dell’Uva Matta avvicinò Rosalba Tinelli, cameriera  a tempo perso che dava una mano in occasioni come quella, sussurrandole: “Rosalba, tienile te queste cicche americane. Io non riesco a mettermele  in bocca perché mi si attaccano ai denti”. La cameriera, imbarazzata, ringraziò. Senza avere il coraggio di spiegare alla signora Castiglioni che non  di chewingum si trattava ma di ben altro. Ma Evelina era così, un po’ all’antica, fuori moda e tutta “presa” dal suo mondo che iniziava in cucina e finiva sull’uscio della trattoria. Un po’ di tempo fa, ad esempio, accade un episodio che strappava ancora qualche sorriso. Con l’Uva Matta confinava la tabaccheria del signor Giurlandotti. Per le feste natalizie, davanti alla sua rivendita, il tabaccaio aveva posizionato un manichino vestito da Santa Claus, con uno sgargiante completo rosso e la lunga barba bianca. Poi, passata anche l’Epifania, l’aveva ritirato nel ripostiglio a fianco della legnaia, spogliato dagli indumenti. Siccome non stava in piedi, lo appoggio ad una sedia. Il manichino assunse così una posa che poteva definirsi “riflessiva”: seduto, con la testa reclinata ed appoggiata al braccio destro. Evelina, vuotando il secchio dei rifiuti di cucina nel bidone che teneva a fianco della legnaia, vide quella figura dalla finestra aperta del ripostiglio. “ Ma cosa ci fa quell’uomo lì, nudo come un bruco, seduto sulla sedia? Ma non sente il freddo?”. Provò a schiarirsi la voce, per richiamarne l’attenzione ma quello niente. Non dava segni di vita. Che si fosse sentito male?  Non sapendo bene come comportarsi, prese la decisione di avvertire il Giurlandotti. In quel momento il tabaccaio era solo in negozio e lei, dopo un po’ d’esitazione data l’imbarazzante situazione, lo informò sulla presenza di quell’uomo che stava lì al freddo, senza vestiti, nel ripostiglio. E si offese non poco quando il tabaccaio, capito al volo l’equivoco, si mise a ridere. Non fu facile per il povero Giurlandotti placare la permalosa Evelina, spiegando per filo e per segno che non di uomo si trattava ma di un manichino spogliato dai vestiti e riposto in magazzino. La Castiglioni, borbottando un “balengo di un balengo”, se ne andò, impettita ma quell’episodio, grazie alla “lingua lunga” del tabaccaio fece il giro di tutta Buttignolo.

Marco Travaglini

Impresa e finanza, l’impegno di Roberta Siciliano

È specializzata in pianificazione finanziaria previdenziale e gestione del patrimonio, oltre a vantare un’esperienza bancaria ultraventennale

Roberta Siciliano, nata a Torino nel 1964, unisce a un forte impegno imprenditoriale una approfondita conoscenza finanziaria, che la vede impegnata come consulente finanziario per Finanza e Futuro presso la Deutsche Bank dal 2010. È specializzata in pianificazione finanziaria previdenziale e gestione del patrimonio, oltre a vantare un’esperienza bancaria ultraventennale presso Banca Intesa, ora Intesa San Paolo, dove aveva iniziato a lavorare nel lontano ’90. Lì ha ricoperto vari ruoli tra cui il direttore di filiale per oltre sei anni. Alle sue doti manageriali e imprenditoriali unisce un forte e sentito impegno nel sociale, a sostegno e a tutela dei minori, degli anziani e delle donne in tutte le loro problematiche e nella difesa dei loro diritti. È anche presidente dell’ Associazione Italia – Laos, associazione no profit, con la finalità di supporto e sostegno economico, sociale e di sviluppo del Laos. Di spirito liberal democratico, crede fermamente nella difesa delle libertà di pensiero e di opinione, oggi sempre più compromesse e riservate a pochi. Nutre un profondo amore nei confronti di Torino e si è   battuta a favore di una ripresa del tessuto urbano e di una città non più chiusa e impenetrabile, ma aperta alla riscoperta dei valori dell’accoglienza, ma anche alla realizzazione delle sue enormi potenzialità, presenti in campo culturale, ricettivo, economico e turistico. Da tempo collabora con una rete di professionisti ( avvocati, notai, commercialisti e consulenti del lavoro) in vari campi, allo scopo di fornire al cliente il supporto e il servizio migliori.

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Roberta.siciliano@finanzaefuturo.it

0115171717

Deutsche Bank piazza San Carlo angolo via Giolitti 2

 

Informazione commerciale

I segreti per contrastare l’invecchiamento, diversi per ogni tipo di pelle: l’olio di jojoba

Il tempo passa per tutti e i suoi segni sulla pelle sono inevitabili. Le rughe sono le scritture della vita, il segno della nostra personalità: frasi fantastiche e profonde ma alzi la mano chi alla mattina, davanti allo specchio, non si è mai preoccupato per la comparsa di qualche solco in più sulla propria pelle. Tutti, donne e uomini compresi, di nascosto o pubblicamente, guardano con più o meno preoccupazione il proprio viso mutare, cambiare e decadere. L’invecchiamento è il processo più fisiologico che ci sia, ma dobbiamo proprio rassegnarci ad un lento ed inesorabile declino? Ogni parte del corpo ed ogni pelle richiede una cura specifica, non esiste un prodotto o un trattamento valido per tutti.

Ringiovanire di dieci anni con la sola cosmesi è impossibile a meno che non ci si sottoponga a trattamenti di medicina estetica, ma per chi vuole prevenire o comunque anche solo “rallentare” l’invecchiamento, la natura offre armi eccezionali, basta usarle (e conoscerle)! Oggi vorrei parlarvi nello specifico di un prodotto naturale particolarmente indicato per le pelli del viso asfittiche, secche e ricche di micro rugosità: l’olio di jojoba. Questo prodotto naturale, ahimè ancora troppo poco conosciuto, si ricava dai semi di simmondsia chinensis, pianta che cresce nelle zone desertiche dell’America centro-settentrionale, impossibile da coltivare sul balcone di casa; necessita, infatti, di lunghi periodi di siccità alternati ad abbondanti piogge per poter crescere rigogliosa. Le sue proprietà sono quasi miracolose.Mai sentito parlare di stress ossidativo e di radicali liberi che favoriscono l’invecchiamento? Per combatterli servono sostanze come il Tocoferolo o vitamina E, che è il principale antiossidante liposolubile del nostro organismo. Proprio l’olio di jojoba è ricchissimo di Tocoferolo. È composto inoltre da acidi grassi monoinsaturi, vitamine del gruppo B e di altri macronutrienti. La sua composizione e la sua struttura lo rendono molto simile al sebo secreto dalle nostre ghiandole sebacee, permettendone un rapido ed efficace assorbimento. Rende la pelle più morbida, liscia ed elastica. Contrasta i segni dell’invecchiamento e previene la formazione di rughe grazie alla sua profonda azione antiossidante ed idratante. Va applicato tutte le mattine sulla pelle perfettamente pulita del viso, puro o come base per la propria crema di fiducia. Dimenticavo, non conditeci l’insalata. Anche se è 100% naturale non è adatto all’uso alimentare.

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Dottor Michele Bonino, Studiomed Medicina Estetica, corso Vittorio Alfieri 177, Asti

http://studiomedestetica.it/ (3772693349)

 

Bilancio Cidiu servizi

E’ stato approvato il bilancio consuntivo 2016 di CIDIU Servizi spa.CIDIU Servizi spa appartiene al Gruppo CIDIU spa (società partecipata dai comuni dell’area ovest di Torino che si estendono da Venaria alla Val Sangone), alla cui direzione e coordinamento è soggetta.Svolge il servizio di igiene urbana nel territorio dei 17 comuni soci del Gruppo CIDIU, oltre a possedere e gestire l’area impiantistica di Druento, nella quale si produce un compost denominato Zolla Amica, ottenuto da fanghi di depurazione civili, da sfalci e residui di potatura, si selezionano alcuni materiali provenienti dalla raccolta differenziata, e, dal gennaio 2016, è attiva una discarica per rifiuti speciali non pericolosi, la cui gestione ha fornito un significativo contributo ai risultati economici della società.I dipendenti a tempo indeterminato sono 346, a cui si aggiungono mediamente 24 dipendenti a tempo determinato per garantire la continuità e regolarità del servizio in tutti i mesi dell’anno. I mezzi operativi utilizzati per effettuare il servizio sono 184; di questi il 18% sono veicoli elettrici.La società nel 2016 ha realizzato un utile netto di 921.061 euro a fronte di un valore della produzione per 37.929.516 euro.Il bilancio evidenzia altresì una riduzione dell’indebitamento della società ed un aumento dei fondi per rischi e oneri futuri e per le riserve, nonché un aumento della liquidità. Il costo del lavoro, nonostante nel corso dell’anno sia intervenuto un rinnovo contrattuale nazionale con un aumento salariale, si è ridotto rispetto al 2015. L’utile della società è stato destinato per 300.000 euro a dividendo per il socio unico CIDIU spa, mentre 621.000 euro sono stati destinati a riserva legale e straordinaria. Con questa operazione di patrimonializzazione dell’utile sarà possibile, fin dall’anno in corso e per buona parte in autofinanziamento, effettuare notevoli investimenti per il rinnovo del parco mezzi, volti anche alla riduzione dell’impatto ambientale del servizio, e per il potenziamento e il rilancio delle attività dell’area impiantistica di Druento. La società ha ottenuto nel corso del 2016 dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato il Rating di legalità con il punteggio di 2 stellette e un “+”; il rating di legalità è uno strumento che promuove l’introduzione di principi etici in ambito aziendale e la corretta gestione del business.

Massimo Iaretti

 

Per le strade di Torino ci sono delle storie. In Piazza Statuto c’è Luigi

Puoi anche vivere in strada, ma se emani luce non puoi diventare invisibile

luigiA Torino c’è una piazza. In Piazza Statuto c’è un uomo. Luigi passa le mattine sotto i portici, vicino alla farmacia. Lui parla con i passeri, forse anche con le colombe. Sta lì seduto su uno sgabello basso, aspetta che il rumore del traffico si dissolva un po’, e poi fischietta un suono lieve e i passeri arrivano da soli o in piccoli gruppi e si posano sulla sua mano tesa verso l’aria. I passanti non ci credono: “Ma com’è possibile?”, dice qualcuno. E lui lo rifà. Prende fiato ed ecco una nuova chiamata per quei piccoli uccelli che si posano di nuovo sulla sua mano. “È successo da un giorno all’altro”, risponde.

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A dicembre a Torino fa freddo, ma non tutti gli uccelli migrano. Qualcuno ha deciso di restare: non importa quanto gelo o inquinamento ci sia, non si può sempre scappare a questo mondo. Luigi viene da Milano, ma da Milano è dovuto scappare dopo due brutte sventure. Una truffa e perde tutto, così va a vivere in Piazza Castello, fino a quando, una notte, un’aggressione gli spezza tre costole. E così migra a Torino, studia la città, si trova il suo angolo dove vorrebbe essere invisibile come tutti gli invisibili.

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Ma, in verità, lui è fin troppo visibile: c’è chi si ricorda che lui sa dipingere e aggiustare, c’è chi si ricorda di portargli il caffè o gli auguri durante le feste. “Facevo anche il pittore”, dice. Puoi anche vivere in strada, ma se emani luce non puoi diventare invisibile. A Torino c’è una piazza. In Piazza Statuto c’è un uomo. Luigi chiede l’elemosina e parla con i passeri a dicembre.

 

Elisa Speroni

Arte d’estate a Pavarolo

Pavarolo, centro della Città Metropolitana, nel quale visse ed ebbe studio Felice Casorati, ospita una serie di importanti iniziative sotto l’aspetto artistico nei mesi di giugno e luglio. Il 10 giugno, dalle 10 alle 19, si tiene un corso di pittura riservato ai giovani del luogo dai 18 ai 35 anni, tenuto dalla pittrice Giulia Gallo ed organizzato da Copat. L’11 giugno, invece, c’è “Pavarolo e le sue colline/Estemporanea di pittura del Paesaggio en plein air”, progetto a cura del critico Francesco Poli. L’iniziativa è aperta a tutti gli artisti con esposizione pubblica delle opere a fine giornata e premiazione a cra di una giuria di esperti. L’11 giugno ed il 9 luglio, invece, ci sarà “Raccontare e pensare insieme”, lezioni di autobiografia e filosofia, organizzato dall’associazione Sapere culturale. Infine, proprio con riferimento a Casorati, la mostra “Opere grafiche di Felice Casorati” sarà aperta nelle giornate del 10, 11, 24 e 25 giugno

Massimo Iaretti

 

Libri e film a Mirafiori

Pomeriggio tra film e libri Un’occasione per chiacchierare intorno a un film, parlare di cinema, scambiarsi libri, leggere in compagnia, ma anche per stare insieme, incontrare persone nuove e trascorrere un pomeriggio diverso dal solito alla Casa del Quartiere di Mirafiori sud. Il film verrà scelto dai partecipanti. Lunedì 12 giugno dalle 15.00 alle 17.00 La Casa nel Parco, via Panetti 1 angolo via Artom Per persone di 65 anni o più residenti a Mirafiori sud Partecipazione libera e gratuita Informazioni: cell. 331 3899523. Iniziativa in collaborazione con la circoscrizione.