TRIBUNA- Pagina 36

Gioco d’azzardo, i lavoratori in audizione

Vogliono la modifica della legge regionale in materia di contrasto al gioco d’azzardo, almeno chiedono che non coinvolgesse i locali e gli apparecchi già attivi prima dell’entrata in vigore della norma stessa. Sono i lavoratori del gioco legale, che si sentono penalizzati dalle nuove norme in particolare sulle slot machine

Martedì 24 luglio una folta delegazione di rappresentanti dei lavoratori impiegati nel comparto del gioco lecito, è stata ricevuta in Consiglio regionale dal presidente Nino Boeti, dalla vice Angela Motta, dal componente dell’Ufficio di presidenza Giorgio Bertola e dal presidente della terza Commissione Raffaele Gallo. All’incontro erano presenti numerosi consigliere e consiglieri.

I lavoratori in precedenza avevano già manifestato sotto Palazzo Lascaris, e lo stesso Boeti era sceso in strada ad ascoltare la loro voce assumendo l’impegno di ascoltarli in audizione.

I vari interventi hanno voluto spiegare come questa legge abbia messo in ginocchio l’intero settore. Dal 20 novembre scorso a oggi una novantina di persone sono state licenziate, altre lo saranno nei prossimi mesi. Sono state stimate cinquemila unità coinvolte dal provvedimento in tutto il Piemonte.

Gli operatori del settore chiedono di rivedere in parte la legge, almeno per permettere di lavorare a chi già da prima operava in questo settore, in quelli che soltanto in seguito alla legge sono diventati “luoghi sensibili”. Gli apparecchi – è stato sottolineato – rappresentano solo il 24 per cento del comparto in termini di fatturato, ma sono il 70 per cento dell’occupazione.

In Piemonte la nuova legge regionale interessa un comparto che supera i diecimila posti di lavoro. “Non si cura la malattia con i divieti e non si aiutano i disperati creandone altri per questo chiediamo alla politica di aiutarci attuando norme preventive a tutela delle persone malate, garantendo la sopravvivenza del settore”, hanno concluso i lavoratori.

MB – www.cr.piemonte.it

Ambasciatrici e ambasciatori del Consiglio regionale cercansi

Bagni Lido Mirafiori

Giardini di via Artom/via Fratelli Garrone
 
Le bandiere colorate del Gran Pavese sul tetto della Casa nel Parco arrivano in via Artom e in via Fratelli Garrone 
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
 
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Lunedì 23 luglio dalle 16.00 alle 20.30 ai giardini di via Artom/via Fratelli Garrone portaci una parola o una frase per descrivere il tuo quartiere.  Giovedì 26 luglio voteremo insieme le frasi e le parole che ci piacciono di più e che meglio rappresentano Mirafiori sud. La frase e le parole che otterranno più voti diventeranno il messaggio che verrà trasmesso attraverso le bandiere nautiche. Ogni bandiera corrisponderà a una lettera o a uno spazio. Le bandiere saranno appese su fili tesi da un palazzo all’altro come su un grande veliero. Vieni a trovarci ai Bagni Lido Mirafiori e scopri come poter rendere più bello e colorato il tuo quartiere!
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cell. 331 3899523 – email: mirafioricconto@gmail.com

DISEGNO DI LEGGE SULLA REVISIONE DELLA LEGITTIMA DIFESA, LA PAROLA A SIULP E SIAP

 Le dichiarazioni Eugenio Bravo e Pietro Di Lorenzo, segretari Siulp e Siap, sindacati di polizia

“Premesso che il nostro lavoro di poliziotti non può non incidere sul nostro punto di vista (troppe volte assistiamo alla disperazione, alla rabbia, alla paura di chi ha subito un furto, una rapina, una truffa, un’aggressione nella propria casa o negozio e molto spesso sono persone anziane) tuttavia con la più assoluta obiettività riteniamo, pur con qualche perplessità, che il disegno di legge di revisione della legittima difesa, vada nella giusta direzione.

 

A Torino, in particolar modo non si registrano negli ultimi anni aumenti di richieste di porto o detenzione armi ma la situazione si va stabilizzando. Urlare sul rischio “Far West” ci sembra obiettivamente fuori luogo, atteso che per modalità “Far West” si intenda girare per le città armati di tutto punto e pronti a sparare; questa situazione non era prevista e non sarà prevista nemmeno con l’avvento della nuova legge. Giustificare l’uso dell’arma per difendere il proprio domicilio o abitazione di fronte ad un’aggressione per quanto possa essere spiacevole, diventa inevitabile se per difendere i propri beni o famigliari significa passare dalla ragione al torto, come spesso accade oggi, trasformando la vittima in carnefice e sottoponendola a processi lunghi, esosi e disarmanti che guardano favorevolmente più all’aggressore che all’aggredito. Questo disegno di legge quanto meno chiarisce in modo inequivocabile da che parte si pone la legge. 

 

Poi, continuano Bravo e Di Lorenzo, che le persone non attendano altro che sparare a qualcuno è fuorviante: a nessuno può far piacere sparare ad altri se non messo con le “spalle al muro” per difende se o i suoi famigliari. Troppe sono le vittime di questo subdolo reato che prevede la violazione del domicilio e l’aggressione delle persone e delle famiglie le quali, una volta subito questo delitto, trascorrono molti anni nell’incubo del ricordo, nelle ansie e nelle paure che possa ancora succedere.  

 

Certo l’ideale sarebbe, ribadiscono il SIULP ed il SIAP di Torino, stabilire un più alto minimo della pena edittale, ancora troppo basso, se si tiene conto che può sempre intervenire la riduzione di un terzo della pena grazie ai riti alternativi e pertanto l’autore del reato potrebbe ancora una volta riuscire a evitare il carcere, atteso che la condanna dovrebbe prevedere una pena superiore ai 4 anni. Analogamente occorrerebbe intensificare il controllo del territorio, ma non solo nelle città metropolitane, ma anche nelle piccole cittadine e paesi affinché chi subisse una intrusione indesiderata nella propria abitazione o negozio, possa contare in un intervento tempestivo di pattuglie delle forze dell’ordine, con il concorso anche della Polizia locale.

 

Non crediamo nella congettura di chi ritiene che con questa nuova legge l’aggressore si armerà anch’esso di tutto punto per fronteggiare e ingaggiare uno scontro a fuoco con l’aggredito; chi decide di perpetrare un furto o una rapina è convinto nella buona riuscita dell’operazione a prescindere se in casa il titolare sia armato. Tra l’altro, poiché già molti detengono regolarmente le armi, questa considerazione potrebbe valere anche adesso. Si spera, al contrario, che la paura di trovare persone armate e giustificate a difendersi, possa diventare un deterrente per chi ritiene di fare un repulisti nelle case altrui.

 

Inoltre, chiudono i Segretari, per detenere un arma occorre sempre un certificato medico e una abilitazione rilasciata dal poligono di tiro; se si ritiene troppo agevole, si può sempre prevedere un eventuale corso per l’uso e il maneggio dell’arma con periodiche esercitazioni al tiro, per quanto si debba tenere conto che l’arma, si auspichi, non sia necessario utilizzarla.”

                                                   

 

         

I POPOLI INDIGENI ALL’ONU DI GINEVRA

Si è conclusa alle Nazioni Unite di Ginevra l’undicesima sessione dell’annuale “Expert Mechanism on the Rights of Indigenous Peoples”, un’assemblea tra le più partecipate dell’ONU

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO L’assemblea, formata da centinaia di esperti Nativi di ogni continente e dai loro rappresentanti, costituisce un appuntamento annuale che ha lo scopo di controllare come viene applicata dagli Stati la Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni, approvata dall’ONU nel 2007. L’associazione Ecospirituality Foundation, onlus in Stato Consultativo con le Nazioni Unite, da tempo sostiene la causa dei Popoli indigeni per quanto riguarda la difesa delle loro tradizioni e delle loro terre sacre. I suoi delegati Rosalba Nattero e Giancarlo Barbadoro sono rappresentanti di 5 Nazioni indigene e hanno presentato una dichiarazione in sostegno delle tradizioni dei Nativi Europei. La Ecospirituality Foundation ha documentato l’evento, durato una intera settimana, con interviste, foto e dichiarazioni da parte degli esponenti Nativi. In pratica i Popoli indigeni chiedono che vengano rispettati i trattati, che vengano restituite le loro terre sacre e, come nel caso degli aborigeni australiani, che vengano restituiti i resti dei loro antenati sparsi nei musei di tutto il mondo. La Ecospirituality Foundation da molti anni appoggia le battaglie dei Popoli nativi e porta avanti la lotta per il rispetto dei loro territori sacri, come Mount Graham, la montagna sacra degli Apache in Arizona, profanata dalla costruzione di un osservatorio astronomico internazionale. O come nel caso di Ngog Lituba, la montagna sacra del Popolo Bassa in Camerun, anch’essa profanata. Anche in Europa esistono situazioni simili, come dimostrato dal massimo luogo sacro della comunità Bretone, in Francia. Gli allineamenti dei menhir di Carnac, in Bretagna, sono da tempo recintati impedendone l’accesso a chi li ha sempre usati come riferimento spirituale. Stessa sorte ai molti luoghi megalitici del Nord Italia, in Piemonte, che non vengono tutelati nonostante costituiscano un riferimento spirituale e culturale per le tradizioni autoctone ancora vive nelle valli piemontesi. L’appuntamento annuale all’ONU di Ginevra rappresenta per i Popoli indigeni una occasione per ricordare alla società maggioritaria che nonostante le colonizzazioni e le oppressioni subìte, i Nativi di tutto il mondo esistono, si uniscono e si organizzano per essere ammessi alla pari nella comunità planetaria. Il presidente della Ecospirituality Foundation Giancarlo Barbadoro a conclusione della sessione ha dichiarato: “I Popoli Nativi, o Popoli Naturali come essi stessi si definiscono, manifestano valori di grande importanza storica. Valori fondamentali riguardo all’uomo e al senso dell’esistenza, che non sono stati contaminati e distorti dalle interpretazioni storiche delle grandi religioni. Per questo motivo la spiritualità dei Popoli naturali può essere uno stimolo per una spiritualità universale che abbracci tutto il pianeta. Nel loro riferimento comune alla Natura, e nel loro rispetto per essa, queste culture possono essere la molla per una fratellanza tra i popoli e un’unità spirituale, un’effettiva religione naturale comune a tutti i popoli del pianeta. Una speranza di pace e armonia per tutta l’umanità.”

 

 

Ecospirituality Foundation onlus

NGO in Consultative Status with the United Nations

www.eco-spirituality.org

La Sala Rossa ricorda Cardetti

DALL’UFFICIO STAMPA DI PALAZZO CIVICO

In Sala Rossa, a dieci anni dalla sua scomparsa (20 luglio 2008), si è svolta la commemorazione di Giorgio Cardetti, sindaco di Torino dal 2 agosto 1985 al 5 maggio 1987


L’evento è stato voluto dalla Città di Torino e dall’Associazione Consiglieri Emeriti della Città di Torino, in collaborazione con l’Istituto Salvemini e l’Associazione ex allievi Liceo Ginnasio Cavour.
Nato il 25 giugno del 1943 in un piccolo comune del veronese, entrò come giornalista in RAI nel 1969, e nel 1979 fu il primo speaker del TG3 Piemonte.  Eletto in Consiglio comunale per la prima volta per la lista del PSI nel 1974 (era della corrente lombardiana), assessore nel 1975 nella prima giunta Novelli, Cardetti fu il primo sindaco socialista di Torino. Raccolse in questa veste l’eredità dell’era Novelli interpretando le dinamiche di rinnovamento della Città, soprattutto nell’urbanistica, chiamando ad una riprogettazione della Città i migliori architetti e urbanisti italiani.  La ristrutturazione del Lingotto, la realizzazione del nuovo Palazzo di Giustizia, e soprattutto il nuovo Piano Regolatore Generale, avviarono una decisiva trasformazione della Città. Parlamentare, rivestì incarichi importanti anche come deputato, tra il 1987 e il 1992.  Nel 2006 fu tra i fondatori della “Rosa nel pugno”. La passione civile non lo abbandonò neppure durante la sua lunga malattia e fino alla morte. In una Sala Rossa al massimo della sua capienza, presente la vedova di Cardetti, signora Adriana Corti, e molti suoi famigliari, Enzo Lavolta, vicepresidente vicario del Consiglio comunale, ha aperto la cerimonia e la serie di interventi, moderati da Giancarlo Quagliotti. Nel decennale della sua scomparsa, ha detto Lavolta, lo ricordiamo per la serietà, l’impegno personale, il carattere sereno e la sua disposizione al confronto. Fu giornalista Rai ma prevalse la scelta politica, prima Consigliere (nel 1974) e poi assessore nella giunta Novelli. Fu sindaco dal 1985 al 1987 e seppe elaborare una strategia di sviluppo per la città, una grande progettualità che si realizzò, tra le molte opere, nei collegamenti con gli aeroporti di Caselle e Malpensa.

 

Giancarlo Quagliotti, Presidente dell’Associazione Consiglieri emeriti Città di Torino dà centralità nel suo intervento all’abbinamento in Cardetti di passione politica e rigore morale: “Fu il primo ad essere eletto trentenne in Consiglio comunale nel 1974”. “Cardetti fu riformista e non massimalista, pensò sempre alle prospettive del socialismo con tenacia, riaffermandone i valori in ogni circostanza, anche rivolto all’Europa”.

 

Secondo Giuseppe Garesio, già Consigliere comunale e parlamentare i due anni da sindaco furono il momento centrale della vita politica di Giorgio Cardetti, che seppe portare innovazione alla Città. “Credeva in una città che non fosse solo industria ma comunità e giustizia sociale. Fu il padre del Piano Regolatore. Spero che presto Torino intitoli una via in suo ricordo”. Luciano Borghesan, Presidente del circolo della stampa rievoca i giorni dell’85, dopo lo scandalo Zampini e le dimissioni della giunta Novelli. “Mi resi conto che a Torino era finita un’epoca, la città aveva bisogno di una svolta e i 100 giorni di Cardetti alla guida dell’amministrazione come sindaco, la impostarono. Scrisse un documento, Torino come metropoli e comunità, in cui esprimeva la sua idea di città. Un segno della sua personalità: quando si candidò in Parlamento si batté contro l’immunità parlamentare”.

 

Augusto Cagnardi, architetto, ricorda che il suo studio fu chiamato per redigere il Piano regolatore di Torino. “Aveva slancio e convinzione, quel che serviva per fare qualcosa di importante per Torino. In tre mesi fu approvata la delibera programmatica sul Piano regolatore Ricordo la sua apertura e l’andare sempre verso i problemi senza nasconderli sotto il tappeto”.

 

Magda Negri, già parlamentare evoca la rivista fondata nel 1991 assieme a Domenico Carpanini e Giorgio Cardetti: Democrazia e socialismo. “Affrontò i problemi posti dalla difficile evoluzione della sinistra italiana nel quadro internazionale trasformato dalla fine dell’Unione sovietica. Nata con mezzi esigui seppe raccogliere contributi di tanti prestigiosi collaboratori: Bobbio, Salvatori, Napolitano, Borgogno, Rufolo, Cerfeda, Pelikan”.

 

Eugenio Beconcini, ex dirigente politico, ricostruisce soprattutto gli anni dell’adesione allo Sdi di Boselli e dell’accordo con radicali e liberali per formare con loro la Rosa nel pugno. Un Cardetti ricordato sia nelle veste di politico che di amico. Forte la sua commozione mentre ricorda gli ultimi mesi di lavoro e di malattia di Cardetti.

 

Marco Brunazzi, vicepresidente dell’Istituto Gaetano Salvemini ricostruisce gli anni della formazione, nel 1961, del circolo Nuova Resistenza e della sua rivista diretta da Aldo Agosti. Un Cardetti “ragazzo maturo” che veniva dalle fila del partito socialdemocratico e che con gli altri giovani fondatori cercava strade nuove e alternative agli schieramenti politici di quegli anni.

Marziano Marzano, politico e presidente dell’Associazione ex allievi Liceo Cavour ha parlato di una lunga amicizia e di una lunga militanza comune, nata sui banchi del liceo Cavour “Nonostante allora noi socialisti, con i comunisti, considerassimo i socialdemocratici socialtraditori”. E anche lui si commuove ricordando di avergli presentato quella che divenne sua moglie.

Adriana Corti, psicoterapeuta, vedova di Giorgio Cardetti ringrazia tutti “in questa giornata di calura estrema vedervi tutti qui e vedervi rimanere fino a quest’ora mi dice del vostro affetto. Tutti avete sottolineato la sua incontenibile passione per la politica, sola a ingelosirmi, nonostante fosse un uomo bello e corteggiato”. Corti si dice dispiaciuta per il basso numero di giovani presenti. “Avrebbero avuto tanto da imparare se fossero stati qui”.

ARTISSIMA NUMERO 25

LA LETTERA / Dicono che Marie Antoine Carême, padre nobile della grande cucina francese vissuto all’epoca di Napoleone, affermasse ” Le belle arti sono cinque e cioè: la pittura, la scultura, la poesia, la musica e l’architettura, che ha come ramo principale la pasticceria.”

Grande profeta! Effettivamente negli ultimi decenni il cuoco è diventato il protagonista e la star della cultura e dell’arte. Con buona pace dell’antropologia culturale che vede giustamente nel cibo e nella sua preparazione una componente della “cultura” dell’uomo, ho l’impressione che si sia dato vita ad una “consacrazione intellettuale” eccessiva a questa pur nobile disciplina e mi domando se questo non sia accaduto ( oltre che per il gigantesco businnes che ci sta dietro ) anche a causa del vuoto e del nulla che caratterizza la smisurata offerta delle arti visive contemporanee, affannosamente all’inseguimento, ormai da troppi anni, di piccole idee senza pensiero e manipolate da bolle speculative che la grande cupola che le manovra fa nascere e morire. Leggo oggi su “La Repubblica” l’ambizioso progetto per Artissima numero 25 ” Musica, cibo e voglia di futuro” e il commovente proclama della Direttrice Ilaria Bonaccossa, già Fondazione Sandretto… ” e ho detto tutto” ( Totò), che così recita “Ci interessa mescolare le varie arti, scommettiamo nella transdisciplinarietà”. La sinistra assonanza di “transdisciplinarietà” con “transavanguardia” ( uno dei più deplorevoli e sintomatici esempi di costruzione dal “nulla” del “nulla”) già mi inquieta e mi conferma che al peggio non c’è mai limite. La “Fiera” otterrà senza dubbio pagine e pagine di servile risonanza mediatica ed una fiumana di visitatori la maggior parte dei quali, uscendo esausta, bisbiglierà di aver visto una montagna di stupidaggini per poi sostenere, nei contesti più o meno ufficiali, che l’esperienza è stata interessante e “divertente”. Obiettivo raggiunto e complimenti all’organizzazione!!!

L’arte deve essere divertente.

Non so se la pensavano così Cézanne, Rothko o Tàpies, ma non importa, questa è roba vecchia.

Roberto Demarchi

 

 

Effetto Ronaldo, ottimo affare. Ma lo sciopero che c’entra?

Personalmente mi è molto simpatico Cristiano Ronaldo.Mi è simpatico anche perché portoghese,  abituato alla profondità dell oceano.I tram di Lisbona e 365 modi diversi di cucinare il baccalà. Capace di amministrarsi sia il fisico sia come imprenditore.Condannato in Spagna per evasione fiscale. Ma si sa, nessuno è perfetto.E noi italiani siamo famosi per non sottilizzare. La vicenda mi ha intrigato? Ho ascoltato e letto per informarmi e farmi un’opinione.Non sarò tifoso. Non tifo Juventus.  Ma sono pur sempre un torinese, pur sempre interessato alle sorti di questa nostra città.  E tutti ma proprio tutti mi dicono rincuorandomi che la Juventus con Ronaldo ha fatto un ottimo affare, con indubbie e positive ricadute economiche sulla nostra città.  Pensavo ad uno scherzo quando si è addirittura parlato di sciopero contro questa scelta. Non lo era. Almeno per i proponenti. Ed hanno chiesto a Paolo Ferrero ex segretario di Rifondazione Comunista: sei d’accordo? Si, sono assolutamente d’accordo. Ma cosa c’entra tutto ciò? Nulla. Ma mi sono fatto persuaso che recitino una parte fino in fondo. Una parte con copione prestabilito. Dove la recita è soprattutto se non esclusivamente per se stessi. Sanno che per scioperare un operaio deve prima di tutto lavorare. A Mirafiori sono più le giornate di cassa integrazione che le giornate di lavoro. Non é una novità che la Fiat non c’è più a Torino. E’ chiaro a tutti che per “continuare a campare” bisogna inventarsene una al giorno. E almeno questa volta credo di non sbagliare nel considerare anche Cristiano Ronaldo un’occasione per la Juventus e par Torino, non trattandosi solo di sport come solo di affari. La Juventus ha tifosi in tutto il modo. Dobbiamo essere capaci di sfruttare queste risorse. Agli amici rifondaroli continuo nel ricordare che i posti di lavoro non si ottengono per decreto legge o per costrizione etica verso le imprese. I posti di lavoro si ottengono con investimenti.  Alla Stato il dovere di facilitarne la creazione con apposite leggi, combattendo la burocrazia. Agevolando fiscalmente. Governando e non facendosi travolgere dagli eventi.  E rassicurando chi non ha sopportato le ingerenze ideologiche dei sindacati. A proporre non sono stati i sindacati ” ufficiali”. Dicesi Cobas. una versione lillipuzziana di quelli veri. Sono bravi ragazzi a cui piace scherzare. Ma quando si parla di occupazione gli scherzi non valgono più.  Ricordo che la nostra Regione ha il primato assoluto di disoccupazione giovanile. Lo ricordo agli amministratori di Torino.No Tav, no olimpiadi, no questo, no quell’altro.  Per poi dire é colpa altrui se tu non lavori. Continua ad esserci una diversità tra imprenditore e padrone. Salvo il fatto dei diritti dei lavoratori . Mi sono allargato? Non penso. Ho solo cercato di usare il buon senso. Cristiano Ronaldo non è un Dio in terra. E chi ha criticato la scelta ha a mio giudizio sbagliato.Chi voleva indire uno sciopero ha detto solo una stupidaggine. 

 

Patrizio Tosetto

Nel ricordo di quel 19 luglio in via D’Amelio

Il Coordinamento Nazionale Docenti della Disciplina dei Diritti Umani vuole ricordare la strage di Via D’Amelio, 19 luglio 1992, promuovendo piccole azioni di legalità in tutto il territorio nazionale; in particolare, chiediamo a tutti gli utenti dei social network di postare nella data della ricorrenza in oggetto una celebre frase di Paolo Borsellino, espressione autentica della tempra morale e della rettitudine di un uomo che ha vissuto la legalità come il principio ispiratore del proprio operato e non solo come l’esecuzione di un mero “dovere” da parte del cittadino nei confronti dello Stato: “A fine mese, quando ricevo lo stipendio, faccio l’esame di coscienza e mi chiedo se me lo sono guadagnato”. Inoltre, a partire dalla riapertura delle scuole, si propone l’idea di realizzare una “rete sociale”, intitolata a Borsellino (“La rete di Paolo”), atta a permettere la condivisione di materiale multimediale selezionato e creato dagli studenti, incentrato sulle problematiche criminali relative al loro territorio e al contesto nazionale, ma anche sulle riflessioni – percezioni – eventuali soluzioni prospettate degli stessi in merito alle tematiche in oggetto. In caso di adesione, è possibile rivolgersi al seguente indirizzo mail: coordinamentodirittiumani@gmail.com. E’ necessario continuare a promuovere in modo capillare, pervasivo e strutturato l’idea che appartenere ad una comunità, una scuola, una famiglia, un paese, non ci esime, anzi dovrebbe essere tutto il contrario, dal sentirci inseriti in una realtà più ampia che è quella dello Stato; ancora oggi purtroppo tale concetto viene considerato come estraneo, se non in forte contrapposizione, specialmente negli ambienti malavitosi, agli interessi del singolo e della piccola propria cerchia di riferimento. Il campanilismo acritico, il familismo, il nepotismo, il clientelismo sono tutte varianti deviate e pericolose, in quanto foriere, spesso, di molteplici atti criminosi, che derivano da un unico aberrante concetto in base al quale, in Italia, l’individuo viene contrapposto rispetto all’entità astratta Stato. Solo quando si capirà che il cittadino non è “cliente” e che lo Stato non è un nemico, si riuscirà a contenere la criminalità. La scuola in passato ha contribuito a rendere più omogeneo l’assetto culturale dei nostri connazionali, promuovendo non solo la cultura, ma anche un’autentica possibilità di riscatto per tanti studenti; i docenti erano apprezzati per i loro sforzi ed erano considerati credibili nel loro ruolo educativo; attualmente ripristinarne il prestigio e la dignità significa costituire uno dei pochi argini alla “deriva” socio-culturale dei nostri tempi. Educare, comunicare e trasmettere valori diventa impraticabile, se la propria credibilità professionale viene sminuita in varie forme. Educatori “deboli” non incideranno sul tessuto sociale in cui operano e altri modelli, inappropriati o fuorvianti, prenderanno il sopravvento, specialmente nelle realtà più abbandonate e ad alto rischio malavitoso. Modelli per i quali lavorare onestamente, evitando scorciatoie, facilitazioni, compromessi, è da sciocchi o da miseri falliti. La legalità non deve essere una semplice parola da ripetere nelle occasioni pubbliche, ma costituire una forma mentis, un automatismo “consapevole”. La scuola diventa il banco di prova della società che decidiamo di scegliere per noi e per le generazioni che verranno.

“La mafia teme la scuola più della giustizia. L’istruzione taglia l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa” (Antonino Caponnetto)

Prof. Romano Pesavento

Presidente Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani

Chieri: il sindaco Martano incontra gli ipovedenti

Nei giorni scorsi  il sindaco di Chieri dott. Claudio Martano ha ricevuto in Municipio una delegazione ufficiale di cittadini disabili visivi aderenti all’Associazione Pro Retinopatici e Ipovedenti (A.P.R.I.-onlus). I non vedenti erano rappresentati dal presidente APRI-onlus Marco Bongi.

Nel corso del cordiale colloquio si sono affrontate, col primo cittadino, una serie di problematiche vissute dalla categoria sul territorio: dall’abbattimento delle barriere sensoriali ai servizi di trasporto, dalle questioni socio-assistenziali alla possibile collaborazione in progetti comuni.    L’associazione si è inoltre messa a disposizione dei tecnici comunali per valutare insieme le soluzioni di accessibilità nei futuri progetti relativi al rifacimento di viabilità ed arredo urbano.

Ha partecipato all’incontro anche il dott. Claudio Campagnolo in rappresentanza dei LIONS CLUB chieresi. Questa benemerita organizzazione si occupa infatti, in tutto il mondo, di aiutare i non vedenti e di prevenire le malattie oculari.

“Abbiamo trovato una persona molto sensibile e disponibile” – ha commentato il presidente di APRI-onlus Marco Bongi – “Claudio Martano è infatti anche un medico e comprende molto bene le problematiche legate alla disabilità. il primo cittadino ci ha assicurato il suo interessamento su tutta una serie di problemi vissuti dalla categoria sul territorio chierese.

L’associazione ha infine chiesto ufficialmente al primo cittadino, così come sta facendo in molti comuni piemontesi, l’intitolazione di una via o giardino pubblico al grande educatore Louis Braille (1809 – 1852), l’inventore dell’alfabeto tattile utilizzato dai non vedenti in tutto il mondo. Sarebbe un gesto di attenzione che non costa nulla economicamente ma avrebbe un alto valore morale.