TRIBUNA- Pagina 25

BANCHE VENETE, PARLA SERAFINO DI LORETO

Il noto professionista bresciano, fondatore di ‘SDL Centrostudi SPA’, Società tra le prime in Italia occuparsi con successo di iniquità fiscali e risparmio tradito, interviene su un tema di primaria attualità che ha sconvolto le tasche, le vite e il futuro di migliaia di italiani. Un articolo dettagliato e argomentato, che riceviamo e pubblichiamo integralmente qui di seguito, quale strumento di informazione utile a consumatori e lettori.

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IL MARCIUME DELLE BANCHE VENETE ED IL BUONSENSO MANZONIANO

La Commissione Parlamentare di inchiesta sul sistema banca presieduta dall’on. Casini della decorsa legislatura, seppure sul piano delle decisioni assunte non abbia pilatescamente condannato nessuno, è tuttavia una fonte di precipue informazioni, che rendono chiaro ed adamantino il disastro combinato dalle banche venete: Banca popolare di Vicenza e Banca Veneta. Il quadro che è emerso è il seguente.

1-Dall’anno 2013 su Veneto Banca vi è stata una carente gestione dei crediti in conflitto di interesse ad esponenti aziendali e loro congiunti per 70 milioni di euro.

2- Sono stati concessi sempre nella medesima banca “finanziamenti baciati” per 157 milioni di euro (Fonte ‘Il Sole 24 Ore’ del 3/11/2017).

Sono nulli i “finanziamenti baciati”, quelli concessi da una banca, anche in forma di aperture di credito, a propri clienti per l’acquisto di azioni della banca stessa, erogati senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea straordinaria. Il Tribunale di Venezia in proposito con due ordinanze del 29 aprile e del 15 giugno dello scorso anno ha impedito a Banca Veneta la richiesta ai clienti del pagamento dei saldi passivi di alcuni conti correnti, su cui erano confluiti i finanziamenti concessi, in violazione ed in dispregio delle riserve disponibili e superiori al limite costituito dagli utili distribuibili.

Si desume, dalle deposizioni, il fatto grave che i prezzi delle azioni da comprare erano stabiliti in modo arbitrario e discrezionale, senza alcun controllo, sopravvalutate del triplo rispetto alle consistenze patrimoniali. I risparmiatori hanno comprato la fuffa, perché hanno perso 11 miliardi (Fonte “Il Fatto Quotidiano” del 3.11.2017).

3-Ha riferito Apponi- direttore generale della Consob-, in sede di deposizione alla Commissione Banca, che molti documenti necessari all’esercizio di vigilanza della Consob, Banca d’Italia non li metteva a disposizione, “costringendo a cercarceli da soli“. Tra l’altro non è neppure spiegabile il sistema delle “porte girevoli“: molti funzionari di Banca di Italia, quali controllori, sono stati assunti dalle banche controllate.

4- “È emerso un ecosistema doloso e collusivo volto ad occultare in maniera sistematica e fraudolenta informazioni al mercato ed alle Autorità di vigilanza. Questo perché ad opera del management delle due Banche vi era la chiara percezione di essere in una assoluta condizione di impunità. E’ stato impressionante il lavoro svolto dalle due banche per rappresentare un’immagine non veritiera“, dichiarò mestamente Apponi.

5-Secondo quest’ultimo, dunque, nel sistema di vigilanza qualcosa non ha funzionato, perché tra Banca di Italia e la Consob non vi è stato uno scambio proficuo di necessarie informazioni per tutelare il mercato: egli disse serafico: “La Banca d’Italia è per la segretezza, la Consob per la trasparenza“.

Chi ci ha rimesso patrimonio e sacrifici di una vita sono stati 120 mila risparmiatori.

Il “Corriere della sera” del 24 novembre del 2017, dunque quasi un anno fa, pubblicava alcuni dati sconcertanti: da un’analisi dei bilanci di grandi gruppi imprenditoriali emergeva che le banche venete avevano effettuato prestiti per oltre otto miliardi di euro che giammai potevano essere recuperati.

La commissione banca alla Camera ha tra l’altro appurato: le linee di credito concesse a noti gruppi imprenditoriali che rappresentano per la Banca Veneta in liquidazione sofferenze e crediti deteriorati sono spaventose: tra il 2012 ed il 2017 il buco che si è constatato è pari ad euro 8 miliardi e 450 milioni, tra l’altro concessi con la compiacenza del consiglio di amministrazione.

Un fiume di denaro che ha portato al crac della banca e alla richiesta di rinvio a giudizio dell’amministratore delegato Vincenzo Consoli, dell’ex presidente Flavio Trinca e altri nove manager. L’elenco acquisito dalla Commissione parlamentare dimostra quanto estesa fosse la «rete» di clienti che hanno potuto godere di trattamenti particolari, senza fornire alcuna vera «copertura».

I nomi sono pesanti ed altisonanti ed è inutile ripeterli: sale lo sdegno e la rabbia, perché i poveri risparmiatori, che hanno perso il loro peculio, non godono di alcuna tutela, mentre “i ricconi” di converso, beneficiano di una protezione anche legale.

I risparmiatori truffati che hanno perso tutto sono 207 mila, per un totale di 15 miliardi di euro.

Mentre per esempio due volte il Gruppo Stefanel ha potuto accedere ai finanziamenti (nel dicembre 2013 quando ha ottenuto 11 milioni e 230 mila euro e due anni dopo quando la cifra è stata addirittura più alta, arrivando a 16 milioni e 300 mila euro), il povero risparmiatore, che ha comprato azioni con la liquidazione ottenuta dopo anni di lavoro, oggi ha perduto tutto.

Una domanda sorge spontanea: perché la SGA, la società di recupero che sta curando la liquidazione dei crediti deteriorati delle Banche Venete, non si prodiga ad attaccare giudizialmente questi grandi gruppi imprenditoriali (Gruppo Statuto, Ferrarini, del calciatore Bettega, Bialetti, Vismara, hotel Daniele di Venezia)?

Non è conveniente recuperare 8 miliardi (ma anche la metà), invece di venderli a fondi avvoltoi e ricavare un prezzo vile certamente di gran lunga inferiore?

Infatti deve essere noto che per ristorare (si fa per dire) i poveri risparmiatori, hanno deciso, i Soloni incompetenti, di attingere l’attivo dalla vendita a cessionari dei crediti deteriorati ad un prezzo irrisorio tra il 10 o 15 per cento della posta.

È assurdo, ma è purtroppo così: il buon senso suggerisce invece di recuperare questi crediti con un’iniziativa legale, esempio istanze di fallimento contro i debitori che hanno molteplici beni sui quali può essere proposta di poi un’espropriazione forzata. Il ricavato costituisce l’attivo da dividersi tra i risparmiatori.

Ma il buon senso diceva Manzoni “c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”.

 Avv. Prof. Serafino Di Loreto

“FACCIA DA GALERA”

Mercoledì 21 novembre ore 15,30

Aula Magna del Liceo M. d’Azeglio – Via Parini 8, Torino

Mercoledì 21 novembre alle 15,30, nell’ambito degli incontri culturali organizzati dall’Unitre Torino per i suoi soci, si terrà l’incontro “Faccia da galera”. L’evento si svolgerà nell’Aula Magna del Liceo Classico Massimo D’Azeglio, in via Parini 8 a Torino, e sarà moderato da Giuseppe Ardito, docente di “Antropologia e biologia umana” e Vicepreside dell’Unitre Torino. Interverranno: il prof. Massimo Centini, docente del corso “Storia della criminologia” e il Dott. Rodolfo Neri, medico e scrittore.

L’incontro si concentrerà sui tentativi fatti, dalla scienza del passato, per giungere all’identificazione delle peculiarità criminali di un uomo sulla base del suo aspetto e della sua anatomia. Un retaggio lombrosiano che ha lasciato tracce profonde nell’immaginario e nei luoghi comuni: da come una persona è fatta spesso crediamo sia possibile comprendere come quella persona è.

Ingresso libero ad esaurimento posti.

Per informazioni: dal lunedì al venerdì ore 9.30-11.30 e 15.30-17.30 presso Unitre Torino, Corso Trento 13, scala A

Quali scenari per l’Italia?

“Il Futuro di una Nazione tra globalismo e Sovranità”

Martedì 20 novembre Ore 18.00. Circolo della Stampa Sporting Club , Corso G. Agnelli, 45 – Torino

Nazione Futura un think tank di destra organizza a Torino un importante convegno sul tema del dualismo tra globalismo e sovranità, tema sul quale spesso il giudizio è affrettato e superficiale. Comprendere la nazione del futuro che andremo a costruire non è certo cosa semplice, ma la politica non può prescindere nell’affrontare questi temi del comprendere in profondità il percorso culturale, la cultura come riferimento di nuova classe dirigente, e questi sono i momenti utili per creare classe dirigente e politica. Ferrante De Benedictis vicepresidente di Nazione Futura dichiara “siamo orgogliosi di portare a Torino relatori di altissimo livello come Ettore Gotti Tedeschi e Diego Fusaro, il tema della sovranità deve essere spiegato e approfondito perché non diventi sinonimo di nazionalismo, sovranità significa rivendicare uno spazio politico culturale a salvaguardia delle identità e delle culture dei popoli”.

Interverranno

  • Ettore Gotti Tedeschi, Economista
  • Diego Fusaro, Filosofo e Scrittore
  • Francesco Giubilei, Editore e Fondatore di Nazione Futura

modera

Nino Battaglia, Giornalista.

Paolo Capone: “Puntare sulla formazione per tutelare i lavoratori dal rischio di esclusione”

Si è tenuto nei giorni scorsi l’incontro organizzato dal Sindacato UGL, sul tema “La questione settentrionale. Previdenza e nuovo lavoro”,  in cui si è discusso della trasformazione del mondo del lavoro caratterizzato da maggiore flessibilità e più precariato. 

 

Per il Segretario Generale, Paolo Capone, “nel mondo del lavoro è in atto una profonda trasformazione e, per tale ragione, appare fondamentale gestire e governare tali mutamenti che possono rappresentare anche una grande opportunità in quella che viene comunemente definita come la ‘quarta rivoluzione industriale’. Si tratta – ha proseguito Capone – di una modernizzazione così repentina che deve richiedere una risposta decisa da parte di Istituzioni e parti sociali. Infatti, potenziare la formazione significa allineare le competenze, tutelando, al contempo, i lavoratori dal rischio di esclusione”.

A RIVALTA I MANIFESTI PRO VITA: “Netta contrarietà verso il messaggio veicolato”

Nei giorni scorsi sono apparsi nelle bacheche delle affissioni comunali di Rivalta alcuni manifesti che raffigurano un feto nel grembo materno con la scritta «Tu eri così a 11 settimane»


L’amministrazione comunale, pur rispettando l’opinione di tutti e garantendo la libertà di
espressione, esprime una netta contrarietà verso il messaggio veicolato dalla campagna. L’immagine e le parole puntano il dito contro la scelta di tante donne e di tante coppie, senza conoscere le storie e le motivazioni che sono alla base di quella scelta. Oltretutto, la campagna dei manifesti comparsi a Rivalta colpevolizza e scarica tutta la responsabilità di un’interruzione di gravidanza sulla donna, senza riflettere su quanto sia difficile il percorso che porta una persona a scegliere di abortire e senza immedesimarsi nei panni di tutte quelle donne che hanno subito un aborto spontaneo. La 194/78, “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, da quarant’anni riconosce alle donne il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza. È una legge dello Stato, confermata anche da un referendum nel 1981. Una legge che garantisce a tutte le donne la libertà di scelta e l’autodeterminazione, che non considera l’aborto come un diritto privato e personale ma come questione che va affrontata sotto il profilo sociale e che, come è scritto nel suo primo articolo «riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana fin dal suo inizio». In quarant’anni la Legge 194 ha diminuito la clandestinità degli aborti e ha quasi eliminato il rischio di mortalità per madri e figli. Le interruzioni volontarie di gravidanza, da quando è entrata in vigore la Legge 194, sono diminuite: nel 1983 erano 233.976, nel 2013 sono scese a 102.760, nel 2016, in base all’ultima rilevazione Istat disponibile, sono state 84.874. Mettere in discussione una legge dello Stato, frutto di anni di battaglie sociali, politiche ed etiche rischia di ledere il diritto alla libera scelta di tutti gli individui e di far fare passi indietro alla nostra società e alla nostra cultura. Per questo, nei prossimi giorni, il sindaco di Rivalta Nicola de Ruggiero sarà nei mercati cittadini per una campagna di informazione sulla Legge 194.

Una cena al buio

Il settore Darkevents di APRI-onlus (Associazione Pro Retinopatici e Ipovedenti), con la partecipazione di alcuni camerieri non vedenti, organizzerà una cena al buio presso il ristorante della Società Operaia “F. Bussone” di Carmagnola in via Valobra 143. L’evento sarà realizzato in collaborazione con la ASD Omnisport di Carmagnola. L’originale iniziativa, che consente a chi vede di immedesimarsi per qualche ora nella situazione della cecità, si svolgerà nella serata di sabato 24 novembre p.v., alle ore 20,00. E’ la seconda volta che si svolge la cena al buio a Carmagnola. L’ultima iniziativa del genere in zona risale al 2016. Il locale sarà completamente oscurato e  i partecipanti saranno accompagnati ai tavoli e serviti da camerieri non vedenti. “Si tratta di un tipo di iniziativa che ottiene generalmente molto interesse” – commenta il presidente APRI-onlus Marco Bongi – “Ovunque l’abbiamo proposta si è riscontrata un’alta partecipazione di pubblico e molti commensali si sono poi avvicinati al sodalizio come volontari. L’esperienza del buio può forse spaventare in un primo momento ma poi, superato il disagio iniziale, si rivela molto coinvolgente e fonte di riflessione”. Ecco dunque un modo originale per mettere alla prova i propri sensi alternativi alla vista che la cosiddetta “civiltà dell’immagine” ha ormai eletto come la principale prospettiva di giudizio nei confronti di chi ci vive attorno. Quì invece primeggeranno udito, tatto, olfatto, e soprattutto il gusto, una dimensione alternativa dell’essere che vale la pena, almeno una volta, di sperimentare.La quota di partecipazione alla cena è stata fissata in euro 38. Per informazioni e prenotazioni si può scrivere a: darkevents@ipovedenti.it

 

 

INFO tel. 360 – 77.19.93

 

Piemonte: l’associazione “Hikikomori Italia” firma protocollo d’intesa sull’isolamento sociale

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO  – Un altro importantissimo traguardo è stato raggiungo dalla nostra associazione genitori che, dopo un lungo lavoro di sensibilizzazione delle istituzioni piemontesi, iniziato con il seminario organizzato a Torino lo scorso 20 febbraio 2018, ha sottoscritto un protocollo di intesa con la Regione Piemonte e l’Ufficio Scolastico Regionale per la identificazione congiunta di strategie di intervento sul fenomeno del ritiro sociale volontario (hikikomori).

 

VANTAGGI PER I GENITORI DI RAGAZZI IN RITIRO SOCIALE

Con la emanazione di questo documento, l’appartenenza all’associazione è da oggi testimonianza di riconoscibilità istituzionale: due istituzioni hanno riconosciuto il nostro fabbisogno e si sono impegnate per studiare e affrontare il fenomeno assieme a alla nostra associazione.

Finalmente le famiglie possono disporre di un documento informativo ufficiale, sottoscritto dalla nostra associazione genitori e da due enti istituzionali, la Regione Piemonte e l’Ufficio Scolastico Piemonte, i quali si impegnano a affrontare il problema. Nel documento sono indicati i principali aspetti del fenomeno hikikomori e questo è utile per sostenere i genitori nelle difficoltà che incontrano quotidianamente nella spiegazione di quello che stanno vivendo i loro figli. La riconoscibilità della associazione porterà maggiore ascolto alle necessità delle famiglie. 

Potranno essere intercettati e aiutati molti ragazzi le cui famiglie non conoscono ancora la natura di quanto accade al loro figlio.

 

VANTAGGI NELLA RELAZIONE CON LE SCUOLE

Il protocollo di intesa renderà possibile un rapporto costruttivo con le scuole dei ragazzi in ritiro sociale volontario, in quanto traccia strade percorribili, dimostrando che il problema del ritiro sociale è affrontabile già con alcuni strumenti disponibili. In particolare sono individuati indirizzi di tipo relazionale e indirizzi di tipo operativo. 

INDIRIZZI DI TIPO RELAZIONALE – il protocollo contiene strumenti educativi e relazionali per l’identificazione degli studenti a rischio di ritiro sociale e per evitare che la loro situazione si aggravi. Gli insegnanti e i genitori avranno delle indicazioni da seguire e strumenti per relazionarsi con i ragazzi hikikomori in modo armoniosamente coordinato per il loro benessere. Grazie all’applicazione delle indicazioni del documento, potremo avere in futuro una minore incidenza del fenomeno hikikomori.

INDIRIZZI DI TIPO OPERATIVO – il protocollo illustra a tutte le scuole del Piemonte le modalità generali con cui possono essere gestite le principali criticità che si incontrano con ragazzi in ritiro sociale volontario. In particolare il documento suggerisce la attivazione di un gruppo di lavoro integrato che coinvolga il consiglio di classe, la famiglia e l’eventuale professionista che segue il ragazzo per lo studio di soluzioni personalizzate. In questo modo le soluzioni operative potranno essere concordate attraverso la redazione di un piano didattico personalizzato, da creare coinvolgendo tutte le parti interessate e garantendo soluzioni equilibrate e su misura.

Il documento, inoltre:

fornisce risposte su come gestire le assenze: in caso in cui un ragazzo non abbia patologie certificabili, sono illustrati i riferimenti normativi utili per gestire un soggetto ritirato in mancanza di certificato medico;riporta indicazioni per far sostenere ai ragazzi le prove di verifica e gli esami in modo più consono alla loro condizione;

Analizza la possibilità di ricorrere all’istruzione domiciliare e le modalità attualmente previste dalla normativa;

affronta il tema della alternanza scuola – lavoro e illustra possibili scenari su come si potrebbe ottemperare a questo adempimento scolastico.

 

E OLTRE LA SCUOLA? STIAMO LAVORANDO

Con il protocollo di intesa si intende intervenire non solo in ambito scolastico, ma in TUTTI gli ambiti di interesse per le famiglie dei ragazzi hikikomori.Infatti si prevede la redazione di ampliamenti e aggiornamenti nei prossimi tre anni, coinvolgendo anche la formazione professionale, i servizi al lavoro e l’ambito socio sanitario. Avremo presto quindi indicazioni orientative a 360 gradi.

E FUORI DAL PIEMONTE?

Il protocollo contiene indicazioni per le istituzioni del Piemonte, ma le indicazioni fornite fanno riferimento a normative nazionali e possono quindi essere utilizzate in ogni regione di Italia. Auspichiamo che, dopo l’emissione di questo documento, tutte le regioni del nostro paese si dotino di uno strumento analogo. I genitori potranno utilizzarlo anche in altri territori, così come l’associazione, sulla scia di un documento già operativo, potrà tentare di replicare il medesimo modello.

CHE COSA RENDE UNICO E INNOVATIVO QUESTO DOCUMENTO?

Il protocollo di intesa tra Hikikomori Italia Genitori, Regione Piemonte e Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte è un documento scritto congiuntamente che garantisce che le indicazioni siano redatte con la collaborazione della rappresentanza delle famiglie, insomma l’associazione è protagonista attiva assieme alle istituzioni. Un’alleanza preziosa per aiutare i ragazzi che soffrono di ritiro sociale volontario.

 

CIA AGRICOLTORI ITALIANI DI TORINO: PERCHE’ SIAMO A FAVORE DELLA TAV

Cia Agricoltori italiani di Torino considera il progetto Tav non come un semplice collegamento veloce tra Torino e Lione, ma come l’accesso alla metropolitana europea che collega l’Est con l’Ovest e il Nord con il Sud del continente.

Sul piano agricolo, l’opera ha un impatto ambientale bassissimo, tenendo conto che viene compromessa una quota irrisoria di terreno fertile, senza considerare che bucare la montagna non comporta apprezzabili rischi idrogeologici.

Nel merito, sono essenzialmente tre le ragioni che spingono Cia Agricoltori Torino a schierarsi a favore della Tav:

       l’accesso alla metropolitana europea rappresenterà un formidabile assist per l’esportazione, che è il settore trainante dell’economia agricola, caratterizzata dalla capacità di commercializzare prodotti freschi;

       il trasporto su rotaia ridurrà i costi rispetto a quello su gomma, rendendo più competitivi i prezzi dei prodotti agricoli destinati all’esportazione, e diminuirà le emissioni di CO2, a beneficio della qualità dell’aria;

       il miglioramento della mobilità all’interno dell’Europa, favorirà la multifunzionalità delle aziende agricole, che potranno contare su maggiori visitatori e potenziali clienti sia per le produzioni agricole che per l’ospitalità turistica.

Roberto Barbero

Presidente Cia Agricoltori italiani – Torino

CACCIA, ON. BRAMBILLA: “ANCORA UN OMICIDIO VENATORIO, E’ ORA DI APPROVARE LA MIA PROPOSTA”

“Continua, tra l’indifferenza delle autorità preposte, lo stillicidio dei morti e dei feriti “da caccia”. Ieri l’ennesimo “omicidio venatorio”: è toccato ad un cacciatore, un 63enne ucciso nella campagna pisana dal proiettile partito dal fucile di un compagno di battuta. Il numero delle vittime – almeno otto in questa stagione, tra cui due ragazzi di vent’anni – richiede l’intervento del governo e del Parlamento, che dovrebbe esaminare le mie proposte per l’introduzione di restrizioni alla caccia e, appunto, del reato di omicidio venatorio. Basta con le stragi di animali e di persone”. Lo afferma l’on. Michela Vittoria Brambilla, presidente della Lega italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente, che intanto invita a fermare del tutto la stagione di caccia “in considerazione delle eccezionali condizioni di maltempo”: “Molti ecosistemi sono già in ginocchio, senza bisogno dei cacciatori”. Il bollettino della “guerra” nei boschi e nelle campagne è in effetti pesante, considerando che mancano ancora tre mesi alla chiusura ufficiale della stagione venatoria. Oltre agli otto morti, sono decine i feriti, compresi due bambini colpiti da pallini da caccia, nelle province di Forlì-Cesena e di Ancona. “Fermo restando l’obiettivo a medio-lungo termine di abolire del tutto la caccia – spiega l’on. Brambilla – ho presentato due proposte di legge di cui le cronache suggeriscono l’esame con urgenza. La prima riguarda l’omicidio venatorio. Chi spara nelle campagne e nei boschi e colpisce una persona dev’essere punito più severamente di chi commette un “normale” omicidio colposo, proprio perché il cacciatore tiene legittimamente in mano un’arma letale, cioè ha una responsabilità in più. E’ lo stesso principio seguìto per dare vita al reato di omicidio stradale e la pena base che vorrei applicare è la stessa: da due e sette anni di reclusione. Del resto, secondo un’inchiesta di “National geographic”, la percentuale dei morti “da caccia” è, fatte le debite proporzioni, simile a quella delle vittime per incidenti automobilistici, con la differenza che oggi spostarsi in automobile è quasi sempre una necessità mentre la caccia non è affatto necessaria”.  “La seconda proposta – prosegue l’ex ministro – riguarda il silenzio venatorio il sabato e la domenica, per tutelare chi nei boschi e nelle campagna va per godersi la natura e non per distruggerla, e alcune misure restrittive. Oggi le distanze di sicurezza da potenziali bersagli come case, strade, ferrovie, mezzi agricoli o animali domestici variano secondo i casi da 50 a 150 metri: vanno sistematicamente raddoppiate, con controlli rigorosi. Riguardo al porto d’armi: mentre le procedure per le richieste motivate da esigenze di difesa personale sono rigidissime, una licenza per uso sportivo si ottiene più facilmente. Vale cinque anni e il certificato medico di idoneità è necessario solo al momento del rinnovo. Troppo poco, soprattutto perché la maggior parte dei cacciatori ha un’età compresa tra 65 e 78 anni”. Nelle 11 stagioni di caccia tra il 2007 e il 2018, secondo l’Associazione vittime della caccia, ci sono stati 217 morti e 804 feriti, senza contare gli incidenti con armi da caccia fuori dall’ambito venatorio.

MESSE DI GUARIGIONE, SCANDURRA ALLA CEP: “CARI VESCOVI, OBBEDIENZA NON E’ SOTTOMISSIONE”

Il Padre Generale del Cottolengo: “Il Vangelo abbonda di preghiere di intercessione. Don Adriano svolge ministero di consolazione e ascolto”

Riceviamo e pubblichiamo un nuovo, argomentato intervento del giornalista cattolico e saggista Maurizio Scandurra, in prima linea sulla querelle apertasi in Piemonte e Valle D’Aosta sull’importanza delle cosiddette ‘preghiere di domanda e intercessione’, spesso anche dai vescovi erroneamente scambiate per ‘messe di guarigione’. Di seguito il testo integrale della lettera che è stata inviata dall’autore ufficialmente anche all’Ufficio Liturgico della Curia di Torino “perché sia di esempio a tutti quei fedeli innamorati del Signore Gesù ancora convinti che, per dirla con una felice espressione dell’ottimo ed esemplare Ernesto Ferrero del Sermig, sia ancora possibile il dialogo con una chiesa scalza“, dichiara Scandurra.

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LETTERA APERTA – “Dal 18 settembre scorso, giorno del varo del discusso e controverso documento intitolato ‘Disposizioni disciplinari circa le cosiddette messe di guarigione’ promulgato – soltanto, in tutta Italia, fatto a dir poco curioso e singolare – dalla Conferenza Episcopale Piemontese e Valdostana (la locale CEI), è giunto il momento di tirare le fila del discorso.Ho chiesto più volte e ad altrettante riprese per tutto il mese di ottobre 2018 un incontro personale a Monsignor Franco Lovignana, Segretario della CEP: me l’ha negato, però quantomeno ha avuto il garbo di farmi una telefonata personale, rifiutando di pronunciarsi in merito al tema oggetto di domanda ma indicandomi comunque con precisione i nomi e i ruoli rispettivi dei due vescovi piemontesi relatori e ostensori del dibattuto provvedimento, qualora desiderassi approfondire maggiormente. Idem con l’Arcivescovo di Torino, Monsignor Cesare Nosiglia: appuntamento negato (e neanche, al contrario del collega valdostano, una telefonata), che mi ha fatto invece ricevere in sua vece da Don Paolo Tomatis, Responsabile dell’Ufficio Liturgico della Curia di Torino il 9 novembre scorso. Il prelato in oggetto riferisce di alcune pratiche in auge per lo più in alcune realtà del Rinnovamento dello Spirito (che avrebbero, tempo fa, dovuto essere oggetto di visite pastorali ad hoc da parte dei Vescovi della CEP, come si sente dire in ambienti ecclesiastici e di informazione a essi vicini), in cui taluni sacerdoti passerebbero persino il Santissimo di mano in mano ai fedeli, come fosse un comune biscotto: e allora, perché non agire soltanto lì?

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E dal colloquio edificante e producente con il Tomatis è emerso che la vexata quaestio, il ‘problema’ vero e proprio parrebbe consistere non tanto in se e per sé nel passaggio del Santissimo tra i fedeli (cosa che di fatto avviene tranquillamente e reiteratamente ab illo tempore anche a Lourdes, così come ho anche dichiarato sulle pagine del quotidiano ‘LA STAMPA’), ma più che altro in una sorta di “distanza di prossimità” – riferisce sempre in appuntamento Don Tomatis – che si richiede ai fedeli dall’ostensorio con la particola consacrata, quale atto di riverente e composto rispetto devozionale. Una questione che sembra quasi più da ‘Codice della Strada’, un po’ come la metratura che occorre mantenere dall’auto che precede innanzi in caso di frenata brusca. Un tempo Gesù passava in carne e ossa fra le folle, e le sue vesti erano appiglio speranzoso delle mani di poveri, sbandati, malati, vedove e lebbrosi: e Il Signore, quando riteneva che ciò fosse nella Volontà del Padre, guariva e rispondeva spesso “Va’, la tua fede ti ha salvato“. Questo è Vangelo. Oggi, invece, Gesù Eucaristia passa nel pane transustanziato lungo la chiesa in processione, ma ad aspettarlo ci sono sempre gli stessi: gli sguardi e le mani dei miseri supplici di cui tutti, indistintamente, siamo parte. Dal tempo del Risorto a oggi non è cambiato nulla: tale è, e resta, l’umanità bisognosa di un contatto – talvolta anche tangibile, nell’Eucaristia (ma con i dovuti accorgimenti e modi, certo) – con la realtà materico-misterica di Gesù Sacramentato. Un fatto incontrovertibile sottolineato in maniera inequivocabile anche dalle dichiarazioni pubbliche tranchant dello stimato Professor Alessandro Meluzzi, intervenuto a favore della missione di fede di Don Adriano Gennari, che ha ricordato espressamente come Santa Teresa della Croce, cresciuta in ambiente protestante e luterano, abbia scelto di farsi cattolica proprio grazie al contatto ravvicinato con la dimensione materiale dell’Eucaristia.

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Quindi, dov’è il problema, Signori Vescovi? L’ostia consacrata è o non è il Corpo di Cristo? Posso affermare e testimoniare (e con me, anche ben più di un migliaio abbondante di persone disposte a fare altrettanto) che Don Adriano Gennari ha sempre fatto almeno tre passi indietro, per evitare che mani e fotografie venissero a contatto con il Santissimo debitamente esposto. Sarebbe pertanto cosa buona e giusta che i Signori Vescovi venissero anch’essi in loco a vedere, prima di sentenziare a vuoto, e unilateralmente. Perché ragionino a buon diritto in una prospettiva escatologica. In sintesi, alcune considerazioni che, cari Pastori, e in particolare rivolte a Sua Eccellenza Monsignor Nosiglia, intendo esporre e sottoporre direttamente, oltre che all’attenzione dei diretti interessati, anche dell’opinione pubblica:

 

  • Davvero singolare che innanzi a temi di così attuale, primario e diffuso interesse ben due vescovi (i Vertici della CEP) rifiutino di incontrare un fedele, un giornalista, un personaggio pubblico che altrettanto pubblicamente chiede confronto e spiegazioni ben precise. A Nosiglia ho persin scritto una lettera aperta ripresa da autorevoli e innumerevoli media, che ancora giace in attesa di risposta.
  • Quando il Sottoscritto ha chiesto alla Collega Maria Teresa Martinengo de ‘LA STAMPA’ di venire a conoscere da vicino la splendida realtà di Don Adriano Gennari, a toccare con mano la differenza sostanziale che passa tra le tanto (anche, giustamente) osteggiate e controverse ‘messe di guarigione’ e invece una solenne celebrazione eucaristica seguita da un tempo di adorazione eucaristica con preghiere di domanda e intercessione per poveri, malati, bisognosi e sofferenti, la giornalista in oggetto con immensa disponibilità e altrettanta evidente correttezza e specchiata onestà intellettuale si è recata personalmente a Casanova di Carmagnola una domenica pomeriggio. Ha pregato, si è commossa, ha scritto un dettagliato reportage dal titolo significativo che dice di tutto e di più: “Preghiamo per i malati, ma ai vescovi non piace“, apparso il 30 ottobre 2018 sull’edizione torinese dello storico quotidiano. I vescovi Nosiglia e Lovignana che figura ci fanno? Quando tutti e due a messa da e con Don Adriano? Li stiamo ancora aspettando, e speriamo di vederli anche al più presto. Loro, come i restanti 15 episcopi della CEP, all’unanimità asserviti e favorevoli al documento oggetto di questa lettera.
  • Dalle medesime pagine de ‘LA STAMPA’, Monsignor Nosiglia ha indicato e supposto la radice dell’origine del conclamato provvedimento in alcuni presbiteri provenienti da fuori – a sua detta, dalla Toscana – ‘rei’ di recarsi in Piemonte a celebrare presunte messe di guarigione: e allora, mi domando, perché Monsignore per prima cosa non ha contattato i locali vescovi avvertendoli del fatto? E se l’ha fatto, perché generalizzare? Dunque, per quale motivo non ha preso provvedimenti diretti verso i responsabili certi (con tanto di nomi e cognomi ben precisi) di tal confuse situazioni ecclesiastiche, anziché firmare un documento che colpisce urbi et orbi tutto e tutti indistintamente, preti buoni e non, impedendo di fatto nella nostra regione ecclesiastica la Processione Eucaristica nelle chiese? Ma scherziamo?
  • Monsignor Nosiglia, mi domando, sa che anche da Torino partono flotte di bus carichi di fedeli pronti ad assistere ricorrentemente alle adunate di Ironi Spuldaro, il noto e discusso membro del Rinnovamento carismatico cattolico del Brasile che registra presenze da capogiro, sui cui incontri di preghiera credo varrebbe fermarsi un attimo oggettivamente a riflettere? Perché, di questo, l’incuria della locale Curia non si cura?
  • A fine settembre 2018, come previsto dal nuovo documento della CEP sulle ‘messe di guarigione’, Don Adriano Gennari ha scritto di suo pugno una missiva a Monsignor Nosiglia per chiedere una deroga: risposte? Speriamo arrivino. Per ora, zero.
  • E l’Arcivescovo di Torino, quando nel 2008 espresse pubblicamente il desiderio di avere una nuova ‘Mensa dei poveri’ nel cuore di una Torino difficile, chi trovò subito ben pronto a realizzarlo? Uno dei suoi diocesani di allora, o invece il buon e caritatevole Don Adriano Gennari sempre dalla parte degli ultimi, che è invece un religioso dell’Ordine di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, e Superiore dei Sacerdoti della locale loro Comunità torinese?
  • Un’ultima domanda: Monsignor Nosiglia, Lei che fa? Fa come Ponzio Pilato? Se ne lava le mani, come recitava la réclame di quella nota marca di distributori automatici per sapone? Prima getta l’amo e poi ritira la canna? Nel dicembre 2017 riconosce ufficialmente quale Comunità di preghiera di fedeli in cammino il ‘Cenacolo Eucaristico della Trasfigurazione Onlus’ fondato da Don Adriano Gennari ventun anni orsono, va persino personalmente con lui a servire ai tavoli dei poveri nella sua Mensa a San Salvario (con tanto di foto-promo apparse sui locali quotidiani), e poi in seguito al varo del documento sulle ‘messe di guarigione’ invita tutti i vescovi della nostra regione ecclesiastica (già invitati e a loro volta calendarizzati per tempo da Don Adriano) a non tenere più insegnamenti sul Vangelo e sulla vita di Gesù il primo venerdì del mese nelle solenni funzioni officiate da Don Gennari stesso alla Chiesa della Salute di Torino, che richiama puntualmente non meno di 3.000 fedeli a funzione? Mi scusi, Sua Eccellenza, ma a che titolo, e con che autorità Lei fa questo? E poi, perché? Da ultimo caldeggio e consiglio attentamente a Monsignore la lettura del volume, qualora ne ignorasse l’esistenza, dal titolo ‘Preghiere di guarigione, consolazione, liberazione’ edito dalla cattolica ‘Shalom’: 512 pagine di ottimi e preparati Autori vari per la modica cifra di soli 10 euro.

 

A questi ‘cari e amati’ vescovi rispondo e chiarisco una volta per tutte che l’obbedienza non è sottomissione: e che essa, nella Chiesa, spesso è stata impiegata un po’ come la fiducia al governo, alias il ricorso a un istituto convenzionale e convenzionato nato per ottenere largo consenso strategico in maniera forzata, e per lo più illiberale. Forse che si voglia risolvere ex ante, liquidandolo sotto silenzio, il ‘fenomeno Don Adriano’ (mi si passi l’espressione e mi si consenta il legittimo dubbio) a Chi eventualmente verrà dopo di Lei nel 2019, Sua Eccellenza Nosiglia? Noi non lo permettiamo per nessun motivo e in alcun modo, sia ben chiaro. Se gli episcopi del Piemonte e Valle D’Aosta emanano una disciplina, abbiano almeno il coraggio di metterci la faccia, senza lavorare sottotraccia. E fino in fondo anche, anziché tirare la coperta già sbrindellata a coprire questo o quell’angolo del letto rimasto nudo. Sappiano altresì incontrare chi chiede delucidazioni e lumi, anziché fare scudo l’uno con l’altro, e rifugiarsi dietro tenui e inutili paraventi e tendine fatti per lo più di segretari e funzionari curiali sprovvisti della dovuta autorità per comporre la vicenda con buonsenso e altrettanto buongusto. Abbiamo bisogno di pastori antiasettici, perché la Chiesa ritrovi centralità nel mondo e nei cuori.

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Concludo pertanto riportando le sagge e benedette parole di Don Carmine Arice, Sacerdote appassionato e cordiale, nonché Padre Generale dell’Ordine di San Giuseppe Benedetto Cottolengo (incontrato a Torino di persona dal Sottoscritto il 9 Novembre 2018 proprio nel cortile centrale della sua Casa Madre) che interviene sulla questione, e su Don Adriano Gennari così riferisce: “Il Vangelo abbonda di preghiere di intercessione e di altrettante, straordinarie guarigioni. La storia della Chiesa ne è piena. Credo che la preoccupazione della CEP vada letta e inquadrata soprattutto nell’evitare che nella gente più semplice e fragile scatti l’equazione ‘preghiera uguale salute sempre riacquistata’, trasformando così di fatto le messe di guarigione in una sorta di effetto stimolo-risposta. Del confratello Don Adriano, che mi siede accanto a tavola ogni giorno, al di là delle solenni funzioni partecipate che correttamente officia, quel che più apprezzo è il ministero di consolazione. L’attenzione a coloro che nessuno più considera. Un ministero di ascolto che ha per oggetto in special modo gli ultimi più ultimi, la frangia più estrema dell’emarginazione della nostra società moderna che invece lui ascolta, consola, e indirizza nuovamente riportandoli tutti al Signore, e ricevendoli personalmente e singolarmente uno a uno come nessun altro fa“. Vescovi Illustrissimi, prendete esempio. E’ giunto il momento, questa volta, di un sano scatto d’orgoglio. Per ripartire, sulla scia del perdono cristiano, più forti e uniti di prima nel Signore Gesù. Per il bene della Chiesa e della comunità dei credenti. Lasciate dunque che il Santissimo passi ancora fra la gente. Proprio come al tempo del Vangelo.

Ossequioso,

Maurizio Scandurra.