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L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Arianna Farinelli  “Gotico americano”   -Bompiani-   euro 18,00

Questo primo romanzo della scrittrice romana -che da quasi 20 anni vive negli Stati Uniti ed insegna in un’università newyorkese- assembla più argomenti e lo fa tenendoci incollati alle pagine fino alla fine.

Scritto magnificamente, racconta rapporti tra genitori e figli che sconfinano in soffocanti dipendenze e impossibili emancipazioni affettive, tradimenti, sessualità incerte, e l’amore impossibile tra una donna matura e il suo giovane allievo che finisce ingoiato dall’Isis.

Difficile tenere insieme tanti argomenti e incastrarli alla perfezione, ma la missione della Farinelli è perfettamente compiuta.

Protagonista del libro è Bruna, che ha fatto uno scatto sociale rispetto alla modesta famiglia di origine: è diventata professoressa ed insegna in un college di New York. Si è trasferita in America anche per amore di Tom, medico di successo, emotivamente immaturo e soggiogato da genitori invadenti ed ottusi.

Bruna e Tom hanno due figli, Minerva e Mario, sui quali i nonni paterni incombono: inevitabile lo scontro con i suoceri, acuito dalla scoperta che il piccolo Mario si sente femmina costretta in un corpo che non riconosce, disprezzato dal nonno che lo chiama “faggot” (finocchio)… e sarà la goccia che fa traboccare il vaso.

Anche dopo l’apparente strappo del cordone ombelicale, Tom continua a rivelarsi un marito e padre assente e ad un certo punto il “matrimonio americano” di Bruna giunge al capolinea.

Tanto più che nella sua vita irrompe Yunus, con lo straripante vigore dei suoi 20 anni. E’ un suo allievo afroamericano, ha un passato difficile, arriva da Harlem e tutti i pomeriggi si ritrova nel suo letto, tra passione e interessi comuni.

Poi un bel giorno scompare: si è convertito all’Islam ed è partito per Mosul, dove finisce per militare nelle file del sanguinario Stato Islamico, tra sgozzamenti e orrore allo stato puro.

Bruna si trova così nell’occhio del ciclone: incinta di Yunus, interrogata dall’Fbi, in rotta con il marito. Di più non vi anticipo, ma scoprirete schemi che saltano, vite che sembravano perfette e invece nascondevano scheletri nell’armadio, integrazioni difficili, ricerca affannosa di identità e senso di appartenenza…e tanto altro… in un libro di esordio strepitoso.

 

Roberto  Bolaño   “Sepolcri di cowboy”   -Adelphi –   euro 18,00

Lo scrittore -cileno di nascita e messicano di adozione, nato a Santiago del Cile nel 1953 e morto a Barcellona  nel 2003 a soli 50 anni- scrisse i tre abbozzi di romanzi raccolti in questo volume, negli ultimi anni della sua vita. Sono stati trovati dopo la sua morte, mentre il suo nome diventava leggenda, insieme ad altri inediti pubblicati postumi.

Il primo dei tre scritti, che dà il nome al volume, ha chiari riferimenti autobiografici. Suo alter ego è il giovane Arturo Belano (voce narrante) sospeso tra due mondi. Scorrono pagine in cui compaiono i genitori: la madre cilena, donna bellissima dalla mente matematica, stravagante, lettrice di romanzi rosa e riviste esoteriche. Il padre messicano, pugile che si dichiara con fierezza cowboy, figlio di cowboy e lettore appassionato solo di romanzi western. La loro è una storia d’amore che va avanti e indietro tra i due paesi e genera tre figli.

Su tutto però incombe il golpe militare che l’11 settembre del 1973 abbatté il governo del Presidente Salvador Allende, innescando l’atroce destino dei desaparecidos.

Arturo, che più di tutto si sente latinoamericano, decide di  tornare in Cile per partecipare alla rivoluzione. Belano racconta i curiosi incontri durante il viaggio (inclusa una spogliarellista che seduce lui e il compagno di cabina), poi arriva il dramma di un intero paese con la rievocazione dell’incredulità di fronte alla notizia del golpe.

Nel secondo brano, la “Patria” del titolo è quella della dittatura militare e qui l’autore intesse storie tragiche ed emblematiche. Come quella di una ragazza desaparecida e il dramma di una vita finita nel nulla, con i devastanti effetti sulla sua famiglia. O ancora, punta il dito contro l’organizzata e redditizia rete del traffico di organi che prevede il rapimento di bambini mendicanti-vagabondi per i quali il destino ha in serbo un futuro da macelleria.

Di tutt’altro tono, invece, l’ultimo brano che parte da un’eclissi e ci fa scoprire il Gruppo Surrealista Clandestino che da tempo sopravvivrebbe nelle fogne parigine.

 

Preston & Child   “L’uomo che scrive ai morti”   -Rizzoli-  euro 19,00

Ancora un punto messo a segno dalla coppia formata dal giornalista del “New Yorker” Douglas Preston e dall’editor e saggista Lincoln Child, che firmano un altro dei loro thriller con protagonista Aloysius  Pendergast. Ritroviamo così il pluridecorato agente dell’FBI: cane sciolto poco incline a rispettare la catena di comando, dai metodi investigativi poco ortodossi, avvolto da un certo mistero, sempre vestito in modo impeccabile, con un’affilata intelligenza, notevole cultura e pungente sarcasmo.

Scende in campo per districare una matassa decisamente inquietante che inizia con il ritrovamento nel cimitero di Bayside-Miami di un cuore sanguinante sulla tomba di una ragazza suicidatasi 11 anni prima, Elise Baxter. E’ accompagnato da un biglietto in cui qualcuno ha scritto con grafia elegante un messaggio che sa di pentimento ed ha riferimenti letterari ben precisi, firmato da un fantomatico Signor Cuorinfranti.

Ed è solo l’inizio, perché 3 giorni dopo lo schema si ripete; altro cuore strappato a una vittima e depositato sulla tomba di una presunta suicida di tempo addietro.

Pendergast arriva a Miami insieme al giovane collega Coldmon, che i vertici del Bureau gli hanno affiancato più che altro per sorvegliarlo. Ma ben presto le indagini sconfinano oltre le Everglades della Florida, passano dal Maine e da New York, perché si collegano ad altri delitti.

Tra autopsie e macabre scoperte, una mano decisiva la gioca anche la bravura della giovane anatomopatologa Charlotte Fauchet, della quale Pendergast intuisce subito la professionalità puntigliosa.

Insomma, un thriller ad alta tensione, in cui a fiutare le tracce lasciate dallo psicopatico di turno è l’abilissimo Pendergast che ha in se lo strabiliante mix dei detective più celebri della narrativa: eleganza alla Philo Vance, raffinato come James Bond, fuori dal comune come Hercule Poirot, colto e con l’istinto da segugio di Sherlock Holmes.

Settembre Nero

PAROLE ROSSE  di Roberto Placido / Da cinquant’anni evoca e viene usato per indicare situazioni tragiche in ricordo di quanto successe in Giordania nel lontano 1970. E’ quello che succederà dal prossimo 1 settembre alla scuola italiana.

Perché è sempre più chiaro che il prossimo settembre la nostra scuola non riaprirà. La pandemia di Covid 19 ne ha amplificato i problemi, i ritardi e le difficoltà. Molti hanno pensato di potere risolvere tutto con il cosiddetto DAD ( didattica a distanza ). Ma anche con l’insegnamento a distanza si sono evidenziati ed acuiti i problemi delle diverse “Italie”. Banda larga inesistente in molte realtà, impreparazione degli insegnanti e delle scuole e un numero elevato di ragazzi senza PC (computer) o Tablet. Un’indagine effettuata a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio ha evidenziato che, tra i bambini da 6 a 10 anni, il 61% non ha effettuato nemmeno un’ora di didattica online.

Ed ancora, un terzo delle famiglie non possiede un computer e di conseguenza le linee di ADSL sono ancora meno. In questo quadro bisogna poi sottolineare tutte quelle famiglie che hanno due se non tre figli in età scolastica con la necessità di fare lezione alla stessa ora e magari con l’aggiunta di uno dei genitori in tele lavoro da casa ed il computer è solo uno. Questa situazione porta alla mente la famosa “ Lettera ad una Professoressa” di Don Milani “ Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”. Anche perché a distanza non è scuola, è un surrogato e cioè una …ciofeca. Il digitale e la tecnologia sono un elemento complementare dell’istruzione e non un fondamento. Meno male che , a ricordare questo importante aspetto ci hanno pensato un gruppo di intellettuali, sedici, tra i quali il filosofo Massimo Cacciari, che hanno sottoscritto un documento che chiede e ricorda che il futuro della scuola non è il DAD che, tra l’altro, aumenta le disparità ed elimina la socialità che è uno degli elementi fondamentali dell’istruzione e della formazione dei ragazzi. Insomma la scuola non è più il presidio della Nazione. Funzione prima svolta dall’esercito fino a quando c’è stata la leva obbligatoria. La Nazione è rimasta così senza presidio, sguarnita. In questa fase, può sembrare incredibile, spesso si sono distinti negativamente una parte del corpo docente e soprattutto il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina. Approdata in Parlamento dopo essere stata paracadutata, dal suo capo cordata Luigi Di Maio, da Biella, dove insegnava, a Torino e poi posta, casualmente, alla guida del ministero di Viale Trastevere in seguito alle dimissioni del suo predecessore Lorenzo Fioramonti. Da quel ministero, ritenuto una volta “ di peso” e ad appannaggio della vecchia Democrazia Cristiana, sono passati oltre una trentina di ministri, politici e tecnici di grande prestigio come Aldo Moro, tre futuri Presidenti della Repubblica come Antonio Segni, Oscar Luigi Scalfaro e, l’attuale, Sergio Mattarella fino ad uno dei più recenti e prestigiosi, accademico e linguista, Tullio De Mauro.

Anche da questi dati si percepisce la distanza siderale tra quei ministri e quello attuale ed i guai della nostra scuola. Un ministro, Lucia Azzolina, che in più di un’occasione ha dimostrato l’assoluta inadeguatezza ed incapacità. Lo si può chiedere agli assessori regionali all’istruzione, lasciati, nello sconcerto generale, improvvisamente da soli nel bel mezzo di una riunione. La coalizione di governo ed il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte si dovrebbero porre il problema, urgente, della sua sostituzione. Così sono passati tre mesi senza impostare una strategia complessiva che coinvolgesse le regioni, che hanno la delega sulla materia, i comuni e le città metropolitane che hanno la responsabilità della manutenzione degli edifici delle scuole superiori. Un piano anche ambizioso che sfruttasse l’emergenza per recuperare i tagli e la mancanza di finanziamenti degli ultimi anni. La sbornia aziendalista dell’ultimo decennio ha colpito duramente sia la Sanità, e ce ne siamo drammaticamente accorti in questa circostanza, che l’Istruzione. Un piano che preveda il recupero di edifici scolastici in disuso e da mettere in sicurezza, attrezzature e reti informatiche, ed un numero adeguato di docenti. Proprio sui docenti, in una situazione di emergenza, stiamo assistendo ad un braccio di ferro tra i partiti della maggioranza per l’assunzione di 32.000 docenti e cioè se farlo per titoli, assumendo i precari che già insegnano oppure, come prevede la legge, per concorso. In tutto questo rimane una certezza, a settembre non ci saranno. Così, un governo che ha fatto riaprire e ripartire praticamente tutto, aziende, bar, ristoranti, impianti sportivi, palestre e parrucchieri, che ha dato soldi, in qualche caso a pioggia, dalle Partite Iva ai Tatuatori, non ha riaperto le scuole e gli ha dato le briciole in termini di finanziamento. Dei 55 miliardi stanziati alla scuola , con l’immane lavoro da fare sono stati destinati solo 1,45 miliardi. Cioè molto meno della percentuale che riceve normalmente e che da tutti è ritenuta ampiamente insufficiente. Pochi, non maledetti e che nemmeno riusciranno a spendere entro settembre. Insieme al ministro ha segnato il passo dimostrando insufficienza, ritmi inadeguati ed una generale impreparazione la struttura burocratica del ministero.

Rimasta più con i piedi e la mente al secolo scorso ed alle circolari ministeriali a cui seguivano, immancabilmente, le circolari esplicative che lasciavano il dubbio se inviate perché si rendevano conto di scriverle in maniera incomprensibile e se ritenessero dirigenti e funzionari delle scuole incapaci di capire. Tra dirigenti, , CTS (comitato tecnico scientifico), Consiglio Superiore dell’Istruzione ed una pletora di consulenti hanno prodotto, poco, lentamente e male. Hanno favorito la riluttanza di molti docenti, un’indagine parla del 70% contraria a riprendere l’insegnamento diretto, adducendo l’elevata età media degli insegnanti. Sconsigliando le sessioni d’esame in diretta. Fortunatamente invece si faranno. Mi chiedo ma quei docenti vanno a fare la spesa, affollano le parrucchiere, vanno per negozi o per strada? Perché , rispettando le norme, non possono fare gli esami? Per inciso l’INAIL ( Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) ha classificato la scuola, insegnanti compresi, a rischio medio-basso. E cosa dire di quegli insegnanti che hanno interrotto velocemente l’aspettativa quando hanno scoperto che le lezioni si svolgevano online?! Così molti precari sono rimasti a casa senza lavoro. Senza dimenticare la levata di scudi per fare tutte le vacanze pasquali quando le scuole erano chiuse da settimane. Al ministro, a tutto il suo ministero, consulenti compresi, gli italiani chiedono e vogliono sapere, ed hanno cominciato a farlo anche con manifestazioni nelle principali città, se dal 1 settembre i bambini delle materne, i ragazzi delle elementari e medie e gli studenti delle superiori avranno un aula sicura ed un insegnante.

Forse qualche bonus in meno e qualche aula ed insegnante in più non guasterebbero. Ritornando sugli esami, poteva essere, quella di fare ritornare le classi quinte delle superiori, un quinto degli studenti, e le classi terze delle medie, un terzo degli studenti, quanto prima a scuola proprio i vista degli esami, un segnale di funzionamento e di preparazione per tutta la scuola e per tutto il paese. Invece con ritardi, scuse e resistenze è andata, purtroppo, come sappiamo. Lo stesso Sindacato deve decidere se difendere, in alcuni casi, rivendicazioni corporative o lanciare ed attuare un’alleanza con gli studenti e con le famiglie che invece rischiano di essere lasciate sole nella gestione dei figli. Una struttura inefficace unita ad un ministro privo di autorevolezza e preoccupata più di fotografarsi e rilanciare commenti con personaggi discutibili e controversi oppure di rispondere, senza capirne il senso vero, ad un Tweet della simpatica e brava Sabina Guzzanti, non possono e non sono in grado di affrontare la sfida ed i problemi che ha davanti la nostra scuola. Sarebbe necessario un grande sforzo, una grande capacità ed intelligenza organizzativa e strategica per recuperare spazi, edifici, insegnanti, per fare partire la scuola in sicurezza, anche in prossimità delle famiglie. Un settore strategico per il presente e per il futuro del nostro paese non può essere abbandonato a se stesso. Non si possono penalizzare intere generazioni. In queste condizioni il primo settembre la scuola, nel senso tradizionale, non riprenderà e sarà una vera tragedia. Ecco il perché di un titolo così evocativo, tragico e funesto.

Macron/Merkel: un primo passo (difficile) per una nuova Europa

COMMENTARII  di Augusto Grandi / L’Europa sono i Chieftains che suonano musica galiziana dedicando un disco ai pellegrini che affrontano il Cammino di Santiago. Strade d’Europa, come cantava la Compagnia dell’Anello.

E sulla strada d’Europa si sono incamminati persino Micron e Merkel. Anzi, in questo caso il disastroso presidente francese che non ne azzecca una in politica interna, si è riconquistato il cognome ufficiale, Macron.

È riuscito a convincere Angela Merkel a rompere il fronte degli egoisti anche se l’asse carolingio ha, per ora, ipotizzato un intervento complessivo per circa 500 miliardi, pari alla metà di quello auspicato. Ed anche le condizioni, al momento, non sono ottimali. Ma è comunque un primo passo, importante…

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Macron/Merkel, un primo passo (difficile) per una nuova Europa

Alla ricerca delle Grotte Alchemiche

Torino, bellezza, magia e mistero

Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume? Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.

Articolo 1: Torino geograficamente magica
Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo 3: I segreti della Gran Madre
Articolo 4: La meridiana che non segna l’ora
Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo 7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo 8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo 10: Torino dei miracoli

Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche

Una delle zone più belle e più incantate di Torino è sicuramente piazza Castello. Si, perché la piazza è magica sia sopra che sotto. Se in superficie la zona è costellata da talismani e caricatori di energia positiva e in più si trova nelle vicinanze un portale destinato a pochi sapienti iniziati, sotto, nell’oscurità della terra, si diramano le celebri, tanto cercate e mai trovate Grotte Alchemiche. E non è un caso che, ancora oggi, la celebrazione del Santo Patrono si effettui proprio su questo suolo. I festeggiamenti odierni affondano le radici nell’antica e pagana usanza dei falò, i fuochi di mezza estate che avevano lo scopo di contrastare simbolicamente l’avanzata del buio che si estendeva sulla terra. I fuochi venivano accesi la notte del 25 giugno, come buon auspicio per le sementi, mentre le piante raccolte prima dell’alba avrebbero avuto poteri magici. La festività, successivamente, venne fatta coincidere con la celebrazione di San Giovanni. Ma andiamo per ordine.
Nel 1925 viene deposta sotto i portici della Prefettura, dal lato del Teatro Regio, una lapide dello scultore Dino Somà in onore degli immigrati che dal Sud America tornarono in Italia per combattere nella Grande Guerra e caddero al fronte. Alla base è posto un tondo rappresentante Cristoforo Colombo, in atteggiamento pensoso, nell’atto di misurare un mappamondo con un compasso; sullo sfondo una caravella. Il talismano di piazza Castello si trova nascosto proprio in quest’opera patriottica, precisamente nel mignolo della mano destra di Colombo che viene in fuori. Se decidete di credere a certe storie, sfregare il dito che sporge dal medaglione bronzeo del celebre navigatore parrebbe portare la sorte dalla vostra parte. E a giudicare dalla netta doratura, si direbbe, a discapito degli scettici, che di persone che “toccano dito” prima di affrontare una qualche difficoltà a Torino ce ne siano un bel po’. Il contatto diretto con certi “amuleti” non è solo prerogativa di questo luogo torinese, infatti si sa che porta fortuna toccare il “porcellino” alla Loggia dei Mercati a Firenze, precisamente in quel caso è necessario mettere una moneta sulla lingua dell’animale, lasciare che scivoli giù, e infine accarezzargli il muso.

Anche sfiorare il “piede” della statua di San Pietro, ubicata all’interno dell’omonima basilica, pare porti benefici positivi, così come toccare il “piede” della Madonna nera di Oropa, (che ora è stata inserita all’interno di una teca e distanziata dal pubblico), che però non pare consumato. Questo perché ogni religione, per quanto aniconica, ha i suoi oggetti sacri o magici, ed essi sono considerati come una sorta di collegamento diretto tra due dimensioni, il tramite attraverso cui l’uomo può raggiungere il trascendente. Certe volte non si ha solo bisogno “di un po’ di fortuna”, ma può capitare che si senta la necessità di “ricaricarsi”, di riacquisire energia perduta, e allora bisogna fare un bel sospiro e fermarsi, ma nel punto giusto. È opportuno allora avvicinarsi al Padiglione, o Pavaglione, la grande cancellata ornata con le dorate teste di Medusa, che separa piazza Castello dalla Piazzetta Reale, e soffermarsi proprio nel punto in cui le due statue dei Dioscuri aprono il varco per il passaggio: ecco, se ci si mette in linea retta con la cancellata, a metà tra Castore e Polluce, ci si troverà in quello che è definito il cuore bianco di Torino. Secondo coloro che studiano tali materie, questo sarebbe anche il punto che divide le energie positive da quelle negative, perché, come si è sostenuto più volte, per mantenere l’equilibrio, al cuore bianco corrisponde un cuore nero, che non si troverebbe poi così distante. Prima di andare via, dopo esserci inebriati di positività e aver toccato il mignolo di Colombo, perché “non si sa mai”, sediamoci su una panchina, affacciamoci sulla piazza e guardiamo verso il basso, ora proviamo a immaginarci cosa accade lì sotto. È abbastanza noto che a Torino ci siano le Grotte Alchemiche, secondo alcuni sarebbero situate tra piazza Castello e i Giardini Reali, ma il vero problema è entrarvi, poiché pare siano stati posti numerosi ingressi fittizi proprio per sviare e stancare i curiosi insistenti. Cosa accade dunque in queste Grotte Alchemiche? E che cos’è allora l’alchimia? Che cosa vogliono gli alchimisti? Intanto pare che le Grotte siano tre, nella prima si dominano le leggi della fisica, nella seconda si contattano forme di esistenza più evolute, nella terza si entra in altre dimensioni al di là del tempo e dello spazio. Non dobbiamo però commettere l’errore di prendere alla leggera questa presenza, non bisogna immaginare bizzarri laboratori stregoneschi in cui si aggirano loschi e avidi individui, al contrario, gli studi e le ricerche che si svolgerebbero nelle Grotte, sono volte all’arricchimento dell’anima e della conoscenza.

L’alchimia è un’antica filosofia esoterica che tocca diversi ambiti disciplinari, dalla chimica, alla fisica, all’astrologia, ancora la metallurgia e la medicina. Il termine deriva dall’arabo al-khīmiyya  (الكيمياء o الخيمياء), “pietra filosofale”, che è il greco tardo χυμεία, “fondere”, colare insieme”, “saldare”. L’alchimia è materia complessa, anche perché implica l’esperienza di crescita personale di chi la pratica. In tal senso, la disciplina può essere paragonata alla metafisica o alla filosofia, in quanto i processi e i simboli alchemici, oltre al significato di trasformazione materiale, possiedono un significato interiore, relativo allo sviluppo spirituale. Gli obbiettivi dell’alchimia sono conquistare l’onniscienza, creare la panacea universale, ossia un rimedio per curare tutte le malattie e prolungare la vita, la ricerca della pietra filosofale, cioè la sostanza catalizzatrice capace di risanare la corruzione della materia. Ora che sappiamo che cosa cercare, siamo sicuri di volerle trovare queste Grotte? A quanto pare i Savoia avrebbero risposto positivamente, dal momento che ricoprirono un ruolo di massima importanza per quel che riguarda la storia dell’alchimia piemontese. Alcuni esponenti della famiglia si interessarono più di altri alla materia, come Carlo Emanuele I, il Testa’d feu, che si fece costruire un laboratorio alchemico nei sotterranei del castello, o la Madama Reale, che pare si fosse messa in combutta con un mago francese, un certo Craonne. Non sappiamo se qualche esponente della famiglia reale riuscì in definitiva a trovare gli antri magici di cui stiamo parlando, ma qualcun altro invece si: Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, (1493-1541), noto come Paracelso, Michel de Notre-Dame,(1503-1566), ossia Nostradamus e tale Giuseppe Balsamo, conosciuto con il nome di Cagliostro. Data la levatura intellettuale che caratterizzò questi personaggi, non sentiamoci eccessivamente in difetto per non essere stati ritenuti degni di scorgere l’accesso alle Grotte. Dunque, alziamoci dalla nostra panchina e continuiamo la nostra passeggiata, passando, però, per quello che pare essere uno degli ingressi ai saperi ctoni, cioè la Fontana del Tritone, posta all’interno dei Giardini Reali. Si dice che dopo tre giri intorno alla costruzione, un elementale apra l’ingresso invisibile, ovviamente solo a chi è ritenuto degno di tale onorificenza. Probabilmente così non sarà, ma perché non correre il rischio?

Alessia Cagnotto

A tu per tu con Mariaelena Mallone, cuore e anima di Mialuis, non solo un brand Made in Torino

Rubrica a cura di ScattoTorino

Mialuis non è semplicemente un marchio Made in Italy e Made in Torino. È uno stile di vita e una filosofia da indossare. È un brand che da sempre si lega inscindibilmente alle donne. A crearlo, nel 2010, Mariaelena Mallone. Laureata in architettura, ha iniziato la sua attività professionale presso lo studio Picco architetti di Torino e nel 2003, oltre a proseguire con la professione di architetto, ha cominciato la sua attività imprenditoriale costituendo Mialuis, un’azienda specializzata nel design, nella produzione e nella commercializzazione di borse. Il nome nasce dalla Signora Maria Luisa, la mamma, che propose di unire il diminutivo della figlia (MIA) con il suo (LUIS). Nel 2004 Mariaelena Mallone ha collaborato con il gruppo Miroglio per i marchi Elena Mirò, Diana Gallesi e Per te by Krizia come consulente per lo stile e la realizzazione di una linea di borse. Dopo una prima esperienza nel 2006 presso la Libera Università delle Arti (L.UN.A) di Bologna, dal 2007 al 2009 è stata docente presso l’Istituto Europeo di Design di Torino (IED). Nel 2010 Mialuis è diventa un vero e proprio marchio iniziando la distribuzione sia a livello nazionale che internazionale. Nello stesso anno ha preso vita anche un altro progetto che ha visto la designer al fianco della Fiat, per la quale ha studiato e prodotto una linea di borse a firma Alfa Romeo/Mialuis e Lancia/Mialuis. Ancora oggi Mariaelena Mallone collabora con aziende torinesi note a livello internazionale creando capsule collection per Martini e Grey Goose. Dal 2017 produce una linea di accessori in pelle composta da portafogli unisex, portadocumenti, portachiavi e portacarte. Mialuis è distribuita in boutique selezionate che si trovano in Italia, Francia, Benelux, Svizzera, Germania, Giappone, Corea e Stati Uniti. Il brand partecipa alle principali fiere del settore e il modello Lena è stato premiato come la migliore borsa icona della categoria “Nomadic Dreamer” alla 111° edizione di MIPEL, la fiera internazionale dedicata agli accessori in pelle, da una giuria internazionale.

Come è nato Mialuis?

“In seconda media avevo pianificato che volevo fare la designer e da sempre sognavo di poter creare un’impresa secondo canoni diversi da quelli proposti dai modelli esistenti. Quel potere silenzioso caratterizzato dalla boriosità che è insito in molti imprenditori non era nelle mie corde. Secondo me, infatti, per fare impresa non bisogna necessariamente essere duri, urlare e schiacciare i collaboratori. Io cercavo dei partner e non dei fornitori. Volevo un dialogo tra le persone e pensavo ad un’impresa morbida. Solo oggi Mialuis è come la immaginavo e la parola chiave che ha contraddistinto il mio percorso è credere: credere in se stessi e andare oltre la passione. Perché credere ti fa vedere la strada e aiuta a farla capire anche a chi non comprende la tua idea”.

Quali sono i plus che caratterizzano il brand?

“Le borse e gli accessori sono rigorosamente Made in Italy, hanno forme inusuali e puntano sulla qualità dei materiali. Inizialmente mi basavo sul tatto e sulla sensazione di benessere che mi procurava perché una texture naturale è morbida e molto diversa da una chimica. In fondo, dentro di me, sapevo già a cosa puntavo e con lo studio, la determinazione e la coscienza ho raggiunto la consapevolezza. Un’altra caratteristica dei miei prodotti sono i colori naturali. Le tinte, infatti, sono realizzate ad hoc da un Maestro del Colore che per ogni collezione studia una ricetta segreta. All’inizio della carriera le mie borse rappresentavano fiori e architetture e avevo bisogno di colore. Poi mi sono interfacciata con il mercato, che richiedeva il nero. Io però preferisco il giallo e il rosso, che rappresentano vitalità e forza, e sto cercando di riportarli nelle collezioni per far conoscere il mio punto di vista sul mondo, che a me piace luminoso e allegro. Le borse, che seguono un processo produttivo monitorato in ciascuna fase, portano ognuna un nome di donna o di uomo: un omaggio a persone che hanno saputo trasmettermi un’emozione, un ricordo, un insegnamento. Allo stesso modo, tutte nascono da sensazioni e istanti vissuti che si traducono in disegni. Morbide, leggere e funzionali, mi piace pensare che queste creazioni possano diventare per chi le indossa ciò di cui ha bisogno: il giusto accessorio che regali un’emozione, entri nella vita di tutti i giorni, diventando fondamentale”.

Nel tuo staff le pari opportunità hanno un ruolo chiave?

Pari opportunità per me non vuol dire solo donne, ma include anche gli uomini perché siamo tutti esseri umani e ognuno porta il proprio know-how. Come in un coro, ciascun talento forma la sinfonia. Nel mio team non parlo di leadership, ma di cooperazione per il bene comune. Nel gruppo ci sono diverse donne e rispetto le loro esigenze in modo che possano conciliare le responsabilità famigliari con quelle professionali, garantendo la flessibilità di orario e agevolandole durante la maternità, perché essere mamma non è un limite. In atelier tutti collaboriamo per il bene comune e il potenziale di ciascuno viene valorizzato”.

Durante il lockdown hai creato delle iniziative per supportare la filiera: quali?

“In risposta a Carlo Capasa, presidente di Camera Nazionale della Moda Italiana che ci ha richiamato alla collaborazione e all’unità, e in risposta all’iniziativa del White Show e di Confartigianato Imprese, Mialuis si è attivata con #distantimauniti per dimostrare la solidarietà artigianale italiana. Perché la mia creatività prenda vita è fondamentale il lavoro di un Maestro del Colore, di un façonista e dei fornitori di pellami. L’obiettivo è stato dimostrare che si può costruire una valida e forte alleanza tra diversi settori della filiera moda anche se si è lontani. Subito dopo che è stata annunciata la serrata di tutte le attività non di primaria importanza, inoltre, ho coinvolto alcune delle boutique che vendono le borse Mialuis per offrire un aiuto concreto nella lotta contro la diffusione del Covid-19. Chi acquistava sul sito dello store aderente una borsa Mialuis, a condizioni privilegiate, sapeva che il 15% dell’importo versato veniva devoluto a favore di Fondazione Ricerca Molinette Onlus che aveva avviato una campagna di raccolta fondi per affiancare medici, infermieri e tutto il personale impegnato a fronteggiare l’emergenza sanitaria all’interno della Città della Salute e della Scienza di Torino. È stato un modo per supportare la sanità, ma anche le attività commerciali costrette a chiudere per legge”.

Il tuo leit motiv è Mialuis per le donne

Le donne sono la chiave per il futuro perché lo costruiscono e lo crescono. Per questa ragione nel 2019 ho promosso alcune attività di beneficienza a supporto di Onlus torinesi volte alla promozione della salute femminile e al sostegno delle donne nel loro ruolo di mamme, intese come bene comune per la famiglia e per la collettività nel suo insieme.

In questo 2020 il concetto si è evoluto perché sulle mie pagine social riporto esempi virtuosi di donne che possono essere un esempio per altre o possono aiutare chi legge a tirare fuori il proprio talento e il proprio coraggio. Il mio progetto non è femminista, ma vuole ispirare il mondo femminile e far capire che tutto si può fare, ma dipende dalla forza di volontà. Per questo dò voce a coloro che in diverse situazioni hanno portato delle modifiche nella società, anche attraverso un percorso di vita non sempre facile. Tra le protagoniste c’è Debora Corbi, Maggiore dell’Aeronautica Militare. Grazie a lei nel 1999 è stata approvata la legge che dal 2000 ha dato il via ai reclutamenti femminili. C’è poi Angela Carini, medaglia d’argento di pugilato ai Mondiali di categoria dello scorso anno che non ha rinunciato alla femminilità ed ha lanciato una campagna per insegnare alle donne a difendersi. Spesso l’universo femminile è spinto in un angolo e deve trasformare l’energia negativa in positiva cercando la forza dentro di sé. Purtroppo siamo ancora lontani dalla necessità di avere un nostro punto in tanti settori della società.”.

Torino per te è?

“La mia grande sfida. La città mi ha sempre un po’ rifiutata, ma è talmente stimolante che offre mille possibilità ed è più facile emergere qui che altrove. È così chiusa che se canti fuori dal coro, ti fai sentire. Qui posso trovare creatività anche nella stanza buia. Il mio brand si chiama Mialuis Torino ed è un atto d’amore perché se sono così, è anche grazie a questo luogo”.

Un ricordo legato alla città?

“Non vivo nel capoluogo e scendendo dalla collina per arrivare a Torino ammiro ogni giorno un orizzonte incredibile, uno skyline con le case e le montagne che è simbolo di libertà. La curiosità ti spinge sempre a guardare oltre quelle montagne e Torino è come una famiglia che ti accoglie, ti lascia andare oltre i monti e quando torni hai un’esperienza che può fare bene a te e alla città stessa. Lei è sempre lì, pronta ad accoglierti, perché la sua rigidità è un punto di forza e alla fine sai sempre che puoi contare su di lei”.

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

Confini regionali chiusi ma si protesta se i turisti europei vanno altrove

COMMENTARII  di Augusto Grandi / Il ministro Boccia continua a tener sigillati i confini tra le regioni italiane mentre il lìder minimo tuona (beh, brontola sottovoce) contro gli accordi tra i Paesi europei che aprono i confini per i turisti di tutte le altre nazioni.

Non accetteremo accordi bilaterali che taglino fuori l’Italia”, avverte Conte. E non si capisce se si accorga di quanto sia ridicolo.

Innanzitutto perché gli accordi non sono bilaterali, poiché ormai non riguardano più soltanto Austria e Germania ma coinvolgono la Francia, i Paesi Bassi, la Danimarca, la Slovenia, la Croazia, la Cechia, la Slovacchia, l’Ungheria. In pratica restano escluse solo Spagna ed Italia.

Al lìder minimo hanno dato fastidio soprattutto gli inviti rivolti ai turisti tedeschi di scegliere le “spiagge sicure”, che sarebbero poi quelle sull’altra sponda dell’Adriatico, dunque in territorio attualmente sloveno e croato. Ma Conte ed il dittatorello lombrosiano dovrebbero spiegare come possono pretendere che i turisti europei considerino sicure le spiagge italiane sottoposte ai demenziali provvedimenti governativi…

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Anche Ricolfi contro il governo che vuole “la società parassita di massa”

COMMENTARII  di Augusto Grandi / La società parassita di massa”, la definisce Luca Ricolfi, sociologo non certo schierato con il centrodestra ma, non per questo, meno critico nei confronti dei disastri provocati dal lìder minimo e dai dittatorelli.

D’altronde, tragicamente, le analisi più feroci e puntuali stanno arrivando da personaggi come Cacciari e Saraceno, compagni di sicura fede e critici intransigenti dei demenziali provvedimenti del ministro Azzolina…

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Anche Ricolfi contro il governo che vuole “la società parassita di massa”

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria 

Jeanine  Cummins  “Il sale della terra”  -Feltrinelli-  euro 18,00

Acapulco, Lydia e il figlio di 8 anni, Lucas, sono in bagno quando sentono i colpi a raffica che massacrano la loro famiglia – 16 persone- riunite in cortile per festeggiare la quinceañera di una nipote. Miracolosamente nascosti nella doccia riescono a scampare alla carneficina; ma da quel momento saranno soli al mondo e braccati dai narcotrafficanti.

Iniziano così 400 pagine a perdifiato che narrano l’allucinante corsa verso los Estados Unidos, di una giovane donna e del suo piccolo grande ometto, genio della geografia, che la tragedia ha fatto maturare di colpo. E il romanzo ci catapulta in qualcosa che per noi è inimmaginabile.

I retroscena del massacro vengono svelati strada facendo: il marito di Lydia era un giornalista integerrimo e aveva scritto un articolo sul nuovo jefe dei Jardineros. E’ Javier, criminale a capo di una pericolosa banda di narcos, con patetiche aspirazioni poetiche. Lydia l’ha conosciuto nella sua libreria e ha stabilito un rapporto fatto di intesa e confidenze. Eppure è lui che ha ordinato lo sterminio dei suoi familiari e non si fermerà finché non avrà ucciso anche lei e Luca, che per salvarsi si mimetizzano con le orde di migranti disperati.

“Il sale della terra”  è la sconvolgente storia della loro fuga: su treni da prendere in corsa col rischio di essere spappolati, incontri con personaggi dall’umanità dolente, profonda e varia, alcuni pronti a fregarli, altri invece amichevoli. Come le bellissime sorelle Soledad e Rebecca violentate dalla vita e dagli uomini; o Beto, 11enne di Tijuana cresciuto nella miseria di una discarica.

A guidarli verso il Norte -tra pericoli vari, arsura e sole bruciante del deserto, notti gelide e acquazzoni torrenziali- è il coyote El Chacal che, per lavoro, da anni, con durezza e perizia, porta i disperati verso il confine statunitense.

Un’Odissea che Jeanine Cummins -scrittrice spagnola, cresciuta nel Maryland, residente a New York- ha scritto dopo lunghe e approfondite ricerche, viaggiando da un lato all’altro del confine, per dare voce e rendere omaggio alle “migliaia di storie che non sentiremo mai”. E’ il primo dei suoi 4 romanzi tradotti in italiano e non vediamo l’ora di leggere gli altri

 

Franck Thilliez   “Il manoscritto”  -Darkside- Fazi Editore-  euro  18,00

E’ un thriller mozzafiato che non ha nulla da invidiare allo strepitoso “Il silenzio degli innocenti” (di Thomas Harris, pubblicato nel 1988, che ha ispirato l’omonimo film con Anthony Hopkins e Jodie Foster).

L’ingegnere e scrittore francese Franck Thilliez ha costruito una trama mozzafiato intorno a sparizioni, torture e omicidi di ragazze scomparse nel nulla, corpi scuoiati, mutilazioni, sadismo, masochismo, necrofilia e  perversioni varie e assortite. Tutto scritto con un ritmo incalzante che si presterebbe perfettamente alla trasposizione in film.

Il racconto inizia nel nord est della Francia, nei dintorni di Grenoble, con l’inseguimento di un’auto rubata la cui corsa si ferma in uno schianto. Nel bagagliaio i poliziotti scoprono l’orrore: il cadavere di una giovane il cui viso è stato scuoiato.

Intanto una famosa scrittrice di gialli arriva per assistere il marito vittima di un’aggressione e della conseguente perdita di memoria. Lei è Léane, firma i suoi libri con uno pseudonimo e la sua vita non è più la stessa da 4 anni; da quando la figlia Sarah è stata rapita ed è probabilmente la 9° vittima di un serial killer che non vuole svelare dove ha occultato il corpo. Una tragedia che ha fatto crollare il matrimonio con Jullian, ossessionato dall’idea di scoprire ad ogni costo cosa sia successo alla figlia. Leane rimette piede nell’isolata villa di famiglia sul mare nel nord della Francia e viene catapultata in un incubo senza fine.

 

 

A cura di  Maggie Fergusson  “Pezzi da museo”  -Sellerio-   euro  16,00

Dal Tenement Museum di New York al Kelvingrove di Glasgow, passando per quello acciaccato di Kabul o quello curiosissimo delle Relazioni Interrotte di Zagabria, spaziando tra Europa, America e Australia.

Sono 22 le collezioni straordinarie raccontate da altrettanti scrittori (non studiosi d’arte): dalle più famose a quelle di nicchia. Il libro nasce dall’incontro tra grandi autori (di cui trovate brevi note biografiche a fondo libro) e i musei sparsi per il mondo che li hanno affascinati. Visitatori d’eccezione capaci di raccontarci riflessioni storiche, culturali, ma soprattutto emotive ed affettive. Con sensibilità e in modo accattivante ci invitano a scoprire esposizioni uniche e particolarissime.

Spesso i racconti sono lo spunto per ripercorre le genesi delle collezioni esposte o per riannodare esperienze e gusti personali. Come l’inglese Jacqueline Wilson al Musée de la Poupée di Parigi “…è come entrare in un libro di favole d’età vittoriana” che la riporta alla sua visita di anni prima con la figlia, e all’amore della sua famiglia per le bambole.

O come la scrittrice britannica di origine sierraleonese Aminatta Forna che ha scoperto l’insolito museo dei cuori infranti. E’ stato fondato da una coppia separatasi amichevolmente che, invece di buttare via gli oggetti che avevano accompagnato il loro matrimonio, ha avuto il colpo di genio di avviare una mostra itinerante. Ha già fatto il giro del mondo raccogliendo una miriade di oggetti posseduti da cuori spezzati, traditi e disillusi che hanno deciso di condividere con i visitatori le storie racchiuse nei loro feticci d’amore.

Altri brani invece sono a suon di musica: dalle composizioni del finlandese Sibelius e la sua casa-museo fuori Helsinki alle note del museo degli Abba.

Poi ci sono autentici pezzi di Storia, come nel racconto di Roddy Doyle che, nel Lower East Side di New York, entra nelle stanze in cui tra fine 800 e inizi 900 si dipanarono le vite stentate di persone comuni che non avevano voce, “…il museo è tutto strati e ondate: strati di pittura, ondate di gente”.

O come Rory Stewart che si avventura in quello che rimane del Museo Nazionale dell’Afghanistan dopo le bombe e i picconi dell’Isis.

Sono tante le meraviglie di questo libro, da leggere tenendosi accanto computer o iPad per andare a vedere o rivedere -almeno virtualmente- quadri e sculture che magari non conoscevamo. Ma anche spunto per futuri viaggi e scoperte da fare, tra gallerie, sale, cultura e bellezza all’ennesima potenza.

Arriva l’ondata

Caleidoscopio rock USA anni 60 / In Louisiana non tutto doveva essere R&B, anche se il peso del passato era ingombrante e condizionante. C’era chi aspettava il “treno giusto”, magari con partenza da oltreoceano, per esempio una potente ondata, da lontano, che portasse una nuova scarica di adrenalina tra i giovani statunitensi dopo qualche tempo di “calma equatoriale”.

C’era chi fiutava l’aria specialmente in quelle aree dove la caratterizzazione musicale era meno marcata da generi musicali di grande respiro, magari in zone ai margini o “di passaggio” tra uno stato e l’altro; d’altronde si sa… presso le “aree di confine” si sta generalmente molto attenti a chi transita, sia esso un viaggiatore, un mezzo di trasporto o… un nuovo trend musicale in arrivo.

E si sa bene che il fiuto di chi vive in tali aree è particolarmente fino, ancor meglio se associato ad “antenne ben dritte” per captare verso quale direzione si dirigerà il gusto giovanile, quella “gallina dalle uova d’oro” che poteva dare una spinta alle bands per il “grande salto”. Ed ecco che la conformazione “antenne dritte” era tipica di bands che cercavano qualcosa di nuovo oltre il rock&roll e che, come predetto, si muovevano in aree “borderline”, come in Louisiana nella fascia settentrionale verso i confini con Texas, Arkansas e Mississippi lungo la Interstate 20: ne erano un esempio The Spectres. Nati tra Ruston e Monroe nell’autunno 1965, erano composti in formazione originale da Jim Steele (V), Daniel Gilbert (V, chit), Terry Montgomery (b), Sidney Johnson (V, org) [e Woodard Bardin (org)], Bill Bass (batt); furono tra le prime bands della Louisiana a seguire decisamente l’onda della British Invasion operando tra Monroe, Ruston e Shreveport soprattutto in adult clubs e con l’onore di essere opening band per The Lovin’ Spoonful. I buoni agganci col produttore Rocky Robin portarono The Spectres ad incidere il primo 45 giri nel 1966: “No Good, No Where World” [Gray – Carraway] (NJ 1020; side B: “High Stepper”), con etichetta N-Joy records, presso Sound Studios. Nel frattempo il cantante Jim Steele fu chiamato al servizio militare e la band dovette assestarsi su una diversa distribuzione tra i membri. Per quanto riguarda il secondo 45 giri, tengo a sottolineare l’etichetta (che a mio giudizio produsse realtà interessanti): Paula records, di proprietà di Stanley Lewis a Shreveport. Il singolo uscì nel 1967 e presentava un side B migliore del lato A: “Psychodelic Situation” [D. Gilbert] (270; side B: “I Cried”), inciso presso i Robin Hood Briant’s Studios in Texas; non a caso “I Cried” ricevette buona accoglienza nelle radio locali e fu brano di punta di svariati gigs fino in Mississippi (Vicksburg e Jackson). Ma il 1967, come tutti ben sappiamo, fu anno spartiacque che vide il grande movimento psichedelico travolgere ed inglobare microrealtà locali trasformando suoni, testi, gusti e modi di captare il messaggio musicale; con le nuove ricerche sul riverbero, sulla dicotomia scenografica suono-luce e con la nuova fenomenologia dei “concerti evento” intesi come unione di forme artistiche concomitanti… chi arrivava al 1967 “col fiato corto” era destinato ad essere doppiato a velocità tripla. La medesima sorte toccò inevitabilmente anche a The Spectres, che (con l’uscita di Steele e Montgomery) giunsero a sciogliersi entro l’estate del 1968, quando ormai il garage rock psichedelico “di nome ma non di fatto” sapeva già di stantio.

Gian Marchisio

 

 

La realtà virtuale per gli schiavi, gli incontri solo per chi comanda

COMMENTARII di Augusto Grandi / Ce lo stanno ripetendo in ogni modo, ad ogni istante. E se fosse l’ennesima menzogna, ripetuta all’infinito dai media di servizio, per convincere l’ex popolo bue trasformato in popolo di pecore?

O meglio, una imposizione fatta passare per informazione. Un cambiamento obbligatorio per le masse, ma che non vale per chi controlla ed indirizza il gregge…

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La realtà virtuale per gli schiavi, gli incontri solo per chi comanda