Rubriche- Pagina 79

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Valeria Parrella   “Quel tipo di donna”  – HarperCollins –   euro 16,00

Questo è un breve romanzo on the road che, in poco più di 100 scorrevolissime pagine, racconta le avventure di 4 amiche che decidono di fare un viaggio in Turchia durante il Ramadan. Quattro giovani donne che non incarnano il tipo di persona che si trincera dietro una rassicurante serie di schemi prestabiliti: non temono la solitudine, non hanno bisogno di un compagno e affrontano la vita senza mai smettere di sperimentare e imparare.

Carola e Dolores, entrambe dei gemelli, sono spavalde, solari e allegre al limite dell’irresponsabilità; Camilla e la voce narrante sono invece due capricorni precise, quasi maniacali, organizzatissime e prudenti.

A legarle è una profonda amicizia e il mutuo soccorso quando la vita si fa più pesante. Sono insieme per metabolizzare una perdita tra le più dolorose, difficile da affrontare  in solitaria. Lasciano in attesa a Napoli lavoro, figli o amori, e si ritagliano uno spazio tutto per loro.

Non sono donne tradizionali, amano sentirsi libere, escono da sentieri stereotipati, più che sulla programmazione del futuro si concentrano sul vortice del presente, sono profondamente autentiche, anche se piene di contraddizioni.

Soprattutto sono complici, sanno convivere con le loro fragilità e questo tour ha un alto valore liberatorio «Si stava così bene che ci fermammo molti giorni: la bellezza di questi viaggi è che hai un volo di partenza e  uno di ritorno, e poi ci puoi costruire dentro il tempo come meglio viene…».

Viaggiano a bordo di una Mercedes bianca da camorrista, dormono in ostelli e improvvisano con modalità fricchettone; passano da una metropoli fascinosa e moderna come Istanbul ai cunicoli sotterranei dei Camini delle fate in Cappadocia, per arrivare alle coste dell’Antalia e nuotare insieme alle tartarughe.

Sono forti, indipendenti, un po’ incasinate, e vi entreranno nel cuore.

 

 

John Niven  “La lista degli stronzi”   – Einaudi-    euro  17,50

Ha qualche appiglio nell’attualità l’ultimo romanzo dello scrittore scozzese 52enne John Niven, che imbastisce una trama fantapolitica, dissacrante, satirica e a tratti spietata, ambientata in un futuribile 2026 a stelle e strisce.

C’è molto Trump (e sue derive) in queste  pagine in cui Ivanka è la prima Presidente donna degli Stati Unti d’America, dopo due mandati del padre (all’ennesimo matrimonio con una bellona, mentre Melania è morta in un incidente di elicottero).

Il paese è controllato dalla famiglia del tycoon e sprofonda nel conservatorismo più bieco; tra xenofobia ai massimi livelli, uso e possesso delle armi come norma, mentre conquiste come l’aborto sono state spazzate via.

Frank Brill è un ex reporter di 60 anni che la vita ha massacrato con immani  tragedie, ed ora gli lascia pochi mesi da passare con un cancro che lo divora.

Vive da solo a Schilling nell’Indiana e non ha dubbi su cosa fare nel poco tempo che gli resta. E’ solo, non ha più niente da perdere, stila una lista di bersagli – tra il personale e il politico- e parte deciso per ammazzarli.

Man mano che procede nei nuovi panni di spietato serial killer scopriamo le ferite della sua tragica esistenza.

Tre mogli, 2 figli e la morte sempre pronta ad aggredire i suoi affetti più cari.

Nella scuola dove insegnava la moglie Pippa e studiava il loro figlio di 5 anni Adam, un pazzo si è messo a sparare all’impazzata, facendo una carneficina che ha falciato anche loro.

Quando Frank li seppellisce, si rifà viva la figlia 15enne del secondo matrimonio, Olivia, con la quale non parlava da tempo. Riallacciano i rapporti, ma la ragazza muore 7 anni dopo, dissanguata in seguito a un aborto clandestino e illegale.

Brill di conti da saldare ne ha almeno 5: dal professore di educazione fisica che aveva violentato il suo carissimo amico poi morto suicida, al secondo marito della ex moglie, un bieco dentista che l’aveva derubata e fatta finire distrutta dall’alcol.

Fin qui le questioni strettamente private…poi ci sono anche i responsabili politici di nefandezze e decisioni che sono all’origine dei suoi lutti; come l’uso indiscriminato delle armi o la pratica dell’aborto fuorilegge …fino a d arrivare ancora più in alto.

Un romanzo ad alto tasso di adrenalina che è anche una feroce critica della politica americana.

 

John Banville  “Le ospiti segrete”   -Guanda-   euro 19,00

Questa volta il pluripremiato scrittore irlandese indaga sul privato della famiglia reale inglese sullo sfondo di una pagina storica drammatica.

Siamo nel 1940 e Londra si disfa sotto i pesanti bombardamenti tedeschi; la famiglia reale vuole stare accanto al popolo dilaniato, ma si pone il problema di mettere in salvo le due principesse Elizabeth e Margareth che all’epoca avevano 14 e 10 anni.

Il luogo più idoneo sembra l’Irlanda, rimasta paese neutrale in una guerra che metterà in ginocchio mezza Europa.

E’ così che le loro maestà vengono spedite, in gran segreto e sotto nomi fittizi, nella maestosa dimora di Clonmillis Hall, del Duca di Edenmore, che è un parente alla lontana della famiglia reale.

Il romanzo è il racconto del periodo in cui “Ellen”  e “Mary” si trovano per la prima volta lontane dai genitori, affidate all’agente dell’MI5, Celia Nashe (che finge di essere la loro governante) e al detective angloirlandese Strafford.

La Repubblica d’Irlanda è si neutrale al conflitto mondiale, ma per nulla ben disposta verso la Gran Bretagna… e l’identità delle due fanciulle non può essere nascosta a lungo.

Mentre loro vanno alla scoperta dell’augusta dimora che le ospita, manifestano già le diverse inclinazioni dei loro caratteri e si scontrano in svariati litigi. Elizabeth è abilissima a cavalcare e dimostra una sorprendente forza d’animo; mentre Margareth è più capricciosa e indolente.

Poi le cose si movimentano perché iniziano a circolare voci sulla loro presenza. Se la notizia dovesse arrivare all’IRA, la loro incolumità sarebbe a rischio e con essa la Corona stessa.

A infittire la trama aggiungete poi imboscate e incendi, la presenza di un’arcigna governante, del diplomatico britannico Richard Lascelles, e di un fattore enigmatico che piace ad entrambe le fanciulle ma che non se le fila per nulla…..

 

Suad Amiry  “Storia di un abito inglese e di una mucca ebrea”  -Mondadori-  euro  18,00

La scrittrice e architetto palestinese Suad Amiry affida alle pagine di questo romanzo la storia delle vite dell’ 84enne Shams e dell’86enne Subhi, che le hanno aperto i loro cuori e affidato le loro memorie. Due personaggi che sono l’emblema della tragica storia  di un intero popolo e della catastrofe che segnò l’esproprio violento delle terre e delle proprietà dei palestinesi da parte dello  stato di Israele. L’autrice dedica il libro a suo padre e a tutti quelli che sono morti nella diaspora palestinese degli anni  40.

L’avvio del romanzo risale al 1947 quando la Palestina era amministrata dagli inglesi e Giaffa era  una città fiorente e carica di promesse, che viveva di coltivazione di arance e commerci vari.  Allora era possibile imbastire i sogni di una vita su misura, come faceva il geniale ragazzino Subhi che smontava e riassemblava qualunque oggetto puntando a diventare il meccanico più abile di Giaffa. Quando risolve un problema di irrigazione per un ricco uomo d’affari, questo lo ricompensa regalandogli un abito su misura di pregiata stoffa inglese, ed è intorno a questo grande tesoro che si sviluppa la storia di Subhi. Sogna di indossarlo al suo matrimonio con la ragazzina che gli ha preso il cuore, Shams.

Ma la Storia si mette di mezzo: nel 1948 il governo britannico pone ufficialmente fine al mandato sulla Palestina ed esplodono le tensioni  tra arabi ed ebrei.

La superiorità militare degli ebrei è evidente e la vita di milioni di persone viene stravolta. Attentati, espropri, stupri e violenze inaudite mettono in fuga gli abitanti di Giaffa: in molti muoiono, le famiglie vengono smembrate e chi sopravvive si vede portare via tutto e relegare in ghetti in cui gli arabi vengono confinati.

La vita di Subhi viene stravolta e a lui rimane l’abito inglese e il sogno d’amore per Shams.

Alla ragazzina il destino riserva la separazione dai genitori, l’apparizione di una mucca “ebrea” la cui macellazione sarà fonte di guai e due sorelline terrorizzate.

Le loro tragedie private si innestano sulle pagine di storia che vedono arabi da una parte, ebrei e nascita dello Stato di Israele dall’altra: pagine intrise di sangue, sofferenza e perdite devastanti.

 

 

 

 

 

Chiese chiuse?

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni La notizia che la Diocesi di Pinerolo e la Chiesa Valdese abbiano deciso di sospendere di propria iniziativa ogni culto per due settimane a causa del COVID, non è notizia da relegare nelle cronache locali o da ignorare, come e’ accaduto.

 

E’ notizia che pone interrogativi che vanno ben oltre la valle del Pellice e del Chisone.  C’è da domandarsi che senso abbia tener aperti i barbieri, ad esempio, e chiudere le chiese per iniziativa delle medesime. Le chiese non hanno fini di lucro, e’ vero, ma esercitano un‘ indiscussa funzione sociale e individuale non surrogabile. Esse danno, per così dire, il cibo per l’anima che non è identificabile con la preghiera individuale, almeno per i cattolici . Diceva Benedetto Croce che ascoltare o non ascoltare una Messa e’ un affare di coscienza rispetto al “Parigi val bene una Messa” di Enrico IV.

Una Messa è un bisogno dell’anima che anche lo
Stato rispetto alla primavera scorsa ha riconosciuto,  non chiudendo le chiese.  E’ un affare di coscienza. C’è chi ha detto non senza ragione che anche visitare un museo – che il governo ha ritenuto di dover chiudere – è un bisogno spirituale. Ed io aggiungerei sia per credenti, sia per non credenti esso rappresenta una necessità dello spirito laico o non laico che sia. Nella primavera scorsa le cerimonie religiose vennero proibite persino a Pasqua . La C.e.i. protesto’ e invoco’ il diritto di culto, sancito dalla Costituzione, mentre Papa Francesco si mise dalla parte del governo italiano.
Oggi un vescovo e una chiesa protestante si ritrovano insieme nel privilegiare la salute del corpo, addirittura firmando un documento congiunto.  Il Vescovo di Pinerolo ha agito da solo, senza consultare almeno i vescovi confinanti e soprattutto l’arcivescovo di Torino che è anche vescovo di Susa ? E’ una domanda lecita.

Se poi consideriamo che le chiese cattoliche hanno dimostrato il più assoluto rispetto per il distanziamento sociale tra i banchi, notiamo che qualcosa nel ragionamento non torna. Cosa decideranno le diocesi italiane ?

Cosa significa l’isolata scelta di Pinerolo e della Chiesa Valdese ? Sono interrogativi che debbono trovare risposta nel più assoluto rispetto di ogni decisione. Nel clima tormentoso che viviamo i confini di quello che può sembrare giusto o sbagliato sono indefiniti ed essere laici diventa difficile e tormentoso come essere credenti di fronte ad un panorama di sofferenza e di morte.  Ed e’ proprio la morte ad accomunare oggi tutte le coscienze trepidanti che si interrogano spaurite.

Chi è Fabrizio Turina, fondatore di FIT-MILK, latte da erba

Fabrizio Turina - Fondatore di FIT-MILKRubrica a cura di ScattoTorino 

Il fare come una volta, l’alimento sano, il gusto autentico, il rispetto dell’ambiente e degli animali: sono questi i punti chiave della Famiglia Turina, fratello e sorella che hanno ereditato dai genitori il rispetto per la natura e la passione per il proprio lavoro. Produttori dei formaggi Carlo del Clat e Montoso, conducono un caseificio artigianale con oltre 90 anni di storia. I figli hanno fondato FIT-MILK, una gamma di prodotti da latte genuini e digeribili che vengono consumati dagli sportivi e non solo. Contrari alla massimizzazione della produzione di latte che stressa le bovine e non assicura un’elevata qualità nutrizionale, Fabrizio Turina e sua sorella Valentina selezionano capi che pascolano nel verde della zona pedemontana e montana delle Valli Pellice e Infernotto, in Piemonte. Il risultato? Un latte da erba di colore giallo con un profilo nutrizionale e organolettico superiore allo standard che viene consigliato da DietaGIFT, il regime alimentare che si basa sulla stimolazione naturale del metabolismo e sul conteggio calorico. Operativi dal 2018, attualmente le aziende agricole che producono il latte FIT-MILK sono quattro, tutte situate poco distanti dal caseificio per garantire la massima freschezza del prodotto.

Cos’è FIT-MILK?

“L’azienda raggruppa un insieme di alimenti a base di latte che seguono le ricette di un tempo perché le nostre bovine si nutrono di erba o fieno e i formaggi sono prodotti a mano. Proprio perché pascolano il più possibile all’aria aperta e si alimentano in modo naturale, le mucche vivono 17-18 anni, quindi molto a lungo. Ognuna produce quotidianamente dai 5 ai 10 litri di latte: meno rispetto agli allevamenti intensivi in cui se ne estraggono dai 40 ai 60 litri giornalieri, ma gli studi dimostrano che il latte FIT-MILK è digeribile, ha effetti anti infiammatori e ha una migliore composizione di acidi grassi rispetto a quello di altre aziende del mercato piemontese o italiano”.

I nostri prodotti si possono acquistare online sul sito e da dicembre, salvo diverse segnalazioni dettate dal Covid-19, verrà inaugurato lo spaccio aziendale di via Bibiana 54 a Bagnolo Piemonte, in provincia di Cuneo.

Perché questo nome?

“Perché i nostri prodotti contribuiscono a migliorare la forma fisica e vengono utilizzati anche in ambito sportivo in quanto aiutano un recupero veloce dopo la fatica. La prova è data dal fatto che da tempo lavoriamo con un team di consulenza scientifica che include medici, preparatori e altri esperti e tra il 2018 e il 2019 abbiamo condotto uno studio ufficiale su 6 atleti nazionali, tra cui 2 olimpionici, che per 6 mesi hanno usato nella dieta prodotti FIT-MILK: formaggi, yogurt e latte. I risultati sono stati sorprendenti e tutti hanno realizzato la miglior prestazione della carriera, sono dimagriti e hanno aumentato la massa muscolare, hanno ridotto gli infortuni e hanno dichiarato di aver raggiunto uno stato di benessere”.

Come è nato FIT-MILK?

“Otto anni fa con il Caseificio Montoso avevo iniziato la produzione di yogurt e alcuni clienti mi segnalarono che erano più digeribili di quelli dei competitor. Abbiamo così condotto degli studi e abbiamo appurato che il nostro latte aveva una composizione del grasso diversa da quella di chi produceva con allevamenti intensivi; dal 2012 abbiamo lavorato per portare queste caratteristiche ai migliori livelli possibili”.

FIT-MILK bovineCosa rende diversi questi alimenti a base latte?

“Le referenze FIT-MILK sono ad alto contenuto di proteine, hanno un ridotto apporto di grassi saturi e infatti, rispetto ad un latte convenzionale, il nostro ha il 14% di grassi saturi in meno. Contiene però grassi positivi come gli omega-3, la cui percentuale è +170% media sull’anno, e l’acido linoleico coniugato. Il rapporto omega-3/omega-6 è pari a 1 per cui, ogni grammo di omega-3 c’è un grammo di omega-6, come consigliato dalla ricerca medica. Nel latte convenzionale il rapporto è 4 o 6 e non va bene perché dobbiamo limitare l’assunzione di omega-6. Il nostro latte da erba è più ricco in β-carotene e Vitamine A e E: ne contiene infatti fino al 100% in più rispetto a quello derivato da bovine nutrite a mais da foraggio e mangimi. Questi carotenoidi sono antiossidanti naturali utili per la salute e sono presenti nell’erba verde. Quando le bovine se ne cibano, li trasferiscono al latte conferendo ai nostri prodotti caseari da pascolo una tipica colorazione gialla”.

Le vostre referenze sono avvalorate dalla ricerca?

“Dal 2012 collaboriamo con il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino e con l’Associazione Regionale Allevatori Piemonte per offrire agli agricoltori un servizio di consulenza e di ricerca applicata, in termini soprattutto di produzione foraggera”.

FIT-MILK è approvato da DietaGIFT. Cosa significa?

“DietaGIFT è uno stile alimentare ideato dal Dottor Luca Speciani che fa capo ad un gruppo di medici dell’AMPAS, l’Associazione Medici per un’Alimentazione di Segnale. GIFT è un acronimo che significa Gradualità, Individualità, Flessibilità, Tono. Si tratta di un regime alimentare molto equilibrato che induce cambiamenti salutari negli assi ormonali più importanti come tiroide, surrene, apparato osteomuscolare, apparato genitale e sistema immunitario, favorendo un rapido ripristino degli squilibri esistenti attraverso il riequilibrio dei segnali che raggiungono l’ipotalamo, una parte importante del nostro cervello più antico. DietaGIFT è impiegata in ambito sportivo, ma non solo, e prevede il non utilizzo di zuccheri raffinati. Nei nostri prodotti non zuccheriamo o usiamo una quantità di miele tale che non causi picchi glicemici”.

Torino per lei è?

“A livello personale credo che sia la città più bella che conosco. Tutti dovrebbero scoprirla. Dal punto di vista lavorativo, per me rappresenta un’opportunità commerciale perché dista solo 50 km dalla nostra azienda”.

Un ricordo legato alla città?

“L’attività di FIT-MILK è molto legata al capoluogo piemontese. Collaboriamo infatti con il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali ed Alimentari dell’Università degli Studi di Torino, con il CNR e con alcuni ospedali, per cui ho molti ricordi legati al mondo professionale”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

(In)contro il muro

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TORINO VISTA DAL MARE /2 Camminare per conoscere. Un’immagine semplice ma efficace che descrive al meglio uno dei migliori modi per scoprire una nuova città.

Abituarsi a nuovi paesaggi, differenti abitudini di quartiere, spesso è difficile, ma passeggiando tra le vie e le piazze più battute, per poi allontanarsi e perdersi in quelle meno trafficate permette di appropriarsene, cogliendo scenari, scorci e dettagli che spesso si perdono nella frenesia del quotidiano. Torino – io che vengo dal mare – provo a scoprirla così, raccontandola per impadronirmene allo stesso tempo.

Ci risiamo, siamo tornati a parlare di quella ormai conosciuta situazione, chiamata lockdown. Nuovamente bar e ristoranti chiusi (non ce ne vogliano gli esercenti, ma forse potrebbe essere il momento giusto per perdere qualche chilo di troppo), stesso destino per cinema e teatri (chi può dirlo, magari, alla riapertura incominceremo per davvero ad andarci), per non parlare di musei e siti culturali. Insomma, le nostre abitudini o presunti tali, hanno subito una nuova stretta.

Di necessità virtù, ce lo siamo detti a marzo, ritorniamo a ripetercelo a novembre. Come trarre vantaggio da ciò? Anche in questo caso la saggezza dei proverbi viene in nostro aiuto, Se Maometto non va alla Montagna è la Montagna che va da Maometto.

Facile a dirsi, ma forse non lo è. Provare ad aprire uno dei tanti libri non letti che abbiamo ancora in casa; guardare i film non visti; ascoltare buona musica che non conosciamo; nella loro semplicità sarebbe già un passo avanti. In questo tutti i mezzi virtuali, dai social network ai live in streaming dei siti che si offrono all’emergenza, sono a nostra disposizione.

Controcorrente e sempre dal lato un po’ più disagiato sembra invece l’arte. I musei e le gallerie d’arte sono chiusi, quindi l’unica cosa che ci resta sembra guardarla tra le foto di libri e siti online.

In realtà anche qui una soluzione potrebbe esserci. Capita a volteche anche l’arte bussa alla tua porta, addirittura alla tua finestra.Penserete che sia pazza e forse lo sono, ma non in questo caso.

Vivo a Torino da molto poco e molto è ancora da visitare e la situazione si è nettamente complicata dal momento che anche camminare risulta vietato (decisamente non il momento perfetto per fare la turista). A questo punto entra in gioco da una parte la fortuna e dall’altra l’arte.

La fortuna sta nel fatto che ogni giorno affacciandomi al balcone ho la possibilità di godere del piacere di osservare qualcosa di bello. L’arte è invece rappresentata dall’opera murale di Camilla Falsini.

Un grande, gigantesco e colorato disegno appare tra i palazzi del mio nuovo quartiere. La pittrice ed illustratrice romana ha realizzato infatti per la città di Torino un murales dedicato a Christine de Pizan, che in un’epoca lontana come il XIV secolo è riuscita ad essere scrittrice e donna coraggiosa. Il murale lo ha realizzato all’interno di un più ampio progetto, il TOward 2030 What are you doing?, del quale ne rappresenta il Goal 5 – “Parità di genere”, progetto di arte urbana che punta alla riqualifica e sostenibilità del territorio.

Non sto qui però a parlavi del progetto, anzi, ma del fascino dell’opera in sé e della fortuna che la street art ci offre. Torino, come le grandi città ne è ricca, ma forse ha una marcia in più in questo. Città urbana, metropolitana per eccellenza, almeno per quanto riguarda l’Italia, le sue architetture industriali si sposano alla perfezione con questo linguaggio, nato nella periferia urbana di una città come New York.

La street art da forma di espressione provocatoria, illegale per giunta e di emancipazione da un tessuto sociale difficile, si è trasformata in arte riconosciuta, istituzionalizzata, mezzo di rivalutazione urbana. Addirittura esposta nei musei. Senza dilungarci troppo sui paradossi a cui è giunta, è chiaro che offra possibilità infinite, possibilità che ritroviamo anche a Torino.

Non sarà necessario spostarsi molto dal proprio quartiere, per scontrarsi con nomi, spesso noti, e opere sparse perla città, dalla già citata Falsini con il suo lavoro in Vanchiglietta, a Millo e le sue realizzazioni in Barriera di Milano, alle tante opere che abitano San Salvario, al murales di Aryz a Palazzo Nuovo. Ci sarebbe ancora un lungo elenco da fare. Il muro di Zed One sul Lungo Po Antonelli, Fabio Petani in via Plana, per esempio. Insomma, abbiamo molto da scoprire, e anche se non c’è permesso per ora fare i turisti fuori città, o in città, almeno possiamo farli nel nostro quartiere, basta restare con gli occhi aperti.

Annachiara De Maio

Il tintinnar di manette può’ tornare

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Il Direttore del “Corriere della Sera“ che non sarà Albertini o Spadolini , ma si chiama Luciano Fontana,  scrive che “Gli impegni per la salute sono svaniti quest’autunno” e che in previsione della seconda ondata da maggio a settembre si sarebbe aspettato che tutti si fossero concentrati sui punti in cui chiaramente eravamo in difficoltà. Si e’ trascurata la Sanità con ministri – scrittori da operetta e la “pandemia“ economica non è stata affrontata. Dopo tante chiacchiere, commissioni Colao,  Stati generali non hanno deciso nulla di nulla e il rapporto con l’Europa faticosamente riannodato e’ rimasto in sospeso insieme agli aiuti economici promessi. Neppure sul Mes e’ stato deciso nulla. Le Regioni hanno dato una pessima prova di se’ ed hanno aggiunto confusione a confusione . Oggi la Sanità piemontese appare in ginocchio e certi personaggi appaiono patetici nel loro nullismo. Per non dire della Calabria e dei suoi commissariamenti da farsa. Di fronte ad uno sfascio evidente che attenta alle nostre vite non un solo
parlamentare e’ stato in grado di rappresentare la Nazione o almeno i territori che li hanno eletti. Essi sono più che mai estreanei rispetto alla gente, godono di tamponi privilegiati e gratuiti e si nascondono dietro le loro mascherine, ma non fanno nulla.  I gruppi parlamentari di maggioranza non fanno nulla per mandare a casa Speranza che ha fallito in modo clamoroso, quelli di opposizione non presentato mozioni di sfiducia nei confronti degli inetti responsabili del tracollo.

Possibile che non ci siano parlamentari che abbiano il coraggio di battere un colpo? Così la democrazia italiana finisce ed appare uno scenario
inquietante davanti a noi.  Il Parlamento appare inutile e le comparse dei nominati sono davvero delle maschere da tragedia greca. Il Governo ormai naviga a vista e finirà per essere travolto.  Ma anche le istituzioni parlamentari al di là della volgare polemica quotidiana da cortile, si stanno anch’esse rivelando di carta pesta. Deputatini e senatorini che riscuotono lo stipendio, non muovono un dito per sollevare in Aula il dramma italiano.  Questa è la peggiore classe politica che l’Italia abbia avuto nella sua storia unitaria. Quello che storicamente era il
peggio, oggi apparirebbe il
meglio.  E noi stiamo vivendo la prova più terribile degli ultimi cento anni, abbandonati
a noi stessi, costretti a rifugiarci in casa come i nostri padri facevano nei rifugi antiaereo della seconda guerra mondiale. I nostri anziani, offesi
e vilipesi da bulletti presuntuosi e superficiali , non sono tutelati e rischiano di morire come bestie nel peggiore dei modi. Di guariti le statistiche ufficiali giornaliere non parlano neppure più.
In passato i Latini dicevano: “ Senatores boni viri, senatus mala bestia“. Oggi la distinzione sarebbe impossibile e la “mala bestia“ riguarda anche la Camera dei deputati. Neppure l’esagitato De Falco che tenne testa a Schettino, è in grado di gridare al naufragio. Oi giornali sono omertosi e non ne parlano. E’ chiaro che nel vuoto della politica la Magistratura debba incominciare a far chiarezza. Malgrado i suoi scandali,  essa potrà almeno sanzionare i responsabili di questo disastro e di questa ecatombe umana. Il  mio amico e illustre magistrato eMarcello Maddalena una volta parlò del tintinnar di manette e l’espressione mi fece inorridire. Oggi incomincio a capirla.

“Neve e farina, per Olly in cucina!”

Ecco il nuovo corso di cucina di beneficenza con La Cuoca Insolita

Insieme a La Cuoca Insolita torniamo a parlare di Help OllyOnlus (https://helpolly.it/). La sua costituzione è dell’inizio di quest’anno e ha lo scopo di aiutare la piccola Olivia Aversa, che tutti chiamano Olly. È una bimba di tre anni, di Torino, affetta dauna malattia genetica rara: la paraparesi spastica ascendente ad esordio infantile. Si contano solo 30 casi al mondo e si conosce ancora poco di questa malattia. La diagnosi è arrivata circa un anno fa e mamma e papà di Olivia, Sara e Simone Aversa, si sono attivati da subito per raccogliere fondi che possano finanziare la ricerca scientifica finalizzata ad una cura.

Hanno già intrapreso moltissime iniziative: una è sulla ricerca proteomica, coordinata dalla Dott.ssa Ozdinler della North Western University di Chicago. Un secondo importante progetto è con Telethon: esso coinvolge il Dipartimento di Ingegneria Biomedica del Politecnico di Torino (con il Prof. Marco Deriu) eil Dipartimento di Biotecnologie e Neuroscienze dell’Università di Torino (rispettivamente con la Prof.ssa Giulia Caron e il Prof. Maurizio Giustetto) che hanno formato un’equipe di lavoromultidisciplinare. Con Telethon sono già stati impegnati 50.000 €, ma questo è solo il primo step. Perché la ricerca è molto lunga e le fasi sperimentali sono molto costose: si stima che la spesa da sostenere per la famiglia Aversa sia di circa 100.000 € all’anno, per almeno sei anni.

La piccola Olivia intanto ha iniziato a frequentare con grande entusiasmo Scuola Materna Asilo Onorato Morelli ed è seguita dalla Fondazione Stella Maris di Pisa e dall’equipe medica dell’ASL 1 di Torino per l’attività di fisioterapia e logopedia.

Non c’è quindi tempo da perdere e in tanti si impegnano per dare un aiuto, anche piccolo. Perché anche un piccolo gesto, sommato agli altri, può fare la differenza. E così, con il desiderio di aiutare la famiglia, è stata promossa una nuova iniziativa di beneficenza da parte di Elsa Panini, La Cuoca Insolita(www.lacuocainsolita.it) . Anche lei di Torino, amica di gioventù di Simone Aversa, organizza un secondo corso di cucina onlineper Olly (“Neve e farina: per Olly in cucina!” https://lacuocainsolita.it/neve-e-farina-per-olly-in-cucina/), mercoledì 11 novembre dalle 18.30 alle 20.30.

Il primo corso è stato a giugno scorso e si intitolava “Con le mani in pasta per Olly”: in quella occasione hanno partecipato 35 persone e sono stati raccolti 750 €, donati totalmente alla Help Olly Onlus. Anche questa volta, chi si iscrive aiuterà Olly e sa con certezza dove andrà il denaro donato.

Ognuno da casa propria, preparerà in due ore, con il supporto continuo (collegamento tramite la piattaforma Zoom) de La Cuoca Insolita, due ricette, questa volta a tema natalizio: i Raviolaccicolorati al salmone e gli Alberi di Natale al cioccolato. Con il solito approccio volto al pensiero di mangiare con gusto, ma in modo salutare (perché questa è la filosofia de La Cuoca Insolita), saranno due ricette della tradizione, ma con alcuni accorgimenti per renderle più leggere, più ricche di fibre e adatte anche a chi soffre di allergie. Così tutti saranno soddisfatti. Un’iniziativa dedicata quindi ad aiutare la piccola Olivia, ma anche un modo per regalare a stessi un poco di divertimento e di evasione (e di questi tempi ne abbiamo tutti tanto bisogno…) e per preparare la cena!

È possibile iscriversi al corso di cucina con una donazione di 15 €: basta cliccare su questo link (https://lacuocainsolita.it/neve-e-farina-per-olly-in-cucina/). E… se proprio la cucina non interessa… si può aiutare Olivia anche andando direttamente sul sito della Help Olly Onlus (https://helpolly.it/dona/) e versare un contributo tramite bonifico bancario alla Banca Reale di Torino, IBAN IT24D0313801000000013289426, intestato ad Associazione Help Olly Onlus, C.F. 97855900011 o tramite Satispay (cercando Help olly onlus) o con carta di credito. Per conoscere di più su Olivia e su tutte le sue attività è possibile anche andare su Facebook ((@helpollyonlus) e Instagram(help_olly_onlus).

Il nuovo corso di cucina di beneficenza con La Cuoca Insolita

la cuoca insolita corso cucinaRubrica a cura de La Cuoca Insolita

Insieme a La Cuoca Insolita torniamo a parlare di Help Olly Onlus. La sua costituzione è dell’inizio di quest’anno e ha lo scopo di aiutare la piccola Olivia Aversa, che tutti chiamano Olly. È una bimba di tre anni, di Torino, affetta da una malattia genetica rara: la paraparesi spastica ascendente ad esordio infantile. Si contano solo 30 casi al mondo e si conosce ancora poco di questa malattia. La diagnosi è arrivata circa un anno fa e mamma e papà di Olivia, Sara e Simone Aversa, si sono attivati da subito per raccogliere fondi che possano finanziare la ricerca scientifica finalizzata ad una cura.

Hanno già intrapreso moltissime iniziative: una è sulla ricerca proteomica, coordinata dalla Dott.ssa Ozdinler della North Western University di Chicago. Un secondo importante progetto è con Telethon: esso coinvolge il Dipartimento di Ingegneria Biomedica del Politecnico di Torino (con il Prof. Marco Deriu) e il Dipartimento di Biotecnologie e Neuroscienze dell’Università di Torino (rispettivamente con la Prof.ssa Giulia Caron e il Prof. Maurizio Giustetto) che hanno formato un’equipe di lavoro multidisciplinare. Con Telethon sono già stati impegnati 50.000 €, ma questo è solo il primo step. Perché la ricerca è molto lunga e le fasi sperimentali sono molto costose: si stima che la spesa da sostenere per la famiglia Aversa sia di circa 100.000 € all’anno, per almeno sei anni.

La piccola Olivia intanto ha iniziato a frequentare con grande entusiasmo Scuola Materna Asilo Onorato Morelli ed è seguita dalla Fondazione Stella Maris di Pisa e dall’equipe medica dell’ASL 1 di Torino per l’attività di fisioterapia e logopedia.

Non c’è quindi tempo da perdere e in tanti si impegnano per dare un aiuto, anche piccolo. Perché anche un piccolo gesto, sommato agli altri, può fare la differenza. E così, con il desiderio di aiutare la famiglia, è stata promossa una nuova iniziativa di beneficenza da parte di Elsa Panini, La Cuoca Insolita . Anche lei di Torino, amica di gioventù di Simone Aversa, organizza un secondo corso di cucina online per Olly (“Neve e farina: per Olly in cucina!”), mercoledì 11 novembre dalle 18.30 alle 20.30.

Il primo corso è stato a giugno scorso e si intitolava “Con le mani in pasta per Olly”: in quella occasione hanno partecipato 35 persone e sono stati raccolti 750 €, donati totalmente alla Help Olly Onlus. Anche questa volta, chi si iscrive aiuterà Olly e sa con certezza dove andrà il denaro donato.

Ognuno da casa propria, preparerà in due ore, con il supporto continuo (collegamento tramite la piattaforma Zoom) de La Cuoca Insolita, due ricette, questa volta a tema natalizio: i Raviolacci colorati al salmone e gli Alberi di Natale al cioccolato. Con il solito approccio volto al pensiero di mangiare con gusto, ma in modo salutare (perché questa è la filosofia de La Cuoca Insolita), saranno due ricette della tradizione, ma con alcuni accorgimenti per renderle più leggere, più ricche di fibre e adatte anche a chi soffre di allergie. Così tutti saranno soddisfatti. Un’iniziativa dedicata quindi ad aiutare la piccola Olivia, ma anche un modo per regalare a sé stessi un poco di divertimento e di evasione (e di questi tempi ne abbiamo tutti tanto bisogno…) e per preparare la cena!

È possibile iscriversi al corso di cucina con una donazione di 15 €: basta cliccare su questo link. E… se proprio la cucina non interessa… si può aiutare Olivia anche andando direttamente sul sito della Help Olly Onlus e versare un contributo tramite bonifico bancario alla Banca Reale di Torino, IBAN IT24D0313801000000013289426, intestato ad Associazione Help Olly Onlus, C.F. 97855900011 o tramite Satispay (cercando Help olly onlus) o con carta di credito. Per conoscere di più su Olivia e su tutte le sue attività è possibile anche andare su Facebook ((@helpollyonlus) e Instagram (help_olly_onlus).

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Banine  “I miei giorni  nel Caucaso”  -Neri Pozza-    euro 19,00

Banine è lo pseudonimo di Umm-El-Banine Assadoulaeff, nata a Baku nel 1905, e questo libro – pubblicato per la prima volta nel 1945 a Parigi dove lei era esule da 25 anni- è un memoir familiare con al centro la sua infanzia e adolescenza trascorse sulle rive del Mar Caspio.

La scoperta del petrolio sull’uscio di casa  aveva reso la sua famiglia di contadini improvvisamente e scandalosamente ricca, ma le vicende storiche rivolteranno più volte le carte.

Banine è l’ultima di 4 sorelle, cresce tra parenti rumorosi e propensi al litigio, in un clima tutto sommato sereno. Sorvegliata, da un lato, dalla balia tedesca Fräulein Anna e, dall’altro, contesa dalla nonna, una monumentale donna musulmana, che maledice e insulta come e quanto le pare.

Poi c’è il corollario di zie bruttine, baffute e dedite al gioco; una serie di zii avari; i cugini propensi all’omosessualità e, tra tutti, spicca la cugina Gullnar che vuole arrivare vergine al matrimonio solo per potersi poi dare a molteplici uomini e tradimenti.

Un microcosmo che passa le giornate tra chiassosi pranzi, litigi per i soldi, vacanze e viaggi, nozze combinate come tradizione vuole.

L’amore è un capitolo a parte nella vita di Banine, che regolarmente finisce per mettersi in coda e  innamorarsi di tutti quelli che piacciono alle sorelle.

A ingarbugliare ulteriormente il quadro domestico c’è anche il secondo matrimonio del padre con l’emancipata Amina che, vissuta per anni a Parigi, porta una ventata di modernità.

Fin qui le caleidoscopiche vicende private che si innestano sui rivolgimenti della Storia.

Siamo negli ultimi anni dello zarismo e si profila il potere sovietico nel Caucaso. Un mondo che è sulla soglia della fine e oscilla tra credenze e abitudini dure a morire e una modernizzazione che fa grandi passi; tra un Islam che opprime e un laicismo progressivo che cancella il velo. Da un  fanatismo all’altro, con pogrom, massacri e pagine di storia non proprio edificanti.

Quando poi muore il ricchissimo nonno, l’eredità viene spazzata via dall’arrivo dei soldati russi e dall’espropriazione di terre e beni, che diventa la regola assoluta. I palazzi sono condivisi con sconosciuti meno abbienti, e compaiono commissari politici che incitano alla delazione e fanno presa su un’ingenua Banine ormai 15enne, facile preda del marxismo e del fascino di un dirigente comunista. Ma non finisce qui…..

 

Manuel Vilas  “La gioia all’improvviso”   -Guanda-   euro  19,00

Il secondo romanzo di Manuel Vilas è una sorta di interrogazione fluviale sul senso dell’esistenza e rimanda spesso al suo precedente “In tutto c’è stata bellezza” del quale è la continuazione ideale.

La voce narrante è quella dell’autore che a tratti smarrisce la bussola e durante un tour promozionale dal Portogallo agli Stati Uniti d’America racconta il suo presente; ma insegue anche il passato e compie un’opera di proustiana memoria che porta il lettore a meditazioni profonde. Tutto il libro è una ricerca che scandaglia il nucleo della vita.

Vilas parla di affetti altamente coinvolgenti, come l’amore per i genitori che non ci sono più e che ora capisce meglio di quando erano vivi. L’amore per i figli, difficile da esplicare quando si è ancora di questo mondo, ma che capiranno al suo funerale e alle prese con la sua assenza. L’amore per la nuova compagna che segue nei suoi viaggi di lavoro, con la quale l’intesa è forte, ma sempre velata dall’enigma insito nei complessi rapporti umani.

Scorrono pagine in cui assegna nomi di musicisti o attori alle persone più importanti della sua vita; ma su tutto regnano alcune domande che prima o poi anche noi ci poniamo: cosa ci facciamo su questa terra, quanto conosciamo davvero a fondo l’anima di chi amiamo, cosa ci aspetta dopo e come possiamo gestire il peso e la bellezza della memoria?

Decisamente un libro che  non lascia indifferenti…..

 

John O’Hara “The New York Stories”  – Bompiani –  euro 16,00

O’Hara -nato in Pennsylvania il 31 gennaio 1905 e morto a Princeton, nel New Jersey l’11 aprile 1970- è uno dei grandi maestri del realismo americano, contemporaneo di Mostri Sacri della letteratura americana come Hemingway e Scott Fitzgerald.

Non riuscì a realizzare il sogno di laurearsi a Yale, ma divenne reporter per “Herald Tribune” e “Time”; poi la fama con il romanzo di esordio “Appuntamento a Samarra” che, pubblicato nel 1934, contribuì a renderlo uno degli scrittori più noti d’America. Di romanzi ne scrisse 17, vinse premi letterari e fu anche un autentico maestro delle short stories.

In questo volume sono riuniti 32 suoi racconti, scritti tra gli anni trenta e sessanta del Novecento.

La Grande Mela è la protagonista e lo sfondo di tutti i brani… leggerli equivale a ritrovarsi nella New York di quegli anni, tra Times Square, Brooklyn, eleganti grattacieli o più modeste brownstone.

Osservatore acuto, era capace di ascoltare le storie delle persone di qualunque ceto sociale: captava  i loro discorsi, afferrava i loro pensieri, sapeva raccontare i meandri delle loro vite.

In questi racconti entra nelle esistenze variegate di camerieri, segretarie, attori e attrici, produttori, sceneggiatori, pubblicitari, giornalisti e professionisti dell’editoria.

Storie di varie lunghezze e spessore che vi condurranno in miliardari appartamenti dell’Upper East Side, tra cocktail e vite mondane; ma che parleranno anche dei fallimenti, della disperazione e delle immani fatiche di chi è costretto a combattere a denti stretti per sopravvivere.

 

 

Anna Peyron  “Il romanzo  della rosa”   -Add editore –    euro 16,00

C’è tutto il suo travolgente amore per le rose in questo libro che Anna Peyron ha scritto tracciando la storia del fiore nei secoli e nelle vite di grandi personaggi storici.

Oltre 200 pagine interamente dedicate alla “regina dei fiori” che la Peyron coltiva dal 1984 sulla collina di Torino, a Castagneto Po, nel Vivaio Roses du Temps Passé, dove ha dato vita a una lussureggiante produzione di rose antiche e classiche.

La storia di questo fiore inizia il 21 aprile 1799 quando Giuseppina Bonaparte acquista un castello, circondato da un parco incolto, dopo averlo visitato insieme a Napoleone.

Affascinata dalla botanica trasforma questo luogo abbandonato in un giardino che diventerà storico, unico e pregiatissimo. Impiega paesaggisti, botanici, zoologi, chimici, naturalisti e matematici, li mette tutti all’opera per realizzare il suo sogno: trasformare il parco della Malmaison in uno scrigno di pura magia e bellezza, con semi di piante esotiche, rare e ancora sconosciute in Francia, Purtroppo morirà a soli 50 anni, nel maggio 1814, in piena fioritura delle sue adorate rose, senza testamento e lasciando una scia di debiti.

E’ nel 1896 che il finanziere Osiris acquista la proprietà, la fa restaurare e nel 1904 la dona allo Stato francese: le rose di Giuseppina rivivranno.

Ma la storia di questo incantevole fiore attraversa i secoli e deve le sue fioriture a personaggi vari e assortiti; a partire dai lavori nel 1899 del celebre paesaggista Edouard André per realizzare  il primo roseto della storia.

Ed è solo l’inizio dell’affascinante viaggio in cui vi conduce la Peyron, attraverso luoghi, profumi, giardini e personaggi indimenticabili.

 

 

 

Protagoniste di Valore: Serena e Chiara Bonfanti di Fratelli Bonfanti

Protagoniste di Valore Logo

Protagoniste di Valore: rubrica a cura di ScattoTorino

Non semplici oggetti che completano il look, ma piccoli pezzi d’arte da indossare. Sono questi i bottoni firmati Fratelli Bonfanti. La loro storia ebbe inizio a Torino nel dopoguerra, quando Walter Bonfanti fondò una fabbrica dedicata alla loro produzione, coinvolgendo i fratelli e reclutando un’eccellente manodopera locale. A lui succedettero i figli Elio e Mario, grazie ai quali l’azienda divenne sinonimo di qualità superiore non solo in Italia, ma nel mondo. Da più di 70 anni questi importanti accessori dall’estetica esclusiva si trovano nei migliori negozi di mercerie, negozi di lane, negozi per sarti e hobbistica e hanno impreziosito capi di brand del calibro di Armani, Etro, Nina Ricci, Escada, Brooksfield.  Da San Francisco a New York, da Londra a Monaco di Baviera, da Parigi a Roma, da San Pietroburgo a Osaka, ad ogni latitudine i bottoni Bonfanti sono riconosciuti sono riconosciuti come un’eccellenza del made in Italy. Le due collezioni che ogni anno vengono realizzate includono fino a 200 nuovi modelli, ciascuno dei quali può essere declinato in funzione delle esigenze dei clienti senza trascurare la qualità, la selezione attenta dei materiali e il design. Chiara e Serena Bonfanti, figlie di Mario, costituiscono la terza generazione di questa famiglia che lavora con cura, etica e impegno nel rispetto della tradizione senza dimenticare di guardare al futuro. E a proposito di innovazione, su iniziativa del Direttore creativo Elio Bonfanti è stato ideato il laboratorio Button Clinic in cui la clientela – dagli atelier degli stilisti emergenti agli uffici stile delle Maison di moda nazionali e internazionali – può customizzare i propri bottoni. Tra le novità firmate dalle sorelle Bonfanti c’è anche la collaborazione con l’artista torinese Paolo Gillone, in arte Jins, che ha realizzato una capsule che si ispira e prende il nome dal titolo del libro dell’autore francese Louis Pergaud La guerra dei bottoni: si tratta di t-shirt sulle quali si possono applicare i bottoni.

Protagoniste di Valore ha intervistato le sorelle Bonfanti: Serena, che si occupa della gestione dei clienti esteri e siede inoltre nel consiglio di Apid, e Chiara che ha rapporti con i fornitori e con il cliente finale per quanto concerne gli ordini e le spedizioni ed è consigliera in API di Uniontessile. Due donne intelligenti, lungimiranti, solari e dalla forte personalità che, insieme, scrivono una nuova pagina di storia nel mondo dei bottoni.

Dal 1945 ad oggi, com’è cambiata l’azienda nel tempo?

Chiara Bonfanti: “Per stare al passo con i tempi abbiamo dovuto cambiare anche noi. Da quando è stata fondata dal nonno, e poi con mio zio e mio padre, l’impresa ha vissuto un cambio epocale ed è passata da una realtà di vendita piemontese e italiana ad una struttura internazionale che non dimentica la propria matrice e punta sul made in Italy, nostro punto di forza all’estero. Negli anni l’internazionalizzazione si è consolidata sempre più e ancora oggi il 70% del nostro fatturato è realizzato con l’estero. Questo perché in tante culture il bottone non è solo un oggetto di utilizzo nel vestiario, ma è anche craft e hobbistica. Serena ed io abbiamo apportato delle novità in azienda legate al rapporto con il cliente finale, che oggi forzatamente deve essere diretto e veloce. Ad esempio, abbiamo puntato sui social network e attraverso le nostre pagine Instagram e Facebook presentiamo le collezioni e le ultime novità in modo che la clientela possa vederle e contattarci in tempi brevi”.

In un settore tradizionale come quello in cui operate, come una politica improntata alla sostenibilità vi permetterà di affrontare le sfide del futuro?

Serena Bonfanti: “Nelle nostre collezioni abbiamo sempre avuto materiali naturali come la madreperla, il corno, il cocco, il corozo e il legno. Tutti di ottima qualità e durevoli nel tempo. Il nuovo trend è inserire bottoni riciclati o di origine ecologica e ne stiamo realizzando in canapa, in polvere di corozo, ma anche in carta riciclata mescolata con poliestere. Produrre con un’attenzione spiccata all’ecologia fa parte del cambiamento ed è un nuovo modo di vedere la moda. Molti stilisti stanno puntando su materie che rispettino l’ambiente e anche noi stiamo dando un’impronta più marcata in tal senso”.

Quali pratiche attuate nel rispetto dell’ambiente nel processo produttivo?

Chiara Bonfanti: “Fratelli Bonfanti è nata e cresciuta in Barriera di Milano e fino a 20 anni fa producevamo tutto qui. Successivamente, per motivi legati al nostro modello di business e per avere un’ampia collezione da offrire ai clienti, abbiamo spostato la produzione nella bergamasca. A Torino risiede il polo logistico e centralizziamo la fase finale del lavoro. Siamo legati al quartiere che ci ha visto nascere e che in questi anni è cambiato molto e siamo certi che ci saranno ulteriori positivi cambiamenti, come l’incremento della raccolta differenziata a cui noi già partecipiamo ad esempio con il recupero della carta. Per noi è fondamentale essere attenti all’ambiente e alle persone in ogni fase del processo produttivo. Per questo dedichiamo una parte della collezione ai bottoni realizzati con materiali riciclati. Attualmente stiamo studiando anche come sostituire o affiancare il nostro storico packaging in plastica con sacchettini di carta nell’ottica di avere un sempre minore impatto ambientale”.

Fratelli BonfantiLa vostra impresa ha legami con il mondo accademico. Un valore aggiunto?

Serena Bonfanti: “Mia sorella ed io crediamo nell’importanza di aprire le porte al mondo universitario perché per noi questo tipo di scambio è fondamentale. La nostra azienda ha un respiro internazionale, ma noi siamo concentrate a lavorare con impegno e spesso abbiamo la sensazione di perderci le novità o i nuovi spunti. Ecco che allora il mondo accademico per noi rappresenta anche questo. Grazie a progetti realizzati tramite APID di Alternanza Scuola Lavoro abbiamo accolto e lavorato con studenti che si sono occupati di tecnologia, grafica, ricerca e sviluppo di mercati esteri. In questo modo loro hanno portato avanti concretamente un progetto e noi abbiamo potuto conoscere meglio gli strumenti del futuro. Con l’Istituto Tecnico Majorana di Grugliasco nel 2019 abbiamo partecipato ad un progetto della Camera di Commercio di Torino e con il nostro bottone intelligente siamo arrivati terzi. L’ultima esperienza l’abbiamo avuta con lo IAAD: una studentessa la scorsa estate si è laureata portando come tesi la nascita e la crescita della nostra azienda e l’evoluzione dei bottoni nella storia della moda. È stato un piacere ed un onore seguirla”.

Donna per voi significa?

Chiara Bonfanti: “Nel nostro caso vuol dire essere madri, compagne, imprenditrici e cercare di trovare il tempo per noi stesse. Personalmente ritengo che sia una sfida giornaliera enorme perché provo ad affrontare al meglio tutto ciò che devo fare quotidianamente. Secondo me, però, è un valore aggiunto perché noi donne abbiamo sensibilità, visioni e forze non banali. È un plus che dobbiamo conquistare giornalmente e tenere stretto con unghie, denti e sorriso. È una dura lotta, ma bella. Se dovessi rinascere vorrei essere di nuovo donna”.

Serena Bonfanti: “Per me significa essere madre in tanti modi: verso mio figlio e verso tutti. Noi donne ci prendiamo cura di un progetto e ci mettiamo in gioco a costo di togliere tempo ad altro. È un approccio agli obiettivi molto femminile. Io faccio parte del consiglio direttivo di Apid e questa caratteristica la riscontro in tutte le consigliere con cui ho il piacere di lavorare. Per me significa anche essere sorella e con Chiara ci diamo forza e, nella nostra diversità, siamo l’esempio che essere donne non vuol dire essere nemiche. Nella nostra azienda, tranne papà e zio, siamo tutte donne e collaboriamo senza tensioni o problemi. Abbiamo invece circa 50 rappresentanti nel mondo e quasi tutti sono uomini, questo perché hanno più possibilità di viaggiare e di gestire il loro tempo lontano dalla famiglia. In Piemonte però inizieremo a breve una nuova collaborazione con una rappresentante e siamo molto contente di questa new entry”.

IL FOCUS DI PROGESIA

Il Sistema di Valori della Fabbrica di Bottoni Fratelli Bonfanti comprende:

  • Sviluppo sostenibile;
  • Progetti di economia circolare;
  • Azienda human centric.

L’importanza della cura del cliente

Per Chiara e Serena Bonfanti è fondamentale “mantenere sempre un rapporto diretto e umano” con tutti i clienti, sia in Italia che all’estero. Per questo motivo in azienda viene curato con particolare attenzione tutto il processo d’acquisto, dal primo contatto con l’agente fino all’arrivo della merce in negozio, offrendo sempre la migliore soluzione a ogni esigenza del cliente. Afferma Chiara: “facciamo di tutto per far vivere ai nostri clienti un’esperienza d’acquisto autentica e affascinante, e ci impegniamo ad essere presenti su più canali, da quelli tradizionali ai social”.

Nonostante la pandemia abbia messo in difficoltà il mercato, la Fratelli Bonfanti ha deciso di reagire accelerando la realizzazione di progetti innovativi, su cui stava già lavorando, finalizzati a migliorare l’esperienza del cliente, accorciando le distanze e valorizzando la cultura del bottone. “Abbiamo studiato insieme ai nostri clienti la user experience più idonea a far sfogliare i nostri cataloghi online, come se li avessero tra le mani” racconta Serena “abbiamo rilevato i loro bisogni e i loro suggerimenti, costruendo online dei cataloghi tradizionali in modo non tradizionale”.

La stessa cura è stata adottata per lo studio di un espositore ideato per valorizzare i bottoni di materiale naturale e di materiale riciclato, che viene fornito ai clienti associato a una formazione specifica. Un vero e proprio servizio di supporto alla vendita e di cultura della sostenibilità ambientale.

Tradizione e innovazione

“Quando i giovani entrano nella nostra realtà hanno sempre una reazione di stupore, meraviglia e curiosità. Restano affascinati dalla storia dell’azienda e del bottone, una vera e propria scoperta di un mondo sconosciuto” racconta Chiara Bonfanti, riferendosi agli studenti che entrano in contatto con l’azienda attraverso i progetti di Alternanza Scuola e Lavoro.

Insieme agli studenti sono stati portati avanti molti progetti, tra cui la realizzazione dell’attuale sito aziendale e di diversi flyer. Secondo Serena Bonfanti il tempo dedicato ai giovani è prezioso: “è uno scambio di esperienze: noi raccontiamo la nostra tradizione e loro ci raccontano come la tradizione sta cambiando e si evolve”. Per Chiara e Serena il lavoro con i giovani è una risorsa importante, perché permette di valorizzare le radici e la storia dell’azienda, e allo stesso tempo di stare al passo con il cambiamento, grazie alle idee e alle proposte innovative delle nuove generazioni.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Antonella Moira Zabarino