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Trump, la fine ingloriosa di un rivoltoso populista

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni Trump è stato un pessimo presidente degli USA. Adesso sta finendo il mandato in modo indegno con atteggiamenti che degradano gli USA ad uno staterello sudamericano

L’assalto al Senato e’ di una gravità senza pari. Non uso mai a sproposito la parola fascismo, ma qui Trump e’ paragonabile al duce che pure non ebbe mai il coraggio di far aggredire dalle squadracce la Camera .Si accani’ da vigliacco contro il deputato Giacomo Matteotti , fatto rapire e uccidere.  Mussolini disse che avrebbe potuto fare dell’aula sorda e grigia della Camera “il bivacco” per le camicie nere, ma non lo fece, non oso’ farlo. Se pensiamo alla storia della democrazia americana, quella citata ad esempio da Tocqueville e se pensiamo alla terribile guerra civile americana evocata ieri sera da Marcello Pera un tv, abbiamo chiaro chi siano davvero il bullo americano e i suoi rivoltosi assoldati. Al voto, un democratico si inchina, un autoritario nega il valore della volontà popolare. Non mi è mai piaciuto Obama ed ho espresso ripetute critiche ai Clinton.
Ma Trump non ha precedenti.  E’ un vecchio bilioso che ha compromesso la pace mondiale e che oggi ha perso totalmente il controllo di se’ . C’è da rabbrividire per il potere che era nelle sue mani e che riguarda anche il controllo della forza nucleare. Nel migliore dei casi e’ uno sbruffone populista e sovranista senza regole. Chi in Italia lo ha sostenuto è  un fesso o un potenziale fascista. Non dimentichiamolo! Gente senza cultura che vive di slogan e di frasi fatte, gente a cui non si potrà mai affidare l’Italia.

Il virus dell’indisciplina

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

L’indisciplina e’ una caratteristica italiana. Neppure il fascismo riuscì a battere l’indisciplina italica che si infiltro’ anche nei quadri del regime.

E tante cose negative del Ventennio non si realizzarono a pieno proprio per questo motivo che divenne quasi una virtù. Ma oggi,  di fronte ad un nemico come il COVID, l’indisciplina diventa micidiale. Non parliamo solo di movide e di assembramenti, ma anche delle recentissime code all’IKEA. La disciplina, secondo certe persone , vale solo per la cultura, i teatri, i musei considerati superflui che di norma sono frequentati da persone colte, equilibrate, civili, disciplinate. Circa le scuole invece si vorrebbe un’auto disciplina che risulta impossibile perché in primis le famiglie non formano i figli alla responsabilità. La parola obbedire e’ sconosciuta ai più. I giovanissimi sono di per se‘ incontenibili per natura,quelli più grandicelli guardano spesso  al bullismo come ad un modello di vita.  Come si può realizzare a scuola una vera sicurezza se manca in tanti giovani l’auto controllo
a cui le famiglie non li hanno educati? Anche certi docenti permissivi e faciloni non danno garanzie sufficienti. Per altri versi, il docente non è un poliziotto che possa garantire il
distanziamento.  Neppure nelle caserme non c’era più disciplina ben prima che venisse abolito il servizio militare obbligatorio. Nei momenti difficili non servono ne’ Rousseau ne’ Montessori, serve la docilità,  come diceva un mio vecchio professore. Una docilità a tutela di se’ stessi e degli altri. Serve soprattutto riscoprire i “Doveri dell’uomo “di Mazzini. Una società liquida priva di valori non è in grado di affrontare e di vincere i momenti difficili. Può dare fastidio a qualcuno leggerlo, ma è la verità che deriva dalla storia. Scaricare sui presidi tutte le responsabilità e’ indegno di un paese civile.

Come nuovo!

TORINO VISTA DAL MARE /10

Camminare per conoscere. Un’immagine semplice ma efficace che descrive al meglio uno dei migliori modi per scoprire una nuova città. Abituarsi a nuovi paesaggi, differenti abitudini di quartiere, spesso è difficile, ma passeggiando tra le vie e le piazze più battute, per poi allontanarsi e perdersi in quelle meno trafficate permette di appropriarsene, cogliendo scenari, scorci e dettagli che spesso si perdono nella frenesia del quotidiano. Torino – io che vengo dal mare – provo a scoprirla così, raccontandola per impadronirmene allo stesso tempo.

Ogni qual volta un nuovo calendario viene affisso alla parete siamo  sempre alla ricerca di cambiamenti, pare sempre giusto iniziare il nuovo anno con qualcosa che sappia di novità, ma siamo certi che il nuovo debba per forza coincidere con qualcosa che spunta dal nulla dal presente? Può essere, invece, che il passato muova i suoi elementi in avanti, trasmutandone le caratteristiche, deformandole in maniera nuova, ma non irriconoscibile. Il filosofo, e torinese, Gianni Vattimo per descrivere questa dolce traslitterazione dei termini in giocoutilizza il termine Verwindung.

Nella mia vita mi occupo d’arte, campo d’elezione prediletto per la rielaborazione di quell’elemento chiamato Aesthasis, l’Estetica, ovvero la sensibilità individuale, che le opere d’arte dovrebbero riforgiare e in qualche modo “evolvere”, come era nei progetti di quell’arte spirituale agognata dall’artista Kandinsky.

Ma questa sensibilità è coltivabile in molteplici modi, anche con opere non chiuse in quattro mura, ma esposte al cielo aperto, dove il percorso stesso per arrivarvici diviene un momento di rigenerazione estetica spirituale.

Questo lungo preambolo perché? Per cercare di riprendere questo concetto di Verwindung, di movimento progressivo distorcente,dove il passato diventa un Passato-Nuovo, provando a trasformaloin un augurio per l’anno appena iniziato. É per questo che voglioricollegarmi proprio con il primo articolo qui scritto, quello che ha dato inizio alla mia avventura su questo giornale, ma in qualche modo anche in questa città, quella prima passeggiata versoSuperga.

Lo faccio però in modo tutto nuovo e diverso, annotandovi qui gli effetti che essa ha avuto su di un torinese che Superga la vive da anni, ma che ha trovato ispirazione da quell’articolo per rielaborare la sua personale “Estetica di Superga”.

“Io sono un Torinese. Ed un ciclista; da corsa. Superga è il luogo della certezza donata dalla sua monumentalità e dalla sua posizione monumentale, tant’è che quando entro in una casa nuova mi accerto che la Basilica si possa vedere almeno da un balcone, così mi sento più sicuro.

Qual è la certezza che Superga dona a un ciclista come me? Gioia e piacere? Certo che no! Fatica e dolore, digrignamento di denti e sudore. L’ho scalata decine di volte, ma non l’ho mai trovata scontata, perché le sue pendenze non vanno mai in saldo. Il perché di questo masochismo sarà forse dovuto a quell’esperienza adolescenziale, la prima scalata, strada ignota e ruota storta, che tocca il freno, come a dire che la scalata in paradiso deve contenere un’agonia infernale, e la testa china, sempre china a guardare il profilo della ruota che avanza, centimetro dopo centimetro, su per l’asfalto; e poi ad un certo punto alzo la testa e mi ritrovo la Basilica davanti, enorme, e l’adrenalina si mischia alla serotonina, così come la mia sensibilità si macchia d’improvviso di eccitazione ed estasi, dando ragione all’idea romantica di contemplazione dell’infinito. D’allora salgo per rivivere quel momento di fondamentale sverginamento estetico, per soffrire e godere su asfalti in pelliccia di venere.

Ma di quella strada per il paradiso, io non so niente! Testa china. Testa giu. Ruota, asfalto e respiro, non so altro di quella strada, questa è l’abitudine.

Poi ho letto l’articolo sulla camminata a Superga, da Sassi, e allora qualcosa in me si è mosso, e mi ha imposto di salire là ancora, ma … a piedi.

Mai immaginato che lo avrei fatto. Ma l’ho fatto. E quindi mi emozionai. Sensazioni vecchie in salsa nuova hanno condito la scesa a una strada vecchia ma sconosciuta, un’ora e mezza sono ben più di venti minuti e permettono di sviscerare in maniera alquanto indiscreta le vedute e le abitazioni, paesaggi mai visti, e poi il percorso della dentiera, di cui non ho mai capito i movimenti, mi è sempre parso che il trenino comparisse e scomparisse a suo piacimento. E i profumi dell’autunno, molto piùnitidi, non più mascherati dalle lacrime del sudore, hanno rivelato sensazioni oppiacee alla mia mente in contemplazione, incrinata da questa esperienza para-normale, come vedere una persona vera al posto di una sua fotografia.”

Aldilà di queste sensazioni personali, poesia di parole gettate di impulso, righe che mi sono state consegnate, ma che magari possono essere comprese appieno solo da chi le ha vissute, ho scelto di raccontarle per provare a porre l’accento su quello scambio che c’è stato; un fortuito incontro con un articolo di giornale scritto da una “straniera” in una nuova città è riuscito a generare una nuova esperienza senza il quale magari non sarebbe mai stata vissuta. Un pezzo di vita vissuta che ha ispirato un’altra. A volte la propria città si scopre anche attraverso gli occhi o, come in questo caso, le parole di qualcun altro.

Questo il mio augurio per il nuovo anno e gli anni a venire, provare a capire che qualcosa di nuovo possiamo provare a rintracciarlo e costruircelo da sé anche sulla base di qualcosa che già è stato vissuto. E il 2021 mi sembra abbia il sapore adatto per farlo!

Annachiara De Maio

I costruttori, Mattarella e la storia

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni    Dai tempi di Ciampi non ascolto i messaggi presidenziali di Capodanno e quindi non so esattamente cosa abbia detto il presidente Mattarella il 31 dicembre 

Vedendo i giornali, ho letto che ha parlato della necessità in politica di “ costruttori”. Un’idea non particolarmente originale, anche se certamente rispettabile  e condivisibile. Ho letto anche il commento ai “costruttori” di Mattarella fatto dal direttore de “ La Stampa”, su segnalazione dell’amico Salvatore Vullo che giustamente metteva in evidenza le sue perplessità nell’aver individuato nei costruttori del Paese solo certi personaggi politici con l’esclusione a priori di  altri.
Non leggo di norma  i lunghi editoriali del direttore de “La Stampa“, giornale che ormai da tempo mi limito a sfogliare sul tablet. Sono rimasto stupito dal suo lungo articolo e dalle molte  omissioni, concordando con lui su un solo fatto: l’inesistenza odierna di statisti o costruttori. Infatti non è possibile ignorare tra i grandi costruttori della nuova Italia rinata a vita democratica le figure di Giuseppe Saragat,di Ugo La Malfa, di Pietro Nenni, di Giovanni Malagodi.

Limitarsi a De Gasperi, Togliatti, Moro, Berlinguer e Andreotti (anche se il direttore non omette di rilevare i legami con la mafia di quest’ultimo, malgrado una sentenza di assoluzione) ci appare storicamente limitativo. Tra i costruttori ci sono anche personaggi minori come l’ambasciatore a Londra Nicolò Carandini o come il ministro e poi segretario della Nato Manlio Brosio.

Alfredo Covelli, leader monarchico, fu anche lui un costruttore della democrazia parlamentare, come gli venne riconosciuto universalmente perché segui’ l’imperativo di re Umberto II : “L’Italia innanzi tutto“ e fu un parlamentare esemplare come onesta’, cultura giuridica, passione civile, totale lealtà verso le istituzioni.
Anche Almirante, sotto certi versi, ha avuto un ruolo positivo, tenendo a freno una banda di esagitati sconfitti e inserendoli nella dialettica parlamentare. Almirante andò a rendere omaggio alla salma di Berlinguer, atto non di poco conto. Ma il grande assente tra i costruttori è Bettino Craxi, presidente del Consiglio e capo di un partito socialista autonomo ed europeo che ha contribuito a scrivere una pagina di storia importante.
Limitarsi a pochi esempi nel corso di un lungo articolo non appare accettabile. Se poi rilevo l’assenza  incredibile di costruttori come Luigi Einaudi, primo presidente della Repubblica e ministro del Tesoro dopo Marcello Soleri, altro grande costruttore se la morte non lo avesse rapito  appen sessantenne nel 1945, rimango quasi esterrefatto.Tra i costruttori della nuova Italia ci furono anche altri comunisti come Giorgio Amendola, democristiani come Sturzo, Scelba e Fanfani, uomini di cultura come Croce, Salvemini e Pannunzio che ebbero un forte ed esemplare  impegno etico-politico. E per fortuna di questo Paese si potrebbero aggiungere anche altri nomi, tra cui alcune donne, meno note  ma non meno importanti, del tutto ignorate nell’articolo: in primis, Nilde Jotti.
Così mi appare di poter dire da storico che non bada a simpatie ideologiche contingenti, ma cerca di scavare nella storia per trovarne, come diceva Omodeo, il senso.
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scrivere a quaglieni@gmail.com
(nella foto grande Luigi Einaudi con la moglie. Portale storico della Presidenza della Repubblica / Quirinale)

Un Presidente per tutti gli Italiani

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni Tra i primi nomi che appaiono sui giornali come possibili candidati Presidenti della Repubblica c’è anche Walter Veltroni , diventato una delle firme di punta del “Corriere della Sera”e una stella del cinema italiano contemporaneo.  

Il ragazzo bocciato in ginnasio che rimediò un diploma professionale, ha sicuramente fatto molta strada.E’ stato direttore de “L’Unità”, leader, con scarso successo, del Pd, ministro, Sindaco di Roma per dieci anni, deputato e tanto altro. Nei rapporti istituzionali che ho avuto con lui si è sempre rivelato corretto, forse anche per la stima che aveva per Mario Soldati. Un politico di lungo corso ha inevitabilmente fatto cose buone e cose cattive e non basta il suo amore per il cinema a riscattarlo dagli errori. Il grande Giampaolo Pansa nel suo Bestiario lo definiva il “perdente giulivo “, già immaginando le sue aspirazioni quirinalizie Tra i tanti leader comunisti e poi del PD non è certamente stato dei peggiori. Pur avendo aderito al PCI giovanissimo, diceva di sé di non essere mai stato comunista, senza mai aver spiegato una frase abbastanza contraddittoria, non essendo l’Italia un partito unico come l’URSS. Certo, rispetto al ferreo D’Alema è stato meno dottrinario, ma è anche molto meno colto anche se ambedue non sono laureati… Quando moderai un dibattito tra Amato e D’Alema, mi resi conto del valore di quest’ultimo anche rispetto al dottor Sottile che avrei visto bene al Quirinale al posto di Mattarella e che ritengo l’unico statista sopravvissuto. La classe politica italiana di destra e di sinistra fa pena e c’è in questo Parlamento una sola candidata valida per cultura, equilibrio, terzietà, la Presidente del Senato Casellati che potrebbe anche guidare un Governo di salute nazionale che estrometta Conte. Si tratta di una donna umanamente ed intellettualmente straordinaria apprezzata, al di là delle valutazioni politiche di parte, come difensore ferreo delle prerogative parlamentari spesso calpestate dall’attuale governo senza che dal Colle siano giunti rilievi significativi.

L’ex Presidente della Consulta Cartabia che sarebbe un’altra candidata, appare piuttosto scialba, perché non basta essere donna per essere brava al Quirinale.
Non parliamo di Franceschini (che manifesta incredibilmente degli interessi per il Quirinale)  si tratta di un   mediocre e grigio  catto -comunista di provincia  e  di un pessimo ministro della cultura. Anche Prodi non ha perso tutte  le speranze naufragate sette anni fa, anche se  è ormai politicamente   decotto. Una figura di rilievo appare invece  MarioDraghi, una sorta di nuovo Ciampi che ha difeso l’Italia in Europa. C’è da augurarsi che Mattarella, ormai,  quasi ottantenne non intenda riproporsi per un altro settennato che sarebbe del tutto immotivato. Tra tutti i candidati di cui si parla, quelli più degni di attenzione sono Veltroni, Casellati e Draghi. I politicanti che sono in Parlamento, al massimo, se hanno l’altezza fisica necessaria, possono aspirare a fare il corazziere.  Veltroni è molto sponsorizzato e viene anche mitizzato, ma non ha  certo la  statura di un Napolitano. Una frase attribuita a Veltroni mi ha colpito  negativamente : avrebbe voluto nascere il 25 aprile 1945. A molti questo desiderio che lo
invecchierebbe di 10 anni ,sarà piaciuto moltissimo e porterà alla solita vulgata celebrativa cara all’ Anpi . Io invece ritengo quella data divisiva perché gronda sangue e violenze, anche se segna la fine di una guerra mondiale, ma non di quella civile. Avrei capito di più il 2 giugno 1946, data in cui nacque la Repubblica . Non posso dimenticare che un uomo come Luciano Violante , una vera,grande  riserva della Repubblica, uomo di rarissima intelligenza, parlò con rispetto dei “ragazzi di Salò”, molti dei quali quel rispetto forse non meritavano, Violante capi’  per primo a sinistra che la storia andava rivista senza retoriche e senza odi. Un atteggiamento simile a quello di Napolitano.
Oggi occorre un Presidente super partes che rappresenti gli Italiani.  L’esempio
cui  guardare è Ciampi che simboleggiò l’idea stessa di Patria,per non citare l’esempio irripetibile di Luigi Einaudi. Lo capiranno i peones che tra un anno, dopo un settennato travagliato, dovranno eleggere ilsostituto di Mattarella?  Ho dei forti dubbi sulla loro intelligenza. Chi divide o non sa unire non può
risiedere sul colle più alto. C’è bisogno di gente corazzata di cultura storica che sappia guardare avanti. L’Italia ha bisogno di voltare pagina con un paese in mano ai guitti e ai loro replicanti.
Scrivere a quaglieni@gmail.com 

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Nick Hornby  “Proprio come te”     -Guanda-     euro  18,00

Protagonista è l’insegnante di lettere 42enne Lucy, alle prese con un matrimonio sfaldato, un ex marito alcolista che cerca faticosamente di rimettersi in piedi e due figli ancora piccoli.

Si dibatte tra conoscenti superficiali, pseudo amiche pettegole e curiose della sua vita sessuale, appuntamenti al buio fallimentari, e la gioiosa fatica di crescere due  bambini decisamente simpatici, anche se forse un po’ troppo dediti ai videogiochi.

Poi nella sua vita irrompe una ventata di aria fresca e giovane. Si chiana Joseph, ha 22 anni, è di colore e si arrabatta tra più lavori per sbarcare il lunario. E’commesso in una macelleria (adocchiato dalle donne per il suo sex appeal), fa anche l’allenatore sportivo, ma il suo grande sogno è diventare un deejay.

Per arrotondare e conoscere meglio Lucy (cliente che non lo lascia indifferente) si offre come baby- sitter dei suoi pargoli.

Avrete già intuito che diventerà qualcosa di più, con tutte le remore e le difficoltà incluse nelle differenze tra i due: istruzione, colore della pelle, classe sociale e  uno scarto di ben 20 anni  che avrà il suo peso.

Ma  il romanzo non è solo una storia d’amore.

Hornby è abilissimo nel raccontare un quadro più ampio che sfocia anche nella politica -dal momento che ambienta la vicenda ai tempi del referendum sulla Brexit-  e nelle contraddizioni  di un paese, nelle divisioni più o meno labili tra classi sociali e nelle spinose questioni razziali.

 

 

Otessa  Moshfegh   “La morte in mano”  -Feltrinelli-  euro  16,50

“Si chiamava Magda. Nessuno saprà mai chi è stato. Non l’ho uccisa io. Qui giace  il suo cadavere” Il romanzo inizia con questo messaggio scritto su un biglietto e lasciato in un bosco, che viene ritrovato dalla 72enne  Vesta Gul, durante la sua passeggiata insieme al suo cane Charlie.

Ed è l’avvio di una vicenda a tratti surreale, immaginifica, intrigante e con toni da noir. Da quel momento non avrà più pace la solitaria protagonista, da poco rimasta vedova, che vive  in una casa isolata affacciata su un lago, con l’unica compagnia del cane.

La sua fantasia vola e, forse anche per passare il tempo, immagina chi potrebbe essere la Magda uccisa, chi l’autore del delitto e chi del biglietto. Perché lasciarlo sotto alcune  pietre in un luogo sperduto nel quale non vi sono tracce di cadaveri?

L’immaginazione di Vesta va a briglia sciolta e delinea i contorni della presunta vittima. Magda potrebbe essere una 19enne arrivata dalla Bielorussia, scappata da una famiglia disfunzionale, che ha avuto relazioni complicate con gli uomini, sospette con le donne, e si è arrabattata tra lavori incerti come  commessa di fast food e badante. Di lei ipotizza i passatempi prediletti, gli sport, i cibi, i tratti più salienti del carattere, da quelli positivi a quelli negativi….e via così sulle ali del fantasticare o dell’indagare….

Vesta fa ipotesi anche su chi potrebbe essere l’autore del biglietto, un giovane e smarrito Blake, e su chi l’avrebbe uccisa.

Ma nel romanzo c’è di più, ed è il passato di Vesta all’ombra di un marito ingombrante del quale conserva le ceneri in un’urna che non si decide a gettare nel lago, poi la sua scelta di solitudine, i suoi ricordi ….e altro che scoprirete leggendo.

Questo romanzo dell’autrice del best seller “Il mio anno  di riposo e oblio” è stato scritto prima, nel 2015, poi la Moshfegh l’ha lasciato da parte per riprenderlo in un secondo tempo.

 

 

Beth Morrey  “La seconda vita di Missy Carmichael”   -Garzanti-    euro 17,90

E’ il primo romanzo dell’inglese Beth Morrey che ha la passione della scrittura da quando aveva 20anni e ha già pubblicato alcuni racconti.

Protagonista è la solitaria 79enne Millicent Carmichael, e la sua quotidianità è fatta di gesti e cose sempre uguali nella casa di Stoke Newington a Londra dove vive. Il marito Leo è morto, l’adorato figlio Ali è finito in Australia, con la figlia Mel i rapporti sono franati dopo un violento litigio.

La sua è una vita ritirata e isolata nel silenzio della casa, che si fa ancora più pesante se  paragonato alla vitalità del passato, tra risate, screzi e ondate di vita.

Ora invece le sue giornate sono scandite dai soliti rituali, tra lettura dei necrologi e passeggiate nel parco, tutto condito da rimpianti amari per cose non dette e sentimenti  non espressi che però avrebbero fatto la differenza.

A scombussolare  questa rigida routine arrivano una dirompente 37enne, Angela, caotica e insolente, che la travolge con un fitto carnet di impegni e l’adozione di un cane. Costretta ad uscire dalla sua comfort zone, Missy scoprirà che la vita può riservare ancora infiniti doni, primo fra tutti un adorabile compagno a 4 zampe che ama incondizionatamente.

 

 

Kathy Reichs  “Predatori e prede”   -Rizzoli –   euro  19,00

L’antropologa forense Kathy Reichs, una delle autrici di thriller di maggior successo ci regala un’altra storia mozzafiato.

La sua eroina Temperance  Brennan (protagonista anche della serie tv “Bones”), anche lei antropologa forense di inarrivabile bravura, è convalescente dopo aver subito un importante intervento chirurgico, spossata da emicranie e sogni ossessivi.

La figlia è in missione in Afghanistan, il fronte lavorativo è un disastro e col suo compagno le cose non vanno tanto bene.

Eppure lei si ritrova subito alle prese con un nuovo caso sconvolgente.

Uno sconosciuto le ha inviato delle foto che mostrano un cadavere in una sacca mortuaria: una scena raccapricciante in cui il volto della vittima è deturpato, mani e piedi sono stati amputati e il tutto è un orrore di carne e ossa. Perché queste immagini sono state mandate proprio a lei?

Giorni dopo ha luogo il ritrovamento di un cadavere martoriato sullo sfondo della campagna.

Ed ecco i tasselli della nuova indagine, in cui Temperance dovrà muoversi al limite della legalità, un’oscura vicenda in cui emergono collegamenti  con vecchi casi  di bambini scomparsi. Ma lei è dinamica, caparbia, intuitiva e preparatissima…..tanto che nulla potrà fermarla e voi starete col fiato  sospeso.

 

 

I due concerti di Capodanno

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni Sono stato un assiduo frequentatore dal vivo dei concerti di Capodanno di Vienna e di Venezia

Quest’anno mi sono limitato con dispiacere alla televisione. Un concerto senza pubblico – mi diceva già tanti anni fa Massimo Mila – perde parte importante della sua vitalità. Ma certo la pandemia impone anche per i concerti delle regole tra cui la assenza di pubblico o almeno un contingentamento. Alla “Fenice” hanno scelto le mascherine e i distanziamenti tra i concertistici. Lo stesso maestro aveva la mascherina nera alla Zorro. La stessa regola è stata applicata al coro, quasi che il canto con o senza la mascherina sia un particolare trascurabile. Tutto il contrario di Vienna dove non si è vista traccia di mascherine e Muti ha diretto magistralmente. Mi sono commosso ad ascoltare il coro del Nabucco che appare il canto dolente di un popolo calpesto e deriso – uso apposta le parole del nostro inno nazionale – ma che io ho sentito un po’ illusoriamente anche come un canto di speranza, come lo sentivano Verdi e gli uomini del Risorgimento. Preciso che, come abito mentale, scelgo a priori la cautela perché il virus non perdona. Ma mi è venuto anche spontaneo domandarmi perché in Italia ci fossero le mascherine e in Austria no e mi sono chiesto chi abbia sbagliato o se esistano eventuali protocolli che lascino libere scelte in Europa in una materia tanto delicata anche sotto il profilo dell’esempio civico.
Ma soprattutto mi sono domandato dove fosse Franceschini, ministro di una cultura resa muta da provvedimenti assurdi che lasciano perplessi: chiudere i concerti e tenere aperte le chiese e’, ad esempio, una scelta comprensibile nel modo di ragionare clerico – marxista del ministro, ma non della gente normale.
Franceschini o un suo collaboratore non ha pensato di chiedere cosa facevano a Vienna e così l’Italia si è trovata con il bavaglio anche a Capodanno. La Fenice in una Venezia azzoppata e’ cosa internazionale che non può essere lasciata alla decisione burocratica del ministro Speranza o a qualche suo funzionario.
Un ministro inesistente è sempre meglio di un monstrum come la Azzolina,  ma l’Italia che ha avuto Verdi, Rossini, Puccini, Mascagni, non può avere Franceschini ministro della cultura. Piuttosto ridateci Bondi. Era più sveglio.

The W Place, il consorzio per una nuova cultura e cura d’impresa

Rubrica a cura di ScattoTorino

W come Wonder, W come Win-Win, W come Women. Lo scorso 26 novembre sei imprenditrici ed una libera professionista hanno dato vita ad nuovo un consorzio che si rivolge sia alle imprese – siano esse a conduzione femminile o maschile, micro, piccole, medie o grandi, italiane o estere con almeno una sede in Italia – sia ai liberi professionisti, con un’attenzione particolare per coloro che svolgono nuove professioni, senza riconoscimento formale o un albo di riferimento.
The W Place, questo il nome del consorzio, che conta tra i primi partner strategici API e APID Torino, verrà presentato ufficialmente a livello europeo il 25 febbraio 2021 in occasione dell’evento WOMEN 2027 #2. Le aziende fondatrici di questa realtà spaziano dalla gomma alla progettazione architettonica, dall’editoria al fundraising, dal settore immobiliare alla consulenza legale, unite dalla volontà di fare rete per generare innovazione partendo dal valore delle persone. TWP si propone come opportunità di joint-workingcon l’obiettivo di creare un nuovo dialogo tra le imprese, generare contaminazione settoriale ed innovazione, rispondere al senso di “solitudine dell’imprenditore” nel fare scelte importanti per la propria realtà, fornendo la possibilità di incontrare e confrontarsi con persone che hanno esperienze simili. The W Place, inizia formalmente la sua attività in versione diffusa presso le sedi delle aziende fondatrici e virtuale, ma entro il 2021 sarà dotato anche di una sede fisica. The W Place è attenta alla cultura sociale d’impresa e ai social goals di questo millennio: gli utili che produrrà verranno infatti reinvestiti in progetti di valore per supportare il territorio e le imprese più fragili come le start-up al femminile o le aziende in difficoltà a causa del Covid-19. L’obiettivo è attivare nuove catene del valore ed elementi essenziali per lo sviluppo strategico delle imprese di oggi e di domani, tenendo presenti gli aspetti sociali, ambientali e la sostenibilità delle scelte.

ScattoTorino ha incontrato le sette fondatrici di The W Place: Giuseppina Cavasino dello Studio Legale Miccoli Nosenzo Cavasino, Angela De Meo di ITG Lab Srls, Cristina Di Bari di Di.Co SaS, Raffaella Magnano di Areaprogetti Srl architettura e ingegneria, Silvia Maria Ramasso di Neos Edizioni Srl, Brigitte Sardo di Sargomma Srl ed Emanuela Zilio di Think Say Do Srls.

Qual è la mission di The W Place?

Raffaella Magnano: “La nostra mission è supportare imprenditrici e imprenditori nel percorso verso una nuova cultura e cura d’impresa. Essere un luogo fisico e virtuale dove scambiare competenze, attivare relazioni, co-progettare contenuti. Un luogo di confronto e riflessione. The W Place è un posto in cui i consorziati avranno la possibilità di accedere a servizi professionali di alto livello in materia di analisi e misurazione, e a strumenti oggi fondamentali, quali la progettazione europea, la finanza alternativa, l’accesso ad informazioni e strategie anche attraverso l’uso di tecnologia avanzata”.

The W Place logoA chi si rivolge il consorzio The W Place?

Brigitte Sardo: “The W Place si rivolge alle microimprese, alle piccole e medie imprese (MPMI) e ai liberi professionisti, con particolare attenzione alle imprese al femminile, ma non solo. Le imprenditrici e gli imprenditori, così come le professioniste e i professionisti potranno rivolgersi al consorzio per essere sostenute/i ed informate/i su come sviluppare ed accompagnare nuovi progetti, sperimentare nuove opportunità per le loro imprese, cogliere occasioni di sviluppo a livello internazionale. The W Place, che si presenta come schema aggregativo tra imprenditori, è anche la nascita di un luogo di scambio, smart e tecnologico insieme, un’occasione di fare comunità, e insieme di entrare in una rete virtuosa di scambi non solo informativi e formativi”.

Quali sono le modalità per consorziarsi?

Giusy Cavasino: “Le imprese ed i liberi professionisti che desiderano entrare nel consorzio The W Place per usufruire dei servizi messi a disposizione dovranno presentare formalmente la loro dichiarazione di interesse (da gennaio 2021 disponibile la form sul sito www.thewplace.eu). Con cadenza mensile il Consiglio Direttivo provvederà a valutare tutte le richieste e procederà con l’accettazione dei nuovi consorziati. Le aziende, per poter accedere, dovranno pagare una quota consortile una tantum. A loro e ai liberi professionisti, verrà quindi richiesta una quota a cadenza annuale, in proporzione al loro fatturato.

Cosa offre The W Place a chi si consorzia?

Giusy Cavasino: “The W Place propone un modo nuovo e al passo con i tempi di mettere in connessione e far collaborare le imprese, in un contesto di rapida trasformazione dei mercati.
Da gennaio 2021, il consorzio comincerà a raccogliere informazioni sui Musei e gli Archivi di impresa, per conoscere, condividere e mettere a sistema le storie e i modelli di valore già esistenti. Una call for action verrà aperta per tutte le MPMI che hanno voglia di raccontarsi. The W Place, inoltre, indagherà da subito sulle nuove figure professionali richieste dalle imprese, per cominciare a delineare indicazioni specifiche per gli enti che si occupano di formazione. Con l’avvio della nuova Programmazione europea, The W Place metterà a disposizione delle aziende consorziate l’accompagnamento alla candidatura delle loro proposte oppure l’assistenza professionale per lanciare una campagna di crowdfunding. Dalla primavera, saranno attivi su questi temi anche corsi di formazione per le aziende.

Cosa significa per The W Place promuovere una nuova Cultura d’impresa?

Silvia Ramasso e Angela De Meo: “Alla base del progetto c’è una visione nuova della cultura di impresa, un’interpretazione del mondo economico e produttivo che possiamo senza reticenze definire più femminile, che vuole creare allo stesso tempo valori economici e sociali, che mira a “prendersi cura” di prodotti, processi e “giusti rendimenti”, ma anche delle persone a ogni titolo coinvolte, del sistema-territorio e della sostenibilità ambientale e sociale dell’attività. È un obiettivo entusiasmante ma altissimo al quale deve concorrere fortemente la consapevolezza di ciascun attore coinvolto. Per fare questo è necessario costruire e mettere a disposizione una nuova narrazione attraverso azioni mirate: la costituzione di una biblioteca professionale, storica e di indirizzo, l’acquisizione e la riproposizione di archivi, raccolte e storie di imprese, la condivisione di contenuti e strumenti con i talenti del territorio per l’instaurazione di un benchmarking utile alle imprese, la creazione di un “diario continuo” dell’attività e delle motivazioni, un luogo di confronto, di bilancio e di testimonianza”.

Quali azioni avete già pianificato per il futuro?

Raffaella Magnano: “Le prime azioni di The W Place riguardano l’attivazione del dialogo con le imprese del territorio, l’ascolto delle loro necessità e la messa a disposizione di competenze e servizi professionali di alto livello. Il 2021 sarà poi l’anno della sede fisica. L’identità, gli spazi, le funzioni ed i servizi della futura sede di The W Place saranno fortemente integrati tra di loro, sul piano architettonico ed organizzativo, per armonizzare gli spazi per il lavoro e quelli dedicati a finalità partecipative, in una prospettiva solida di integrazione ed elaborazione di pratiche sociali condivise. Questa integrazione, architettonica, simbolica, organizzativa e funzionale diviene la condizione primaria per disporre di un ambiente culturale capace di confrontarsi con le sfide dell’oggi, nella loro dimensione locale e globale, alla luce anche degli scenari valoriali resi disponibili con i Sustainable Development Goals (SDGs) dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”.

Cosa accadrà il prossimo febbraio a WOMEN 2027 #2?

Emanuela Zilio: Ispirato dalla prima edizione dell’evento WOMEN 2027 organizzato al Parlamento Europeo da Donne Si Fa Storia insieme alle Unioni camerali di Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna a novembre 2019, The W Place ha preso forma in nove mesi di co-progettazione che hanno visto coinvolto un gruppo attivo di imprenditrici torinesi.
The W Place verrà quindi presentato a livello europeo in occasione di WOMEN 2027 #2, il 25 febbraio 2021, in linea con l’avvio della nuova programmazione EU”.

Quanto è importante oggi fare squadra per un imprenditore o un libero professionista?

Brigitte Sardo: “Crediamo che sia essenziale. In un mondo sempre più connesso, che sembra essere tutto centrato sul fare rete, il concetto di fare squadra sembra scivolare, ma non è così. Agire con lo spirito di un gruppo, appunto di una squadra sportiva, seguendo regole e schemi predisposti, con il concorso coordinato di tutte le energie e le risorse disponibili, è davvero vincente. Condividere risorse e idee, mettendosi al servizio del bene comune, in questo caso di tutte quelle imprenditrici/imprenditori o liberi professionisti, che possano trovare, seppur virtualmente, per il momento, un punto di sostegno allo sviluppo e al cambiamento, crediamo sia fondamentale”.

Torino per voi è?

Giusy Cavasino: “Torino è lo spirito Sabaudo: quel concetto di discrezione e rigore così ineffabile e difficile da descrivere che si riesce a cogliere solo passeggiando per le strade, respirando le bellezze, e mangiando il buon cibo. Uno spirito discreto che ha reso grande questa città!”

Angela De Meo: “Un patrimonio storico (è stata la prima capitale d’Italia) e culturale da rendere fruibile e accessibile a tutti. Una città da amare e da scoprire in tutti i suoi angoli suggestivi”.

Cristina Di Bari: “Un grande incubatore di innovazione: basta pensare alle tante cose che sono nate a Torino e a quelle che ancora oggi stanno nascendo. Infine è la città ideale per vivere e per lavorare e può diventare un modello per il futuro”.

Raffaella Magnano: “È l’armonia del barocco, i fiumi e il verde della collina”.

Silvia Ramasso: “Un punto di partenza imprescindibile, culturale, affettivo relazionale e anche un laboratorio più disponibile alla sperimentazione di tante altre città”.

Brigitte Sardo: “È il crogiolo di una storia industriale che ha visto nascere gran parte delle più importanti realtà imprenditoriali d’Italia, e successivamente del mondo, restando nel suo continuo sviluppo fedele alla sua impronta internazionale e creativa”.

Emanuela Zilio: “La città dove sono nati il cinema e la moda. La prima grande città industrializzata d’Italia, la città dell’automobile. La città in cui un toro riuscì a sconfiggere un drago”.

Un ricordo legato alla città?

Giusy Cavasino: “Nel luglio del 2012 Torino si è colorata di bianco e per la prima volta, così come a Parigi, Berlino e New York, è stata organizzata una sobria ed elegante cena collettiva in uno dei luoghi più suggestivi della città: Piazzetta Reale. Che dire? Unconventional dinner”.

Angela De Meo: “La moltitudine di persone nelle vie e nelle piazze durante le Olimpiadi invernali del 2006. Per me che ho vissuto gli anni di piombo da ragazza, vedere persone, bambini, carrozzine, famiglie, riversarsi nelle strade, soprattutto durante le notti bianche e fare la coda per prendere la tanto desiderata metropolitana, vedere una città brulicante e viva è stata un’emozione immensa”.

Cristina Di Bari: “Ho la fortuna di abitare in una posizione dove posso godere di tre viste ogni mattina: la collina, le montagne e la città. Ognuno di questi panorami suscita in me dei ricordi passati e presenti. La bellezza delle passeggiate in bici o a piedi nel verde della collina o in riva al fiume sin da quando ero bambina, la forza che mi ispira ogni giorno il Monviso con le sue cime innevate e il cielo azzurro e la città, con i suoi palazzi storici, i suoi portici e i grattacieli”.

Raffaella Magnano: “I giorni della Torino olimpica, momenti di condivisione gioiosa di molte attività diverse, dallo sport alla cultura”.

Silvia Ramasso: “Sono vissuta tra Milano e la Val Susa. Torino, per me, è il ricordo della mia infanzia tra i favolosi ruggiti e barriti sul Po, guardando i profili della collina”.

Brigitte Sardo: “Sentendomi profondamente legata a Torino, che vivo con amore ed intensità, devo dire che i ricordi sono molti, non solo quelli legati ad avvenimenti storici o culturali importanti, ma quelli più semplici, come il perdersi passeggiando (qualche volta riesco a farlo) per le sue vie, i musei, i portici, il parco, riscoprendo sempre una città elegante, colta, cosmopolita e tradizionalista insieme”.

Emanuela Zilio: “Le Olimpiadi invernali del 2006, il momento in cui gli abitanti di Torino hanno intuito il potenziale di crescita della loro città, una città moderna in dialogo con il mondo”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Ph: Silvano Pupella

Una firma storica recisa

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni   Il 2020 si chiude, com’è naturale che sia, con una cattiva notizia. L’anno della pandemia  non può chiudersi bene. Apprendo  infatti  da Facebook che la prof. Gabriella Bosco, ordinaria di Letteratura Francese all’Università di Torino, non scrive più per “T u t t o libri” della “Stampa”.

Il supplemento ideato da Arrigo Levi, Carlo Casalegno e Giorgio Calcagno è in crisi da tempo. Anche Quaranta non scrive più.  ”T u t t o libri“ da tempo è illeggibile ed ha anche  una grafica piuttosto volgare. Il grande Scardocchia la definiva parte nobile del giornale. Acqua passata. Si tratta di un giornale che sta tornando ad essere la Gazzetta Piemontese di Bersezio. I lettori sono in caduta libera, inarrestabile. Neppure Maurizio Molinari è riuscito a metterci un rattoppo. Una firma nota in Italia e all’estero come Gabriella Bosco andava salvaguardata come un fiore all’occhiello del giornale. Una delle poche autorevoli. E invece anche lei è stata recisa catullianamente dall’aratro dei giornalisti – burocrati. Le “firme“ di certi sprovveduti sopravvivono a tutto,  anche perché nessuno le legge. Con Gabriella Bosco il quotidiano torinese  perde una firma storica. Il giornale di via Lugaro si sta inabissando verso un 2021 che tutti sperano migliore, persino i ristoratori.
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scrivere a quaglieni@gmail.com

La rassegna dei libri più letti del mese: dicembre

Ultimo appuntamento dell’anno per scoprire quali sono i libri più più letti e discussi nel gruppo FB Un libro tira l’altro, ovvero il passaparola dei libri; come ormai tradizione, l’ultima rassegna tira le fila dell’attività del gruppo in questo tormentato anno.

Probabilmente non sarà una sorpresa ma il più letto, discusso e anche criticato romanzo del 2020 è I leoni di Sicilia, di Stefania Auci (Nord), che alcuni ritengono un capolavoro e altrettanti lo hanno definito una vera delusione; stesso discorso e sorte analoga per Cambiare l’acqua ai fiori, romanzo di Valerie Perrin (Mondadori) sul quale abbiamo letto di tutto e il contrario di tutto; terzo posto per un titolo che, invece ha messo tutti d’accordo I bambini di Svevia di Romina Casagrande (Garzanti) è stato apprezzato molto dai lettori, perché affronta un argomento meno noto.

I nostri sondaggi mensili hanno incoronato Fiore di roccia, di Ilaria Tuti (Longanesi) come miglior romanzo uscito nel 2020, hanno rivelato che la Lombardia è la regione che meglio coniuga passione per la lettura e utilizzo delle reti sociali e hanno stabilito che Dracula è ancora il cattivo che più fa discutere.

I consigli di di lettura questo mese sono a cura della libreria  DISANTI di Vieste (FG), che ci suggerisce:

La strada di Cormac McCarthy : “il fuoco che portano padre e figlio è ciò che vince la distruzione che li circonda e che permette di costruire”; un titolo meno noto di J.D Salinger, Franny e Zoe: “alterità che emerge dalla realtà come esigenza strutturale della vita”; infine, Il palazzo degli specchi, di Amitav Ghosh: “tante domande che emergono nell’evolversi degli eventi come la posizione naturale dell’uomo che si chiede il nesso che ha con quello che accade.”

Per questo mese e per quest’anno è tutto; il gruppo che sta dalla parte del lettori augura a tutti voi Buone Feste e vi dà appuntamento a gennaio!

redazione@unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it