Rubrica settimanale a cura di Lura Goria
Benjamin Taylor “Siamo ancora qui. La mia amicizia con Philip Roth” -Nutrimenti- euro 15,00
Per chi ama i libri di Philip Roth ed è attratto dalla sua singolare vita, questo libro è prezioso perché fa luce su alcuni anfratti della sua personalità, del suo pensiero, delle sue ambizioni e delusioni, dei suoi sentimenti più profondi.
106 scorrevolissime pagine in cui emerge il ritratto affettuoso di questo scrittore -monumento della letteratura americana- impetuoso, controverso, visto dietro le quinte, nell’ambito più domestico e intimo, quello sconosciuto ai più.
A raccontarlo è il suo migliore amico e confidente degli ultimi 20 anni della vita dello scrittore, Benjamin Taylor; autore di 2 romanzi e vari saggi, tra cui una biografia di Marcel Proust (altro scrittore immenso che come Roth non ottenne il Premio Nobel per la letteratura).
Roth aveva cercato una donna giovane e bella che si prendesse cura di lui (come Jane Eyre accudì Rochester)….e invece trovò Taylor: sensibile conoscitore della letteratura, grande capacità di ascolto che lo rese il confidente perfetto e speciale.
Due scrittori diversi ma in profonda sintonia umana, un rapporto sempre più stretto man mano che Roth scivola in un crescente declino fisico -tra ricoveri e interventi vari- e si lascia andare a ricordi e bilanci. Emergono così squarci inediti del grande romanziere di Newark e delle sue idiosincrasie, vizi, slanci ingenui e conti in sospeso.
Come quello con la prima moglie Maggie che lo raggirò fingendosi incinta per farsi sposare e poi gli diede a intere di avere abortito. Fu un pessimo matrimonio, finito con lei che muore nello schianto dell’auto su una traversa di Central Park, mentre l’uomo che era con lei si salva. Fine dell’inferno coniugale e Roth che chiama l’amante della moglie “Il mio liberatore”.
Resterà comunque sempre complicato il suo rapporto con le donne. Perennemente innamorato, un seduttore, ma anche fedifrago perché incapace di gestire le sue relazioni, in fuga dalla
monogamia e pronto a innamorarsi di nuovo. A Taylor confiderà «Ho bisogno del sesso per essere indomabile, per un breve istante immortale”.
Le confidenze “tra maschi” continuano e toccano altri punti, tra cui la gigantesca vita interiore di Roth le cui emozioni erano fuori misura ….e lui che affermò «Ho scritto proprio perché queste emozioni non mi ammazzassero».
Poi dialoghi sulla sua famiglia di origine -povera ma in armonia-, sui suoi libri e sulla delusione per non aver ricevuto il Nobel.
Infine i gravi acciacchi che più volte l’avevano avvicinato alla morte, il cuore sempre più malato e le continue operazioni. Lui si era organizzato per il suicidio in caso di gravi disabilità, e alla fine, stanco di vivere in precarie condizioni in ospedale, chiese ed ottenne che gli venisse tolto il respiratore che lo teneva in vita, lasciandosi così andare a una fine cosciente.
Mario Desiati “Spatriati” -Einaudi- euro 20,00
In dialetto pugliese “spatriato” vuol dire ramingo, balordo, disorientato, precario e a volte è un insulto per etichettare una persona che non ha un posto fisso e un’identità chiara rispetto agli altri.
Altre volte indica semplicemente un modo di essere fluido, più libero, come rappresentato dai personaggi di questo romanzo.
Desiati, nato a Martina Franca, nelle Murge, si è sentito definire così più volte da amici e parenti, perché a 40 anni non si è ancora creato una famiglia e neanche si sa bene dove stia di casa, dopo aver vissuto a Roma, Milano e Berlino.
Protagonisti del romanzo sono due giovani nati a Martina Franca, incerti e disorientati che crescono andando via non tanto da un luogo quanto dalle convenzioni.
Francesco Veleno e Claudia Fanelli si sono conosciuti sui banchi di scuola; da allora lui è innamorato di lei, che invece sogna solo di lasciare la provincia che le sta stretta e diventare cittadina del mondo.
Claudia è solare ed esplosiva, la sua femminilità viene potenziata quando indossa abiti maschili; Francesco è timido e ombroso e da lei accetta tutto o quasi, rodendosi in silenzio, e comunque felice anche di essere schiavizzato da colei che ama incondizionatamente.
Negli anni continuano a restare in contatto anche se lei, più libera e spregiudicata, si allontana presto da casa,
volando prima a Londra, poi a Milano e infine a Berlino.
Una storia d’amore travestita da grande amicizia. Potrebbe essere definito così il loro legame particolare, fatto di complicità, grande intesa e confidenza. Lei gli racconta degli uomini con cui sta e lui patisce, neanche tanto in silenzio, però continua a professarle il suo amore.
Gli anni scorrono e i due trovano il modo di stare insieme e fare in qualche modo famiglia anche se sono geograficamente lontani. Il loro è un rapporto saldamente basato sulla verità, a partire da quando Claudia gli svela che suo padre e la madre di Francesco sono amanti.
Claudia negli uomini cerca «imprevedibilità, mistero e una tenera inettitudine alla vita» e passa da un’esperienza all’altra.
Francesco resta più indietro, remissivo e alla ricerca della sua identità più vera e profonda.
Il loro allontanarsi e ritrovarsi continuo esprime anche la dialettica tra il modo di vivere la provincia e le grandi città.
E’ dopo i 35 anni che entrambi capiscono che la loro identità è fluida, che la scoperta di se stessi non ha età, che in fondo anche se si spostano non sono mai appagati e stentano a stare bene in qualunque posto.
Rebecca Solnit “Ricordi della mia inesistenza” -Ponte alle Grazie- euro 16,80
Rebecca Solnit,-scrittrice, giornalista , storica e attivista femminista- in questo memoir si racconta e apre pagine intime e profonde sulla sua vita e le sue esperienze.
Inizia da quando non ancora diciottenne si insediò in un minuscolo appartamento in un vecchio quartiere di San Francisco; è da lì che inizia a ricostruire il suo lavorio interiore per capire meglio la sua natura e le sue aspirazioni, mettendo a nudo pensieri ed emozioni più profondi.
Epoca in cui era povera, raccoglieva mobili che erano stati abbandonati in strada, vestiti nei negozi dell’usato e articoli per la casa dai mercatini. Scrive: «La maggior parte delle cose che mi appartenevano erano più vecchie di me e questo mi dava gusto; ogni oggetto era un ancoraggio al passato».
Appassionata lettrice, ma scarsa di mezzi, leggeva in piedi nelle librerie o prendeva volumi in prestito dalle biblioteche, oppure li trovava usati e a prezzi stracciati. Racconta che voleva sempre qualcosa di più, perché «il senso di incompiutezza è un buco da riempire di cose, e le cose che hai scompaiono dietro quelle che vuoi».
Racconta che dai 13anni in poi aveva subito pressioni a sfondo sessuale da uomini adulti che gravitavano intorno alla sua famiglia, o da sconosciuti per strada; è così che divenne abile nello sgattaiolare via, nell’eludere contatti indesiderati, un’esperta nell’arte di non esistere, visto che era tanto pericoloso.
Una delle sue grandi libertà era camminare: la sua gioia, il suo mezzo di trasporto economico, il sistema per imparare a conoscere i luoghi e a stare al mondo.
Poi le sue grandi passioni, prima fra tutte voler diventare scrittrice, e la sua fame di letture.
Perché per lei «c’è qualcosa di sbalorditivo in quella sospensione del tempo e dello spazio in cui viaggiamo in altri tempi e spazi».
Un modo di sparire da dove ci troviamo per entrare nella mente dell’autore……traduciamo le sue parole in nostre immagini, volti, luoghi, luci e ombre, suoni ed emozioni».
Importante fu l’avventura del primo libro che scrisse; racconta che scrivere è un’arte, pubblicare è un business.
E a seguire altre pagine di storia vissuta: tra incontri con personaggi e aneddoti vari, la sua dichiarazione d’amore verso la San Francisco dei quartieri degli artisti e delle proteste contro guerre e discriminazioni varie.
Paul Scott “Il gioiello della Corona” – Fazi Editore- euro 20,00
Questo è il primo volume della tetralogia intitolata “The Raj Quartet”, che lo scrittore inglese Paul Scott (nato nel 1920 e morto nel 1978), pubblicò a partire dal 1966. L’autore -che nel 1977 vinse il Man Booker Prize con il romanzo “Staing On”- durante la seconda guerra mondiale prese servizio in India e Malesia, diventando un profondo conoscitore del colonialismo britannico e del suo declino.
Poi lavorò a lungo nell’editoria e pubblicò 13 romanzi, i più famosi sono quelli appartenenti all’ambizioso progetto “The Raj Quartet”.
In “Il gioiello della Corona” compone un intreccio vasto e complesso, ricco di personaggi e avventure, per ricreare e farci conoscere più a fondo la realtà dell’India coloniale.
La storia inizia nel 1942 nella città indiana di Mayapore, in pieno conflitto mondiale con l’Inghilterra concentrata su come fermare la minaccia nazista. E racconta come il più bel gioiello della corona della regina -ovvero il dominio britannico sulla colonia indiana- inizi a vacillare.
Due mondi legati storicamente, ma profondamente diversi, vivono profonde tensioni. La struttura del romanzo è alquanto complessa e riporta svariate vicende e drammatiche esperienze, come quella della giovane inglese Daphne Manners stuprata da un gruppo di delinquenti che restano ignoti. Una violenza che inaugura una drammatica serie di eventi.
Tra gli sviluppi, c’è l’amore impossibile tra Daphne e il giovane Hari Kumar, dalla pelle scura, di origine indiana ma cresciuto in Inghilterra dove ha studiato in una delle migliori scuole. Daphne è diversa per sensibilità e stile di pensiero rispetto alle coetanee inglesi che disdegnano rapporti con i neri e ostentano un‘algida superiorità. Ma la società dell’epoca non consente certe scelte…
Le traversie dei due innamorati sono solo una parte dei tanti intrecci di vite ed eventi attraverso i quali Scott ritrae l’India dando voce a punti di vista molto diversi tra loro.
Emerge un ritratto composito della realtà delle colonie, un imponente affresco e un autentico documento storico che attraversa più livelli: dal rapporto tra indiani e inglesi ai cenni alla politica del Mahatma Gandhi che con la non violenza intende guidare il suo popolo verso l’indipendenza.
Poi le riflessioni sul razzismo e la barriera del colore della pelle, rivolte e crimini violenti in un’epoca in cui la storia sta cambiando e l’India si affaccia alla soglia della libertà e dell’autonomia.
Many are the locations the producers chose for the crazy car chases between Mini Coopers and the Italian police. But do you know that Mr Gianni Agnelli offered, for free, a fleet of Fiats 500 and Lancias for the making of the movie? Legend has it that in this project he saw a great marketing opportunity but an English woman said “No, it is an English movie, it has to be made with English cars”. The woman, according to this legend, was Queen Elizabeth II. The Mini Coopers remained, but Mr Agnelli, as a perfect gentleman not only gave some cars, he also opened the doors of
The
But since we talked about movies, why not going to the
At the Natural Park 
C
Questo romanzo è pura opera di fantasia. I luoghi citati appartengono solo alla geografia dell’invenzione letteraria. Nomi, personaggi, fatti e avvenimenti sono invenzioni dell’autore e hanno soltanto lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.
Interverrà la giornalista Grazia Noseda, letture dell’attrice Giulia Isnardi. Entrata libera fino ad esaurimento dei posti. Seguiranno in agosto presentazioni a Bardonecchia il 3 e il 4 ad Exilles il 22 al Sestriere e altre presentazioni in Liguria ad Alassio, Andora, Bordighera e in Versilia. Il libro verrà presentato da settembre nelle grandi città: Roma, Napoli , Milano, Venezia ecc.
Fu il suo esordio davanti alle telecamere. Inventandosi quel ruolo resosi necessario all’ultimo momento. Su Rai tre. Il programma era ”Svalutation”. Erano i tempi di Telekabul, di Angelo Guglielmi e del Gruppo 63 a viale Mazzini, di Sandro Curzi al telegiornale. Quella Rai tre. La rete più a sinistra della sinistra. Faceva un pò il verso a Felice Andreasi, il più icastico e esilarante dei comici torinesi del cabaret e del nostrano avanspettacolo, poco conosciuto dal grande pubblico, ma famigliare a chi della torinesità, porta il marchio di fabbrica. E divenne un famoso di nicchia nazionalpopolare. Astigiano di nascita e torinese di adozione, ha fatto del Piemonte e in particolare di Torino, il metacommento del mondo più vasto. Una lente di ingrandimento dei vizi e delle virtù dell’uomo contemporaneo, antieroe del quotidiano, comico spaventato guerriero, così l’avrebbe definito Stefano Benni. Nacque nella città di Vittorio Alfieri nel 1937 e lavorò in Rai per trent’anni, da programmista duro e puro. Così ”fortissimamente volle ”. Film e telefilm portano la sua firma, a nostra insaputa. Con il racconto-documento ” Il Postino spara sempre due volte ” (edizioni La Stampa, 2008, pagg. 193 euro 7,90) da vero e proprio sociologo della devianza, scartabellando le cronache giornalistiche e facendo finta di non sapere come va a finire, scopre i fatti man mano che accadono e un pó come il Peter Falk-Tenente Colombo della nostra adolescenza, per induzione e estrazione, ci porta a scoprire l’intreccio e le dinamiche, di un fatto di cronaca nera di rilevanza nazionale, avvenuto nel 1996: il tentativo di furto del secolo alle Poste di Torino. Il poliedrico Bruno Gambarotta, ha scritto per La Stampa, per anni, per la rubrica ” Storie di città” sul supplemento ” Torino Sette”, collaborando per l’ inserto ”Tutto Libri”, sempre dell’ammiraglia torinese. Per l’editrice di via Marenco, dalla sua prolifica penna, sono nati 700 racconti, raccolti in quattro volumi e tre spettacoli. Ha esordito nella narrativa nel 1977, per i tipi della Mondadori, con il romanzo ”La nipote scomoda”, scritto a quattro mani con Massimo Felisatti. La città di Torino e i torinesi sono la fonte costante delle sue narrazioni, un pó come Parigi per Georges Simenon. Si possono ricordare tra gli altri per Garzanti ”Torino lungodora Napoli” (1995) da cui è stato tratto il film ”Libero Burro” con Sergio Castellitto e ”Tutte le scuse sono buone per morire ”. In occasione della Fiera del Libro del 2006 è uscito ” Il codice gianduiotto” Morganti editori. La risposta italiana al Codice da Vinci. Nel 2007 per Ambaradan ha dato alle stampe ”Giallo polenta” scritto a quattro mani, modello Fruttero-Lucentini, con Renzo Capelletto. Nella recente trasmissione televisiva ‘Viaggio nella Grande Bellezza’ intervistato dal giornalista Cesare Bocci, narra della distilleria Carpano, della ricetta del ‘bicerin’, bomba iperglicemica ad uso e consumo della nobiltà sabaudo risorgimentale, nonché dei nostri coevi abitanti postmoderni. Ci racconta delle radici savoiarde dell’espressione linguistico gergale «fare una figura da cioccolatai» figura retorica al cacao, sovente descrittiva della nostra penisola. Il tutto ripreso in Galleria Subalpina. Il salotto buono taurinense. Visionare per sapere. In open source.
Il Maestro, rivolgendosi all’ex allievo, in modo sorprendente, mi disse più o meno queste parole : io colsi in te un amore per il Risorgimento che in un giovane d’oggi appare inspiegabile ed è molto raro e che fa quasi pensare a quello dei miei due zii, i fratelli Garrone. Io lo ritenni un grande complimento che ascoltò anche Spadolini e quando parlai il 20 settembre dello scorso anno a Palazzo Carignano (dove tanti anni fa presentammo insieme “Fiori rossi al Martinetto” di Valdo Fusi) per i centocinquant’anni della Breccia di Porta Pia, parlai di innamorati del Risorgimento rivolgendomi al pubblico presente. Non ritenni di ricordare quell’episodio lontano, ma quella espressione veniva dal ricordo di uno straordinario evento: il presidente del Consiglio repubblicano che dopo aver parlato al museo del Risorgimento, si siede al tavolo del ristorante al posto dove era solito pranzare Cavour per ricevere il Premio Pannunzio appena istituito da Mario Soldati e da chi scrive.
Chiara De Carlo



Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera
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