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Le riforme e la scuola: strade parallele

Torino e la Scuola

“Educare”, la lezione che ci siamo dimenticati
Brevissima storia della scuola dal Medioevo ad oggi
Le riforme e la scuola: strade parallele
Il metodo Montessori: la rivoluzione raccontata dalla Rai
Studenti torinesi: Piero Angela all’Alfieri
Studenti torinesi: Primo Levi al D’Azeglio
Studenti torinesi: Giovanni Giolitti giobertino
Studenti torinesi: Cesare Pavese al Cavour
UniTo: quando interrogavano Calvino
Anche gli artisti studiano: l’equipollenza Albertina

 

3 Le riforme e la scuola: strade parallele

La storia della scuola, come ho già ho avuto modo di dire, è assai complessa e articolata.
Il sistema scolastico italiano si è da sempre modificato, riforma dopo riforma, nel tentativo di adattarsi alle richieste e alle necessità dei vari periodi storici.
E’ possibile dunque affermare che la scuola è, con tutti “i pro e i contro”, il riflesso dei mutamenti sociali. Essa è costantemente coinvolta in processi di adeguamento strutturali, organizzativi e didattici. L’argomento “scuola e riforme” è assai vasto, poiché alle tematiche più prettamente legate all’ambito educativo-didattico si annettono diverse problematiche come la dispersione scolastica (L. 496/94, L. 296/2006, DM 139/2007), l’obbligo scolastico (L. 144/99, L. 53/03), l’abolizione degli esami di riparazione (L. 352/95), l’edilizia scolastica (L. 23/96, DM 11 aprile 2013), e inoltre vi sono tutta una serie di normative che, pur essendo di diversa natura, toccano comunque il mondo della scuola. Come divincolarsi dunque in una materia così articolata ed arzigogolata? Proviamo a partire, come si suol dire, dall’inizio.  La prima importante riforma che è bene ricordare è la Legge Casati, promulgata dal Ministro della Pubblica Istruzione Gabrio Casati nel 1859, considerata come il vero e proprio atto di nascita della nostra scuola italiana. Tale norma pone a carico dello Stato la responsabilità dell’educazione del popolo e sancisce per la prima volta l’obbligatorietà e la gratuità della scuola elementare. Il primo ciclo scolastico, secondo tale normativa, era articolato su due bienni, (di cui solo il primo obbligatorio), a cui seguiva una duplice scelta: il ginnasio (a pagamento) o le scuole tecniche. Dopo questi anni di studio e formazione vi era l’università a cui però accedevano solo gli studenti che avevano frequentato il ginnasio, spesso figli di famiglie agiate e che potevano permettersi di supportare i giovani nello studio. Con la legge Casati, inoltre, si cerca di affrontare per la prima volta la grave problematica dell’analfabetismo dilagante in tutta la penisola: la situazione non viene risolta e tale aspetto si va a sommare con gli altri difetti della normativa, a noi evidenti.

Nel 1860 il ministro Terenzio Mamiani approva i primi programmi scolastici, che includono tra le materie fondamentali la religione cattolica e si propongono di assicurare un’alfabetizzazione di base per tutta la popolazione. Nel 1867 i programmi vengono modificati, lo spazio dedicato alla religione viene meno, e le ore dedicate a tale materia sono attribuite a educazione civica. Il 15 luglio 1877 venne promulgata la Legge Coppino, che porta l’obbligo elementare inferiore fino ai nove anni. Tale legge è assai importante per l’istruzione italiana in quanto contribuisce ad innalzare il tasso di alfabetizzazione. I risultati delle leggi attuate nel mondo della scuola iniziano a vedersi intorno agli inizi del XX secolo, il grado di analfabetismo cala visibilmente, eppure emergono nuove difficoltà, come il fenomeno della disoccupazione intellettuale e un generale malcontento diffuso tra la classe borghese, preoccupata per un possibile sconvolgimento dello “status quo” sociale.

In questo contesto si inserisce la Legge Orlando, promulgata l’8 luglio del 1904, con la quale si estende l’obbligo scolastico a 12 anni, si impone ai Comuni di istituire scuole fino alla classe quarta e si assicura assistenza economica agli alunni meno abbienti. Il provvedimento non riscuote i risultati sperati e a tale riguardo risultano emblematiche le parole di F.S. Nitti, (discorso pronunciato in Parlamento l’8 maggio 1907): “In Italia la popolazione scolastica è così scarsa ancora, dopo 50 anni di unità e dopo 30 anni di istruzione obbligatoria, che si può dire che lo scopo della legge del 1877 non fu mai realizzato. Vi sono almeno 4 milioni e mezzo di bambini che avrebbero l’obbligo di seguire le scuole, ma sono appena 2 milioni e 700 mila che le frequentano”.
Di certo una delle riforme più conosciute e discusse è la così detta Riforma Gentile. Il contesto storico in cui viene attuata la legge sono gli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale: in questo periodo lo Stato è fermamente impegnato a dare un assetto organico al sistema scolastico, vengono riesaminate le norme in vigore e si rimuove dal sistema ciò che è considerato improduttivo o imperfetto. Viene eletto Ministro della Pubblica Istruzione il filosofo Giovanni Gentile, il quale afferma: “nella scuola lo Stato realizza se stesso. Perciò lo Stato insegna e deve insegnare. Deve mantenere e favorire le scuole”. Tale riforma consiste in una moltitudine di norme, decreti e regolamenti, raccolti in un T.U. (R.D. 5-2-1928, n. 577) e nel relativo regolamento di esecuzione (R.D. 26-4-1928, n. 1297) che interessano le scuole di ogni ordine e grado, comprese le università. Sono previsti cinque anni di scuola elementare uguale per tutti, suddivisi in un triennio e in un biennio, a cui segue la scelta di un duplice percorso, o un triennio professionale, (le scuole di avviamento) o un ginnasio; dopo di che vi sono le scuole superiori: tre anni per il liceo classico, quattro per il liceo scientifico, tre o quattro anni per gli istituti tecnici, magistrali o per i conservatori. Alle classi meno abbienti viene riservata l’ “educazione del lavoro”, svolta attraverso la frequenza della scuola di avviamento professionale, riordinata dalla L. 22-4-1932, n. 490, e le scuole dell’ordine tecnico.

La riforma Gentile è complessa e articolata, è possibile comunque evidenziarne alcuni punti chiave, come l’estensione dell’obbligo scolastico fino ai 14 anni, l’ istituzione di scuole speciali per allievi in condizione di disabilità sensoriali della vista e dell’udito, l’ istituzione di rigidi controlli per l’inadempienza dell’obbligo scolastico e la creazione di appositi istituti magistrali per la preparazione dei maestri elementari. I programmi delle scuole elementari ripristinano l’insegnamento della religione cattolica, salvo richiesta di esonero, e valorizzano il canto, il disegno e le tradizioni.  La struttura del sistema scolastico italiano resta sostanzialmente improntata a tale modello anche dopo la fine del fascismo, ed i programmi della scuola elementare non subiscono variazioni significative per oltre quarant’anni.  Nel 1939 il Ministro Giuseppe Bottai propone una nuova riforma volta a sottolineare la necessità di una scuola di massa, distinta e gerarchizzata al suo interno, che risponda alle esigenze economiche del paese e del governo. Tale riforma rimane però sulla carta, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale fa sì che venga approvata solo la Legge del 1940 riguardante la scuola media, che diventa così un unico triennio uguale per tutti i corsi inferiori ai licei e agli istituti tecnici e magistrali; rimane inalterato il sistema dell’avviamento professionale. Essenziale, per il nostro discorso sulle riforme scolastiche, è la Costituzione della Repubblica italiana, promulgata il 27 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1 gennaio 1948. Il documento dedica alcuni articoli all’istruzione, che viene considerata essenziale per procurare un maggior benessere alla collettività e per migliorare ed elevare le condizioni di vita dei cittadini. Si sottolinea la necessità di avere una scuola democratica, che sia d’aiuto alla formazione della persona e che prepari i singoli individui a vivere nella società, intesa come luogo di integrazione e di esplicazione della propria personalità.

La Costituzione è certamente un testo articolato e forse, in alcune parti, di difficile lettura, ma ogni cittadino dovrebbe impegnarsi a leggerla, almeno una volta, anche se non nella sua interezza. Per questo nostro discorso sulla scuola e l’istruzione, oltre all’art.33 c1 (“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”), è bene soffermarsi sull’art. 34 che così recita: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria ed è gratuita. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. Parole importanti, che richiederebbero una riflessione approfondita. La seconda metà del XX secolo è scandita da un ulteriore susseguirsi di cambiamenti. Nel 1962 viene abolita la scuola di avviamento a favore di un’unica tipologia di scuola media che permette agli studenti di accedere a tutti gli istituti superiori; nel 1969 gli ingressi all’università vengono estesi agli studenti provenienti da qualsiasi istituto superiore, togliendo così il privilegio al liceo classico. Nel 1974 vengono introdotte una serie di figure che diventano presto fondamentali per la scuola, ossia il rappresentante degli studenti, i rappresentanti dei collaboratori scolastici e i rappresentanti dei genitori. Di grande rilievo è la Legge Ferrucci del 1977 che introduce l’assegnazione di insegnanti di sostegno per gli studenti disabili. Gli anni Settanta si concludono con la rimozione del latino dalle discipline autonome delle scuole medie.

Siamo ormai giunti a tempi decisamente più recenti. Le riforme che avvengono tra gli anni Novanta e Duemila seguono pedestremente l’andamento della scena politica e l’alternarsi delle “fazioni” vincitrici.  Berlinguer, con il “Documento di discussione sulla riforma dei cicli di istruzione”, dichiara la volontà di annullare la distinzione tra formazione culturale e formazione professionale, tale scritto sottolinea inoltre la volontà di introdurre un’istruzione, successiva alla scuola materna, a due cicli oppure a ciclo unico. Il 3 giugno 1997 il governo, con la presentazione della “Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell’Istruzione”, vota per l’introduzione di un sistema educativo a due cicli, primario e secondario. Il primo ciclo ha come obbiettivi sia la formazione della personalità dello studente, attraverso la promozione dell’alfabetizzazione e dell’apprendimento di conoscenze fondamentali, sia il favorire la nascita di un’attitudine all’apprendimento, perché vengano riconosciuti i valori della convivenza civile e democratica.
Il secondo ciclo deve invece fornire agli studenti le competenze necessarie ad affrontare gli studi universitari o il mondo del lavoro, a seconda degli obiettivi e delle capacità di ogni alunno.
Tale riordino riguarda tutti i cicli scolastici, anche le università nelle quali vengono introdotte le lauree triennali e le specialistiche. Inoltre viene innalzato l’obbligo scolastico fino ai 16 anni.
La riforma Berlinguer, viene approvata nel 2000 ma è destinata a non entrare in vigore.

Arriviamo dunque alla Riforma Moratti, promulgata con la Legge del 28 marzo 2003 n.53, con la quale viene abolita la precedente riforma Berlinguer e vengono effettuate diverse modifiche sull’ordinamento delle istituzioni. La normativa interessa tutti gli ordini scolastici, a partire dalla scuola dell’infanzia fino alle università. Tra le disposizioni principali ricordiamo l’introduzione dello studio della lingua inglese e dell’informatica già dal primo anno della primaria, l’abolizione dell’esame alla fine del primo ciclo d’istruzione, mentre alle superiori viene inserita l’alternanza scuola-lavoro e ancora all’università viene introdotta l’idoneità scientifica nazionale, requisito fondamentale per accedere ai concorsi per professori universitari.
I provvedimenti del Ministro Moratti vengono frenati dal Ministro Fioroni.
Per me le riforme Moratti e Gelmini sono reminiscenze del liceo, le prime manifestazioni a cui si partecipava “in massa”, con il fervore accresciuto dalla sensazione di far parte di qualcosa. Ricordo che con quasi tutta la classe ci si ritrovava o a Palazzo Nuovo, (luogo comodo per una ex giobertina) o in Piazza Albarello, poi partiva il corteo; si cantava e si mostravano gli striscioni alla cittadinanza con la certezza che quelle azioni non violente e svolte con razionalità e giudizio, avrebbero sicuramente cambiato la storia.
Protestavamo, ma le riforme venivano promulgate costantemente, come se ai piani alti nessuno si interessasse di noi poveri studenti delusi.
Nel 2008 il Ministro Mariastella Gelmini dà il via ad un’altra riforma scolastica, i suoi provvedimenti riguardano prevalentemente degli ingenti tagli economici, in generale provocano scontento e scalpore, come il ripristino del maestro unico e la reintroduzione del voto in condotta.

Senza essere troppo di parte, va detto che da tale programma non siamo più tornati indietro.
Infine arriviamo alla Legge 13 luglio 2015, n. 107, nota come “La Buona Scuola”, che è la riforma del sistema nazionale di istruzione, formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti. Essa comprende, tra il resto, il Regolamento dell’Autonomia, il Fondo di Funzionamento, il Piano Triennale dell’Offerta Formativa, il Percorso formativo degli studenti, l’Alternanza scuola-lavoro, l’Innovazione digitale, la Didattica Laboratoriale. Riformare la scuola non è facile, come dimostrano tanti progetti rimasti incompleti nel corso del tempo. “La Buona Scuola” è un progetto di riforma di ampio respiro, con al suo interno numerosi aspetti positivi, come ad esempio l’organico dell’autonomia, cui si collega l’assunzione di tantissimi precari. Ampi poteri vengono conferiti al Dirigente Scolastico, che viene ad assumere effettivamente la figura di Preside manager. La scuola è un organismo complesso, fatto di componenti diverse che devono muoversi in sinergia, il che richiede grandi capacità gestionali, impegno assiduo, intelligente assunzione di responsabilità da parte di chi la dirige.
Sin dagli anni Novanta, gran parte dell’ Europa è impegnata nel comune intento di migliorare le politiche autonomistiche nel campo dell’ istruzione, nella prospettiva di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento.  Cosa stia accadendo ora all’intero delle scuole, devo ammettere, non è chiaro. Il virus imperversa quasi incontrastato e costringe sia professori (me compresa) che studenti in condizioni difficoltose e scomode, destabilizzanti per un buon funzionamento della macchina scolastica, ma la situazione attuale impone spirito di sacrificio.

Alessia Cagnotto

Dad insoddisfacente, ma il Covid impone spirito di sacrificio

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Diventa davvero difficile non condividere la posizione della preside del liceo classico “ Gioberti” di Torino Miriam Pescatore.

E’ una straordinaria dirigente scolastica laureata in ingegneria, che intende tutelare la salute e la sicurezza dei suoi alunni, alcuni dei quali vogliono con grande superficialità condurre davanti al liceo una bizzarra protesta contro la didattica a distanza, presentandosi davanti a scuola contro le vigenti disposizioni del Dpcm del 3 novembre.

Legittimamente e doverosamente la didattica a distanza va seguita in luoghi idonei come la casa e non il marciapiede, sostiene la preside. Anche la prof. Pescatore è consapevole dei limiti della Dad, ma sente tra i suoi dovere far rispettare le norme in un periodo in cui la disciplina dovrebbe essere una regola per tutti, nessuno escluso. Sappiamo tutti molto bene cosa ha rappresentato la movida di giovani nel corso dell’ estate e che conseguenze drammatiche ha avuto. Sappiamo altrettanto bene la scelta avventurosa di voler riaprire le scuole senza la dovuta sicurezza.

Una preside che si assuma pienamente le sue responsabilità deve essere ringraziata pubblicamente per il suo civismo. Appartiene alla storia dei grandi presidi del glorioso liceo torinese da Luciano Perelli ad Angela Suppo. Quella scuola fu lasciata per anni allo sbando anche per la eccessiva vicinanza a Palazzo Nuovo e per la pavida incapacità dei suoi dirigenti e, in alcuni casi, di alcuni suoi docenti ammaliati dalle ubriacature sessantottine.

Questo è un passato che va archiviato . Oggi praticare la disciplina significa tutelare la propria vita è quella degli altri. E‘ un richiamo che anche il Presidente Mattarella ha evidenziato più volte. I giovani fanno bene a non essere soddisfatti della Dad, ma oggi non ci sono alternative e le polemiche devono cessare subito. I tempi drammatici che viviamo non lo consentono e Miriam Pescatore sta facendo il suo difficilissimo lavoro con passione, competenza e spirito di sacrificio senza alcun dubbio encomiabili.

(Nella foto di copertina Miriam Pescatore)

Il richiamo di Mattarella

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni/ Il Presidente della Repubblica Mattarella per la prima volta dopo tanti mesi difficili
ha alzato la voce, richiamando con chiarezza e fermezza gli Italiani e le forze politiche al senso di responsabilità richiesto dalla gravità del momento che viviamo

Nelle parole del Presidente, in versione aggiornata, ho risentito lo stesso pathos di Vittorio Emanuele III dopo la sconfitta di Caporetto. Era mesi che molti attendevano una parola forte che facesse sentire la voce della Nazione rispetto a quella delle fazioni e della mediocrità propria di una politica responsabile di gravissimi errori. Prima del Presidente della Repubblica solo la Presidente del Senato Casellati si era espressa con coraggio nei confronti di una situazione insostenibile.

Giustamente il Capo dello richiama gli Italiani alla disciplina, al buon senso, alla difesa di se‘ stessi.
Questo appello dovrebbe tradursi in un un messaggio alle Camere che dovrebbero unanimemente esprimere l’unità di tutti gli italiani. In certi momenti occorre la solennità della tragedia. Sul tempio della Gran Madre c’è una lapide che ricorda cosa fece il sindaco di Torino dopo Caporetto, scuotendo i torinesi.
I Sindaci d’ Italia dovrebbero riprendere le parole del Presidente e farle proprie. Non sarebbe di troppo l’invito a stringersi attorno al Tricolore, riscoprendo il valore della Patria comune negato per troppo tempo.

In questo momento storico in cui le regioni si rivelano inadeguate e possono rappresentare un elemento di confusione e di disgregazione bisogna tornare a guardare all’ Unità d’ Italia. Forse siamo in ritardo, ma bisogna tentare di far qualcosa ad ogni costo. Gli inviti del Presidente all’ Unità valgono per tutti gli italiani, nessuno escluso.  E in questo frangente è necessario un governo di Unità nazionale che escluda i responsabili dello sfascio a cui siamo andati incontro. In un paese civile chi sbaglia deve avere l’onestà di farsi da parte. Solo così potremo pensare di risollevarci. Sia chiaro, non un ennesimo inciucione all’italiana, ma un momento di sintesi nazionale , un qualcosa che parte della classe politica neppure conosce e non sa praticare .Ma occorre tentare lo stesso e la guida del Presidente della Repubblica è  decisiva.
Dopo Caporetto gli italiani seppero mettere da parte le discordie e furono idealmente un”esercito solo”schierato sulle rive del Piave a difendere l’Italia dall’invasore. Anche oggi occorre uno sforzo collettivo e corale che salvi l’Italia e gli Italiani.

Che novità in città?

Torino vista dal mare /3  Camminare per conoscere. Un’immagine semplice ma efficace che descrive al meglio uno dei migliori modi per scoprire una nuova città. Abituarsi a nuovi paesaggi, differenti abitudini di quartiere, spesso è difficile, ma passeggiando tra le vie e le piazze più battute, per poi allontanarsi e perdersi in quelle meno trafficate permette di appropriarsene, cogliendo scenari, scorci e dettagli che spesso si perdono nella frenesia del quotidiano. Torino – io che vengo dal mare – provo a scoprirla così, raccontandola per impadronirmene allo stesso tempo.

È appena trascorso quel ricco e caotico periodo qui a Torino che i più conoscono come Art Week. Una settimana esclusivamente dedicata al contemporaneo dove l’intera città diventa catalizzatrice di eventi. Quest’anno, dalle congiunture astrali decisamente sfavorevoli, ha visto invece un susseguirsi di riprogrammazioni, cancellazioni e rimodulazioni di eventi.
Per me, da persona che lavora a contatto con questo stravagante e a volte incomprensibile mondo dell’arte contemporanea, ma anche come semplice appassionata, è stata la prima settimana dell’arte da “torinese”, seguirne le vicissitudini e declinazioni era doveroso.  Ma quindi quest’anno cosa è successo? Si può parlare di Art Week torinese per il 2020?
Purtroppo molti sono stati gli eventi cancellati in attesa di una situazione più propizia per ritornare. Altri invece hanno cercato altre vie.

Come si sa Artissima è da sempre l’evento cardine, attorno al quale sono sorte nel tempo tante nuove e stimolanti realtà che hanno permesso alla città di Torino di distinguersi nel caotico mondo del contemporaneo. Proprio Artissima aveva sin da subito annunciato la sua presenza non fisica per questa XXVII edizione, affidando al mondo virtuale la maggior parte degli incontri, eventi e presentazione del catalogo. Quella di quest’anno è stata e continua ad essere un’edizione più intima e diluita, in accordo con i tempi che stiamo vivendo che ci costringono a una lentezza e un raccoglimento a cui non eravamo più abituati.

Una presenza fisica di Artissima in città è però prevista attraverso tre mostre evento ospitanti alcuni dei lavori delle gallerie partecipanti a questa edizione dalle nuove vesti, dislocate negli spazi museali della GAM, Palazzo Madama e il MAO, ad ora solo rimandate a causa delle più recenti restrizioni che stiamo vivendo, ma già in qualche modo visionabili grazie a tour virtuali che permettono di entrare in contatto con le opere esposte.

Stasi Frenetica il tema che accomuna le esposizioni, a sottolineare sempre quell’idea di recupero di una calma perduta all’interno della frenesia del quotidiano. Scegliere anche tre delle istituzioni museali più importanti di Torino è un invito a riappropriaci e riscoprire la città appena sarà possibile, ma iniziarlo a fare anche quando sembra non esserlo.
Come già scritto oltre ad Artissima anche altre manifestazioni hanno trasferito la loro programmazione sulle numerose piattaforme social ormai a nostra disposizione, facilitandoci forse in questo modo anche il compito per poterne fruire.

Se a volte possiamo conoscere la città affacciandoci dal balcone, a volte possiamo addirittura farlo comodamente seduti sulla nostra poltrona, con un bicchiere di buon vino in mano, scoprendo la prossima mostra che vorremo visitare, ma arrivandoci così un po’ più preparati.

Annachiara De Maio

Celebrare Messa non è un mestiere qualsiasi

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Oggi ho partecipato su Facebook ad una Messa celebrata nella Basilica di Sant’ Antonio di Padova . Già altre volte mi era capitato di essere deluso , ma oggi la delusione è stata molto più forte

L’insistere costantemente sulla morte in agguato certo non aiuta chi è già ossessionato dalla pandemia. E’ un modo sbagliato di affrontare il tema. Dalla Chiesa ci si attende altro, una comprensione umana sulla fragilità della vita che, in momenti tragici come questi, cerchi di dare un po’ di fiducia e di serenità. Non si chiede del facile ottimismo,che sarebbe impossibile oltre che falso, ma almeno qualche parola in più sarebbe doverosa. Mi capitò  anni fa di partecipare a due funerali lo stesso giorno in uno stesso ospedale e ascoltai la medesima omelia con la sola sostituzione del nome del defunto. Una routine da impiegato di banca,  non da sacerdote che celebra in un momento importante della vita di altri uomini. Ho avuto modo di ascoltare di recente il
Cardinal Ravasi sulla pandemia e ho tratto dalle sue parole conforto illuminante.  Il padre Antonio che celebra Messa nella Chiesa camilliana di “San Giuseppe “ di Torino, ha degli spunti sempre degni di riflessione , a volte persino ai limiti di un’ “eresia“ intimamente sofferta. In momenti come questi non occorrono dei don Abbondio, ma dei Padri Cristoforo che muoiono, assistendo gli apprestati nel lazzaretto.

Noi abbiamo vescovi che chiudono le chiese o parroci che sono costretti ad annullare le Messe perché colpiti dal virus. Non mi illudo, in una società appiattita all’insegna della mediocrità più banale, di trovare grandi sacerdoti. Io ad Alassio, a Pasqua, ne ho incontrato uno di grande umanità e di autentica e robusta religiosità. Lo conoscevo e lo
apprezzavo da tempo, ma non mi ero mai rivolto a lui per motivi religiosi.

Questi non sono tempi normali e anche i preti mediocri non debbono permettersi di ripetere banalità e superficialità che creano ulteriore sconforto. Devono essere più responsabili: sono i medici dell’anima. La morte è un tema tremendo, un tema molto individuale,  molto drammaticamente privato, di fronte a cui ci sentiamo soli .  Preti che ripetono le prediche degli anni precedenti e non si immergono nelle fragilità e nelle angosce umane di questi tempi, non sono adeguati ai momenti di ferro che viviamo. Non si tratta di chiudere preventivamente le chiese, si tratta di aprire i cuori, di essere vicini effettivamente a chi soffre e teme la morte. Cristo in croce ha dato conforto al buon ladrone che era al suo fianco. Io ho ritrovato le ragioni della fede rileggendo Manzoni. Che tristezza ascoltare preti che celebrano Messa come svolgessero un mestiere qualsiasi.  Non pretendo Don Primo Mazzolari che parlava del suo fratello Giuda.  Non pretendo il
Cardinal Martini, che pure mi sembro’ sempre abbastanza algido nella sua lucida cultura, mi accontenterei di un buon parroco di campagna abituato a convivere con le miserie e con il dolore umano . Non c’è bisogno di chiacchiere sociologiche e di predicozzi politici e pauperistici che lasciano il
tempo che trovano, ma c’è’ bisogno di humanitas cristiana, di un Agostino inquieto e peccatore e di non della fredda ragione tomistica che non non coglie il male di vivere di Montale e le inquietudini che rendono difficile il sonno ed increspano la squallida quotidianità,rubandoci la speranza e cancellando anche quella poca gioia di vivere che dava un senso alla vita. Forse mi manca il confronto con uno dei più grandi amici della mia vita Giovanni Ramella ,uomo di grande fede cristiana, che mi parlava dei suoi amori, delle sue speranze, delle sue donne con quell’umanità che solum era sua.

Era un uomo intero in cui la cultura si coniugava con la fede e tutte e due si fondevano con l’essere uomini. A volte parlavamo del grande latinista marxista Concetto Marchesi e della sua umanità, a volte lui mi parlava del suo maestro, il Cardinale Michele Pellegrino, che io, forse sbagliando, consideravo un intellettuale algido più che un pastore di anime. Giovanni Ramella in questi tempi bui sarebbe stato non solo un amico, ma una guida spirituale ineguagliabile.

(Nella foto in bianco e nero Quaglieni e Ramella)

 

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Valeria Parrella   “Quel tipo di donna”  – HarperCollins –   euro 16,00

Questo è un breve romanzo on the road che, in poco più di 100 scorrevolissime pagine, racconta le avventure di 4 amiche che decidono di fare un viaggio in Turchia durante il Ramadan. Quattro giovani donne che non incarnano il tipo di persona che si trincera dietro una rassicurante serie di schemi prestabiliti: non temono la solitudine, non hanno bisogno di un compagno e affrontano la vita senza mai smettere di sperimentare e imparare.

Carola e Dolores, entrambe dei gemelli, sono spavalde, solari e allegre al limite dell’irresponsabilità; Camilla e la voce narrante sono invece due capricorni precise, quasi maniacali, organizzatissime e prudenti.

A legarle è una profonda amicizia e il mutuo soccorso quando la vita si fa più pesante. Sono insieme per metabolizzare una perdita tra le più dolorose, difficile da affrontare  in solitaria. Lasciano in attesa a Napoli lavoro, figli o amori, e si ritagliano uno spazio tutto per loro.

Non sono donne tradizionali, amano sentirsi libere, escono da sentieri stereotipati, più che sulla programmazione del futuro si concentrano sul vortice del presente, sono profondamente autentiche, anche se piene di contraddizioni.

Soprattutto sono complici, sanno convivere con le loro fragilità e questo tour ha un alto valore liberatorio «Si stava così bene che ci fermammo molti giorni: la bellezza di questi viaggi è che hai un volo di partenza e  uno di ritorno, e poi ci puoi costruire dentro il tempo come meglio viene…».

Viaggiano a bordo di una Mercedes bianca da camorrista, dormono in ostelli e improvvisano con modalità fricchettone; passano da una metropoli fascinosa e moderna come Istanbul ai cunicoli sotterranei dei Camini delle fate in Cappadocia, per arrivare alle coste dell’Antalia e nuotare insieme alle tartarughe.

Sono forti, indipendenti, un po’ incasinate, e vi entreranno nel cuore.

 

 

John Niven  “La lista degli stronzi”   – Einaudi-    euro  17,50

Ha qualche appiglio nell’attualità l’ultimo romanzo dello scrittore scozzese 52enne John Niven, che imbastisce una trama fantapolitica, dissacrante, satirica e a tratti spietata, ambientata in un futuribile 2026 a stelle e strisce.

C’è molto Trump (e sue derive) in queste  pagine in cui Ivanka è la prima Presidente donna degli Stati Unti d’America, dopo due mandati del padre (all’ennesimo matrimonio con una bellona, mentre Melania è morta in un incidente di elicottero).

Il paese è controllato dalla famiglia del tycoon e sprofonda nel conservatorismo più bieco; tra xenofobia ai massimi livelli, uso e possesso delle armi come norma, mentre conquiste come l’aborto sono state spazzate via.

Frank Brill è un ex reporter di 60 anni che la vita ha massacrato con immani  tragedie, ed ora gli lascia pochi mesi da passare con un cancro che lo divora.

Vive da solo a Schilling nell’Indiana e non ha dubbi su cosa fare nel poco tempo che gli resta. E’ solo, non ha più niente da perdere, stila una lista di bersagli – tra il personale e il politico- e parte deciso per ammazzarli.

Man mano che procede nei nuovi panni di spietato serial killer scopriamo le ferite della sua tragica esistenza.

Tre mogli, 2 figli e la morte sempre pronta ad aggredire i suoi affetti più cari.

Nella scuola dove insegnava la moglie Pippa e studiava il loro figlio di 5 anni Adam, un pazzo si è messo a sparare all’impazzata, facendo una carneficina che ha falciato anche loro.

Quando Frank li seppellisce, si rifà viva la figlia 15enne del secondo matrimonio, Olivia, con la quale non parlava da tempo. Riallacciano i rapporti, ma la ragazza muore 7 anni dopo, dissanguata in seguito a un aborto clandestino e illegale.

Brill di conti da saldare ne ha almeno 5: dal professore di educazione fisica che aveva violentato il suo carissimo amico poi morto suicida, al secondo marito della ex moglie, un bieco dentista che l’aveva derubata e fatta finire distrutta dall’alcol.

Fin qui le questioni strettamente private…poi ci sono anche i responsabili politici di nefandezze e decisioni che sono all’origine dei suoi lutti; come l’uso indiscriminato delle armi o la pratica dell’aborto fuorilegge …fino a d arrivare ancora più in alto.

Un romanzo ad alto tasso di adrenalina che è anche una feroce critica della politica americana.

 

John Banville  “Le ospiti segrete”   -Guanda-   euro 19,00

Questa volta il pluripremiato scrittore irlandese indaga sul privato della famiglia reale inglese sullo sfondo di una pagina storica drammatica.

Siamo nel 1940 e Londra si disfa sotto i pesanti bombardamenti tedeschi; la famiglia reale vuole stare accanto al popolo dilaniato, ma si pone il problema di mettere in salvo le due principesse Elizabeth e Margareth che all’epoca avevano 14 e 10 anni.

Il luogo più idoneo sembra l’Irlanda, rimasta paese neutrale in una guerra che metterà in ginocchio mezza Europa.

E’ così che le loro maestà vengono spedite, in gran segreto e sotto nomi fittizi, nella maestosa dimora di Clonmillis Hall, del Duca di Edenmore, che è un parente alla lontana della famiglia reale.

Il romanzo è il racconto del periodo in cui “Ellen”  e “Mary” si trovano per la prima volta lontane dai genitori, affidate all’agente dell’MI5, Celia Nashe (che finge di essere la loro governante) e al detective angloirlandese Strafford.

La Repubblica d’Irlanda è si neutrale al conflitto mondiale, ma per nulla ben disposta verso la Gran Bretagna… e l’identità delle due fanciulle non può essere nascosta a lungo.

Mentre loro vanno alla scoperta dell’augusta dimora che le ospita, manifestano già le diverse inclinazioni dei loro caratteri e si scontrano in svariati litigi. Elizabeth è abilissima a cavalcare e dimostra una sorprendente forza d’animo; mentre Margareth è più capricciosa e indolente.

Poi le cose si movimentano perché iniziano a circolare voci sulla loro presenza. Se la notizia dovesse arrivare all’IRA, la loro incolumità sarebbe a rischio e con essa la Corona stessa.

A infittire la trama aggiungete poi imboscate e incendi, la presenza di un’arcigna governante, del diplomatico britannico Richard Lascelles, e di un fattore enigmatico che piace ad entrambe le fanciulle ma che non se le fila per nulla…..

 

Suad Amiry  “Storia di un abito inglese e di una mucca ebrea”  -Mondadori-  euro  18,00

La scrittrice e architetto palestinese Suad Amiry affida alle pagine di questo romanzo la storia delle vite dell’ 84enne Shams e dell’86enne Subhi, che le hanno aperto i loro cuori e affidato le loro memorie. Due personaggi che sono l’emblema della tragica storia  di un intero popolo e della catastrofe che segnò l’esproprio violento delle terre e delle proprietà dei palestinesi da parte dello  stato di Israele. L’autrice dedica il libro a suo padre e a tutti quelli che sono morti nella diaspora palestinese degli anni  40.

L’avvio del romanzo risale al 1947 quando la Palestina era amministrata dagli inglesi e Giaffa era  una città fiorente e carica di promesse, che viveva di coltivazione di arance e commerci vari.  Allora era possibile imbastire i sogni di una vita su misura, come faceva il geniale ragazzino Subhi che smontava e riassemblava qualunque oggetto puntando a diventare il meccanico più abile di Giaffa. Quando risolve un problema di irrigazione per un ricco uomo d’affari, questo lo ricompensa regalandogli un abito su misura di pregiata stoffa inglese, ed è intorno a questo grande tesoro che si sviluppa la storia di Subhi. Sogna di indossarlo al suo matrimonio con la ragazzina che gli ha preso il cuore, Shams.

Ma la Storia si mette di mezzo: nel 1948 il governo britannico pone ufficialmente fine al mandato sulla Palestina ed esplodono le tensioni  tra arabi ed ebrei.

La superiorità militare degli ebrei è evidente e la vita di milioni di persone viene stravolta. Attentati, espropri, stupri e violenze inaudite mettono in fuga gli abitanti di Giaffa: in molti muoiono, le famiglie vengono smembrate e chi sopravvive si vede portare via tutto e relegare in ghetti in cui gli arabi vengono confinati.

La vita di Subhi viene stravolta e a lui rimane l’abito inglese e il sogno d’amore per Shams.

Alla ragazzina il destino riserva la separazione dai genitori, l’apparizione di una mucca “ebrea” la cui macellazione sarà fonte di guai e due sorelline terrorizzate.

Le loro tragedie private si innestano sulle pagine di storia che vedono arabi da una parte, ebrei e nascita dello Stato di Israele dall’altra: pagine intrise di sangue, sofferenza e perdite devastanti.

 

 

 

 

 

Chiese chiuse?

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni La notizia che la Diocesi di Pinerolo e la Chiesa Valdese abbiano deciso di sospendere di propria iniziativa ogni culto per due settimane a causa del COVID, non è notizia da relegare nelle cronache locali o da ignorare, come e’ accaduto.

 

E’ notizia che pone interrogativi che vanno ben oltre la valle del Pellice e del Chisone.  C’è da domandarsi che senso abbia tener aperti i barbieri, ad esempio, e chiudere le chiese per iniziativa delle medesime. Le chiese non hanno fini di lucro, e’ vero, ma esercitano un‘ indiscussa funzione sociale e individuale non surrogabile. Esse danno, per così dire, il cibo per l’anima che non è identificabile con la preghiera individuale, almeno per i cattolici . Diceva Benedetto Croce che ascoltare o non ascoltare una Messa e’ un affare di coscienza rispetto al “Parigi val bene una Messa” di Enrico IV.

Una Messa è un bisogno dell’anima che anche lo
Stato rispetto alla primavera scorsa ha riconosciuto,  non chiudendo le chiese.  E’ un affare di coscienza. C’è chi ha detto non senza ragione che anche visitare un museo – che il governo ha ritenuto di dover chiudere – è un bisogno spirituale. Ed io aggiungerei sia per credenti, sia per non credenti esso rappresenta una necessità dello spirito laico o non laico che sia. Nella primavera scorsa le cerimonie religiose vennero proibite persino a Pasqua . La C.e.i. protesto’ e invoco’ il diritto di culto, sancito dalla Costituzione, mentre Papa Francesco si mise dalla parte del governo italiano.
Oggi un vescovo e una chiesa protestante si ritrovano insieme nel privilegiare la salute del corpo, addirittura firmando un documento congiunto.  Il Vescovo di Pinerolo ha agito da solo, senza consultare almeno i vescovi confinanti e soprattutto l’arcivescovo di Torino che è anche vescovo di Susa ? E’ una domanda lecita.

Se poi consideriamo che le chiese cattoliche hanno dimostrato il più assoluto rispetto per il distanziamento sociale tra i banchi, notiamo che qualcosa nel ragionamento non torna. Cosa decideranno le diocesi italiane ?

Cosa significa l’isolata scelta di Pinerolo e della Chiesa Valdese ? Sono interrogativi che debbono trovare risposta nel più assoluto rispetto di ogni decisione. Nel clima tormentoso che viviamo i confini di quello che può sembrare giusto o sbagliato sono indefiniti ed essere laici diventa difficile e tormentoso come essere credenti di fronte ad un panorama di sofferenza e di morte.  Ed e’ proprio la morte ad accomunare oggi tutte le coscienze trepidanti che si interrogano spaurite.

Chi è Fabrizio Turina, fondatore di FIT-MILK, latte da erba

Fabrizio Turina - Fondatore di FIT-MILKRubrica a cura di ScattoTorino 

Il fare come una volta, l’alimento sano, il gusto autentico, il rispetto dell’ambiente e degli animali: sono questi i punti chiave della Famiglia Turina, fratello e sorella che hanno ereditato dai genitori il rispetto per la natura e la passione per il proprio lavoro. Produttori dei formaggi Carlo del Clat e Montoso, conducono un caseificio artigianale con oltre 90 anni di storia. I figli hanno fondato FIT-MILK, una gamma di prodotti da latte genuini e digeribili che vengono consumati dagli sportivi e non solo. Contrari alla massimizzazione della produzione di latte che stressa le bovine e non assicura un’elevata qualità nutrizionale, Fabrizio Turina e sua sorella Valentina selezionano capi che pascolano nel verde della zona pedemontana e montana delle Valli Pellice e Infernotto, in Piemonte. Il risultato? Un latte da erba di colore giallo con un profilo nutrizionale e organolettico superiore allo standard che viene consigliato da DietaGIFT, il regime alimentare che si basa sulla stimolazione naturale del metabolismo e sul conteggio calorico. Operativi dal 2018, attualmente le aziende agricole che producono il latte FIT-MILK sono quattro, tutte situate poco distanti dal caseificio per garantire la massima freschezza del prodotto.

Cos’è FIT-MILK?

“L’azienda raggruppa un insieme di alimenti a base di latte che seguono le ricette di un tempo perché le nostre bovine si nutrono di erba o fieno e i formaggi sono prodotti a mano. Proprio perché pascolano il più possibile all’aria aperta e si alimentano in modo naturale, le mucche vivono 17-18 anni, quindi molto a lungo. Ognuna produce quotidianamente dai 5 ai 10 litri di latte: meno rispetto agli allevamenti intensivi in cui se ne estraggono dai 40 ai 60 litri giornalieri, ma gli studi dimostrano che il latte FIT-MILK è digeribile, ha effetti anti infiammatori e ha una migliore composizione di acidi grassi rispetto a quello di altre aziende del mercato piemontese o italiano”.

I nostri prodotti si possono acquistare online sul sito e da dicembre, salvo diverse segnalazioni dettate dal Covid-19, verrà inaugurato lo spaccio aziendale di via Bibiana 54 a Bagnolo Piemonte, in provincia di Cuneo.

Perché questo nome?

“Perché i nostri prodotti contribuiscono a migliorare la forma fisica e vengono utilizzati anche in ambito sportivo in quanto aiutano un recupero veloce dopo la fatica. La prova è data dal fatto che da tempo lavoriamo con un team di consulenza scientifica che include medici, preparatori e altri esperti e tra il 2018 e il 2019 abbiamo condotto uno studio ufficiale su 6 atleti nazionali, tra cui 2 olimpionici, che per 6 mesi hanno usato nella dieta prodotti FIT-MILK: formaggi, yogurt e latte. I risultati sono stati sorprendenti e tutti hanno realizzato la miglior prestazione della carriera, sono dimagriti e hanno aumentato la massa muscolare, hanno ridotto gli infortuni e hanno dichiarato di aver raggiunto uno stato di benessere”.

Come è nato FIT-MILK?

“Otto anni fa con il Caseificio Montoso avevo iniziato la produzione di yogurt e alcuni clienti mi segnalarono che erano più digeribili di quelli dei competitor. Abbiamo così condotto degli studi e abbiamo appurato che il nostro latte aveva una composizione del grasso diversa da quella di chi produceva con allevamenti intensivi; dal 2012 abbiamo lavorato per portare queste caratteristiche ai migliori livelli possibili”.

FIT-MILK bovineCosa rende diversi questi alimenti a base latte?

“Le referenze FIT-MILK sono ad alto contenuto di proteine, hanno un ridotto apporto di grassi saturi e infatti, rispetto ad un latte convenzionale, il nostro ha il 14% di grassi saturi in meno. Contiene però grassi positivi come gli omega-3, la cui percentuale è +170% media sull’anno, e l’acido linoleico coniugato. Il rapporto omega-3/omega-6 è pari a 1 per cui, ogni grammo di omega-3 c’è un grammo di omega-6, come consigliato dalla ricerca medica. Nel latte convenzionale il rapporto è 4 o 6 e non va bene perché dobbiamo limitare l’assunzione di omega-6. Il nostro latte da erba è più ricco in β-carotene e Vitamine A e E: ne contiene infatti fino al 100% in più rispetto a quello derivato da bovine nutrite a mais da foraggio e mangimi. Questi carotenoidi sono antiossidanti naturali utili per la salute e sono presenti nell’erba verde. Quando le bovine se ne cibano, li trasferiscono al latte conferendo ai nostri prodotti caseari da pascolo una tipica colorazione gialla”.

Le vostre referenze sono avvalorate dalla ricerca?

“Dal 2012 collaboriamo con il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino e con l’Associazione Regionale Allevatori Piemonte per offrire agli agricoltori un servizio di consulenza e di ricerca applicata, in termini soprattutto di produzione foraggera”.

FIT-MILK è approvato da DietaGIFT. Cosa significa?

“DietaGIFT è uno stile alimentare ideato dal Dottor Luca Speciani che fa capo ad un gruppo di medici dell’AMPAS, l’Associazione Medici per un’Alimentazione di Segnale. GIFT è un acronimo che significa Gradualità, Individualità, Flessibilità, Tono. Si tratta di un regime alimentare molto equilibrato che induce cambiamenti salutari negli assi ormonali più importanti come tiroide, surrene, apparato osteomuscolare, apparato genitale e sistema immunitario, favorendo un rapido ripristino degli squilibri esistenti attraverso il riequilibrio dei segnali che raggiungono l’ipotalamo, una parte importante del nostro cervello più antico. DietaGIFT è impiegata in ambito sportivo, ma non solo, e prevede il non utilizzo di zuccheri raffinati. Nei nostri prodotti non zuccheriamo o usiamo una quantità di miele tale che non causi picchi glicemici”.

Torino per lei è?

“A livello personale credo che sia la città più bella che conosco. Tutti dovrebbero scoprirla. Dal punto di vista lavorativo, per me rappresenta un’opportunità commerciale perché dista solo 50 km dalla nostra azienda”.

Un ricordo legato alla città?

“L’attività di FIT-MILK è molto legata al capoluogo piemontese. Collaboriamo infatti con il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali ed Alimentari dell’Università degli Studi di Torino, con il CNR e con alcuni ospedali, per cui ho molti ricordi legati al mondo professionale”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

(In)contro il muro

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TORINO VISTA DAL MARE /2 Camminare per conoscere. Un’immagine semplice ma efficace che descrive al meglio uno dei migliori modi per scoprire una nuova città.

Abituarsi a nuovi paesaggi, differenti abitudini di quartiere, spesso è difficile, ma passeggiando tra le vie e le piazze più battute, per poi allontanarsi e perdersi in quelle meno trafficate permette di appropriarsene, cogliendo scenari, scorci e dettagli che spesso si perdono nella frenesia del quotidiano. Torino – io che vengo dal mare – provo a scoprirla così, raccontandola per impadronirmene allo stesso tempo.

Ci risiamo, siamo tornati a parlare di quella ormai conosciuta situazione, chiamata lockdown. Nuovamente bar e ristoranti chiusi (non ce ne vogliano gli esercenti, ma forse potrebbe essere il momento giusto per perdere qualche chilo di troppo), stesso destino per cinema e teatri (chi può dirlo, magari, alla riapertura incominceremo per davvero ad andarci), per non parlare di musei e siti culturali. Insomma, le nostre abitudini o presunti tali, hanno subito una nuova stretta.

Di necessità virtù, ce lo siamo detti a marzo, ritorniamo a ripetercelo a novembre. Come trarre vantaggio da ciò? Anche in questo caso la saggezza dei proverbi viene in nostro aiuto, Se Maometto non va alla Montagna è la Montagna che va da Maometto.

Facile a dirsi, ma forse non lo è. Provare ad aprire uno dei tanti libri non letti che abbiamo ancora in casa; guardare i film non visti; ascoltare buona musica che non conosciamo; nella loro semplicità sarebbe già un passo avanti. In questo tutti i mezzi virtuali, dai social network ai live in streaming dei siti che si offrono all’emergenza, sono a nostra disposizione.

Controcorrente e sempre dal lato un po’ più disagiato sembra invece l’arte. I musei e le gallerie d’arte sono chiusi, quindi l’unica cosa che ci resta sembra guardarla tra le foto di libri e siti online.

In realtà anche qui una soluzione potrebbe esserci. Capita a volteche anche l’arte bussa alla tua porta, addirittura alla tua finestra.Penserete che sia pazza e forse lo sono, ma non in questo caso.

Vivo a Torino da molto poco e molto è ancora da visitare e la situazione si è nettamente complicata dal momento che anche camminare risulta vietato (decisamente non il momento perfetto per fare la turista). A questo punto entra in gioco da una parte la fortuna e dall’altra l’arte.

La fortuna sta nel fatto che ogni giorno affacciandomi al balcone ho la possibilità di godere del piacere di osservare qualcosa di bello. L’arte è invece rappresentata dall’opera murale di Camilla Falsini.

Un grande, gigantesco e colorato disegno appare tra i palazzi del mio nuovo quartiere. La pittrice ed illustratrice romana ha realizzato infatti per la città di Torino un murales dedicato a Christine de Pizan, che in un’epoca lontana come il XIV secolo è riuscita ad essere scrittrice e donna coraggiosa. Il murale lo ha realizzato all’interno di un più ampio progetto, il TOward 2030 What are you doing?, del quale ne rappresenta il Goal 5 – “Parità di genere”, progetto di arte urbana che punta alla riqualifica e sostenibilità del territorio.

Non sto qui però a parlavi del progetto, anzi, ma del fascino dell’opera in sé e della fortuna che la street art ci offre. Torino, come le grandi città ne è ricca, ma forse ha una marcia in più in questo. Città urbana, metropolitana per eccellenza, almeno per quanto riguarda l’Italia, le sue architetture industriali si sposano alla perfezione con questo linguaggio, nato nella periferia urbana di una città come New York.

La street art da forma di espressione provocatoria, illegale per giunta e di emancipazione da un tessuto sociale difficile, si è trasformata in arte riconosciuta, istituzionalizzata, mezzo di rivalutazione urbana. Addirittura esposta nei musei. Senza dilungarci troppo sui paradossi a cui è giunta, è chiaro che offra possibilità infinite, possibilità che ritroviamo anche a Torino.

Non sarà necessario spostarsi molto dal proprio quartiere, per scontrarsi con nomi, spesso noti, e opere sparse perla città, dalla già citata Falsini con il suo lavoro in Vanchiglietta, a Millo e le sue realizzazioni in Barriera di Milano, alle tante opere che abitano San Salvario, al murales di Aryz a Palazzo Nuovo. Ci sarebbe ancora un lungo elenco da fare. Il muro di Zed One sul Lungo Po Antonelli, Fabio Petani in via Plana, per esempio. Insomma, abbiamo molto da scoprire, e anche se non c’è permesso per ora fare i turisti fuori città, o in città, almeno possiamo farli nel nostro quartiere, basta restare con gli occhi aperti.

Annachiara De Maio

Il tintinnar di manette può’ tornare

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Il Direttore del “Corriere della Sera“ che non sarà Albertini o Spadolini , ma si chiama Luciano Fontana,  scrive che “Gli impegni per la salute sono svaniti quest’autunno” e che in previsione della seconda ondata da maggio a settembre si sarebbe aspettato che tutti si fossero concentrati sui punti in cui chiaramente eravamo in difficoltà. Si e’ trascurata la Sanità con ministri – scrittori da operetta e la “pandemia“ economica non è stata affrontata. Dopo tante chiacchiere, commissioni Colao,  Stati generali non hanno deciso nulla di nulla e il rapporto con l’Europa faticosamente riannodato e’ rimasto in sospeso insieme agli aiuti economici promessi. Neppure sul Mes e’ stato deciso nulla. Le Regioni hanno dato una pessima prova di se’ ed hanno aggiunto confusione a confusione . Oggi la Sanità piemontese appare in ginocchio e certi personaggi appaiono patetici nel loro nullismo. Per non dire della Calabria e dei suoi commissariamenti da farsa. Di fronte ad uno sfascio evidente che attenta alle nostre vite non un solo
parlamentare e’ stato in grado di rappresentare la Nazione o almeno i territori che li hanno eletti. Essi sono più che mai estreanei rispetto alla gente, godono di tamponi privilegiati e gratuiti e si nascondono dietro le loro mascherine, ma non fanno nulla.  I gruppi parlamentari di maggioranza non fanno nulla per mandare a casa Speranza che ha fallito in modo clamoroso, quelli di opposizione non presentato mozioni di sfiducia nei confronti degli inetti responsabili del tracollo.

Possibile che non ci siano parlamentari che abbiano il coraggio di battere un colpo? Così la democrazia italiana finisce ed appare uno scenario
inquietante davanti a noi.  Il Parlamento appare inutile e le comparse dei nominati sono davvero delle maschere da tragedia greca. Il Governo ormai naviga a vista e finirà per essere travolto.  Ma anche le istituzioni parlamentari al di là della volgare polemica quotidiana da cortile, si stanno anch’esse rivelando di carta pesta. Deputatini e senatorini che riscuotono lo stipendio, non muovono un dito per sollevare in Aula il dramma italiano.  Questa è la peggiore classe politica che l’Italia abbia avuto nella sua storia unitaria. Quello che storicamente era il
peggio, oggi apparirebbe il
meglio.  E noi stiamo vivendo la prova più terribile degli ultimi cento anni, abbandonati
a noi stessi, costretti a rifugiarci in casa come i nostri padri facevano nei rifugi antiaereo della seconda guerra mondiale. I nostri anziani, offesi
e vilipesi da bulletti presuntuosi e superficiali , non sono tutelati e rischiano di morire come bestie nel peggiore dei modi. Di guariti le statistiche ufficiali giornaliere non parlano neppure più.
In passato i Latini dicevano: “ Senatores boni viri, senatus mala bestia“. Oggi la distinzione sarebbe impossibile e la “mala bestia“ riguarda anche la Camera dei deputati. Neppure l’esagitato De Falco che tenne testa a Schettino, è in grado di gridare al naufragio. Oi giornali sono omertosi e non ne parlano. E’ chiaro che nel vuoto della politica la Magistratura debba incominciare a far chiarezza. Malgrado i suoi scandali,  essa potrà almeno sanzionare i responsabili di questo disastro e di questa ecatombe umana. Il  mio amico e illustre magistrato eMarcello Maddalena una volta parlò del tintinnar di manette e l’espressione mi fece inorridire. Oggi incomincio a capirla.