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Conseguenze psicologiche ed emotive della pandemia, come non farsi travolgere

IL PUNTO DI VISTA / Le interviste di Maria La Barbera

Stress, ansia e psicopatologie da isolamento, la Dottoressa Elisabetta Lagna ci parla degli effetti collaterali del Covid

Questa pandemia ci fa preoccupare molto, cerchiamo, attraverso misure di sicurezza legittime ma snervanti, di non contrarre questo virus malevolo che ci sta cambiando la vita; viviamo in isolamento, lavoriamo da casa, il nostro divano è diventato il nostro ufficio, le relazioni sociali sono state sostituite da incontri virtuali che forse all’inizio potevano rappresentare una novità spassosa, ma ora sono diventati frustranti e innaturali. I bambini, i ragazzi e gli anziani rappresentano quella categoria di persone che più sta subendo questa situazione di reclusione e mancata libertà a causa della loro dipendenza fisica da altre persone e della fragilità, anche emotiva, legata alla loro età. All’inizio lo shock era collegato alla sorpresa con cui il virus ci aveva colto, all’impreparazione alla chiusura totale e alla inesperienza rispetto alla difesa dall’infezione. Ora, dopo un anno di lockdown alternato, difficile e demoralizzante, è in atto una cronicizzazione del trauma, una pericolosa deriva verso l’abitudine e il senso dell’ineluttabilità rispetto la clausura, che si sta manifestando attraverso una serie di disturbi e psicopatologie allarmanti. E’ vero che inizia ad esserci una luce, una speranza all’orizzonte grazie al vaccino e le cure, ma cosa ha prodotto al nostro cervello tutto questo? Quali sono i danni psicologici e cognitivi che si stanno rivelando sempre più frequentemente?
La Dottoressa Elisabetta Lagna, psicoterapeuta a Torino, ci racconta cosa sta avvenendo all’interno della nostra mente a causa della paura generalizzata, dell’incertezza sul futuro ma anche in conseguenza a diverse nuove abitudini come la richiesta di controllo continua sul nostro corpo, l’ossessione per la sanificazione e la distanza sociale.

3 domande alla dottoressa Elisabetta Lagna

Dottoressa Lagna quali sono le conseguenze di questa paura da Covid?
Sicuramente una cronicizzazione dei disturbi dell’ansia, dovuta anche ad una mancanza di prospettiva futura, insonnia, mal di testa e aumento della produzione di cortisolo nel sangue, l’ormone dello stress. Il mio studio ha avuto un aumento di richieste d’ascolto e di trattamento considerevole legato alla morte di congiunti per Covid, al rischio suicidario di giovani tra i 20 e 30 anni e alle crisi coniugali. Tra i disturbi recenti strettamente legati alla pandemia invece c’è il Long Covid, ovvero il persistere di sintomi, i numeri parlano di tre persone su quattro, di coloro che hanno contratto il virus ma sono scientificamente guariti, questi segnali presumibilmente legati al Covid perdurano almeno per altri 6 mesi. L’isolamento e la mancanza di socialità hanno sicuramente peggiorato la situazione di persone già fragili, hanno portato la percentuale di abbandono scolastico intorno al 28% e, non meno importante, hanno creato prigioni vere e proprie per chi subisce maltrattamenti in famiglia ed è stato costretto ha convivere con l’abusante.

Quali sono i risvolti psicologici della pandemia e gli effetti della DAD, la didattica a distanza, sui più giovani?

I papà e le mamme più ansiosi hanno trasmesso le proprie ai paure ai loro figli, soprattutto ai bambini, che a loro volta temono più che mai la morte dei genitori perché sintonizzati sugli stessi loro stati emotivi. Le conseguenze di questo stress sono iperattività, malattie psicosomatiche come le dermatiti, abbassamento delle difese immunitarie. C’è stato inoltre un forte aumento dell’uso dei social network che troppo spesso sono veicoli di immagini emotivamente attivanti che fomentano la paura, la tensione e la stanchezza.
La scuola invece dovrebbe potenziarsi maggiormente con l’aiuto di esperti e piani educativi innovativi, passare automaticamente in Dad senza spiegare la situazione non è sufficiente, i ragazzi sono demotivati e il loro rendimento peggiora. E’ importante informare i bambini e i ragazzi, ovviamente con le dovute modalità, riguardo a cosa sta realmente accadendo per abbassare il livello di stress, ridurre l’ansia e scongiurare l’abbandono della scuola.

Cosa possiamo fare per vivere e superare questa situazione senza che ci travolga? E’ possibile crearsi una bolla si serenità?

E’ importante migliorare, per quanto possibile, la qualità della vita, fare le cose che ci piacciono e ci fanno stare bene, senza rincorrere l’impossibile e ambire all’irraggiungibile. Non è retorica dire che dobbiamo rivalutare le cose semplici perché quello che avevamo, e che ancora abbiamo ma spesso non consideriamo, era, ed è, un dono. Questa pandemia ci sta lasciando un insegnamento, ci sta dicendo che non siamo immortali, che non staremo sempre bene e che le cose materiali e il potere non possono darci tutto, soprattutto la salute e la felicità. Non è un discorso ad effetto, né un luogo comune, il virus, in un certo senso, ci sta rieducando ci sta riportando all’ essenzialità, al sostanziale e soprattutto a vivere il presente, qui ed ora, dando così un significato più profondo alla nostra esistenza. E’ necessario inoltre ridimensionare il tempo che dedichiamo alle notizie e agli aggiornamenti legati al Covid, evitare di vedere tutti i telegiornali, i programmi televisivi e video sui social network che ci suggestionano, ci spaventano senza aggiungere né protezione né sicurezza. Se vogliamo avere informazioni meglio leggerle che subire un bombardamento di immagini angosciante. Passiamo più tempo all’aria aperta, procuriamoci vitamina D, limitiamo il più possibile l’isolamento sociale e interpersonale.

 

 

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Alicia Giménez – Bartlett “Autobiografia di Pedra Delicado” – Sellerio – euro 15,00

Di Pedra Delicado, ispettrice della polizia di Barcellona e una delle detective più amate della
letteratura gialla, seguiamo le vicende da 25 anni; ma cosa sapevamo oltre al fatto che è brusca,
tenace, apparentemente molto dura, insofferente verso le ingiustizie e determinata sempre a trovare i
colpevoli a qualunque costo? Non tantissimo.
Ora finalmente la scrittrice di gialli spagnola Alicia Giménez Bartlett, ha ricomposto la sua
biografia: magnifica, accattivante, densa di significati, in cui mette a fuoco la personalità incredibile
della sua protagonista.
Molte le cose che scopriamo a partire dal passato più remoto, in capitoli che delineano il rapporto
con la madre, l’infanzia, gli studi, i rapporti con il sesso e con gli uomini della sua vita, il legame
con il viceispettore Fermín Garzón…e molto altro.
Pedra maturando e vivendo è sempre più una donna indipendente e tosta, libera, che sa quel che
vuole, femminista e progressista nei fatti e non solo a parole.
Non voglio anticiparvi troppo ma entrerete nella testa di questa eroina che transita attraverso 3
matrimoni, i primi due decisamente fallimentari «…passata da un marito padre a un marito figlio».
Promette meglio il terzo con l’architetto Marco Artigas che porta in dote 4 figli (da due ex mogli),
incontrato dopo un interregno di conquiste maschili varie, assortite e soprattutto senza impegno a
lungo termine.
Poi ci son anche le fasi della sua vita lavorativa, dagli studi di giurisprudenza e l’attività in studio
con il primo marito, all’accademia per diventare poliziotta. I primi tempi noiosi dietro alle scartoffie
e finalmente operativa sul campo dove capisce che quello è il lavoro giusto per lei.
E godetevi anche le pagine in cui racconta il suo rapporto con l’uomo più importante della sua vita,
il collaboratore Fermín Garzón, personaggio che tutti vorremmo per amico e collega.
E se poi volete dare un volto a Pedra e Fermín, andate a rivedervi su Sky la fiction con Paola
Cortellesi, diretta da Maria Sole Tognazzi.

Andrea Baiani “Il libro delle case” -Feltrinelli- euro

L’autore ha dichiarato che l’idea di questo libro è scaturita quando un signore gli ha concesso di
entrare e rivedere le stanze della casa in cui era nato, a Roma nel 1975. Da allora di domicili ne ha
cambiati parecchi e ognuno di essi è stato testimone di una fetta di vita. E’ così che Bajani ha
ricostruito la vita di un uomo- che chiama Io- attraverso le case e le stanze che ha abitato o anche
solo immaginato; come quella di nonna bambina che solo lei conosce e che ormai fa parte della sua
“necropoli interiore”.
Scivola avanti e indietro negli anni tra 1968 e 2021, recupera fotogrammi di vita nelle città in cui la
vita l’ha condotto: Roma, Torino, Parigi e Londra.
Lo rivediamo bambino affascinato da una tartaruga il cui carapace è casa e tomba, piccolo
monolocale indipendente; o in una casa di vacanza, affittata per due mesi a 100 metri dalla spiaggia.
Poi giovane studente universitario che si adatta al materasso in una casa per studenti, bohémien in
una mansarda parigina, o ancora nella casa di provincia in cui incontra la sua amante che è una
donna sposata, infine, marito in una casa borghese del nord Italia.
Attraverso stanze, mobili, suppellettili, quartieri e tranche di vissuto, assembliamo i tanti pezzi del
puzzle di Io; perché le case in cui viviamo e abbiamo vissuto fanno parte della nostra storia e
raccontano molto se le si sa ascoltare attraverso i ricordi.
Poi Bajani rivela anche il suo interesse per due gravissimi fatti di cronaca che hanno segnato il suo
immaginario. La prigionia, l’assassinio e il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro nel 1978,
rannicchiato in posizione fetale nel bagagliaio della sua ultima dimora, una Renault 4, rossa.
E il brutale pestaggio che ha ridotto in poltiglia Pasolini, il Poeta, di cui immagina le case, compresa
l’ultima.
Ma vi attendono tante altre stanze che inducono a meditare anche sui traslochi di ognuno di noi
nelle case della nostra vita.

Matsumoto Seicho “Un posto tranquillo” – Adelphi- euro 18,00

Matsumoto Seicho (nato nel 1909 e morto nel 1992 a 83 anni) è stato definito il Simenon
giapponese, non solo per aver scritto centinaia di romanzi e racconti come il prolifico scrittore
francese, ma anche per lo spessore della sua narrativa. Sebbene abbia iniziato a scrivere tardi, oltre i
40 anni, da allora non si è più fermato. L’esordio con “Tokyo Express” – sui rapporti tra malaffare e
potere- è stato successo immediato ed ora è un classico.
Invece al poliziesco si dedica alla soglia dei 50 anni, diventando il più grande autore giapponese di
crime del secolo scorso. E ben venga l’operazione della casa editrice Adelphi che lo sta pubblicando
in italiano.
“Un posto tranquillo” inizia con una morte improvvisa –quella della poco più che trentenne Eiko- e
prosegue con l’indagine privata del marito Asai che ricostruisce le ultime ore di vita della moglie,
scoprendo lati del suo carattere e comportamenti che mai più avrebbe sospettato.
Asai Tsuneo è un funzionario del ministero dell’agricoltura e il suo matrimonio con Eiko era durato
7 anni. Si erano sposati un anno dopo la morte della prima moglie, quando lui aveva 35 anni ed
Eiko 8 di meno.
Il suo cuore era sempre stato fragile e aveva già avuto un leggero infarto, ma le circostanze della
sua dipartita improvvisa, -colpita da malore mentre era in una zona di Tokyo fuori dalla rotta
classica delle sue abitudini, entrata in una profumeria per chiedere aiuto, e morta prima che un
medico potesse tentare di rianimarla- hanno una dinamica poco chiara.
E’ così che Asai cerca di risolvere il mistero ricostruendo gli ultimi istanti di vita della moglie, le
sue ultime ore, gli ultimi anni. Dapprima parte alla cieca e poi si orienta sempre meglio
raccogliendo testimonianze, ingaggiando investigatori privati e usando a volte anche l’inganno per
ricomporre l’immagine che aveva della moglie. Di più non anticipo, ma preparatevi alla suspense
dell’investigazione condotta in modo magistrale dall’autore, e a continui colpi di scena inaspettati.
Molto più che un giallo….

Adele Cavalli “Scrittrici in giardino” -Youcanprint Self Publishing. euro 15,00

Il sottotitolo è “Profumi e colori nei giardini di 10 scrittrici” ed è quello che l’autrice racconta in
queste scorrevoli 146 pagine, tra parole e immagini dei luoghi più cari di autrici immense.
​Inizia con Colette, nata in una dimora della campagna della Borgogna, che cura il suo giardino con i
capelli in disordine tenuti raccolti da ramoscelli; poi la grande Emily Dickinson nella casa di
Amherst, circondata da boschi, prati, colline e fiori, che saranno il perimetro della sua vita e la fonte
d’ispirazione delle sue poesie.
C’è l’opulenza di Sissinghurst Castle, dimora del periodo Tudor nella contea del Kent che la
scrittrice Vita Sackville West acquista nel 1930 insieme al marito. La strappa dallo stato di
abbandono trasformandola in un capolavoro di giardini tra i più visitati d’Inghilterra; una serie di
stanze a cielo aperto caratterizzate ognuna da un tema o un colore.
Con Elizabeth von Arnim –nata in Australia nel 1866 e cugina di Katherine Mansfield- entrerete
nel giardino della tenuta in Pomerania di proprietà del marito, un conte tedesco. E’ amore a prima
vista per l’immenso parco inselvatichito ed incolto che circonda la tenuta, che la scrittrice cura con
passione, trasformandolo nell’eden in cui trascorre ore in lettura, solitudine e ascolto della natura.
Le altre dimore circondate dal verde sono quelle di Marguerite Yourcenar a Petite Plaisance, Edith
Wharton, George Sand a Nohant dove casa e giardino sono in perfetta sinfonia.
E ancora il giardino danese in cui si rifugia Karen Blixen dopo aver lasciato la sua amata Africa; la
natura rigogliosa intorno al Mississippi raccontata da Eudora Welty; e per concludere Jane Austen
che non ebbe “una stanza tutta per sé”, ma in compenso visse a Chawton Cottage «casa di mattoni
rossi con finestre aperte sul giardino».

Vogliono cancellare il 10 febbraio Giorno del ricordo

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Un libercolo di tal Eric Gobetti (che intende minimizzare e persino giustificare le foibe) e adesso il solito, stantio manifesto di intellettuali, neppure troppo qualificati, volto a chiedere alle massime istituzioni italiane un ennesimo riconoscimento dei crimini di guerra commessi dall’Esercito italiano in Jugoslavia durante la seconda guerra mondiale, appaiono due elementi di uno stesso, evidente disegno politico : quello di cercare di cancellare dal nostro calendario civile il Giorno del Ricordo, quel 10 febbraio (che sempre meno è oggi  motivo di manifestazioni pubbliche), istituito nel 2004  per non dimenticare le foibe e l’esodo Giuliano – Dalmata e Fiumano 

Noi che tra i primi abbiamo sostenuto la legge istitutiva del Giorno del Ricordo avremmo mille motivi infatti  per denunciare il fatto che amministrazioni pubbliche e scuole statali  snobbano la data e non organizzano nessuna iniziativa in proposito. Forse la data scelta del 10 febbraio 1947 ,quando venne firmato l’iniquo Trattato di pace la cui ratifica venne osteggiata da uomini come Benedetto Croce,  fu errata perché non realmente rappresentativa del dramma degli italiani dell’Adriatico orientale. Croce, all’Assemblea Costituente tenne una vera e propria grande lezione di storia che fece comprendere il dramma della guerra in una dimensione che pochi avevano capito, travolti dagli eventi o accecati dalle ideologie. Il filosofo,  che aveva combattuto il fascismo ed aveva espresso ovviamente la sua contrarietà all’ingresso in guerra nel 1940, non esitò a sostenere che quella guerra sciagurata l’avevano perduta tutti gli italiani ,anche quelli che vennero perseguitati dal regime, perchè quella guerra, ”impegnando la nostra patria impegnava, senza eccezioni, anche noi che non possiamo distaccarci dal bene e dal male della nostra patria, né dalle sue vittorie né dalle sue sconfitte“. Il patriota Croce prevaleva su tutto il resto, ma il filosofo contestava, dopo aver ricordato che ”la guerra è una legge eterna del mondo che si attua al di là da ogni ordinamento giuridico“, contestava la legittimità di umiliare i vinti con un Trattato di pace che metteva l’Italia in ginocchio . Egli si espresse anche contro il Tribunale di Norimberga.  Un discorso che certamente i firmatari del manifesto odierno non solo non hanno mai letto, ma non ne conoscono neppure l’esistenza. Oggi c’è chi afferma che fu un grave errore non aver fatto una Norimberga anche in Italia, dimenticando, ad esempio, l’amnistia voluta da Togliatti nel 1946 per fascisti e partigiani. Ma non basta. Va ricordato che anche in Italia ci furono Tribunali militari (oltre a quelli improvvisati del popolo che avallarono fucilazioni  senza processo) che affrontarono il tema dei crimini di guerra commessi da italiani. Nel 1951la Procura Generale Militare  archiviò le istruttorie non in base a cavilli, come è stato scritto, ma al fatto che la Jugoslavia di Tito rifiutò la reciprocità nel perseguire  i crimini di guerra contro cittadini italiani, in primis le foibe. In questi decenni, scomparsa la Jugoslavia dopo una guerra civile mostruosa che ha rivelato ancora una volta la violenza atroce  di quelle genti, tutto è stato fatto a livello internazionale per sanare le ferite di tanti anni fa. Oggi le vicende di quel passato sono superate da una prospettiva europea che, per quanto faticosa e contraddittoria, ci ha liberati dai nazionalismi nefasti di 80 anni fa.  Solo gente un po’ fanatica e del tutto priva di quel senso della storia  di cui parlava Omodeo,   può sostenere come fa Gobetti, che i fatti della seconda guerra mondiale “pesano come un macigno sulla memoria collettiva italiana“. Come ha ricordato Gianni Oliva, uno storico che fra i primi ha scritto di foibe e delle atrocità commesse dal nostro esercito durante la seconda guerra mondiale , con gli ultimi due nostri Presidenti della Repubblica è stato fatto tutto quanto era possibile per un’opera di pacificazione tra italiani, croati e sloveni. Addirittura nel 2020 è stata conferita la più alta onorificenza dello Stato ad un poeta ultracentenario  che continua a negare le foibe. Ma se ci mettiamo sul piano delle contrapposizioni frontali, io non posso allora dimenticare, ad esempio, che la Medaglia d’Oro al V. M . , conferita motu proprio dal Presidente Ciampi nel 2001 , al libero comune in esilio di Zara, la Dresda d’Italia per i bombardamenti subiti e città martire per le vittime provocate da Tito , non venne mai consegnata  per l’opposizione del tutto illegittima del governo croato. L’Italia ha chiuso quei conti dopo il Trattato di pace del 1947, dopo il martirio di Trieste tornata italiana solo nel 1954, con il Trattato di Osimo che sancì per sempre la cessione a Tito di altro territorio italiano. L’antifascista originario di Fiume Leo Valiani definì infame quel trattato voluto dalla peggiore diplomazia democristiana. Speravamo che fosse più o meno da tutti considerato in qualche modo  superato il dramma di una storia lacerante. Invece non è così e gli italiani che non negano la loro storia dovranno continuare a presidiare il Giorno del Ricordo messo in discussione dai nostalgici di Tito. Le chiassate polemiche  di Eric Gobetti non sono storia, ma sono gli ultimi residuati  di una ideologia che pensavamo finita proprio perché condannata dalla storia. E’ triste doversi intrattenere a discutere di un omonimo di un grande con il quale condivide soltanto casualmente il cognome.

La villeggiante triste a Portofino, i vip e la gente normale

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / La Pasqua e la Pasquetta di quest’anno sono state, almeno in termini psicologici, persino peggiori di quelle dello scorso anno. Oggi, dopo mesi di sacrifici, vediamo situazioni allarmanti, mentre il vaccino va a rilento.

I negozi e i bar sono  rimasti chiusi e  oggi non c’è spazio  per chi voglia vivere come se niente fosse. Siamo arrivati al momento più difficile.
L’aver concesso di andare all’estero con due tamponi e cinque giorni  di quarantena ( senza controlli  ) ha creato un fortissimo malumore nelle persone, a partire dagli operatori alberghieri e ai ristoratori italiani che stanno soffrendo le pene dell’inferno. Milioni di italiani sono rimasti a casa e i trasgressori sono stati un numero limitato. Ha creato un certo sconcerto apprendere da un’intervista a “Repubblica“ ,testata di famiglia, che la contessa Antonella  Camerana, imparentata con gli Agnelli e partecipe delle  loro fortune  finanziari, si sia sentita  “triste “ ( il titolo di “Repubblica“ diceva  “prigioniera“, parola poi smentita) nella sua casa, con vista sulla piazzetta, a Portofino che le è apparsa “un deserto dove non c’è nessuno”. La contessa era in fuga dalla tristezza di Milano dove abita  e dove presiede un ente benefico.  Forse si aspettava con una certa ingenuità una Portofino brulicante di gente allegra, con negozi, bar e ristoranti zeppi di clienti festanti. Un’isola di beatitudine nella tempesta del Covid. Sul web questa intervista ha scatenato l’inferno e la contessa è stata letteralmente aggredita e derisa. Il clima sociale che si respira diventa ogni giorno più difficile e l’intolleranza e l’invidia  si fanno sempre  più palpabili. La signora Camerana, villeggiante triste, è stata lapidata, in fondo, per aver fatto delle considerazioni banali che chiunque avrebbe potuto fare, andando in posti meno chic di Portofino. Sembra infatti che anche a Borghetto Santo Spirito l’atmosfera non fosse molto più allegra. Sarebbe invece  interessante sapere dov’erano  i tanti vip che avevano deciso di spassarsela all’estero ed  avere rassicurazioni certe (non alla Speranza,tanto per intenderci)  che le loro vacanze non siano causa di un’ulteriore diffusione del Covid e  motivo per ulteriori restrizioni per chi è rimasto a casa sua,  come  ha fatto, sia pure malvolentieri, la contessa Camerana.

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Don Delillo “Il silenzio” -Einaudi- euro 14,00

Questo è un libro smilzo di appena 102 pagine ma il suo contenuto è di portata globale.
Siamo nel 2022 e di colpo tutta la tecnologia digitale va in black – out, silenzio e buio, panico,
incomprensione e angoscia diventano sentire comune di uomini e donne che, privati della
tecnologia, restano spaesati e senza rotta.
Dellillo fa scendere in campo alcuni personaggi che incarnano lo sbandamento e la divorante ansia
di fronte all’apocalisse digitale
Tessa e Jim sono la prima coppia che incontriamo, di ritorno dal primo viaggio post epidemia.
Volano per la prima volta in business e di colpo ogni comodità e ogni strumentazione a bordo
svaniscono, l’aereo è costretto ad un atterraggio di fortuna, in assenza di direzione e punti di
riferimento.
A New York sono attesi da loro 3 amici in un appartamento dell’East Side per assistere tutti insieme
al Super Bowl, e anche per loro il mondo si oscura di colpo.
5 persone molto diverse tra loro, al freddo e a lume di candela, che cercano di fare i conti con
questa sfida estrema.
Nulla più funziona: Internet tace, post, tweet e bot scompaiono, tutti gli schermi diventano neri,
ogni luce si spegne. In una New York surreale, buia e deserta nessuno capisce cosa sia successo, né
riesce a sapere se il black-out è solo locale o ha fermato l’intero globo.
Facile intuire il profondo spaesamento dei personaggi nei quali riusciamo a immedesimarci grazie
alla bravura dello scrittore che a 84 anni riflette sulla definizione di uomo come animale sociale, e
su una modernità che sempre più spesso ci lascia in balia di una profonda solitudine.
E come in tanti altri suoi romanzi scrive di un mistero che resta insoluto e con un finale aperto. Ma
intanto ci ha costretti a meditare sul nostro presente e possibile futuro quasi apocalittico.

Don Winslow “Ultima notte a Manhattan” -Einaudi- euro 18,50

Don Winslow è uno dei più affermati autori di crime e nel corso della sua lunga carriera ha creato
svariati detective, agenti e investigatori sotto copertura.
In questo libro sciorina un’altra delle sue trame avvincenti che richiama a personaggi veri, famosi e
secondo me riconoscibili.
Siamo a Manhattan alla fine degli anni 50, il giovane ambizioso e rampante senatore Joe Keneally
punta dritto alla presidenza degli Stati Uniti.
E’ brillante, sa come muoversi, fiore all’occhiello si porta dietro la bellissima moglie Madeleine che
sprigiona fascino ovunque vada, è la “principessa d’America” e sembra nata per diventare First
Lady. Ma decisamente non è oro tutto quello che luccica e il senatore ha il brutto vizio di non farsi
scappare le innumerevoli occasioni di tradirla continuamente.
E’ anche aiutato dal fratello minore Jimmi che gli fa da braccio destro ed è «.suo capo del personale,
consigliere, confidente, e solutore di problemi», insomma gli copre le spalle e spazza per lui tutta la
polvere sotto il tappeto.
E fin qui ci sembra di incontrare copie romanzate di John Fitzgerald Kennedy, del fratello Bob e
della moglie Jaqueline.
Poi c’è Walter Withers che ha lavorato per la Cia in piena Guerra Fredda reclutando agenti; ora è
investigatore privato in una grande agenzia di sicurezza ed ha l’incarico di fare da scorta a
Madeleine Keneally durante un importantissimo party.
Sarebbe un compito di semplice routine, ma la situazione si complica con la presenza della giovane
e seducente amante del senatore, Marta Marlund che viene trovata morta, apparentemente
suicidatasi.
Ed ecco che scende in campo Withers, la trama si infittisce, e dietro le quinte ci sono anche i
maneggi del potentissimo capo dell’Fbi J.Edgar Hoover …….

Clare Hunter “I fili della vita” -Bollati Boringhieri- euro 18,50

Come dice il sottotitolo questa è una storia del mondo attraverso la cruna dell’ago, e svela come a
volte ago e filo sono stati più importanti della penna e della scrittura per dare voce a proteste, eventi
storici e privati.
Il libro – una sorta di percorso storico-antropologico del cucito- scorre magnificamente a partire dal
famoso arazzo di Bayeux, uno dei manufatti più celebri di tutti i tempi, risalente al medioevo. Un
ricamo lungo 68,30 metri raffigurante 632 uomini, 200 cavalli, 55 cani e altri 500 tipi di animali.
Opera sontuosa e mastodontica che descrive la conquista normanna dell’Inghilterra nel 1066, con la
battaglia di Hastings, ma anche con scene di vita quotidiana.
Dietro a questo capolavoro c’era uno stuolo di ricamatrici capaci di fare miracoli con pochi colori e
punti a disposizione.
Clare Hunter –creatrice di bandiere, artista e curatrice della community tessile di Glasgow- del
ricamo sa davvero tutto e in queste 368 pagine ci porta a spasso nei secoli e in vari paesi –
dall’Europa alla Cina, dall’Australia al Giappone e all’Africa- raccontandoci la delicata arte del
cucito e del ricamo. Praticata non solo dalle donne, ma in alcuni frangenti storici, anche dagli
uomini.
In Europa la prima ad aver intuito la valenza comunicativa dei tessuti fu Maria Stuarda, regina di
Scozia. Abilissima nel ricamo (che aveva imparato in Francia), durante gli anni della prigionia
decretata dalla sovrana cugina d’Inghilterra Elisabetta I°, prima della ghigliottina, usò questa arte
per inviare messaggi e piani di fuga. In sostituzione delle lettere che venivano censurate optò per
l’invio di cuscini da lei ricamati con una simbologia criptica.
Anche nei secoli successivi, i ricami su arazzi, bandiere, stendardi e stoffe di vario tipo hanno avuto
spesso una fortissima valenza di comunicazione politica.
Dagli aneliti alla libertà degli schiavi africani, alle suffragette inglesi rinchiuse in carcere, per
arrivare alle Madri di Plaza de Mayo che sfilavano in protesta con fazzoletti sulla testa in cui erano
ricamati nomi e date di nascita dei figli desaparecidos.
E ancora gli Hmong del Laos, popolazione falciata dopo la proclamazione della Repubblica
Democratica nel 1975, le cui donne nei campi profughi realizzarono ritagli di stoffe grondanti
dolore, bombardamenti, marce forzate e il pericoloso attraversamento del Mekong.
Questi solo alcuni esempi della portata storica, umana, artistica del cucito che, sottolinea l’autrice
«..è un linguaggio visivo. Ha una voce. Le persone lo hanno usato per comunicare qualcosa di loro
stesse: storia privata, convinzioni, preghiere, proteste».

Rebecca Serle “Tra cinque anni” -Solferino- euro 17,00

Questo romanzo della giovane scrittrice e autrice televisiva Rebecca Serle -che vive tra New York e
Los Angeles- parte leggero e scanzonato come una classica commedia romantica…poi diventa
potente e profondo alle prese con una tragedia.
E’ la storia della grandissima amicizia tra Dannie Kohan e Bella, di fatto e di nome, artista
fantasiosa a capo di una galleria d’arte.
Le due sono caratterialmente diversissime.
Dannie è un avvocato d’affari in carriera, precisa, puntuale, maniaca del controllo e dell’efficienza,
lavoratrice instancabile innamorata del suo lavoro. Da anni è fidanzata con il tranquillo ed
equilibrato David, che lavora nella finanza come consulente d’investimento. La loro love story li
porta alla convivenza in un magnifico appartamento di Manhattan e il loro è un menage senza
particolari scossoni, anche se lei nicchia parecchio all’idea del matrimonio.
Bella, invece, è estrosa, piena di fantasia, apparentemente incostante, incapace di portare a termine
i mille progetti che s’inventa, figlia di due ricchi genitori distratti e parecchio assenti, si innamora
spesso, salvo poi non concludere più di tanto neanche a livello affettivo.
Poi Dannie fa un sogno misterioso che la porta avanti di 5 anni, in un appartamento sconosciuto,
amata da un altro uomo che non sa chi sia. Scoprirà che è il nuovo fidanzato dell’amica Bella e la
cosa sarà alquanto inquietante.
Lui è Aaron e fa di tutto per entrare nelle grazie di Dannie. La storia qui accelera, Bella e Aaron
sono innamoratissimi, progettano una vita insieme e sembrano avviati a un futuro luminoso con
tanto di prole.
Peccato che un destino beffardo stia per travolgere la 33enne Bella e i suoi sogni di futuro.
Di più non vi anticipo, però sappiate che il sogno di Dannie non è del tutto campato in aria e che
l’amicizia profonda che lega le due donne sarà centrale.

Un nuovo libro di Bruna Bertolo sulle donne e la follia

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni /Il tema della follia mi ha sempre molto turbato, pur non avendo fortunatamente  mai avuto contatti con situazioni, anche solo comparabili con essa.
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Ricordo però con turbamento la storia di un nostro contadino  sfociata in un ricovero da cui non uscì vivo. Ero bambino, ma le parole dei grandi mi lasciarono ricordi che non ho mai dimenticato.
Va detto che la malattia mentale è stata una dura  e costante realtà nei secoli  – sarebbe inevitabile il contrario- e continua a serpeggiare anche nella società d’oggi. Il modo in cui essa venne affrontata nel passato  va storicizzato come tutto il resto, va cioè  capito e valutato, sforzandoci di evitare giudizi sommari che sono l’esatto opposto della storia il cui compito è quello di “intelligere”. La psichiatria contemporanea è invece una materia che forse più di ogni altra si è prestata ad interpretazioni politiche che poco storicizzano il dramma della follia.
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Se rimaniamo a Torino, la costruzione per iniziativa di Carlo Alberto (che pochi conoscono come re riformatore) del Regio manicomio di via Giulio
rivela un’attenzione indiscutibile ad un problema medico e sociale grave. E ci sarebbero tante altre osservazioni che non danno ragione a chi ha finito di ridurre un problema drammatico molto complesso al nome di un noto psichiatra che ispirò una legge che decise la chiusura dei manicomi alla fine degli anni Settanta del secolo scorso  L’aver avuto nel Piemonte tardo ottocentesco e positivista un’egemonia che non esiterei a definire soffocante, da parte di Cesare Lombroso, celebratissimo scienziato,  ha sicuramente avuto anche  delle ripercussioni nefaste che hanno imperversato non solo nel campo della medicina.
Tornando a tempi recenti,   io ricordo con piacere gli psichiatri Fiorentino Liffredo,  Mario Fulcheri, Donato Munno, tutti e tre miei cari amici, che non ebbero forse la notorietà che meritavano , ma io non posso dimenticare che la loro disponibilità umana verso il malato di mente non si lasciò condizionare da militanze che sentivano intimamente incompatibili con il loro essere medici. Altri preferirono fare scelte diverse ed ebbero tutto sommato in Piemonte una notorietà abbastanza relativa. Si tratta di persone degnissime ed anche coraggiose  e benemerite, da cui però mi sento lontano.
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La legge a cui tutti fanno riferimento,  è quella intitolata al mai abbastanza celebrato Basaglia che certo pose fine a situazioni inumane e “medievali“ intollerabili , senza tuttavia prevedere delle alternative percorribili. Il dramma di molte famiglie che convissero con dei congiunti malati di mente resta un grumo di quella storia penosa e terribile che non può essere trascurato.
Bruna Bertolo nel suo documentatissimo libro “Le donne e la follia in Piemonte“, edito da Susalibri, ricostruisce la storia delle donne ricoverate negli ospedali psichiatrici piemontesi, dopo un lavoro di tre anni di ricerca. Era un lavoro che mancava.

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La realtà che balza fuori dal libro  è una storia fatta anche di miseria e di arretratezza della società e della cultura medica del tempo. Sarebbe stato un grave errore fare dell’anacronismo storico ,giudicando con i criteri di oggi la realtà di ieri e dell’altro ieri, come hanno fatto spesso coloro che si sono occupati  giornalisticamente di questi temi. Il libro di Bruna Bertolo scava nella storia di tante donne, interessata in primis alla situazione umana perché la malattia mentale, più che altre patologie, fa risaltare questa situazione.  Tra le storie di donne anonime abbandonate dalle famiglie che non erano comunque in condizione di offrire nessuna cura (non dobbiamo mai dimenticare che l’Italia fino agli anni Sessanta del secolo scorso era un Paese povero prima di dare giudizi etici), balzano all’attenzione quelle di donne in qualche modo note come la moglie dello scrittore Emilio Salgari che l’autrice tratteggia con maestria. Ma è la vicenda umana delle tante donne fino ad ora dimenticate quella che dà al libro un valore storico corale e gli conferisce un’alta dignità morale. Oltre al manicomio di via Giulio, il libro offre un ampio e dettagliato resoconto dei manicomi di Collegno, Savonera , Racconigi,Grugliasco. Un grande interesse ha il capitolo dedicato alla struttura denominata “Casa di convalescenza per le dimesse dal manicomio” creata per le donne considerate “guarite” dalla malattia.

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Il capitolo dedicato a Grugliasco e il fascismo ha una particolare valenza storica perché il manicomio durante il fascismo ( e in verità non solo durante il Ventennio ) venne usato, sostiene l’autrice , come strumento per affrontare la devianza,  il dissenso, il
“disturbo “attraverso una rigida applicazione della legge giolittiana del 1904 che rimase in vigore fino al 1978  La causa delle tante situazioni  situazioni negative, che il libro riporta con dovizia di documentazione e’, a parere  dello scrivente, il permanere ben oltre il fascismo la legge Giolitti  degli albori del secolo , frutto di una cultura medica e giuridica riconducibile al secolo precedente . Il vero scandalo è questa sopravvivenza del tutto ingiustificata sotto qualunque punto di vista che chiama in causa per intero la classe politica che fece la Costituzione , ma dimenticò di applicarla ad una fascia debole e indifesa di cittadini . L’opera della Bertolo ci porta in evidenza  lo strazio dell’elettroshock e cosa accadeva nei manicomi degli anni Sessanta e Settanta del
Novecento.  Qualche grave responsabilità politica locale e nazionale ed anche medica ci sembra inevitabile  evocarla .Annibale Crosignani ha denunciato il comportamento indegno di alcuni medici in servizio nei manicomi che avrebbero meritato il licenziamento immediato  e la radiazione dall’Ordine.

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Mi è piaciuto leggere che la Bertolo abbia citato l’Assessore alla Sanità del Comune di Torino e medico di chiara fama Filippo Franchi, che era ben consapevole della gravità della situazione di via Giulio e premeva per cambiare . Filippo Franchi era un liberale che aveva capito – me lo
disse una volta nel 1968 – che la legge del 1904 era già illiberale quando nacque ed ora era diventata anche una ”legge inumana“.