Rubriche- Pagina 62

L’isola del libro

/

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Speciale desaparecidos argentini e dittatura militare

 

Marco Bechis “La solitudine del sovversivo” -Guanda- euro 18,00

Ci sarebbero innumerevoli pagine da scrivere su questo libro, sull’esperienza di Mario Bechis e sui film che ha fatto; pietre miliari per capire cosa hanno vissuto i desaparecidos durante la dittatura militare in Argentina dal 1976 al 1982. E potete anche ascoltare la lunga intervista che ha concesso a Benedetta Pallavidino, che trovate su You Tube.

Marco Bechis, nato a Santiago del Cile da madre cilena e padre italiano, profondo conoscitore dell’America Latina, ha 20 anni quando viene catturato a Buenos Aires, nel 1977, all’uscita dalla scuola che frequenta per diventare maestro con il sogno di andare a insegnare nel nord del paese ai bambini indigeni.
Condivideva un appartamento con alcuni compagni coinvolti nella guerriglia contro i militari; ma aveva preso le distanze dalla loro strategia suicida, fatta di lotta armata e attentati. A denunciarlo era stata la giovane Muñeca catturata prima di lui e torturata. E’ l’inizio di un’atroce prigionia, bendato, incatenato e seviziato con le scariche elettriche della “picana”.

Nei sotterranei del Club Atlético diventa il detenuto AO1, bloccato dai lucchetti alle caviglie numeri 190 e 191, rinchiuso nella cella 16 (un asfittico buco sotto terra) e perennemente bendato.
Nel libro racconta tutto l’orrore vissuto in pagine che lasciano il segno e spingono ad approfondire uno dei capitoli più crudeli della storia dell’umanità. Non per niente i luoghi in cui venivano rinchiusi e ammazzati i prigionieri erano chiamati campi di concentramento. Metodi di eliminazione diversi da quelli nazisti, ma identico scopo: sterminare l’altro, in questo caso gli oppositori al regime.
Negli anni della dittatura almeno 30.000 persone sono scomparse nel nulla. Sedate e gettate in mare ancora vive; o comunque uccise, sotterrate chissà dove, oppure bruciate. Cancellate dalla faccia della terra, senza che le loro famiglie avessero un luogo dove piangere i familiari perduti.

Nelle pagine di Bechis c’è la cronaca della sua prigionia, le torture che non hanno lasciato segni visibili sul corpo, ma cicatrici immense nell’anima; riassumerle non renderebbe appieno la portata di ciò che ha subito. Lui è un “sopravvissuto” attanagliato dal senso di colpa per essere stato salvato e aver avuto quella possibilità di vita e futuro, strappata invece alle migliaia di desaparecidos.
Ha impiegato anni per arrivare a riconoscersi nel ruolo di “vittima”; ed è stato un percorso impervio che 44 anni dopo lo ha portato a scrivere questo libro, una sorta di catarsi all’alba dei 65 anni.

C’è anche il racconto della sua complicata liberazione, il ritorno in Italia e la sua vita, dopo quella tragedia, dedicata a denunciare le atrocità della dittatura. C’è l’accusa verso un sistema perverso che dopo la deposizione dei militari ha comunque consentito ai tanti aguzzini di vivere liberi a fianco delle loro vittime sopravvissute e sempre dilaniate da una paura e un’ incertezza che stravolgevano la vita.
E c’è la sua deposizione contro i torturatori che non hanno mai mostrato un’oncia di pentimento. Anzi si sono fatti scudo di un’arroganza smisurata, complice l’amnistia di cui godettero per un certo tempo. E, ad aggiungere infamia, c’è il fatto che non hanno mai rivelato che fine avessero fatto i desaparecidos, né dove li avevano sepolti e fatti sparire.

 

Marco Bechis è diventato sceneggiatore, regista e produttore, punto di riferimento per chi vuole capire più a fondo queste tragiche vicende.
Vi consiglio la visione del suo film “Garage Olimpo” ( lo trovate su Prime Video), presentato nel 1999 al Festival di Cannes. Un potente pugno nello stomaco perché le immagini, i suoni, le parole e le dinamiche di questa pellicola esprimono appieno il clima che si respirava nei sotterranei in cui i prigionieri venivano ingoiati.
Protagonista è la giovane attivista Maria che si oppone alla dittatura e insegna nelle baraccopoli. Vive con la madre Diane (un’intensa Dominique Sanda) che per le difficoltà economiche ha affittato alcune stanze della magnifica villa in cui vive. Maria viene catturata e sprofonda nel buio della prigionia e delle scariche elettriche. Non avrà speranze e alla fine sarà sedata e caricata con altri prigionieri sui camion che li portano fuori dal Garage maledetto…destinazione i voli della morte.
C’è anche la descrizione di quanto i militari si ritenessero autorizzati a qualsiasi nefandezza, come derubare della propria casa la mamma di Maria in cambio dell’ingannevole e spregevole promessa di farle rivedere la figlia.

Un film che, quando uscì nelle sale cinematografiche in Argentina, fu visto da poche persone, perché all’epoca gli aguzzini vivevano tranquillamente graziati dall’amnistia ed era troppa la paura che appesantiva l’aria. Poi quando sono usciti i VHS le vendite sono balzate alle stelle e almeno 30.000 hanno visto questo film che oggi è punto di riferimento. Ogni 24 marzo, anniversario del giorno del Colpo di Stato dei militari,
viene proiettato nelle scuole e Marco Bechis apre a tutti la possibilità di vederlo su Vimeo.

Horacio Vertbitsky “Il volo” -Feltrinelli- euro 30,00

Altro libro imprescindibile sull’argomento è questo racconto delle rivelazioni agghiaccianti fatte dal militare pentito Adolfo Scilingo, raccolte dal giornalista argentino Horacio Verbitsky.
Scilingo era stato capitano di corvetta e membro dell’apparato repressivo che detenne il potere in Argentina dal 1976 al 1983. Fu processato insieme ad un centinaio di altri aguzzini e condannato, nel 2005, da un tribunale spagnolo a 640 anni di carcere.

Nel 1995 l’ex militare -che aveva prestato servizio nel principale campo di concentramento clandestino, l’EMA, ovvero la Scuola di meccanica della Marina- contatta Vertbitsky e inizia a raccontare l’orrore della dittatura e la “guerra sporca” contro gli oppositori o presunti tali. E quello che tutti già sapevano, raccontato da chi aveva perpetrato l’orrore, ebbe l’impatto di un uragano.

Fu una caccia ai “sovversivi” spietata e senza quartiere. Gli squadroni li braccavano per strada, nelle case, ovunque e poi li facevano sparire.
E’ la tragedia dei 30.000 desaparecidos che durante la prigionia venivano torturati con le scariche elettriche della “picana”, e poi, stupri, mutilazioni e barbarie varie, infine giustiziati con le armi, cremati o sedati con potenti sonniferi, caricati sugli aerei e gettati vivi e intontiti nel mare.

Due i metodi di eliminazione privilegiati: il volo e la griglia. Al riguardo Scilingo racconta «Nel deposito di costruzioni vidi una vasca lunga 2 metri e alta 30 centimetri, con sopra una griglia. Su un bordo c’era un tubo con un imbuto rialzato. Mettevano lì i corpi e attraverso l’imbuto facevano passare il gasolio. Era così che scomparivano».

Racconta come i prigionieri venivano ingannati dicendo loro che sarebbero stati trasferiti in luoghi di detenzione migliori, poi una prima dose di sonniferi spacciata per vaccino necessario per il trasferimento. Secondo Scilingo nessuno di loro sospettò che quella in realtà era la condanna a morte.
Per lo più perdevano le forze poco dopo essere saliti sui camion che li portavano alla pista dell’aeroporto militare. Lì ormai semicoscienti venivano caricati a forza sull’aereo, dove un altro medico faceva in volo una seconda iniezione sedante; poi si ritirava in cabina, mentre i corpi venivano denudati e scaraventati in mare.

Una macchina di morte ben organizzata che prevedeva voli fissi ogni mercoledì, ma anche altri nel corso della settimana,.
Scilingo partecipò a due trasferimenti aerei. Durante il primo, con 13 prigionieri a bordo, rischiò di scivolare dallo sportellone aperto insieme a un corpo nudo; questo shock contribuì a incrinare dentro di lui il perverso meccanismo militare di spersonalizzazione e a fargli vedere per la prima volta le vittime come esseri umani.

Racconta anche un’onta che macchia la storia ecclesiastica argentina dell’epoca: dal punto di vista religioso tutto ciò era accettato.
I cappellani militari approvavano i voli della morte, giustificavano gli assassini affermando che quella era una morte cristiana «…perché non soffrivano, non era traumatica». Scilingo riporta che il prete diceva che dovevano essere eliminati e che «anche la Bibbia prevedeva l’eliminazione dell’erba cattiva dai campi di grano».

 

C’è poi un’altra pagina nera nella storia della dittatura. Il sistema efficiente e perverso con cui gli aguzzini rubavano alla nascita i bambini delle prigioniere per darli a famiglie delle alte sfere e dei militari. Una doppia morte per le madri, che dopo il parto venivano immancabilmente uccise, mentre i neonati crescevano proprio con chi le aveva eliminate.

Ne ha parlato anche Marco Bechis nel suo film “Figli”; mentre io vi segnalo il libro scritto da

Elsa Osorio – “Doppio fondo”, che l’autrice venne a presentare al Salone del Libro di Torino nel 2017.
La Osorio e’ anche l’autrice di quello che in America latina è ormai un classico, “I 20 anni di Luz”, sui “desaparecidos con vida”, una delle pagine più aberranti della follia.

In “Doppio fondo”, a distanza di 30 anni, si incrociano due storie.
Anno 2004, in un tranquillo villaggio di pescatori bretoni viene ripescato il cadavere di Marie, riservatissima dottoressa di origine argentina. Ha le ossa spappolate dall’impatto con l’acqua e tracce di Pentonaval (l’anestetico usato per sedare i prigionieri prima di scaraventarli, vivi, in mare). Suicidio o altro?
Buenos Aires 1977, nel pieno della dittatura, la giovane militante dei Montoneros, Juana, è catturata insieme al figlio di 3 anni. Per metterlo in salvo e sfuggire ai “voli della morte” finge di pentirsi, diventa ostaggio dell’Esma -l’abisso della tortura- e di Rulo, l’aguzzino che la manda in Francia come spia con l’incarico di scoprire le mosse degli esuli sovversivi. A trovare il filo che lega le due vicende sarà la giornalista Muriel Le Bris, la cui carriera riprenderà slancio.

Vi ripropongo alcuni stralci dell’intervista che le feci al Salone del Libro.
Quanto l’ha toccata da vicino la dittatura argentina? E perché torna spesso sui figli dei desaparecidos?
«La dittatura ha spezzato in due la nostra vita…e lo ha fatto nel periodo in cui iniziavamo ad avere figli e una vita lavorativa. Io ho vissuto un esilio interno, nascosta per un po’ in Argentina con il mio ex marito; poi in Francia ed infine siamo ritornati. Ma non potevo lavorare perché vigeva la legge di sicurezza nazionale ed ero stata licenziata. Non ho mai fatto parte di gruppi armati; semplicemente ho sempre pensato con la mia testa e al massimo ho avuto rapporti con il sindacato».
Quanto le è costato scrivere di quel periodo ?
«Per molto tempo non sono stata in grado di farlo; non perché qualcuno me lo impedisse, ma per una sorta di mia evoluzione interiore. Ci sono riuscita solo dopo 20 anni dal golpe».
Il confine tra fatti storici realmente accaduti e finzione narrativa?
«Mi interessa il metodo narrativo della composizione. Invento liberamente, ma sempre basandomi su fatti reali. Prendo elementi e caratteristiche di una persona o di un’altra, li metto insieme e costruisco un personaggio di finzione che faccio interagire con personaggi che hanno una realtà storica. Per esempio, in “Doppio fondo” Rulo è inventato, ma sono realmente esistiti i suoi compagni torturatori che cito».
La letteratura cosa e quanto può fare?
«Scrivere significa mettere in parole questi fatti e credo sia importante soprattutto per il recupero della memoria storica. Sono convinta che i popoli debbano tornare al loro passato per poter vivere il presente. Scrivendo riesco anche a capire meglio quello che nella vita mi sfugge: come quando cerco di mettermi nei panni di personaggi che trovo ripugnanti, e riesco ad afferrare di più anche il loro lato di esseri umani con determinati sentimenti».
Torture, furti di neonati e voli della morte. Che spiegazione si è data di tanta crudeltà?
«E’ una domanda che mi faccio spesso e continuo a non trovare risposta. E non solo nei confronti della dittatura: in genere non riesco a capire come l’uomo possa arrivare a certi livelli di atrocità».
In “Doppio fondo” uno dei personaggi si chiede perché, visto che i militari disprezzavano tanto i prigionieri, prendevano e crescevano i loro bambini. Effettivamente sembra un controsenso.
«Me lo spiego considerandolo una sorta di esperimento che hanno voluto fare. Allevare e crescere i figli del nemico, cercando di convertirli alla loro ideologia, renderli ostili ai genitori naturali. Come dire: sterminare un’ideologia dalle radici».
La storia è piena di tragedie ,dai lager nazisti al genocidio attuato dai Khmer rossi di Pol Pot in Cambogia: la repressione argentina ha avuto connotati unici ?
«Caratteristico è stato il furto dei bambini per farli crescere dagli oppressori. Poi… ed è un tema centrale di “Doppio fondo”… ad un certo punto la persecuzione ha smesso di essere ideologica ed è diventata di stampo mafioso. Venivano sequestrate persone con grandi patrimoni, e costrette a firmare documenti con cui passavano tutti i loro beni ai torturatori».
Madri e poi abuelas, le nonne di Plaza de Mayo, quanto hanno fatto la differenza?
«Sono state l’unica vera resistenza alla dittatura. 40 anni fa ci fu la loro prima uscita in Plaza de Mayo; quando iniziarono a chiedere cosa fosse successo a figli e nipoti. In quel momento c’era uno stato di assedio ed erano proibiti gli assembramenti di qualsiasi tipo. E cosa fecero? Al centro della piazza c’è un albero e loro, a 2 a 2, gli girarono intorno, continuando a manifestare in questo modo ogni giovedì».
A che punto è la ricerca dei neonati desaparecidos con vida?
«Si scava ancora in quel periodo; c’è un lavoro incredibile e si continuano a trovare quei bambini. Ora sono uomini e donne di circa 40 anni che credevano di essere figli di una certa coppia, e così non è».
E’ vero, come ha scritto, che qualcuno nella gerarchia della chiesa argentina suggerì che era più cristiano mettere i prigionieri su un aereo che non sarebbe mai arrivato a destinazione”?
«Si e non lo dico io, è un fatto storico. La chiesa ha avuto sicuramente una responsabilità molto forte perché è stata complice. Il Nunzio Apostolico disse alle abuelas che non dovevano preoccuparsi: i nipoti sarebbero cresciuti meglio nelle famiglie abbienti a cui erano stati dati, più che con i genitori e i nonni biologici».

Filantropia e Credito: 500 anni dalla Compagnia all’istituto San Paolo

LIBRI / Presentato il nuovo volume della Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura che mette in luce la centralità del ruolo della Compagnia di San Paolo nella storia economica e finanziaria dell’Italia e d’Europa tra credito e beneficenza. Filantropia e credito. Atlante dei documenti contabili, dalla Compagnia all’Istituto bancario San Paolo di Torino (secoli XVI-XX)

Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura della Compagnia di San Paolo ha presentato il volume Filantropia e credito. Atlante dei documenti contabili, dalla Compagnia all’Istituto bancario San Paolo di Torino (secoli XVI-XX) di Claudio Bermond e Fausto Piola Caselli, con la collaborazione di Anna Cantaluppi. Si tratta del terzo volume della collana della Fondazione Quaderni dell’Archivio Storico-II Serie, edita da Leo S. Olschki (Firenze, XII 2020).

La storia della Fondazione Compagnia di San Paolo è un esempio del legame strettissimo tra filantropia e credito, come rileva l’intervento del Segretario Generale della Fondazione Compagnia di San Paolo, Alberto Anfossi, che ripercorre le tappe dei suoi cinquecento anni di storia e il rapporto con l’attualità. L’incontro è stato introdotto da Piero Gastaldo, Presidente della Fondazione 1563, e Francesco Profumo, Presidente della Fondazione Compagnia di San Paolo, e moderato da Blythe Alice Raviola, Università degli Studi di Milano. In presenza degli autori hanno illustrato il volume Paola Avallone dell’Istituto di Studi sul Mediterraneo, CNR, Napoli, Andrea Maria Locatelli dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Anna Cantaluppi, storica e archivista.

La Fondazione 1563, con le proprie ricerche e con gli strumenti di consultazione del patrimonio archivistico, messi a disposizione della comunità, intende evidenziare la continuità di intenti e la profondità storica delle azioni che la Fondazione Compagnia di San Paolo, oggi come ieri, mette in campo per lo sviluppo sociale, economico e culturale della sua comunità di riferimento. La genesi di Filantropia e Credito è indissolubilmente legata alla mission della Fondazione 1563, ente strumentale della Compagnia di San Paolo, che tra i suoi compiti principali ha la conservazione e la valorizzazione culturale dell’Archivio Storico della Compagnia di San Paolo, un patrimonio che abbraccia quattro secoli e mezzo di storia dell’ente, articolato in oltre due chilometri lineari di documentazione.
In particolare, l’Atlante è uno degli esiti del progetto di Brand Heritage, a cui la Fondazione 1563 lavora per tutelare il patrimonio documentale della storia della Compagnia di San Paolo con l’obiettivo di far emergere e valorizzare la storia dell’ente, legandola ai suoi obiettivi e missioni contemporanei.

“La Fondazione 1563 favorisce l’ampliamento della fruizione dell’Archivio storico della Compagnia di San Paolo nella consapevolezza del suo valore scientifico e civile. L’attenzione alle fonti contabili, da cui prende avvio la pubblicazione Filantropia e Credito nella collana dei Quaderni dell’Archivio, per la prima volta propone l’edizione di documenti esemplari posti a confronto con scritture di altre istituzioni, con una puntuale descrizione archivistica nel contesto storico di riferimento. – sottolinea Piero Gastaldo, Presidente della Fondazione 1563 – Grazie alla continuità plurisecolare delle serie documentarie, gli autori hanno potuto fare emergere una innovativa ricostruzione della storia economica e finanziaria della Compagnia, e poi dell’Istituto bancario San Paolo di Torino, nelle sue varie trasformazioni. Il nesso tra credito e beneficenza, tra banca e filantropia è assolutamente centrale nella storia economica e sociale d’Italia e d’Europa, in un percorso che va dai Monti di pietà medievali fino alle attuali fondazioni.”

Partendo dallo studio delle carte dell’Archivio storico della Compagnia, costituito in gran parte da fonti contabili, il volume Filantropia e Credito propone una selezione significativa di cento documenti amministrativi, commentati dagli autori da un punto di vista tecnico e contenutistico. Attraverso la collazione dei documenti, è emersa una struttura dell’antica Compagnia di San Paolo prevalentemente orientata in età moderna alla beneficenza, con la presenza al suo interno – tra le molteplici istituzioni caritative – di un “monte di pietà” dedito al piccolo prestito gratuito di denaro contro pegno di oggetti ad uso personale e familiare.
In età contemporanea, a partire dall’occupazione francese, l’istituto del monte di pietà assume un ruolo sempre più importante, divenendo dapprima una sorta di cassa di risparmio, che raccoglie e tutela i piccoli depositi, e poi, dal 1932, dopo aver assorbito la Banca Agricola Italiana di Riccardo Gualino, un istituto di credito di diritto pubblico. Negli anni del miracolo economico, l’istituto, assunto il nuovo nome di Istituto Bancario San Paolo di Torino, sostiene il rilevante sviluppo industriale del Nord Ovest del paese, senza comunque mai tralasciare le sue tradizionali funzioni assistenziali
Nel 1992, in attuazione della riforma bancaria Amato-Carli, l’istituto torinese origina una fondazione, che prende nome dall’antica Compagnia di San Paolo e che assume il controllo dell’ente creditizio Istituto Bancario San Paolo di Torino s.p.a. Questi, dopo aver acquisito la proprietà di alcune banche nazionali ed essersi poi fuso con Imi, il 1° gennaio 2007 si è unito con Banca Intesa, originando il Gruppo Intesa Sanpaolo s.p.a., attualmente il più importante ente creditizio del paese.

Nel suo intervento Alberto Anfossi, Segretario Generale della Fondazione Compagnia di San Paolo ha focalizzato l’attenzione su come “La Compagnia di San Paolo, attraverso la sua storia plurisecolare e la sua attività filantropica che prosegue ancora oggi, offre spunti, metodi e strumenti per riflettere sullo strettissimo legame tra credito e filantropia. Estendere lo sguardo al passato, e ai quasi 500 anni di storia della Compagnia, permette di capire quanto siano longeve – e perché – quelle istituzioni, oggi bancarie, che nella loro evoluzione hanno avuto uno stretto legame con l’attività filantropica e con la funzione sociale del credito, favorendo la circolazione del denaro a beneficio dell’intera collettività. Risiedono in questo percorso, tracciato nei secoli, molte delle azioni delle odierne Fondazioni bancarie, che da enti erogatori stanno maturando il ruolo di attori di sviluppo territoriale, rendendo l’antica filantropia uno strumento capace di mettere al centro le persone, la cultura e il pianeta.”

www.fondazione1563.it

Silvia Padulazzi e “La manutenzione dell’Eugenio” 

LIBRI / Dall’idraulico Eugenio e il suo strano modo di accomiatarsi al missionario Casaciock e la sua vodka siberiana, dalla mitica Orchidea Nera, vera e propria regina dell’amore, a Teresa Bocca di rosa, fino al  signor Müller, la bella Carlina e il suo mangiadischi Fonette, l’ippopotamo Willy e il ballerino Mauro, copia perfetta del Tony Manero reso famoso da “Giontravolta”:

i personaggi delle quindici storie narrate da Silvia Padulazzi nel suo “La manutenzione dell’Eugenio e altre cose” sono incredibilmente vivi e simpaticamente sfrontati. L’ambiente dove si svolgono questi racconti spazia tra i laghi d’Orta e Maggiore, nei paesi di confine tra l’Italia e la Svizzera ticinese. Ogni capitolo è illustrato dai disegni di Giorgio Rava, poeta e pittore omegnese, narratore e gourmet molto noto. Silvia Padulazzi  nella vita si occupa di pubbliche relazioni e comunicazione ed è – oltre che un artista poliedrica – anche counselor life coach con una grande esperienza su questi temi. Conduce laboratori di crescita personale, di autobiografia musicale, linguistici, creativi, di prevenzione al bullismo nelle scuole, per adulti e giovani. Ma è anche, come ama definirsi, una “frivola perdigiorno e cantante”, autrice di canzoni, poesie, testi di teatro civile e narrativa, ha tradotto per Casa Editrice Nord e nel 2020 ha pubblicato il manuale “La zampa che cura. La relazione mediata da Napo e Zoe” per Morphema Editrice. Ha viaggiato molto e ascoltato molte storie: vite vissute, immaginate o desiderate, aneddoti, problemi, perfino quelle che lei chiama “balle colossali”. Poi un bel giorno si è messa a scrivere, andando ad attingere in quell’enorme archivio della memoria. Così, pagina dopo pagina, si sono materializzati di questi racconti che, è quasi scontato, non sono che i primi di una lunga serie.

Marco Travaglini

Al Polo del ‘900 il libro di Merlo su Franco Marini

/

LIBRI / Franco Marini. Il popolare di Giorgio Merlo, Edizioni Lavoro, 2021

Venerdì 2 luglio – ore 17:30
Polo del ‘900, Via del Carmine 14, Sala ‘900

Ingresso in sala ‘900 con prenotazione obbligatoria, fino ad esaurimento posti,
registrandosi al seguente link: registrazione

Discutono
Giorgio Benvenuto, già Segretario generale della UIL
 Annamaria Furlan, già Segretaria generale della CISL
 Enzo Ghigo, Presidente del Museo del Cinema, Torino
Gianfranco Morgando, Direttore della Fondazione Donat-Cattin

Modera
Paolo Griseri, Vice direttore de “La Stampa”

Sarà presente l’autore

“La lunga supplenza” Rolando Picchioni si racconta a tutto campo

LIBRI/ Oltre sessant’anni di vita spesa fra passione politica e cultura. 

289 pagine di schietta e sincera autobiografia. A poco più di un mese (il 21 maggio scorso) del suo ottantacinquesimo compleanno, Rolando Picchioni dà alle stampe per i tipi di Nino Aragno Editore “La lunga supplenza”, libro autobiografico scritto a quattro mani con l’amico giornalista e collaboratore, Nicola Gallino.

Autobiografia probabilmente progettata e studiata da tempo, in cui è chiara la volontà di lasciare totalmente libera la cascata della memoria, pur di acchiapparne episodi, ragionamenti, volti, figure e verità, più o meno palesi, capaci di dare un senso profondo ad accadimenti piacevoli o addirittura esaltanti, accanto ad altri di amara e dolorosa disillusione. Un’autobiografia ricca, misurata nei toni e nel racconto. Piombatagli addosso senza dargli possibilità di replica o rifiuto. Richiesta dai fatti – tanti e sempre governati con signorile pacato aplomb – dalla vita, dalle passioni e dalle ragioni del cuore. Ma, come sempre accade, “l’autobiografia di chi ha conosciuto un’ampia proiezione pubblica finisce spesso – scrive bene Nino Aragno – per diventare un pezzo dell’autobiografia della nazione”. E, puntuale, questo accade anche per il libro di Rolando Picchioni. Oltre sessant’anni, si diceva, di vita e di politica. Un tutt’uno. Una passione unica. Che lo prende fin da ragazzino, quando incontra a Dogliani l’allora presidente della Repubblica, Luigi Einaudi. Qualche anno dopo gli esordi, giovanissimo, nelle fila della DC, corrente Dorotea, mentore Emilio Colombo. “A 36 anni – racconta in un’intervista lo stesso Picchioni – ero già in Parlamento, nel Jurassic Park di Montecitorio”. Sottosegretario ai Beni Culturali. Da lì parte una lunga, non facile e insidiosa cavalcata (ben narrata nel libro) fino alla presidenza del “Salone Internazionale del Libro” di Torino, dal 1998 al 2015, quando viene indagato dalla Procura di Torino per peculato, a causa di presunte fatture false emesse dalla “Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura” a favore dello stesso presidente. E proprio qui, alla vigilia dell’inchiesta giudiziaria, s’interrompe il libro. “Non volevo avventurarmi – racconta sempre Picchioni in un’intervista rilasciata al ‘Corriere’ – in una terra incognita”. E ancora Aragno: “L’operazione di memoria individuale diventa l’innesco per mettere a fuoco e interpretare, con il ditacco dei tempi lunghi, fenomeni ancora in attesa di un’analisi disincantata o di una necessaria revisione di giudizio. Sottopelle pulsa costante il rapporto tra politica e cultura. L’idea opposta che di questo rapporto avevano una DC fragile e disattenta e un Pci egemone e monolitico. La parabola che negli anni Novanta e primi Duemila vede una politica disorientata ritrarsi e affidare a corpi intermedi – come la Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura – il ruolo propulsore in quella che è stata appunto una ‘lunga supplenza’ ovvero quel ruolo di snodo e di cerniera fra politica e cultura”. Ma il libro non è solo analisi storica e sociale. E’ soprattutto racconto. Che si dipana, attraverso le vicende di una lunga carriera poltica, nazionale internazionale e piemontese, fra decine di eventi restati nella memoria collettiva e i numerosi incontri con i grandi personaggi della Storia più recente che hanno profondamente segnato un’epoca e la vita stessa di Picchioni: da giovane democristiano emergente nella Torino della Fiat di Vittorio Valletta ad assessore provinciale all’Istruzione e alla Cultura negli anni della grande immigrazione, da presidente del “Teatro Stabile” a deputato e vice-responsabile nazionale “Cultura” per lo Scudo Crociato. Fino a diventare capogruppo Dc e poi presidente del Consiglio Regionale del Piemonte, dove diede vita agli Stati Generali, e vicesindaco di Chivasso. Per non dimenticare il ruolo di direttore esecutivo del “World Political Forum” che portò in Piemonte i grandi della terra. E tante ovviamente, le personalità incontrate durante il suo cammino professionale e citate nel libro. Le più significative: Mikhail Gorbačëv, Papa Giovanni Paolo II, re Juan Carlos, gli scrittori Amos Oz e Javier Cercas, Giulio Andreotti, Vittorio Sgarbi, Franco Zeffirelli, il generale Jaruzelski e Lech Walesa. Senza dimenticare l’incontro nel 1981 con l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini che Rolando Picchioni portò in visita alla Reggia di Venaria ancora in rovina convincendolo a recuperarla. Dietro, la narrazione di “tanta vita vissuta, che offre materiali e prospettive inedite a vicende che paiono ben lontane dall’aver scritto l’ultima pagina”.

Gianni Milani

Chi è Federico Buratti, amministratore di Grand Hotel Sitea e Royal Palace Luxury Suites

Aziende di Valore, rubrica a cura di Progesia Management Lab

Nel cuore di Torino, incastonato in uno di quei palazzi tutelati come patrimonio artistico che rendono la città sofisticata ed elegante, sorge il Grand Hotel Sitea che da quattro generazioni accoglie gli ospiti con savoir-faire per trasformare il loro soggiorno in un’esperienza indimenticabile. Locale Storico d’Italia, dagli Anni ’30 ad oggi le sue stanze hanno ospitato con discrezione musicisti, attori, premi Nobel e protagonisti dello sport. I fratelli Federico e Niccolò Buratti – rispettivamente Amministratore e Responsabile della parte Food & Beverages dell’albergo – hanno proseguito con successo la tradizione famigliare. Sotto la loro guida il Grand Hotel Sitea ha riconfermato l’allure e lo charme che lo contraddistinguono, il rinomato Ristorante Carignano ha ottenuto la prestigiosa stella Michelin grazie allo Chef Fabrizio Tesse e accoglie non solo gli ospiti dell’albergo ma anche i Torinesi, il bistrot Carlo e Camillo, adiacente al ristorante e all’hotel, propone una ristorazione che unisce raffinatezza e informalità. Ma l’interpretazione più sofisticata dell’art de vivre torinese dei fratelli Buratti trova il suo apice nel Royal Palace Hotel & Spa: sei suites extra luxury destinate ad una clientela che ama la privacy e un servizio personalizzato che punta sull’eccellenza più esclusiva. Un progetto originale per Torino, ma che è stato capito e accolto con entusiasmo dai turisti italiani e stranieri.

Federico, ripercorriamo i momenti salienti della vostra lunga tradizione nell’hôtellerie?

“Mio fratello Niccolò ed io rappresentiamo la quarta generazione Buratti alla guida del Grand Hotel Sitea e la nostra Famiglia è anche proprietaria dell’immobile. Nel 1925 mio nonno acquistò la Società Esercizio Alberghi Torino S.p.A. che gestiva le terme all’interno degli alberghi. Eccetto nel periodo in cui venne sequestrata dalle SS per utilizzarla come base a Torino, abbiamo sempre gestito la conduzione della struttura. Negli anni ‘90-2000 abbiamo effettuato un importante lavoro di ristrutturazione durante il quale fu costruito il quinto piano in cui si trovano le 8 suites che vennero utilizzate come sede degli uffici della Coca Cola, main sponsor dei Giochi Olimpici invernali del 2006. Da sempre il Grand Hotel Sitea è riconosciuto come l’albergo degli artisti perché ha ospitato ed ospita personaggi quali il trombettista Louis Armstrong, la soprano Maria Callas, il regista Dario Argento, il Premio Nobel Rita Levi Montalcini, la scrittrice Banana Yoshimoto e di recente l’attore Kevin Spacey. Considerandolo un aspetto fondamentale per assicurare agli ospiti un’esperienza indimenticabile, nel 2017 abbiamo deciso di inaugurare il ristorante gourmet Carignano a cui si è affiancato successivamente il bistrot Carlo e Camillo. Grazie alla maestria dell’Executive Chef Fabrizio Tesse, già stellato alla Locanda di Orta, nel 2018 il ristorante ha ricevuto la stella Michelin, mentre il bistrot è un mix di raffinatezza, informalità e storia piemontese. Entrambi i locali sono aperti agli ospiti dell’albergo a 5 stelle, ma anche a coloro che vogliono godere dell’art de vivre torinese. Poiché non ci fermiamo mai, abbiamo anche inaugurato il Carignano banqueting per soddisfare una clientela di alto livello che può rivolgersi a noi per curare eventi aziendali, matrimoni, feste private e business lunch, mentre nel 2019 abbiamo iniziato i lavori del Royal Palace Hotel & Spa”.

Il Royal Palace Hotel & Spa ha una filosofia che punta sull’extra luxury e sull’eccellenza. Di cosa si tratta e quale tipo di accoglienza offre agli ospiti? 

“La filosofia è far sì che il palazzo storico in cui sorgono le Royal Suite De Luxe sia un prolungamento della propria casa. Per questa ragione garantiamo la massima riservatezza e una personalizzazione del servizio. Ogni suite è in versione modulare per poter creare un’ambientazione di oltre 500 metri quadrati adatta alla nobiltà, al mondo dello show biz e ai più facoltosi imprenditori di tutto il mondo che soggiornano a Torino da soli o con la famiglia o con lo staff al seguito. Gli ospiti possono usufruire dei servizi di un butler che si è diplomato all’International Butler Academy, la prestigiosa scuola olandese per diventare maggiordomi. All’interno delle suites è possibile anche concordare uno show cooking firmato dallo chef stellato Fabrizio Tesse ed usufruire in maniera esclusiva della SPA composta da doccia emozionale, cromoterapia, sauna e bagno turco”.

Chi soggiorna al Royal Palace Hotel può usufruire dei servizi offerti dal Grand Hotel Sitea?

“La vicinanza al Grand Hotel Sitea garantisce a tutti i clienti la possibilità di utilizzare la palestra che si trova all’interno dell’albergo, il raffinato ristorante Carignano, il bistrot Carlo e Camillo per un pranzo informale o un aperitivo di lusso, l’American Bar per un piacevole dopo cena e di tutto ciò che caratterizza la nostra arte di accogliere”.

Cosa vi ha indotti a concepire questo spazio esclusivo destinato ad un target altamente selezionato?

“Il raggiungimento di certi standard qualitativi legati a piccoli numeri ci ha fatto pensare che Torino, dove ci sono immobili stupendi legati alla nostra storia, fosse la location ideale. Il Royal Palace Hotel & Spa sorge in quella che fu la casa di Emanuele Luserna di Rorà, Sindaco quando la città perse il ruolo di capitale d’Italia. La nostra idea era creare delle sinergie che valorizzassero sia Torino, con i suoi palazzi storici e raffinati, sia il territorio e recuperare quei patrimoni che sono dei piccoli musei ricchi di fascino e storia. Conosciamo i numeri del capoluogo e sappiamo che a molti può sembrare un azzardo, ma eravamo consapevoli che in città c’era questo mercato di nicchia e volevamo rispondere alle sue esigenze. Abbiamo acquistato l’edificio nel 2018 e abbiamo impiegato un anno per ristrutturarlo. Nel 2019 abbiamo terminato la quinta suite delle sei in progetto e benché non abbiamo pubblicizzato nulla, abbiamo subito ottenuto buoni risultati. Nel 2020, durante il lockdown causato dal Covid-19, un petroliere è rimasto bloccato a Torino e ha affittato le suites per la famiglia e il suo staff e prossimamente il Royal Palace Hotel & Spa sarà la sede di uno dei prestigiosi sponsor degli ATP Finals che si terranno a Torino”.

IL FOCUS DI PROGESIA

“Lasciare un’esperienza memorabile ai nostri clienti è l’obiettivo del progetto delle Royal Suite De Luxe, ci racconta Federico Buratti. “Abbiamo riservato una location d’eccezione, il Palazzo Luserna Rorengo, ai clienti che amano e vogliono vivere un’esperienza di soggiorno circondati dalla creatività e dalle opere d’arte”.

La struttura, controllata dalla sovraintendenza delle Belle Arti, richiama gli sfarzi e la cultura di 100 anni di storia. Un pieno tuffo nel passato, ma con uno sguardo rivolto all’innovazione e alla cura dei dettagli per migliorare la qualità della vita e stravolgere in maniera positiva il significato di accoglienza e benessere delle strutture ricettive di oggi.

“I nostri clienti hanno l’opportunità di respirare l’arte attraverso un’esperienza autentica, densa di significato storico e culturale. Non solo quindi un servizio, ma un percorso genuino che si apprezza attraverso i 5 sensi, potendo usufruire di un maggiordomo dedicato e di un servizio personalizzato di show cooking.

Il progetto di hotellerie, spiega Federico Buratti, “è formulato per garantire la privacy agli ospiti delle suite e, allo stesso tempo, mostra un’attenzione al servizio quasi sartoriale. Ogni dettaglio è costruito su misura per rispondere alle specifiche esigenze dei nostri visitatori. Nulla viene lasciato al caso”.

“La relazione con il cliente, ci racconta Federico Buratti, si costruisce a partire dal primo contatto, che sia la risposta ad una mail o ad una telefonata. Compatibilmente con le caratteristiche dei nostri ospiti, creiamo un percorso che possa supportarli e renderli partecipi di un’esperienza memorabile per tutta la durata del viaggio. Per questo è fondamentale conoscere e anticipare le esigenze di chi sceglie di vivere per un breve periodo in una città come Torino, considerata la meta principale per visitare e curiosare le bellezze del territorio piemontese e non solo”.

Quali sono quindi gli strumenti per migliorare la pianificazione di un viaggio e contribuire a creare una Customer Experience di successo?

“E’ molto importante, ci spiega Federico Buratti, offrire informazioni sulla città, dando la possibilità di sentirsi come a casa, sperimentando in tranquillità le curiosità e le caratteristiche del territorio; inoltre è fondamentale creare e suggerire una mappa dei percorsi itineranti a seconda delle attività preferite (musei, concerti, mostre, ecc..).

E per concludere, aiutare gli ospiti a stabilire una connessione emotiva con le persone e con il luogo, facendoli sentire coccolati e accompagnati in una dimensione di comfort e sicurezza”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Daniela Argentina

“Amore contrario”, nel romanzo di Badolisani la voglia di amare e la paura di essere amati

LIBRI / “Amore contrario”, il romanzo nato dalla penna di Badolisani, che racconta la voglia di amare e la paura di essere amati Dal 17 giugno 2021, in tutte le librerie e negli store online “Amore contrario”, il nuovo libro di Luisio Luciano Badolisani, edito da Golem Edizioni

Ernesto è un insegnante settantenne in pensione.

Solitario e all’apparenza burbero, si ritrova a ripercorrere gli amori passati, a
ricordare le donne con cui avrebbe potuto essere felice, se solo avesse concesso
loro la possibilità di amarlo. Ma perché si comporta così? Quali sono le ferite che
hanno portato Ernesto a respingere l’amore?

Quella di Amore contrario è una trama ricca di sorprese e colpi di scena, in grado
di tenere il lettore incollato dalla prima all’ultima pagina. L’uscita in tutte le
librerie italiane è fissata per il 17 giugno 2021.

Perché il titolo “Amore contrario”? «Posso dire che il titolo è stato l’elemento
scatenante, quello da cui partire e da riempire di contenuti» svela l’autore.

«Amore contrario è una definizione che mi piace, che trovo adatta a chi ama
molto e allo stesso tempo fa di tutto per non farsi amare. Secondo il
protagonista, per sottrarsi a ogni patimento, bisogna amare evitando di farsi
amare, in modo da non nuocere all’altro. Un amore al contrario, appunto.»

Nel romanzo le donne svolgono un ruolo centrale, da quelle che Ernesto ha amato a quelle che lo hanno
aiutato, come la sua insegnante al liceo, ma soprattutto Silvia, la sorella di Ernesto. «Ernesto e Silvia non
hanno avuto un’infanzia facile, poiché caratterizzata dalla violenza domestica e dai problemi psicologici di
Silvia, considerata quindi “diversa”, specie per le convinzioni sociali dell’epoca.»

Amore contrario offre diversi spunti di riflessione su più temi: da un lato la scelta di non farsi amare per
non soffrire, che conduce inevitabilmente alla solitudine. Dall’altro, le difficoltà familiari e la violenza e
infine la diversità, che spaventa e induce le persone a isolarsi e isolare.

«Normalmente, chi ama molto tende a voler essere ricambiato: si ama cercando amore. Così ho pensato di
raccontare la negazione di un legame affettivo, vista come la soluzione a un problema, perché se le peggiori
sofferenze si subiscono in famiglia, luogo che dovrebbe essere di protezione e di amore, allora meglio
evitare relazioni che possano provocare nuovamente tanto dolore.»

Estratto dal testo
Come potevo definire la mia vita? Un tracciato piatto: non c’era nulla che valesse la pena di essere raccontato. Ero uno qualunque che il mondo non avrebbe rimpianto. Si può vivere anche così, senza lasciare traccia del proprio passaggio. Mi sembrava strano che qualcuno quel giorno bussasse alla mia porta.

La trama di Amore contrario
È il 15 agosto quando, alla porta di Ernesto, solitario insegnante in pensione, bussano delle donne
misteriose, ma egli, spossato dal caldo estivo, invece di aprire preferisce riposare e seguire il corso dei suoi
pensieri, che lo riportano a episodi e persone del proprio passato: gli amori tormentati, i genitori, l’adorata
sorella Silvia. La vita affettiva del protagonista sembra essere inesorabilmente compromessa: come ogni
uomo, pur essendo desideroso di amare, risulta incapace di accogliere questo sentimento dalle sue donne,
rifuggendo dai legami stabili per non soffrire o far soffrire, perché certe ferite non si rimarginano mai.

Chi è Luisio Luciano Badolisani
Luisio Luciano Badolisani, formatosi a Torino alla fine degli anni Settanta, è
nato artisticamente come autore e interprete teatrale. Ricordi sincronizzati e
Ultimo atto sono alcuni dei suoi monologhi più significativi di quegli anni. Nello
stesso periodo è stato interprete di alcuni videotape underground, diventati dei
veri cult-movie degli anni Ottanta, come il Super 8 Barboni a vent’anni. In
televisione ha preso parte allo sceneggiato Passioni, girato sulle colline torinesi,
trasmesso da Rai Uno. Ha svolto l’attività di critico teatrale per la rivista Sipario;
per diversi anni è stato il responsabile dell’ufficio stampa di Assemblea Teatro –
teatro stabile di innovazione – per la quale, tra l’altro, ha recitato negli
spettacoli E il matto illuminò la notte e Pazze regine. Ha lavorato nel film Tornare indietro, trasmesso
recentemente dalla Rai, nel film Terrarossa e nella soap opera televisiva Vivere trasmessa su Canale 5. Ha
pubblicato: Il mare oscuro della verità, Linea Edizioni, 2019 – Goccia, libro per ragazzi – Edizioni Tripla E.,
2019; Note d’acqua – Umberto Soletti Editore, 2017; Torino uccide 1 e 2 – Yume Book, 2015 e 2016 – Il
silenzio dei rimorsi – Baima – Ronchetti, 2014; Una rosa a dicembre – Fògola, 2012; Giochi senza parole,
poesie e disegni – 2010. Per avere maggiori informazioni sull’autore:
https://badolisani.blogspot.com/p/luisio-luciano-badolisani.html

Il libro
Titolo: Amore contrario
Autrice: Luisio Luciano Badolisani
Genere: narrativa
Collana: Mondo
Pagine: 160
Prezzo: € 14,00
In libreria e negli store online dal 17 giugno 2021

A tu per tu con gli Indiivia

MUSIC TALES LA RUBRICA MUSICALE

Per realizzare grandi cose, non dobbiamo solo agire, ma anche sognare; non solo progettare ma anche credere.”

Oggi si parla di due artisti emergenti, fratelli, e li intervistiamo perchè sono appena nati con un progetto impegnativo ed interessante al quale ho avuto la fortuna di partecipare attivamente.

D – quando e come nascono gli Indiivia?

Gli Indiivia nascono ufficialmente quest’anno, nel 2021, dopo che nel periodo del lockdown di aprile 2020 abbiamo unito la passione per il canto di Agnese con quella per il pianoforte e della composizione di Tommaso, iniziando a condividere le nostre idee musicali.”

D – Da quanto tempo scrivi (Tommaso) e perchè proprio ora la realizzazione di tutti questi brani e non prima?

Ho iniziato a suonare il piano alle scuole medie, prendendo qualche lezione all’inizio, e proseguendo da autodidatta. Contemporaneamente ho iniziato a comporre i miei primi pezzi, che all’inizio erano brani solo strumentali. Un paio di anni fa ho iniziato a suonare con altri musicisti, proseguendo poi con un gruppo formatosi insieme ad amici, i Kanerva. Da quel momento ho iniziato a comporre vere e proprie canzoni, comprese di testi e arrangiamenti. Quando un anno fa mia sorella è rientrata dai suoi studi universitari negli Stati uniti, le ho proposto di cantare qualche brano scritto pensando alla sua voce. Da qui è nato il progetto degli Indiivia.”

D – Quale è la vostra opinione sul panorama musicale attuale? Trovate che la vostra produzione sia in linea con ciò che sentite o no?

Il panorama musicale italiano attuale è indubbiamente vario e ricco di generi differenti. A noi piace spaziare nei vari generi, e proprio per questo ci definiamo “un’insalata musicale”, perché non ci riferiamo a generi musicali o epoche, semplicemente sperimentiamo facendoci trasportare dalle nostre sensazioni e dalle emozioni del momento. Troviamo che in questo periodo nel panorama italiano ci sia un’apertura che permette agli artisti di esprimersi con più leggerezza e libertà, e proprio per questo ci sentiamo in linea con l’ambiente circostante, pur non identificandoci in nessun genere particolare (i brani che abbiamo scritto finora sono uno diverso dall’altro).”

D – Quale è stata la canzone più difficile da portare a termine in termini di scrittura e di cantato?

In termini di scrittura, sia di musica che di testo, parla Tommi: “Eagle è sicuramente stato finora il pezzo più impegnativo, questo perché musicalmente ha diverse variazioni di accordi e sonorità ricercate, e come testo ci tenevo a scriverlo in inglese, perché sapevo che fino a quel momento mia sorella aveva sempre preferito cantare in lingua inglese.”

in termini di cantato, la parola va ad Agni: “le difficoltà maggiori le ho riscontrate per la canzone che uscirà questa settimana, “La sera non c’è più”, perché è stato il primo pezzo in italiano che abbiamo registrato, e perché tecnicamente è impegnativa a livello di tonalità e di modulazione della voce in alcuni passaggi del brano. Come diciamo sempre scherzando, Tommi scrive i pezzi e trova le melodie articolate, e poi alla fine sono … problemi miei riuscire a cantarla, adattando la mia voce.”

D – Agnese, quanto trovi di te nei brani di tuo fratello? Ed in quale ti identifichi maggiormente?

Devo dire che Tommi riesce a tirar fuori esprimendo a parole e musica quelle emozioni che provo/ho provato in passato. È capitato che mi presentasse un brano che non rispecchiava il mio mood di quel momento, ma confrontandoci insieme e richiamando momenti passati o situazioni vissute, sono sempre riuscita a ritrovarmi nelle sue parole, mettendo sempre tutta me stessa in ogni brano.

Tra tutte le canzoni scritte finora, che usciranno nei prossimi mesi, Eagle è quella che mi identifica maggiormente. Infatti il brano racconta di una ragazza insicura che ricerca un equilibrio sfuggente, e anche se cantata in un periodo per me felice e spensierato, rispecchia perfettamente quella parte di me alla ricerca di se stessa e del proprio futuro.”

D – Tommaso, dicci quale è il brano che avresti voluto scrivere tu (presente nel panorama musicale) e perchè?

A livello generale, per me i Beatles sono un riferimento molto importante, e se dovessi identificare un brano che avrei voluto scrivere io, sceglierei senza pensarci due volte la loro canzone: While my guitar gently weeps, per la potenza emozionale della melodia e per la semplicità della struttura musicale, che riescono a toccarmi come nessun altro pezzo.

Per quanto riguarda il panorama attuale, sceglierei uno dei primi brani di Gazzelle, in particolare il pezzo: NMRPM, per la sua carica emotiva, e per come fa combaciare una forte malinconia con una base spensierata ed energica.”

D – Agnese, quanto conta l’aver studiato canto e quanto conta il talento?

Penso che il talento sia quel qualcosa che ognuno di noi ha in una certa misura, la vera difficoltà sta nel riuscire a scoprirlo. Una volta trovato va coltivato, perché l’impegno, la tecnica e lo studio aiutano a migliorarsi. Io studio canto da più di 10 anni, e in questo arco di tempo ho lavorato su tanti aspetti, dalla tecnica vocale con i suoi mille esercizi, allo studio dell’interpretazione, alla cura della presenza scenica, e soprattutto al riuscire a capire e a valorizzare le mie caratteristiche vocali.”

D – Uscirete con un nuovo brano a breve? Potete anticiparci qualcosa?

Sì, s’intitola “La sera non c’è più”, e uscirà questa settimana. E’ un brano completamente diverso da Eagle, è in italiano, più moderno, movimentato ed energico. E’ frutto del vissuto dell’ultimo anno, fatto di privazioni e limitazioni dovute alla pandemia. Sentivamo il bisogno di esprimere questa nostalgia che noi e molti nostri coetanei abbiamo provato nei mesi di lockdown e coprifuoco. Infatti “La sera non c’è più” descrive quel senso di limitazione dovuto all’impossibilità di vivere appieno la sera, svagarsi con gli amici e ballare fino a tardi.”

D – dove vi possiamo ascoltare?

Ci trovate come Indiivia su tutte le piattaforme digitali e sui principali social network.

Seguiteci e ascoltate la nostra musica!”

Per tutte le info e news potrete seguirli su

Facebook Indiivia, Instagram Indiivia e sul nostro Canale YouTube.

Ho scelto di segnalarvi “Eagle” perchè ne sono innamorata.

Quando vedi un’aquila, tu vedi una parte del genio; alza la testa!”

Meraviglia questo brano , ascoltatelo a cuore aperto, vi farà volare.

https://www.youtube.com/watch?v=kTzyceSBJBQ&ab_channel=Indiivia

Chiara De Carlo
*

Ecco a voi gli eventi della settimana!

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Antonio Monda “Il principe del mondo” -Mondadori- euro 19,00

Questo è l’ottavo capitolo della maestosa saga newyorkese scritta da Antonio Monda -professore alla New York University, direttore della Festa del Cinema di Roma- la cui casa nella Grande Mela ospita da anni la creme de la creme di scrittori ed attori.
In “Il principe del mondo” racconta la New York degli anni che vanno dal 1927 al 1930; tra progetti ambiziosi come la costruzione dei primi grattacieli più belli del mondo, la Grande Depressione e la crisi della borsa del 29, ma anche personaggi che creano imperi dal nulla.

Voce narrante è quella del giovane Jake Singer, assistente del geniale produttore cinematografico Sam Warner che a Hollywood sta per cambiare per sempre il mondo del cinema con l’introduzione del sonoro. Alla morte (misteriosa) del Tycon, Singer finisce a lavorare nientemeno che per Joe Kennedy, capostipite della famiglia americana più importante del 900.

Kennedy si è fatto dal nulla: è intelligente, ambizioso e spregiudicato tanto da aver creato la sua fortuna con il contrabbando dei liquori durante il proibizionismo. Ora punta anche a investire nella mecca del cinema e frequenta mostri sacri come l’attrice Gloria Swanson con la quale tradisce sua moglie Rose, fervente cattolica indaffarata a sfornare un figlio dopo l’altro.

Kennedy è una figura controversa e senza scrupoli, punta sempre più in alto, fino ad ambire alla presidenza; ma per lui che è antisemita, omofobo, filonazista, amico di criminali e contrabbandieri, la Casa Bianca è inavvicinabile.
Però quest’uomo, pieno di lati oscuri e spietato, non demorde e allena i suoi figli maschi a diventare presidenti degli Stati Uniti d’America.
Come andò lo sappiamo tutti, la maledizione che pesò su Camelot inflisse a Joe e Rose lo strazio di 4 figli morti tragicamente.

Ma nelle pagine di Antonio Monda troviamo un punto di vista privilegiato, quello di Jake Singer, che ci racconta il dietro le quinte dei maneggi di Kennedy, e ci introduce in un mondo di ricchezza, lusso e sogni di potere. Ci sono anche personaggi come il maggiordomo dei Kennedy, al quale Monda tiene particolarmente. E’ ispirato a una persona che lo scrittore ha conosciuto personalmente: parente povero che serve il ramo della famiglia ricchissimo e dispensa battute importanti, facendo un po’ la morale di quanto accade.

Nel libro poi c’è anche molta New York -per eccellenza la città di persone motivate, energia e grandi opportunità- che vuole eccellere e dimostrare la sua forza e coraggio. Una metropoli che sa rialzarsi sempre… e più svettante di prima.

 

Alessandro Barbero “Alabama” -Sellerio- euro 15,0

Preparatissimo, gran divulgatore che miscela simpatia, entusiasmo ed erudizione a tonnellate, ben oltre la sua formazione di esperto del Medio Evo. Alessandro Barbero è tutto questo e molto…molto di più, è il professore universitario che tutti vorrebbero avere.

Questa volta fa centro con il nuovo romanzo in cui racconta i massacri della Guerra Civile americana che, tra 1861 e 1865, vide su fronti opposti gli Stati del nord contro quelli del Sud schiavisti.
Conflitto che spaccò in due il paese: tra chi voleva abolire la schiavitù dei negri e chi invece la difendeva, anche perché l’economia sudista si reggeva sulle vaste e ricche piantagioni in cui gli schiavi di colore lavoravano, sputavano fatica e sangue, ed erano frustati o uccisi per un nonnulla.

Barbero è abilissimo nel dare voce ad un vecchio soldato del sud, sconfitto in battaglia.
E’ Dick Stanton, rintracciato dalla studentessa di un college che, per scrivere la tesi di laurea, lo interpella sulla sua partecipazione alla guerra di secessione.
L’anziano non si sottrae alle domande, narra ricordi lontani; solo si appisola ogni tanto aumentando la suspence.

Dick è un “povero bianco” che ha combattuto nelle file della Confederazione, e narra la spavalderia con cui lui e i suoi compagni affrontarono gli “Yankees” e la loro pretesa di abolire la schiavitù.
E’ sopravvissuto alla feroce battaglia di Wilderness che fu un atroce massacro, con morti da entrambe le parti. Fu soprattutto una carneficina vigliacca e una follia dei confederati che ammazzarono senza un’oncia di pietà i negri che erano scappati dalle piantagioni e si erano accodati ai nordisti.

Pagine agghiaccianti che svelano come la vita degli schiavi valesse nulla, tanto da portare all’orribile mattanza.
Barbero riporta alla luce episodi della Guerra Civile di 150 anni fa, ma precisa che la storia di ieri ha un forte aggancio con quella odierna: perché sussistono gravi problemi nei rapporti tra bianchi e neri, e basta leggere la cronaca per rendersene conto.

 

Francesca Chelli “Metti che vivo” -La torre dei venti- euro 15,00

Una carriera prestigiosa, un marito e figlie perfetti, una splendida casa nel cuore chic di Milano, una vita che in molte vorremmo. Ma che succede quando la malattia irrompe e tutto sembra frantumarsi?
E’ quello che ci racconta nel suo libro autobiografico di esordio Francesca Chelli, donna bella e di gran fascino, dalle mille potenzialità.

E’ nata a Genova, trapiantata a Milano dove si è laureata all’Università Bocconi -dunque ha anche una gran bella testa-, sposata e madre, ha intrapreso pure una fulgida carriera.
Per 10 anni è stata amministratore delegato di un’importante multinazionale del caffè in Italia; poi ha fondato la sua società di consulenza in marketing e comunicazione. Ha un suo blog –www.mystylenotebook.com- e l’account Instagram @franci_chelli.

Protagonista e alter ego dell’autrice è Livia, che rispecchia sensibilità, forza interiore e capacità di reagire: doti di cui Francesca Chelli deve essere ben equipaggiata e che le hanno permesso di attutire i duri colpi che la vita le ha inferto.

Con eleganza, pudore e gran sincerità racconta come la sua vita sia stata sconvolta da una misteriosa malattia dell’amato marito Federico. E quello che sembrava un sodalizio inossidabile, fatto di affetto, fiducia, condivisione di valori e concezione della vita, di colpo e inaspettatamente si trasforma in una convivenza difficile e infelice.

Federico incomincia a camminare con difficoltà, il suo è un male che i medici stentano a diagnosticare e curare; e man mano che peggiora, il suo carattere sembra trasformarsi…in peggio.
Livia diventa il capro espiatorio dei malumori crescenti del compagno, che scarica su di lei tutto il peso della propria sofferenza. Quell’intesa sulla quale era edificata la loro esistenza si sfracella in sofferenza e continue incomprensioni.

Il matrimonio che sembrava felice precipita in un inferno quotidiano.
E se è vero che nel momento del bisogno si scopre la vera tempra di una persona, quella di Livia è fedelmente ancorata alla lealtà che il vincolo matrimoniale comporta; insieme al senso di responsabilità e mutuo soccorso “in salute e malattia”. La costellazione interiore dei suoi profondi valori diventa la boa a cui attaccarsi nel mare in tempesta.

E non vi dico come si sviluppano sentimenti, emozioni e fatti, per non anticipare troppo di questo romanzo scritto benissimo, senza sbrodolature e retorica. E che affronta un’impasse di vita che può afferrare ognuno di noi, in qualunque momento. Pagine di vita in cui molti potrebbero riconoscersi, e dalle quali trarre spunti importanti.

 

Kathy Reichs “Il prezzo del passato” -Rizzoli- euro 19,00

La Reichs, nata a Chicago nel 1948, è antropologa forense in Québec ed insegna all’Università di Charlotte, ed è una delle scrittrici di thriller di maggior successo con la sua protagonista –e in parte alter ego- Temperance Brennan. I suoi best seller hanno anche ispirato la serie televisiva “Bones”.

Qui siamo alla sua ventesima indagine che si muove su più piani.
Su quello personale, Tempe continua a dividersi tra Charlotte e Montreal, sempre con il suo gatto Birdie al seguito, e mantiene un forte legame con il tenente investigativo Andrew Ryan, fatto però di alti e bassi.

Poi c’è un rebus agghiacciante. L’infuriare dell’uragano Inara ha scaraventato sulle rive dell’oceano, all’altezza di Charleston, un fusto per rifiuti sanitari con dentro i cadaveri di due corpi femminili nudi, senza dita né denti che sarebbero utili per l’identificazione.
Questo ritrovamento è per Temperance un deja-vù, perché 15 anni prima un caso identico l’aveva vista in azione, ma senza successo. All’epoca, a Montreal, nel fiume era stato ritrovato un analogo bidone con i resti di una donna e una bambina, delle quali non si erano mai scoperti i nomi. Coincidenza o cos’altro?

Ad aggiungere pathos al romanzo c’è poi anche il misterioso dilagare di un virus trasmesso dagli animali all’uomo, sempre a Charleston. Qui le indagini oscillano tra presente e passato, riportano al tentato omicidio di Tempe e Ryan, e gli indizi vanno nella direzione di uno scienziato geniale, privo di moralità. E’ un ex ragazzino prodigio diventato biochimico e ingegnere informatico, esperto di ricerche sul genoma e di vaccini.