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In difesa dell’Inno di Mameli

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni  Lo scrittore ottantacinquenne Ferdinando Camon che io, in verità,  ritenevo – sbagliando grossolanamente – che fosse già defunto da tempo insieme alla sua opera, ha battuto un colpo,  scrivendo un vergognoso articolo in cui attacca con parole da vilipendio l’Inno nazionale italiano, sostenendo che esso andrebbe sostituito con  “Bella ciao“, una tesi peregrina, politicamente e storicamente delirante. All’inizio del pezzo sembrava che scherzasse, ma purtroppo intendeva scrivere seriamente.

Non merita ripetere quanto ho sostenuto nei giorni scorsi su questo giornale sulla proposta incredibile di alcuni deputati della sinistra che vorrebbero rendere obbligatoria per legge “Bella ciao“ dopo – bontà loro – l’Inno di Mameli , come fece il fascismo nel 1925 con il canto di “Giovinezza “dopo la “Marcia Reale“.  Ma non merita, a maggior ragione, controbattere a Camon che esordi’  significativamente con l’appoggio di Pasolini che al suo confronto appare un grande. Le offese che arreca all’Inno di Mameli, un inno che nacque nel fervore di un Risorgimento che Camon ignora, sono così insulse da non meritare replica. Merita una  replica invece chi gli pubblica i suoi  articoletti su quella che non è più “La Stampa“, ma la nuova versione dell’”Unita‘“. Dando spazio a quelle idee  in verità leggermente senili, quei giornalisti cancellano totalmente la storia del giornale, dandolo in mano ai Camon e alla Murgia. “Bella Ciao“ inno nazionale italiano e’ un eresia priva di senso. Anche molti  resistenti non si riconobbero in quella canzone  che Giorgio Bocca scrive di non aver mai sentita cantare durante il suo partigianato. L’avere la faccia tosta di volerla sostituire all’Inno di Goffredo Mameli che morì in seguito alle ferite riportate  nella difesa  della Repubblica romana di Mazzini, rivela anche un’ignoranza storica grossolana che crea una cesura netta tra primo e secondo Risorgimento che molti resistenti hanno invece  ritenuto affini . I catto – comunisti non riescono a capire il senso della storia italiana a cui sono stati estranei ed a cui  continuano ad essere gramscianamente    ostili. Senza accorgersene  stanno lavorando alacremente al successo del centro – destra . Chi è a sinistra e ha mantenuto il buon senso deve invitare questi residuati bellici ad astenersi dallo scrivere queste amenità che offendono gli Italiani. Occorre metterli a tacere almeno per un po’ nell’interesse della sinistra .

Il generale Perotti avrebbe cantato “Bella Ciao”?

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Non ho nulla contro “Bella Ciao“, un motivo orecchiabile che però ha ben poco da spartire con la storia della Resistenza italiana,  come dimostrano tre autorità in materia, lo storico ufficiale della Resistenza Roberto Battaglia, lo storico della canzone popolare Michele Straniero e il giornalista- partigiano Giorgio Bocca che sostennero la marginalità della canzone durante la guerra partigiana

 

Bocca scrisse di non averla mai sentita cantare durante il suo partigianato. Ha acquisito notorietà attraverso l’ Anpi dopo la guerra e caratterizzò i partigiani garibaldini. Ebbe anche fama internazionale attraverso il festival della gioventù di Praga durante il periodo staliniano. La vera canzone della Resistenza e’ “Fischia il vento“ composta dal medico partigiano Felice Cascione, medaglia d’oro al Valor Militare che fu eroico capo partigiano in Liguria che adatto’ un testo ad una musica russa. Anche questa canzone divenne identificativa della Resistenza garibaldina. “Bella ciao“ appartiene ad un ‘altra storia m, precedente alla Resistenza (le mondariso) e si lego ‘ dopo la guerra all’Anpi.
Ne’ la Fiap ne’ la Fivl l’hanno mai adottata. Fiap significa partigiani azionisti, Fivl significa Cadorna, Mauri, Taviani e tanti altri valorosi volontari per la libertà non comunisti. La Resistenza non fu solo rossa, ma fu plurale nella partecipazione, ad esempio, di tanti militari,  dall’eroico Gen. Giuseppe Perotti all’avvocato Valdo Fusi che rischio’ la fucilazione al Martinetto e che è autore del più bel libro sulla Resistenza. Mai Perotti o Fusi avrebbero cantato quella canzone. Il rispetto per la storia manca del tutto a quei parlamentari che vorrebbero imporre per legge il canto “Bella ciao“ dopo l’Inno nazionale in occasione delle cerimonie del 25 aprile. Già di fatto l’Anpi, che monopolizza tutte o quasi le cerimonie – complici i sindaci anche di centro – destra -ha imposto il canto di quella canzone , ma renderla obbligatoria per legge e’ un abuso e un’offesa a tutti i volontari della Libertà di altro orientamento politico. E’ una cosa che fa pensare a quando nel 1925, l’anno del fascismo divenuto regime,  venne imposto il canto di “Giovinezza” dopo la Marcia Reale. Anche in quel caso il fascismo si impossessò di una canzone non storicamente sua, ma l’idea di aggiungere qualcosa all’Inno nazionale e’ di per se’ sbagliato in linea di principio e se poi ci riferiamo all’Inno di Mameli,  inno patriottico di matrice repubblicana e democratica , “Bella ciao “ appare un’appendice divisiva di una parte politica del tutto non giustificata. A nessun vecchio e vero partigiano venne mai in mente una proposta del genere.  Il vecchio Arrigo Boldrini presidente nazionale dell’Anpi , non avrebbe mai dato retta a proposte stravaganti del genere. I comunisti erano duri nelle idee , ma erano persone serie.  Lo storico Battaglia ne e’ stato la dimostrazione, ma non certo solo lui. La storia va rispettata e l’Inno nazionale che ha una nobile matrice risorgimentale , non va confuso con altri canti, come il tricolore e’ unico e non appaiabile se non alla bandiera europea. Credo si tratti di una proposta elettoralistica – che si richiama alla signora Boldrini , intollerabilmente faziosa – ma sicuramente incompatibile con la storia migliore del Pd. L’idea di imporre di cantare in coro e’ di per se’ una scelta poco democratica, come dimostra la storia non solo italiana. E’ un qualcosa che evoca il conformismo, per usare un eufemismo gentile, e spezza quella solidarietà antifascista tricolore che e’ alla base della vera Resistenza.

Inviato da iPhone

Chi è Laura Orestano, AD di Socialfare, Center for Social Innovation

Rubrica a cura di Progesia Management Lab

Laura Orestano incarna alla perfezione il concetto di passione e concretezza perché il suo amore per ciò che fa porta a risultati precisi. È Amministratore Delegato di SocialFare, primo Centro per l’Innovazione Sociale in Italia e Presidente di SocialFare Seed, primo veicolo di seed impact investing in Italia. E’ anche membro del Consiglio di Amministrazione del Cottino Social Impact Campus, primo campus formativo completamente dedicato alla creazione di social impact culture. Vanta inoltre una lunga esperienza industriale in business strategy e innovazione sociale ed ha lavorato in UK, USA, Lussemburgo e Germania. Tra i suoi numerosi titoli ed incarichi ricordiamo: EU Social Innovation Expert, Fellow of the Royal Society of Arts (UK), Jury Member della EU Social Innovation Competition. Nel 2016 ha ricevuto il premio Women Economic Forum “Trailblazer Innovative Woman of the Decade” e nel 2018 è divenuta Partner di ActionAid Onlus. Perché quando cuore e testa dialogano tra loro, i risultati sono eccezionali e Laura Orestano ne è la dimostrazione.

Laura Orestano SocialfareQual è la mission di SocialFare e quali sono i progetti futuri?

“SocialFare ha una mission precisa: costruire innovazione sociale. Cosa significa? Significa sviluppare soluzioni innovative per rispondere alle sfide sociali contemporanee; lo facciamo attraverso l’accelerazione di conoscenza e di impresa a impatto sociale, cioè supportando con competenze e consulenza esperta chi voglia sviluppare nuovi prodotti, modelli e servizi rilevanti per le persone, per la comunità e creare quindi nuova economia a impatto sociale. L’impatto sociale è al centro della nostra impresa: è l’effetto positivo che ci poniamo come intenzione delle nostre azioni, per il miglioramento della qualità della vita, per la lotta alle disuguaglianze, per sostenere l’inclusione sociale, per generare innovazione davvero utile e rilevante per le persone. Per analizzare e rendere concrete queste intenzioni, abbiamo bisogno di know-how esperto, di un approccio sperimentale, di partnership ibride e di finanza coraggiosa e paziente. Le persone e le comunità diventano co-progettisti delle soluzioni per le sfide che devono, che dobbiamo, affrontare tutti i giorni, sono coinvolte nello sforzo progettuale e sono parte della soluzione. Questa visione, la visione dell’innovazione sociale, non è speculazione astratta, teorizzazione di pochi ma accade in Italia e nel mondo in modo sempre più definito, evoluto e apprezzabile attraverso sperimentazioni che davvero migliorano la vita delle persone, creano nuova impresa sostenibile, concentrandosi su ciò che conta davvero nella nostra vita quotidiana. Tutto questo richiede studio, sperimentazione, iterazione, rischio, passione e sinergie”.

Quando è nata SocialFare?

“SocialFare è nata come impresa sociale nel 2013 e attraverso il lavoro di una bellissima squadra è cresciuta nella reputazione, nei risultati, nel fatturato ma soprattutto nella qualità delle attività fatte insieme a tanti partner diversi e accompagnando tante nuove imprese a impatto sociale verso traguardi non scontati. Imprese fatte soprattutto da giovani con un obiettivo preciso: giocare il proprio ruolo nel mondo con gli altri e per gli altri grazie all’innovazione e all’intenzionalità di generare impatto sociale positivo attraverso l’azione imprenditoriale. Ne cito solo alcune, senza fare torto alle tante che abbiamo e stiamo accompagnando: UnoBravo, Restorative NeuroTechnologies, Epicura, Synapta, Kalatà, HumusJob, BonusX. Questa è la nuova “prateria” nella quale correre: l’Unione Europea con NextGenerationEU pone un forte accento e risorse considerevoli sulla coesione sociale, la sostenibilità integrale, l’impresa impact-driven che attrae talenti e passione; anche la finanza sta scoprendo il mondo impact e inizia ad investire e a creare fondi dedicati all’impresa a impatto sociale. Torino è un punto chiaro in questa nuova prateria”.

In cosa consiste l’approccio human-centered? 

“L’approccio human-centered o meglio il cosiddetto human-centered design fa parte dell’expertise di SocialFare. È un approccio progettuale che coinvolge la prospettiva della persona in tutte le fasi del processo di risoluzione di un problema. Le necessità e i comportamenti delle persone diventano centrali per analizzare e progettare soluzioni innovative. In SocialFare lavoriamo affinché la conoscenza tacita che c’è nelle comunità possa divenire esplicita e partecipare al processo di sviluppo di soluzioni rilevanti per i più”.

Che cos’è FOUNDAMENTA?

“Per arrivare ai nostri potenziali innovatori, a coloro che intenzionalmente vogliono creare impresa a impatto sociale, SocialFare ha lanciato già a fine 2015 la prima call per startup a impatto sociale, appunto, Foundamenta, che oggi è alla sua dodicesima edizione e che raccoglie, due volte l’anno, più di 400 candidature da tutta Europa. SocialFare seleziona tra tutte le candidature pervenute, quelle sulle quali ritiene di poter lavorare apportando competenze e valore aggiunto e le accompagna in un percorso intensivo di 4 mesi per farle divenire investibili e scalabili. Ma il primo passo lo facciamo noi, investiamo nelle startup che selezioniamo, attraverso il nostro veicolo di investimento SocialFare Seed. Sono orgogliosa di poter dire oggi che il modello e le competenze di accompagnamento messe in campo funzionano e lo dicono i risultati raggiunti dalle startup stesse”.

SocialFare ha supportato Restorative Neurotechnologies, la startup che ha ideato i dispositivi medici per la riabilitazione e il potenziamento cognitivo. Un traguardo importante per la telemedicina?

“Ecco, Restorative Neurotechnologies è un esempio di successo: non solo un traguardo importante in termini di soluzione innovativa, riabilitazione neurologica e cognitiva attraverso specifiche lenti ed esercizi digitali, ma anche in termini di scalabilità. Restorative NT ha raccolto recentemente investimenti per oltre 1 milione di euro da investitori diversi e importanti e il team è super concentrato sui prossimi passi: quindi un traguardo importante anche come modello di impresa a impatto sociale, forte in tecnologia, managerialità e capitali”.

Donna per lei significa?

“Significa ricchezza, molteplicità: essere donna significa essere ricca di potenzialità e aperta alla molteplicità del mondo, perché pronta ad includere con fiducia e concretezza. Come donna penso che la scelta di senso che diamo a questa ricchezza e molteplicità nel corso della nostra vita è quello che dovrebbe fare la differenza per noi stesse e per gli altri, impegnandoci per un futuro più equo, giusto e inclusivo”.

IL FOCUS DI PROGESIA

Foundamenta è la call di SocialFare, che raccoglie le candidature italiane da parte di start up, aziende a impatto sociale che vengono selezionate e portate nel programma di accelerazione dal Centro di Innovazione.

Due volte l’anno, attraverso questa call, i progetti delle giovani realtà imprenditoriali hanno l’opportunità di essere supportati nel proprio percorso di crescita e nella formulazione di servizi nuovi da immettere sul mercato.

Laura Orestano, Ceo di SocialFare, ci spiega quali sono le caratteristiche che devono possedere le start up innovative ad impatto sociale. “Le start up devono affrontare delle sfide sociali contemporanee, avendo molto chiara una teoria del cambiamento e sviluppando una risposta innovativa alla sfida sociale in corso. Al tempo stesso devono poter proiettare le proprie metriche verso e per una sostenibilità economica della propria proposta”.

“Faccio un esempio: una delle ultime start up che abbiamo selezionato e accompagnato nel nostro programma di accelerazione si chiama Unobravo, una piattaforma di psicoterapia online per italiani residenti all’estero, che abbiamo supportato nella sua crescita.  Oggi questa start up ha un fatturato notevolissimo, è molto attrattiva e ha già raccolto molti investimenti.

Qual è l’impatto sociale che crea? “Un miglioramento del benessere e della qualità di vita delle persone”, spiega Laura Orestano. “La popolazione target, come quella dei connazionali all’estero, ha l’opportunità di beneficiare di servizi di psicoterapia in lingua madre, disponibile secondo il fuso orario di propria localizzazione, per agevolare l’esperienza nel paese ospitante e favorire l’integrazione nel tessuto sociale.

Inoltre, spiega la Dott.ssa Orestano, “la start up, attraverso i suoi ricavi è riuscita a raggiungere una sostenibilità economica importante e di lungo periodo. Questo significa che il mercato valorizza e premia le soluzioni innovative e facilmente fruibili da parte degli utenti target”.

Quali sono dunque le best practice che aiutano le start up innovative a raggiungere risultati concreti? SocialFare ci propone delle indicazioni da seguire:

  • Presentare un progetto che risponda in modo innovativo alle sfide sociali contemporanee;
  • Organizzare un team dedicato, con specifiche competenze; un team che crede in quello che fa e vuole provare e testare la propria idea, raccogliendo metriche ed evidenze di funzionamento e market fit;
  • Acquisire e sviluppare know-how che permetta di iterare e sperimentare le versioni del prodotto/servizio/modello;
  • Applicare strumenti e metodologie universalmente riconosciute: human-centered design, design sistemico, design-thinking, agile & lean;
  • Presentarsi ad un network di investitori a impatto sociale per i quali la soluzione d’impresa possa rappresentare un’interessante sperimentazione e un modello attrattivo nel quale investire per favorirne la scalabilità.

“Un mix di creatività, spirito di iniziativa, empatia e coraggio costituiscono, infine, il motore del cambiamento e la capacità di trovare soluzioni fuori dagli schemi tradizionali, davvero rilevanti per le persone e le comunità”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Daniela Argentina

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Ruman Alam “Il mondo dietro di te” -La nave di Teseo- euro 20,00

Il romanzo, che è stato finalista al National Book Award -e ha ispirato un film che prossimamente vedremo su Netflix, interpretato da Julia Roberts e Denzel Washington- inizia col passo lento della normalità per finire in un incubo senza fine.

Una comunissima famiglia americana newyorkese della middle class, -Clay, Amanda e i figli Archie di 16 anni e Rose 13- affitta su Airbnb una bellissima villa con tanto di piscina, in un angolo remoto di Long Island. L’idea sarebbe quella di trascorrere una vacanza tranquilla e rilassante; poi qualcosa accade e niente sarà mai più come prima.

Una notte, alla porta si presenta una coppia di colore: sono George e Ruth, dicono di essere i padroni di casa, in fuga da Manhattan e dalla loro residenza dorata nell’Upper East Side, dove sta accadendo qualcosa di terribile e inspiegabile. Un blackout ha ammantato di buio la Big Apple, e loro, che vivono ai piani alti di un palazzo, non si sentono al sicuro. Così hanno pensato di allontanarsi e chiedono di potersi rifugiare nella loro casa.

Logico il sospetto iniziale e il disappunto di Clay e Amanda, per nulla contenti del cambiamento improvviso di rotta della loro vacanza, e neanche possono verificare se George e Ruth dicono la verità perché cellulari, wi-fi e televisione non funzionano.
Isolati dal resto del mondo, sperimentano un’angoscia crescente man mano che si verifica una serie di eventi inspiegabili, che sembrano preannunciare qualcosa di temibile e oscuro come la fine del mondo. Una catastrofe annunciata che svela le nostre paure più recondite e attuali.

Senza anticipare troppo i vari colpi di scena, i 6 personaggi si troveranno ad affrontare un rumore assordante mai udito prima e capace di incrinare i vetri, centinaia di fenicotteri in piscina e infiniti cervi nel giardino.
Il terrore e l’incertezza prendono piede pagina dopo pagina e, anche se i protagonisti non possono saperlo, intanto a New York la gente muore negli ascensori e nella metro bloccati. Il mondo sembra diventare sempre più un luogo ostile, pericoloso e capace di fare ammalare le persone.

Preparatevi a quello che è stato definito in più modi: disaster novel ma senza disaster, distopia, thriller, satira.
Un intrigante libro scritto in modo magistrale che parla di razza, classe, famiglia, dipendenza esagerata dalla tecnologia; ma anche cambiamento climatico e forse preannunciata fine del mondo con un definitivo Bing Bang.

 

Chris Hammer “Scublands noir” -Neri Pozza- euro 19,00

Un’Australia infuocata dal caldo torrido fa da sfondo all’appassionante thriller di Chris Hammer. Giornalista, autore di un reportage sul suo paese e di 3 romanzi non ancora pubblicati in Italia; ma che speriamo di poter leggere presto, se mantengono le promesse di questo romanzo imbastito e scritto benissimo.

Tutto si svolge a Riversend, piccola cittadina fatiscente, penalizzata dal clima inospitale e dalla siccità; è
un’invenzione letteraria dell’autore, ma identificabile con molti paesini dello sconfinato e soffocante “outback”.
Qui ha avuto luogo un massacro inspiegabile. Una mattina il prete anglicano Byron Swift, fuori dalla chiesa, con un fucile da caccia ammazza 5 uomini del paese; poi attende sui gradini l’arrivo del poliziotto locale che gli spara. Nessuno capisce cosa abbia scatenato tanta furia omicida in questo affascinante sacerdote che ha sparato con calma e metodo selettivo alle vittime, lasciando vivi gli altri secondo una logica inafferrabile.
Un anno dopo il giornalista Martin Scarsden – reduce da un’esperienza traumatica nella Striscia di Gaza- e con la carriera pericolante, viene spedito a Riversend per scrivere un reportage su come vive il paese nell’anniversario della carneficina.
Incontra le gente del luogo, cerca di capire chi era davvero il sacerdote, sul quale pesava anche l’ombra di molestie sessuali sui ragazzini, e vuole scavare a fondo per mettere a fuoco le ragioni di tanta violenza.

Soprattutto s’invaghisce della 29enne libraia Mandy: bellissima ragazza madre del piccolo Liam e convinta di essere figlia del balordo del paese, Harley Snouch, che avrebbe violentato sua madre.
Man mano che Martin procede nella sua indagine, vengono fuori vari e assortiti scheletri nell’armadio degli abitanti della cittadina in disarmo.

A smuovere ulteriormente la stentata sopravvivenza del luogo c’è anche il ritrovamento dei cadaveri di due turiste straniere e l’ennesima caccia al colpevole.
Preparatevi a continui colpi di scena, a scoprire che l’autore della strage non era chi diceva di essere e che anche altri personaggi nascondono segreti, tutto in un crescendo di patos che rende formidabile questo thriller australiano.

 

Aa. Vv. “Qui giace un poeta” -Jmenez- euro 20,00

Questo è un libro magnifico che parla dei sepolcri di grandi personaggi; ma celebra anche le loro vite attraverso le narrazioni dei vari autori che su quelle tombe ci sono andati, spinti da curiosità e profonde emozioni.
Partiamo dall’assunto che il modo in cui viene onorata la morte e la cura dei cimiteri dicono molto sulla civiltà o meno di un popolo.

Ed ora immergetevi nei racconti degli oltre 50 autori italiani e stranieri –tra scrittori, giornalisti, artisti, editori, librai e blogger- che condividono la passione per i viaggi sulle tombe di personaggi illustri, che hanno lasciato tracce importanti del loro passaggio sulla terra.
Sono 60 i sepolcri raccontati nel libro e sparsi per il mondo, tra Europa, Stati Uniti d’America e sud America.

Comprendono tombe sfarzose, in cimiteri famosi e suggestivi come i parigini Père Lachaise (dove sono sepolti tra gli altri Apollinaire, De Balzac, Oscar Wilde, e Marcel Proust); o il cimitero di Montparnasse (Baudelaire, Sartre e la De Beauvoir, Serge Gainsbourg); quello Acattolico di Roma (Keats e Camilleri); lo Staglieno di Genova (dove c’è la tomba di Fabrizio De André le cui ceneri però sono state sparse in mare); il cimitero degli Inglesi (Elizabeth Barret Browning).

Oppure sepolture dimesse, come la semplice lapide in un prato di Jack Kerouac.
O quelle deludenti che ricordano le sorelle Emily e Charlotte Brontë -non nel suggestivo cimitero che è stato il panorama di tutta la loro vita davanti alla canonica paterna- ma nella chiesa di St. Michael’s and All Angels Haworth in Inghilterra.

E tra i pellegrinaggi più suggestivi, quello al giardino di Monk’s House a Rodmell in Inghilterra: ultima dimora della grande Virginia Woolf, (suicidatasi nel fiume Ouse), dove le sue ceneri sono ai piedi di un grande olmo.
Ma questo è solo un accenno alle tante meraviglie di questo libro, in cui le visite alle tombe diventano spunto per raccontare vite, successi, dolori e caratteri dei tanti personaggi che non sono morti del tutto, perché il ricordo dei loro talenti resta imperituro in un continuo scambio di pensieri tra vita e morte.

 

Patricia Cornwell “Spin” -Mondadori- euro 22,00

La scrittrice americana di stratosferico successo con i suoi thriller che hanno per protagonista il medico legale Kay Scarpetta, ora esce in libreria con la seconda avventura del suo nuovo personaggio, Calli Chase: investigatrice, scienziata della Nasa e pilota della Space Force.

L’avevamo incontrata nel precedente libro “Quantum” in cui la Cornwell aveva preso spunto da una sua visita alla Nasa, guidata da una scienziata che aveva una sorella gemella.
Con l’intento anche di capire più a fondo come si vive con qualcuno che è la copia di te stesso (e dando spazio anche a una sorta di indagine sulle complesse dinamiche familiari) è nata l’idea di imbastire nuove trame con al centro le gemelle Calli e Carme, cresciute in una fattoria della Virginia più rurale.

“Spin” inizia con un disastro: a causa di un gravissimo attacco informatico è fallito il lancio di un razzo destinato al rifornimento di una Stazione spaziale internazionale.
La trama si complica con l’incontro faccia a faccia di Calli con la gemella che era scomparsa nel nulla da tempo, e con la nostra eroina inghiottita da un vortice di colpi di scena che rimandano a segreti del passato.

E scopriamo che le gemelle da piccole erano state reclutate per il progetto governativo “Gemini” (gemelle) e addestrate per trasformarsi in “guardiane dell’Universo”.
Il thriller dunque è rocambolesco e avveniristico, Calli Chase è una specie di James Bond al femminile, giovane, super preparata e decisamente hi-tec.

La Cornwell ci apre così una finestra sullo Spazio, sottolineando come questo sia legato alla Terra più di quanto crediamo.
E ci ricorda come ogni nuovo passo della scienza ci riconduca al rebus: da dove veniamo, quanto potrebbe durare la vita sul nostro pianeta e la necessità di esplorare nuovi pianeti.
Nel romanzo lo scenario inquietante prelude al rischio di una catastrofe da evitare.
Vi anticipo solo che dietro il sabotaggio potrebbe esserci lo zampino della miliardaria del settore tecnologico che punta al controllo dello Spazio, Neva Rong.

 

“I Regni di Dante”

LIBRI / Un libro di Raffaele Rinaldi relativo alla Divina Commedia pubblicato proprio in occasione del 700° anno dalla morte del Sommo Poeta.

Il saggio “I Regni di Dante”, strutturato in forma di dialogo tra un giovane sulla soglia dell’età adulta e un anziano professore in pensione, ripercorre il cammino dantesco attraverso i regni ultramondani di Inferno, Purgatorio e Paradiso.  “Nel mio studio – spiega l’autore – ho inoltre cercato di descrivere le architetture della voragine infernale e del secondo regno, seguendo le indicazioni disseminate nella Divina Commedia”.

Un’avvincente esplorazione tra i segreti della Divina Commedia.  Qual è il modo migliore perché un giovane sulla soglia dell’età adulta si appassioni alla lettura della Divina Commedia? L’analisi di un testo così difficile non sembra costituire certo la sua attrattiva maggiore. Ma è davvero così? È la domanda che Giorgio, anziano professore in pensione, e sua moglie Mariella si sono posti quando hanno invitato il giovane Filippo a discutere proprio di questa grande Opera, tra i cui pregi c’è senza dubbio anche quello di costituire un punto d’incontro per generazioni in apparenza distanti fra loro. Il ragazzo dal canto suo, sebbene in un primo momento scettico sulla reale utilità dell’incontro e restio a prestarsi a questa sorta di esperimento, si lascerà poi coinvolgere, appassionandosi. Scoprirà di dover rivedere gran parte delle sue conoscenze in merito all’architettura dei Regni ultramondani che credeva ormai assodate, come le dimensioni della Voragine infernale, la posizione del Monte del Purgatorio o la sua reale forma. Ne scaturisce un singolare dialogo, durante il quale i partecipanti non mancheranno di mettere a nudo anche gli aspetti salienti della propria personalità. Fanno da sfondo gli endecasillabi danteschi con i loro segreti, i loro significati nascosti che il Poeta, con il suo _parlar coverto_, invita a ricercare.
Un libro ricco anche di illustrazioni volte a rendere più comprensibile il testo a chi ha meno confidenza con l’Opera originale.

Raffaele Rinaldi si racconta:

sono nato nato in provincia di Rieti. Dopo il diploma mi sono trasferito a L’Aquila per conseguire la Laurea trimestrale in Ingegneria Meccanica e in seguito a Torino per frequentare il Politecnico e conseguire la Laurea magistrale in Ingegneria Aerospaziale. Attualmente vivo e lavoro come progettista CAD nel capoluogo piemontese, convivo felicemente con la mia compagna e abbiamo un figlio di quasi quattro anni.

Il referendum del ‘46 secondo il romitiano Fornaro

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni  Il quotidiano “La Stampa“,  sempre più lontano dal giornale fondato da Frassati e sempre  più vicino all’”Unità“, ha recensito con enfasi compiaciuta il nuovo libro dell’on. Federico Fornaro di Leu che compare spesso nei Tg, ma quasi mai viene intervistato. Il libro, edito da Bollati – Boringhieri, è dedicato al referendum del 2 giugno  1946 tra Monarchia e Repubblica. E il quotidiano, di proprietà del  neo cavaliere del Lavoro Elkann, lo ha definito come la dimostrazione dell’assoluta  regolarità di quel referendum che ha suscitato da sempre dubbi e polemiche

Fornaro che oggi è nella  estrema sinistra radicale , viene dal PSDI  e appartenne alla corrente di Pier Luigi Romita, figlio del ministro degli interni Giuseppe all’epoca del referendum, che apparve subito,  per sua stessa ammissione, non arbitro imparziale, prima e nel corso del referendum istituzionale  , quando non ebbe remore – lui garante sulla carta  dell’imparzialità del confronto elettorale – a dichiararsi accesamente  repubblicano, agendo di conseguenza.
Sono fatti troppo noti che chiunque abbia letto qualcosa in merito, conosce bene. Le irregolarità, se non i brogli,  durante il referendum, furono indiscutibili. E ci furono probabilmente  da ambo le parti.  La Cassazione non proclamò mai la Repubblica  e una nuova  guerra civile venne evitata solo perché Umberto II decise di partire per l’esilio di fronte alla assunzione arbitraria da parte di De Gasperi del ruolo di capo provvisorio dello Stato prima che venissero presi in esame i  ricorsi  presentati. Il ministro Romita soprattutto  non garantì pari opportunità ai due contendenti durante la campagna elettorale e questo è un dato di fatto incontrovertibile . Al Nord i monarchici subirono violenze e intimidazioni che non consentirono una campagna elettorale neppure lontanamente paritaria . Repubblicani e repubblichini si ritrovarono stranamente alleati contro il Re che fu oggetto delle più infami calunnie. Romita mise negli organici della Polizia 15 mila partigiani e già solo questo fatto spiega il suo atteggiamento istituzionalmente non corretto. Che adesso un politico di Leu, ex seguace della famiglia Romita nel partito più clientelare d’Italia, il PSDI,  abbia l’ardire  di scrivere una storia del referendum del 1946 appare davvero stupefacente. Fornaro non è uno storico, non è un accademico, non è neppure un ricercatore:  è un politico di mestiere. Non ha titoli per scrivere libri di storia,   anche se ha biografato Giuseppe Romita e Saragat in due pessimi libri celebrativi che non hanno nulla di storico. E‘ un provinciale alessandrino  che è rimasto tale, malgrado l’esperienza romana di senatore e deputato. Nel suo libro  non porta documenti nuovi che dimostrino la regolarità  del referendum dal quale furono escluse intere province e tanti prigionieri di guerra. La Repubblica, anche accettando i risultati di Romita, ebbe una maggioranza  comunque risicata. La differenza tra i voti validi e i votanti era un fatto dirimente che non venne mai chiarito. La Repubblica nacque  nel modo peggiore possibile e recuperò solo con De Nicola ed Einaudi. Se Umberto II avesse fatto valere la legge con la quale venne indetto il referendum, Romita sarebbe finito in galera. Umberto non volle reagire e sciolse i militari dal prestato giuramento con un sacrificio personale di superiore nobiltà A 75 anni da quei fatti abbiamo diritto a storie credibili. Non lo sono quelle monarchiche prodotte dall’ala aostana dei sostenitori dei Savoia, ma quella  di Fornaro è una non storia. Gianni Oliva scrisse una storia del referendum, considerando i torti e le ragioni con equanimità.  Non c’era bisogno che Fornaro partorisse un  altro lavoro, perché  il suo libro è un’opera partigiana e  inaffidabile, paragonabile a certi libri sulle foibe che recentemente  le hanno giustificate. Anzi appartiene allo stesso disegno  politico. Questi non sono storici, ma agitatori politici. Fornaro si accontenti di fare il deputato fino alla fine della legislatura. Poi scomparirà anche dalla politica e potrà godersi la meritata pensione. Gli consigliamo fin d’ora, di non scrivere altro. Il suo ultimo libro dice, una volta per tutte,  che non è uno storico. Come consigliava Voltaire, torni a coltivare il
suo giardino.

La rassegna dei libri del mese

I LIBRI DI MAGGIO 2021 – Consueto appuntamento con la rassegna dedicata al mondo dei libri a cura della redazione del sito iL Passaparola dei Libri con il gruppo facebook Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri – Notizie, appuntamenti e curiosità per ogni tipo di lettore!

Le proposte più interessanti del nostro gruppo  FB questo mese riguardano alcuni romanzi usciti da poco, che hanno suscitato l’interesse della nostra community. Iniziamo con Gli Infiniti Passi Dell’Anima (Carpa Koi), romanzo fantasy dell’esordiente Azalea Aylen che ha convinto i lettori che ne hanno tessuto gli elogi anche sulle reti sociali; secondo posto per il nuovo romanzo di Mauro Zanetti, Tracce Parallele, un sorprendente giallo ambientato a Trento, tra i romanzi più cliccati nel nostro sito, con un gradimento che non accenna a diminuire; infine, continua ad animare il dibattito Jona il piccolo astronauta (Vertigo), di Adriano Moruzzi, un romanzo fantascientifico destinato ai lettori più giovani ma che sembra aver conquistato anche i più grandi.

Se avete letto uno di questi libri e volete discuterne con noi, venite a trovarci su FB Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri, o su uno dei nostri canali.

Incontri con gli autori

Prosegue la nostra collaborazione con il sito  novitainlibreria.it che questo mese pubblica le interviste con alcuni dei nuovi nomi del panorama narrativo italiano, come Donatella Pazzelli, l’autrice dell’amatissimo Gli Ulivi di Albenella (Pendragon) che al suo secondo romanzo si racconta ai suoi lettori; anche l’esordiente Priscilla Zancan racconta la genesi del suo La Mia Dea Bendata e della sua scelta di auto-produrlo.

Andar per libri

Alla sesta edizione torna a tingersi di giallo la rassegna Milano da leggere, ideata dalle biblioteche per promuovere la lettura con l’offerta di ebook gratuiti messi a disposizione da autori ed editori: dieci romanzi gialli, polizieschi, thriller e noir. Storie che ci faranno appassionare e tenere con il fiato sospeso, ma anche una galleria di personaggi che si muovono per le strade di Milano, in luoghi riconoscibili o da scoprire.

Gli ebook saranno pubblicati uno ogni settimana, il mercoledì, e si potranno scaricare fino al 30 giugno.
Non mancare l’appuntamento con la lettura! Per informazioni https://milano.biblioteche.it/milanodaleggere

 

Per questo mese è tutto,  vi invitiamo a venirci a trovare sul nostro gruppo facebook e  sul nostro sito ufficiale per rimanere sempre aggiornati sul mondo dei libri e della lettura! unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

 

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La liberazione di Brusca e la polemica sui pentiti

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni   La liberazione del mafioso Giovanni Brusca dopo  25 anni di carcere ha sollevato un mare di polemiche. E’ responsabile di oltre cento  omicidi efferati che suscitano ribrezzo e riprovazione morale e sociale. E’ stato un killer spietato, fedelissimo di Totò Riina, ma è stato anche un collaboratore di giustizia, anche se non è chiarissimo il suo apporto in questo ambito 

Tra il resto ha evitato la condanna a due ergastoli per la strage di Capaci in cui morì il giudice Falcone e per l’assassinio  del piccolo Di  Matteo, dissolto  nell’acido. I reati commessi da Brusca sono innumerevoli , ma malgrado ciò, l’essersi dichiarato collaboratore di giustizia gli evitò il carcere duro del 41 bis . C’è stato anche chi ha sostenuto il ruolo che avrebbe avuto nel coinvolgimento di Andreotti processato a Palermo , anche se questo aspetto è stato smentito. Adesso Brusca e’ in libertà vigilata a 64 anni. Un privilegio che dovrebbe suscitare la critica di quelli che Sciascia definì i professionisti dell’Antifamia che invece hanno sempre sostenuto la politica dei pentiti che tanto  danno ha provocato alla Giustizia, a partire dal caso Tortora. I pentiti sono serviti  per sconfiggere il terrorismo per la trasparenza del Gen. Dalla Chiesa, ma i risultati contro la mafia sono stati limitati e spesso hanno creato delle vittime che hanno avuto la vita distrutta per le false rivelazioni di pentiti ad orologeria. Ma chi crede al rispetto della Legge, non può non essere a favore della libertà a Brusca , per quanto ripugnante essa sia. Le leggi in vigore vanno rispettate sempre e con chiunque. Il giudizio morale deve essere sempre  estraneo a quello giuridico, altrimenti finiamo nella barbarie. Bisogna però porre mano alla legge sui pentiti perché  essa, senza dare i risultati sperati, ha dato spazio ad un uso strumentale del pentitismo. L’esempio di un criminale come Brusca dovrebbe indurre ad una riflessione critica  sul passato. Oggi vorrei poter leggere cosa scriverebbe, se fosse vivo, Leonardo Sciascia. Sarebbe interessante un suo libero giudizio. Oggi di  coscienze limpide come la sua non c’è’ più traccia. La sua e’ una razza estinta   Solo apparentemente la Mafia e’ stata ridimensionata perché da fenomeno siciliano e’ divenuta  sempre  più un fenomeno nazionale e internazionale  di dimensioni colossali. Per combatterla occorre ben altro che la legge sui pentiti.
Scrivere a quaglieni@gmail.com

2 giugno, 17 marzo o 4 novembre?

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

I 75 anni della Repubblica hanno portato a dare particolare enfasi alla festa del 2 giugno che l’anno scorso di fatto non si poté svolgere

Dei giornali sono usciti in edizione speciale, pubblicando articoli mitizzanti e poco storici, come la distanza dal 1946 avrebbe imposto. I discorsi grondanti di retorica hanno preso il sopravvento.  Ho trovato sobrietà di linguaggio e rigore storico negli ambienti mazziniani, i più titolati a festeggiare la nascita della Repubblica che il grande genovese aveva propugnato con inimitabile slancio morale.
Ho sentito dire da un’alta carica dello Stato che personalmente stimo molto, che il 2 giugno è  il compleanno della nostra Patria,  parola in disuso riscoperta per l’occasione. Ciampi a cui si deve il ripristino del 2 giugno, mai si sarebbe abbandonato ad una affermazione così azzardata. Ciampi aveva il senso della storia e sapeva bene che la Patria italiana e’ nata con il Risorgimento il 17 marzo 1861. Postdatarla al 1946 e’ storicamente aberrante perché la storia di un popolo non conosce cesure e anche le parti considerate negative fanno parte della sua vita e non possono essere cancellate. Ma c’è anche chi considera che la nascita dell’Italia unita risalga al 4 novembre 1918, quando dopo il Veneto (1866) e Roma Capitale (1870) l’Italia porto’ a termine il disegno risorgimentale con Trento, Trieste e i territori dell’Adriatico orientale. Ci sono diverse scuole di pensiero, tutte condizionate a considerazioni politiche differenti. Ci fu anche chi ritenne che la storia d’Italia sia iniziata il 25 aprile 1945 con la Liberazione e la fine della guerra e del fascismo.  Ciascuno tira acqua al suo mulino, ma far coincidere l’inizio della storia d’Italia con la nascita della Repubblica e’ una minchionata che non avevo ancora sentito.  Bisognerebbe esortare, citando il Foscolo, allo studio della storia, ma con la scuola che ci ritroviamo,  appare un desiderio impossibile. Nell’ignoranza storica generalizzata tutto diventa credibile e non suscita reazioni.  Chi straccia le pagine della propria storia e crea delle ere (anche il fascismo ne creo’ una) tende a barare al gioco o dimostra di non capire cosa sia la storia.

Imbarazzo a Roma per la targa sbagliata intitolata a Ciampi

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni 

Quanto e’ capitato ieri a Roma non può passare sotto silenzio.

Il Presidente della Repubblica insieme ai presidenti di Senato e di Camera ha dovuto rinunciare all’ultima ora a scoprire la targa dedicata a Carlo Azeglio Ciampi per l’inaugurazione di una piazza in onore di uno dei nostri migliori presidenti. Avevano scritto Azeglio senza la g. Non è certo colpa diretta della Raggi a cui pure risale una responsabilità oggettiva. E’ colpa di un cerimoniale del Campidoglio inadeguato che deve controllare ogni particolare delle cerimonie in programma. Se poi c’è il Presidente della Repubblica i controlli devono essere potenziati. Anche il cerimoniale del Quirinale doveva controllare preventivamente. Ai tempi di Ciampi col Segretario Generale Gifuni non sfuggiva una virgola. Lo posso testimoniare personalmente per il lungo rapporto con Ciampi che ho avuto per sette anni. Anche con l’imprevedibile Cossiga c’era l’ambasciatore Berlinguer segretario generale che vigilava su tutto. Persino il segretario generale Maccanico “conteneva” Pertini, davvero allergico ai rituali, che finì per cacciare Maccanico che fece da capro espiatorio di un errore del Presidente. Roma è la capitale d’Italia, non una città di provincia. L’errore non va fatto pagare all’impiegato e allo scalpellino che hanno sbagliato. Vanno chieste le dimissioni del capo del Cerimoniale del Comune che ha dimostrato disinteresse ad una manifestazione che riguardava due presidenti. Il pressappochismo e’ arrivato a toccare anche cerimonie importanti riprese dalle Tv. L’episodio rivela un atteggiamento imperdonabile. A Torino con i sindaci prima della Appendino sarebbe stato un fatto impossibile. Cigliuti e Morelli a capo del Gabinetto del Sindaco controllavano tutto con scrupolo e persino con pignoleria. Come diceva il grande giurista Mario Allara, la forma è anche sostanza. Sarebbe interessante sapere quante sono le persone impiegate nei cerimoniali del Campidoglio ed anche del Quirinale. Anche nei piccoli episodi si possono cogliere particolari che rivelano disfunzioni non giustificabili.  Esporre il presidente ad una brutta figura non è cosa facilmente giustificabile. Un grave precedente.