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15 aprile 1912, l’affondamento del Titanic

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A cura di crp Medium

Tra le vittime anche tredici piemontesi

di Marco Travaglini

La prima classe costa mille lire,la seconda cento,la terza dolore e spavento;e puzza di sudore dal boccaporto,e odore di mare morto…E gira, gira, gira l’elica.. e gira, gira che piove e nevica per noi ragazzi di terza classe che per non morire si va in America”.

16 aprile 1912, la notizia sui giornali

Francesco De Gregori nel suo “Titanic”, ottavo album da cantautore, narrò in musica il triste viaggio dell’arcinota nave passeggeri britannica che affondò nelle gelide acque dell’oceano Atlantico dopo la collisione con un iceberg. Un disco memorabile, molto bello che propose attraverso la storia del Titanic un’amara e sarcastica metafora di un’umanità divisa in classi che si dirige verso il disastro. La storia vera e sventurata del Titanic trovò il suo tragico epilogo nella notte tra domenica 14 e lunedì 15 aprile 1912 con il tremendo impatto e il conseguente affondamento in una apocalittica sequenza:la massa dell’iceberg come uno spettro bianco nel buio della notte, il violento impatto e l’incontenibile avanzata dell’acqua nello scafo sventrato.

Domenica del Corriere, 1912. Il naufragio del Titanic

Erano le 23.40 e il supertransatlantico, salpato il 10 aprile dal porto britannico di Southampton nella contea dell’Hampshire per il suo viaggio inaugurale, si trovava quattrocento miglia a sudest della costa di Cape Race sull’isola canadese di Terranova. E’ lì che la nave più grande del mondo in quell’epoca si scontrò con l’enorme massa di ghiaccio. La vedetta Frederick Fleet l’avvistò quando era ormai a una distanza di mezzo chilometro, più o meno due volte la lunghezza dello scafo. Gridò allarmato “Iceberg di prua, signore!” e il primo ufficiale William M.Murdoch ordinò subito il timone “tutto a dritta” e le macchine “indietro a tutta forza”.

Il libro di Claudio Bossi

Ma era tardi e la repentina virata a sinistra si rivelò inutile. Trentasette secondi dopo l’avvistamento avvenne l’urto a prua, sulla fiancata destra della nave e più di un terzo dei sedici compartimenti stagni rimasero danneggiati. A una profondità di sei metri la nave iniziò ad imbarcare acqua e in poche ore quello che si credeva un colosso inaffondabile si spaccò in due, inabissandosi per sempre sul fondo dell’oceano.

Il varo del Titanic

Fu un colpo terribile al mito dell’infallibilità del progresso della scienza e della tecnica e molti vi intravidero il De profundis del sogno della Belle Époque prima ancora che la Grande guerra mandasse definitivamente in frantumi l’illusione di un nuovo secolo segnato da pace e benessere. La costruzione del Titanic aveva rappresentato il guanto di sfida lanciato dalla compagnia navale britannica White Star Line ai rivali della Cunard Line che in quegli anni dominavano le rotte oceaniche con i transatlantici Lusitania e Mauretania.

L’iceberg che affondò il Titanic, immortalato dal marinaio ceco Stephan Rehorek il 20 aprile 1912

La nuova nave, completata in tre anni nei cantieri Harland and Wolff di Belfast e costata 7,5 milioni di dollari (equivalenti a più di 160 milioni di dollari di oggi), lunga 269 metri e larga 28, aveva una stazza complessiva di 46.328 tonnellate. Dotata di un motore a vapore alimentato da 29 caldaie venne salutata come un “gioiello di tecnologia e di sicurezza”, al punto da ritenerla “praticamente inaffondabile”. Per il primo viaggio venne stabilita la rotta da Southampton a New York, via Cherbourg e Queenstown. Preceduto il nome dalla sigla RMS (che indicava la funzione di servizio postale), il Titanic iniziò la navigazione mercoledì 10 aprile 1912. A bordo 1.423 passeggeri più 800 unità di equipaggio agli ordini del capitano Edward John Smith. Tra questi anche 37 italiani, la maggior parte dei quali lavorava come personale del ristorante. Le cabine erano divise in tre classi ( come sintetizzato bene nella canzone di De Gregori). Nella prima, la più lussuosa e costosa (il biglietto costava 4.350 dollari pari a oltre 80mila odierni dollari statunitensi) si accomodarono esponenti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia dell’epoca, come il milionario Jacob Astor IV e l’industriale Benjamin Guggenheim, fratello del titolare dell’omonima fondazione artistica. Nella seconda presero posto gli appartenenti alla classe media.

Una cartolina sul Titanic

L’ultima si riempì di emigranti che con un biglietto da 32 dollari cercavano fortuna nel “nuovo mondo”. Pare che nella fretta della partenza, rispettando i tempi previsti (sempre una cattiva consigliera, la fretta..) e per alcuni cambi negli ufficiali avvenuti all’ultimo momento, vennero dimenticati i binocoli, costringendo i marinai di vedetta a svolgere a occhio nudo la loro attività. Un elemento che si rivelò fatale nel corso degli eventi. La frenesia di raggiungere la destinazione nel più breve tempo possibile obbligò il mantenimento dei motori costantemente al massimo e la velocità non venne ridotta nemmeno dopo la segnalazione fatta pervenire al capitano Smith, nella tarda mattinata di domenica 14 aprile. L’avvertimento preventivo sulla possibile presenza di ghiaccio sulla rotta del Titanic non venne tenuto nella considerazione necessaria e dieci ore più tardi, nel fitto buio di una notte senza luna, quando le vedette lo avvistarono l’iceberg era ormai di fronte alla nave. A quella distanza e alla velocità di crociera di 20 nodi ( più o meno 37 chilometri all’ora) ogni tentativo di evitare l’impatto si rivelò inefficace. Alle 00.27, compreso che la prua del Titanic stava lentamente affondando, venne lanciato un SOS dal marconista Jack Phillips, raccolto dal piroscafo Carpathia, distante 58 miglia dal luogo dell’impatto. La fase delle operazioni di salvataggio fu drammatica. Le scialuppe a disposizione erano soltanto sedici e ognuna poteva contenere al massimo una sessantina di persone. Vuoi per inesperienza e cattivo coordinamento tra gli ufficiali nel caos del naufragio, in molti casi ne salirono un numero inferiore. Delle 2.223 persone a bordo ne sopravvissero 705, poco più di una su tre. Dei 37 italiani solo 3 degli undici passeggeri si salvarono. Gli altri perirono nelle acque dell’oceano. Tra questi 13 erano piemontesi, quasi tutti alle dipendenze di Gaspare Antonio Pietro “Luigi” Gatti, direttore e gestore del ristorante “A’ la carte” del transatlantico. Quasi tutto il territorio piemontese pianse delle vittime: due erano cuneesi (di Guarene e Roccabruna), quattro del torinese (di Burolo,San Germano Chisone,San Sebastiano Po e Tina, oggi frazione di Vestignè), un astigiano di Canelli e un vercellese di Alice Castello, due alessandrini di Fubine e del capoluogo, tre novaresi di Borgomanero, della città all’ombra della cupola di San Gaudenzio e l’ultimo di Cannobio, a ridosso del confine elvetico sul lago Maggiore. La storia di questi uomini è stata ricostruita dallo storico Claudio Bossi, uno dei massimi esperti sulla vicenda del Titanic, autore di molti libri sull’argomento tra i quali l’importante “Titanic.Storia,leggende e superstizioni sul tragico primo e ultimo viaggio del gigante dei mari”, edito da De Vecchi. Nei giorni immediatamente successivi al naufragio la notizia del disastro scioccò il mondo intero, creando le premesse per una profonda riflessione sull’episodio tant’è che venne convocata la prima conferenza sulla sicurezza delle persone in mare. Il 10 giugno 2001 morì nella molisana Isernia Antonio Martinelli: aveva ottantanove anni ed era ritenuto l’ultimo sopravvissuto del disastro del Titanic. Si era salvato, neonato in fasce, con la madre. Spentasi l’ultima voce a “parlare” sono rimasti migliaia di oggetti recuperati nel tempo, dai piatti al vasellame, dai documenti alla campana della nave. Ma il Titanic non sarà mai recuperabile, destinato a consumarsi lentamente nella silenziosa profondità dell’oceano.

Svelato il mistero della scritta comparsa in Piazza San Carlo

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Si tratta di un “flash mob”, un’azione corale organizzata dagli Eugenio in Via Di Gioia, band torinese che fece parlare di sè con un brano dedicato a Chiara Ferragni e all’Eurovision. 

Questa la dichiarazione della band:

“Qualcuno ha urlato allo scandalo contro la città.

Qualcuno non vedeva l’ora di puntare il dito contro i soliti vandali.

Qualcuno ha ipotizzato che fosse un’operazione di marketing di un grosso marchio.

Non è niente di tutto questo.

È la dichiarazione d’amore di oltre 150 persone che questa notte hanno condiviso 6 ore di partecipazione collettiva, di presidio artistico, di vita vera in una delle piazze più belle di Torino per fare esplodere il proprio sentimento d’amore. Con gessetti da scuola elementare. Scotch di carta e un metro da sartoria.

Ti amo ancora. Una dichiarazione d’amore sincera. Una presa di coscienza proattiva verso una Terra che va curata. Verso un mondo economico, sociale e ambientale che va rivoluzionato.

La pioggia, domani, laverà la scritta in pochi minuti.

L’aria irrespirabile della nostra città, il consumo disastroso del nostro pianeta, l’inconsistente progetto di futuro per le nuove generazioni resteranno lì, sotto gli occhi di tutti, come da sempre, invisibili. Tutto questo non è più possibile.

Siamo stati noi a gridare: ti amo ancora.”

Nessun atto vandalico, ma un’azione ben studiata e dal tempismo perfetto.

Con il Brano per l’Eurovision (che trovate qui) gli Eugenio in Via di Gioia ci avevano fatto ridere, cantare e ballare. Ora ci danno un buon motivo per riflettere.

 

Lori Barozzino

Foto dalla pagina Facebook degli  Eugenio in Via di Gioia / Nicolò Roberto Roccatello

Da Le Gru a Le Gru…di domani

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Partito il restyling del mall di Grugliasco, con un investimento di 8milioni di euro per la prima fase dei lavori di Piazza Nord

Venerdì 1° aprile, via ai festeggiamenti con il vernissage della mostra di Donato Sansone e la musica di Boss Doms

Apriva il 9 dicembre 1993. Dunque, quasi trent’anni di frenetica attività. E qualche ruga allora ci sta. Ed é ben giustificata ed ammissibile, se si pensa ai milioni di clienti passati nei suoi lunghi corridoi e nelle sue molte imprese commerciali, con una media di circa 50mila persone al giorno. Di qui la partenza, lo scorso gennaio, dei lavori di restyling (strutturale e culturale) che porteranno la shopville Le Gru di via Crea a Grugliasco alla ridefinizione di spazi e percorsi assolutamente rinnovati e avveniristici. Tre mesi, finora, di lavoro, curato dagli architetti statunitensi dello “Studio H2G” specializzati in retail design, che in questa prima fase dell’opera (fino al prossimo autunno) riguarderà la Piazza Nord completamente trasformata secondo i progetti in corso. Ben 8 i milioni di euro investiti in questa prima fase di lavori  da parte di “Klepierre”, leader europeo nella proprietà, gestione e sviluppo dei centri commerciali, per un grande cambiamento che consoliderà il ruolo di leadership di Le Gru in Piemonte. La nuova Piazza Nord si presenterà completamente trasformata, sull’esempio delle più prestigiose e storiche gallerie commerciali cittadine, aperta ai colori del cielo attraverso una nuova copertura vetrata fatta di grandi cupole organiche in vetro e acciaio di oltre 1.000 mq. e diventerà un luogo non solo bello, ma funzionale, carico di modernità e innovazione, attraverso processi certificati e alte garanzie anche sul piano della “sostenibilità”. I lavori, inoltre, portati avanti durante la notte ( quindi ininfluenti sulla fruibilità degli spazi e soprattutto sugli accessi ai negozi e ai servizi), saranno programmati su più fronti: non solo strutturali ma anche di sviluppo – spiegano i responsabili – dal punto di vista del ‘retail’ per potenziare ulteriormente la ‘customer experience’ ed offrire i migliori ‘retail brand’ italiani”. I primi risultati sono già visibili: negli ultimi mesi, infatti, sono ben 12 i nuovi brand  sbarcati a Le Gru e altrettanti hanno aperto in una nuova location della shopville o hanno puntato su un radicale restyling. La scorsa settimana hanno inaugurato “Flying Tiger” “NYX”, mentre sono in arrivo anche “Signor Vino”“Falconeri” e altri importanti marchi, culminando in autunno con l’apertura, nella rinnovata Piazza Nord di “Primark”.

Dal punto di vista della customer experience, un forte sviluppo viene anche da servizi come  l’ “Amazon Hub” e la stazione di ricarica per veicoli elettrici “Tesla Supercharger”. Parola d’ordine: il presente coniugato al futuro. E soprattutto “futuro green”, tengono a precisare i responsabili. A partire dai rifiuti che si produrranno durante i lavori: verranno demoliti 2.600 mq di controsoffitti, 2.300 di pavimentazioni, 700 di solai e 300 dell’attuale lucernaio. Ebbene questi rifiuti, in conformità al protocollo “Breeam”, verranno differenziati con l’obiettivo di riutilizzarne o riciclarne almeno il 75%.  La nuova copertura vetrata di 1.000 mq sarà dotata di vetri ad alte prestazioni in termini di isolamento termico e trasmissione del calore, consentendo una riduzione dell’impatto energetico in fase di raffrescamento pari al 30%. È stato inoltre firmato un importante accordo con “Iren”: dal prossimo ottobre Le Gru passerà al teleriscaldamento. Il calore prodotto da cogenerazione e da processi di economia circolare permetterà di azzerare i consumi diretti di gas metano (pari a circa 300mila metri cubi all’anno) e di ridurre le emissioni totali di anidride carbonica. Lavori e progetti, insomma, in piena corsa. Intorno ai quali si comincerà a far festa, all’insegna dell’arte, venerdì prossimo primo aprile, a partire dalle 19,30, con l’esposizione, in Piazza Nord, di otto gigantesche opere di Donato Sansone, fra gli artisti “più visionari, innovativi e inquietanti” dell’attuale panorama artistico italiano. Il vernissage sarà accompagnato dall’esibizione di Boss Doms, dj musicista e produttore discografico, compagno di incursioni provocatorie e “un po’ situazioniste” di Achille Lauro. La festa continuerà anche il giorno dopo, con una intera giornata musicale: sabato 2 aprile, dalle 12.30 alle 20.30, saranno infatti di scena i dj Luca Vacchero, Daniele Fini, Pier Manganuco e Alessandro Costa. E di notte, gli operai torneranno al lavoro. Per Le Gru di domani. Sempre più vicine 

g.m.

Nelle foto:

–       Le Gru: Progetto “North Court”

–       Donato Sansone “Green”

–       Dj Boss Doms

Torino e i suoi teatri: il Teatro Regio

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Torino e i suoi teatri

1 Storia del Teatro: il mondo antico
2 Storia del Teatro: il Medioevo e i teatri itineranti
3 Storia del Teatro: dal Rinascimento ai giorni nostri
4 I teatri torinesi: Teatro Gobetti
5 I teatri torinesi :Teatro Carignano
6 I teatri torinesi :Teatro Colosseo
7 I teatri torinesi :Teatro Alfieri
8 I teatri torinesi :Teatro Macario
9 Il fascino dell’Opera lirica
10 Il Teatro Regio

10 Il Teatro Regio

Cari lettori, eccoci arrivati al termine di questo ciclo di scritti riguardanti i maggiori teatri torinesi.
Come si suol dire, il meglio viene tenuto per ultimo, e, anche io nel mio piccolo, ho voluto proporvi come pezzo di chiusura l’articolo dedicato al Teatro Regio, che è tra tutti il più conosciuto tra i luoghi culturali del capoluogo piemontese.
Il Regio è il principale teatro lirico della nostra città, uno dei più grandi e importanti stabili d’Italia, ed è conosciuto persino nel panorama europeo ed internazionale.
L’edificio ha storia antica, il progetto originale risale alla prima metà del XVIII secolo; ad oggi dell’originaria costruzione resta solo la settecentesca facciata porticata, ancora in perfetta armonia con l’adiacente Piazza Castello; attualmente tale parte architettonica è inserita nel sito seriale UNESCO Residenze Sabaude iscritto alla Lista del Patrimonio dell’Umanità dal 1997.
Partiamo come sempre dall’inizio. Il primo a richiedere un “nuovo grande teatro” è Vittorio Amedeo II, intorno agli anni Venti del Settecento, il quale incarica il regio architetto Filippo Juvarra di progettare un sontuoso edificio da inserire nell’ambito del più generale riassetto urbano di Piazza Castello. Il cantiere viene aperto, ma Juvarra, che si spegne nel 1736, non riesce a vedere realizzata la sua idea; la gestione dei lavori, per volontà di Carlo Emanuele III, passa così a Benedetto Alfieri, il quale decide di riprendere e perfezionare i disegni originali. L’intuizione alfieriana porta all’innalzamento di uno stabile sontuosamente rococò, apprezzato da tutti, come si evince dalle parole di Giovanni Gaspare Craveri, che nel 1753 così scrive nella sua “Guida de’ Forestieri per la Real Città di Torino”: “Questo Teatro è giudicato da tutti il più grandioso e compito d’Europa, ed è meritevolmente l’oggetto della meraviglia de’ Forestieri, per la vastità ed ampiezza sua, e per l’architettura, e comodità dell’edifizio, e per l’interna bellezza degli ornamenti, per lo più dorati. E’ rimarchevole la pittura della Volta. Ivi si recitano ogni Carnevale i Drammi musicali con tale magnificenza di apparato, quale si conviene alla grandezza della Real Corte, che v’interviene sulla Loggia spaziosa a lei destinata, che poi si suole illuminare. Vi si chiamano i migliori Musici d’Europa.”

Il teatro è ultimato in pochissimo tempo, il cantiere si chiude nel 1738 e il 26 dicembre del 1740 vi è l’inaugurazione ufficiale con l’ “Arsace” di Francesco Feo.
Fin dagli albori il Regio, con la sua platea e i suoi cinque ordini di palchetti, si fa cuore pulsante e musichiero di Torino.
Le caratteristiche dello stabile, come la straordinaria capienza, che arriva a poter ospitare fino a 2500 persone, la struttura elegante, le decorazioni regali che raggiungono il massimo della preziosità nella volta dipinta da Sebastiano Galeotti, richiamano l’attenzione di molti autori italiani e stranieri, di numerose prime donne e cantanti di grido, che proprio lì vogliono esibirsi.
Era solito che la stagione degli spettacoli si aprisse il 26 dicembre e si chiudesse con la fine del Carnevale; inoltre era di norma che venissero scritte ogni anno, dagli autori che volevano cimentarsi in questa prova, due opere serie redatte appositamente per il teatro Regio, tra i tanti nomi di compositori che si possono citare a tal proposito ricordiamo Galuppi, Jommelli, Cimarosa, Paisiello,Gluck, Johann Christian Bach e Hasse.
Il Regio però non è solo un luogo culturalmente pregiato, esso è anche simbolo di rappresentanza e stabilità del potere dei Savoia. L’edificio si erge tuttora nell’antica zona di comando che comprendeva i punti nevralgici delle attività gestite dallo stato sabaudo, incastonato nelle contigue architetture di Piazza Castello, Palazzo Reale e via Po; è opportuno ricordare inoltre che i membri della famiglia reale e i dignitari d’alto rango, riuscivano ad accedere al teatro senza uscire in strada, attraverso Palazzo Reale tramite la galleria del Beaumont – oggi Armeria reale – e il palazzo delle Segreterie – attuale Prefettura -.
L’aspetto architettonico del teatro diviene un punto di riferimento nell’ambito delle realizzazioni teatrali coeve; gli stessi disegni di Benedetto Alfieri vengono addirittura inseriti fra le tavole de “L’Encyclopédie” di Diderot e D’Alembert.

Durante il corso del XVIII secolo, Torino, in quanto importante capitale europea, è una delle mete del “Grand Tour”, molti viaggiatori passeggiano sotto i portici ombrosi e lungo le rive del fiume Po e tutti quelli che decidono di passare in città non possono che rimanere colpiti dall’eleganza del portentoso teatro lirico.
La fama del Regio è internazionale e incontrastata, si pensi che proprio l’imperatore asburgico Giuseppe II, attraverso il consigliere Kaunitz, aveva caldamente consigliato all’architetto Giuseppe Piermarini di prendere come esempio il “Regio di Torino”, per la costruzione di quello che sarebbe divenuto il celebre Teatro alla Scala di Milano (inaugurato il 3 agosto 1778).
Dopo il momento di massima gloria, il teatro affronta, tra la fine del Settecento e i primi vent’anni dell’Ottocento, un periodo turbolento.
Il Regio resta chiuso per cinque anni, dal 1792 fino al 1797; in seguito cambia diversi nomi, rispecchiando così gli eventi storici: prima è “Teatro Nazionale” (1798), poi “Grand Théâtre des Arts” (1798) e ancora “Théâtre Impérial” (1804). Il clima moralizzatore degli anni repubblicani ha largo impatto anche sull’organizzazione stessa degli spettacoli, si fa più complesso anche l’ingaggio dei cantanti e degli attori, nel repertorio permangono opere italiane, ma con libretti rimaneggiati secondo la morale giacobina.
Napoleone in persona vuole presenziare ad alcuni spettacoli, e la sua venuta fa sì che calpestino il palcoscenico torinese interpreti di grande fama, tra cui il soprano Isabella Colbran, il tenore Nicola Tacchinardi e il coreografo Salvatore Viganò.
Con gli anni della Restaurazione il Regio recupera un po’ della sua originaria importanza, Carlo Felice, notoriamente appassionato di musica, invita virtuosi personaggi ad esibirsi nel teatro operistico, tra cui Giuditta Pasta e Domenico Donzelli.
Gli anni d’oro però sono ormai finiti, nell’Ottocento Torino passa in secondo piano e i riflettori illuminano nuove località: Milano, Napoli e Venezia. Nonostante ciò “lo spettacolo deve continuare” e la storia del Regio è ancora lunga e ricca.

Durante il periodo ottocentesco, per volere di Carlo Alberto, l’edificio viene restaurato, assumendo un aspetto neoclassico. Alle modifiche estetiche si aggiungono delle innovazioni nella programmazione, intorno agli anni Cinquanta dell’Ottocento, ad esempio, si passa alla stagione di Carnevale-Quaresima, suddivisa in cinque o più opere di repertorio, non più scritte appositamente per il Teatro; inoltre, a partire dal 1855, il teatro si apre all’opera buffa.
Nel 1870 il Regio diviene proprietà del Comune di Torino. In questi anni le vicissitudini dello stabile si intrecciano con quelle dell’Orchestra Civica e dei Concerti Popolari ideati da Carlo Pedrotti, il quale insiste per introdurre nella programmazione la musica di Wagner e Massenet.
A partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento si inizia a sottolineare la necessità di intervenire a livello architettonico sul palazzo, tra i lavori ritenuti necessari vi è l’ampliamento del palcoscenico, servono nuovi locali di servizio e l’illuminazione deve essere elettrica. Nonostante i buoni propositi la maggior parte dei provvedimenti sono di ordinaria manutenzione, ad eccezione della questione luminaria, della modifica, sotto la supervisione di Arturo Toscanini, della cassa armonica dell’orchestra e la riforma funzionale e decorativa del “foyer”.
Questi numerosi e continui interventi costringono la struttura a chiudere per alcuni anni. È l’ingegnere Ferdinando Cocito a dirigere questa volta il cantiere, che termina nel 1905, quando lo stabile viene inaugurato con il “Sigfrido” diretto da Toscanini.


Contribuiscono, tra la fine dell’Ottocento e i primissimi del Novecento, a mantenere alta la fama del Regio autori come Giacomo Puccini, che tiene a battesimo a Torino “Manon Lescaut” (1893) e “La Bohéme” (1896), e Richard Strauss, che nel 1906 dirige “Salomè” in “prima italiana”.
Agli albori del XX secolo si annovera un’ultima grande modifica costruttiva: nel 1924 è eseguita la completa riforma del palcoscenico, intervento che interessa l’inserimento di una nuova e alta torre scenica, e la completa sostituzione delle attrezzature tecniche di scena e dell’ impianto elettrico.
Più o meno in questo stesso periodo è ospite al Regio l’ ultima grande “prima”, si tratta di “Francesca da Rimini” di Riccardo Zandonai, su libretto di Gabriele D’Annunzio (1914).
Il primo conflitto mondiale è ormai alle porte, il teatro deve chiudere i battenti mentre le bombe cadono sulla città.
Con la fine della Grande Guerra il Regio riparte, seppur con le debite difficoltà, così come il resto della sconquassata Torino.
Le complicazioni non sono finite, e nel 1936, a poche ore da una replica di “Liolà” su musiche F. Mulè, un incendio divampa nello stabile e distrugge completamente l’edificio . Dell’originaria struttura permangono i muri esterni e pochissimi cimeli, come un caminetto in marmo ora collocato e conservato nella sala dell’ “Archivio di Stato”, insieme al alcuni stucchi e qualche frammento di affresco.

Alla devastazione si aggiunge il profondo sgomento dovuto allo scoppio della Seconda Guerra mondiale.
Le porte del Regio rimangono serrate per quarant’anni, fino agli anni Settanta del Novecento.
La ricostruzione parte nel 1967, sotto la guida dell’architetto Carlo Mollino, il quale rinnova completamente la struttura, decidendo di abbandonare l’antico modello architettonico a favore di nuovi orientamenti stilistici e urbanistici.
L’ingresso principale è costituito da dodici coppie di porte in cristallo, separate da diaframmi in granito, tale scelta costruttiva fa sì che il pubblico possa defluire più velocemente all’interno della struttura e abolisce la distinzione tra le diverse classi sociali.
Mollino ha una spiccata propensione per i volumi pieni e le linee curve, gusti che si concretizzano e si esplicano fin dall’ingresso, attraverso le scale, i balconi e in tutti i numerosi dettagli come i pomelli delle porte ai due bar curvilinei disposti in modo perfettamente simmetrico.
La pianta del teatro ricorda nella forma la cassa di un violoncello, la sala ha pianta ellissoidale e contiene 1398 poltrone e un ordine di 31 palchi che possono ospitare fino a 194 persone.
Assai famoso è anche il peculiare lampadario, composto da 1762 sottilissimi tubi in alluminio con punto luce e 1900 steli in perspex riflettente, che creano un inaspettato “effetto a stalattite”.
Dopo ingenti lavori, che hanno portato lo storico palazzo a risplendere di una nuova luce tutta moderna, il Regio Teatro viene nuovamente inaugurato il 10 aprile 1973 con l’opera di Giuseppe Verdi “I Vespri siciliani”, con Maria Callas e Giuseppe Di Stefano.

A seguito di una evidente fase di sventura, la dea Fortuna prende nuovamente sottobraccio il Regio; dal momento della riapertura l’attività teatrale è progressivamente incrementata, diverse ricorrenze hanno contribuito a mantenere viva la fama dell’edificio, tra queste è bene rammentare il 250° anniversario dalla fondazione, celebratosi nel 1990, il centenario dalla “prima” assoluta della “Bohème” in diretta tv, avvenuto nel 1996 e i 25 anni del nuovo teatro, festeggiati nel 1998.
Le sfide tuttavia non finiscono mai. Il trascorrere del tempo costringe il Regio a essere sempre pronto a nuove modifiche, sia architettoniche, sia giuridiche, sia riguardanti la programmazione.
Nel 2006 le Olimpiadi della Cultura e i XX Giochi Olimpici Invernali fanno sì che il teatro si ponga sotto l’occhio del pubblico internazionale, grazie ai numerosi spettacoli che si sono tenuti per le due occasioni e grazie anche al sodalizio artistico stretto con Gianandrea Noseda, incaricato Direttore musicale dal 2007 al 2018.
Inoltre, in tempi più recenti, si è molto intensificata la produzione del mercato video-discografico: a questa attività si affianca l’iniziativa “OperaVision” a cui il Regio partecipa fin dagli albori del progetto.
Eccoci dunque arrivati al termine, cari lettori, ma solo di questo mio pezzo, non certo della storia del grande teatro, orgoglio di Torino e pietra miliare della scena operistica.
Vi lascio dunque ai vostri impegni e alla vostra giornata, gentili concittadini, con la solita speranza di avervi un po’ interessato ed incuriosito, oltre che intrattenuto. Il mio augurio è che vi possiate concedere una serata in compagnia delle grandi voci liriche che tuttora riempiono i cartelloni delle programmazioni annuali; se tutto andrà bene potremmo incontrarci, pur senza conoscerci, tra il rosso della sala e il velluto del sipario, ignari gli uni degli altri sarà comunque bello intonare tutti insieme un “Libiamo, libiamo ne’ lieti calici, che la bellezza infiora; e la fuggevol fuggevol’ ora s’inebrii a voluttà…”

Alessia Cagnotto

 

Botti di capodanno: come aiutare i nostri animali?

QUA LA ZAMPA   Il periodo pre e post 31 dicembre per la maggior parte dei nostri amici a 4 zampe (e per tutte le specie animali), rappresenta un momento di forzata convivenza con il rumore dei botti che equivale ad un vero e proprio incubo. I petardi e affini possono scaturire in loro una paura talmente forte da indurli, purtroppo non cosi raramente, a non avere più punti di riferimento, reagendo allo scarico di stress con comportamenti incontrollati, a fuggire il più lontano possibile anche sfondando vetrate, mordendo recinzioni o gettandosi dai balconi, ferendosi in maniera anche molto grave, e in alcuni casi anche procurando la morte dell’animale. Oltre alla componente emotiva c’è anche quella fisica che può manifestarsi, sempre a seconda del timore, con l’ aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, eccesso di salivazione e dilatazione delle pupille. Tutto questo accade perché gli stimoli sono di fortissima intensità e non c’è né prevedibilità temporale, né collocazione fisica dello scoppio. La sensibilità ai rumori molto forti è data dal fatto che i cani riescono a percepire un suono a una distanza quattro volte superiore e ad una gamma di frequenza quasi il doppio delle nostre capacità, senza dimenticare la componente olfattiva che permette ai cani di percepire odori ad una concentrazione un milione di volte superiore a quella umana. Cosa si può fare per aiutarli? Innanzitutto assicuratevi che il vostro animale abbia medaglietta e microchip e cercate, per quanto possibile, di portarlo per questo periodo in luoghi meno esposti al pericolo dell’esplosione dei petardi, durante la passeggiata assicuratevi che il collare o la pettorina siano ben aderenti al cane e assicuratevi che non ingerisca nulla da terra in quanto potrebbe esserci il rischio, oltre all’ingerimento di sostanze altamente nocive, anche dei petardi inesplosi. Se non avete possibilità di trascorrere l’ultimo dell’anno in un luogo tranquillo, non lasciate mai cani e gatti da soli in esterno, dove i pericoli soprattutto di fuga sono maggiori, oltre il rischio che scoppi qualche mortaretto proprio nel vostro giardino. Se siete in interno, assicuratevi di togliere qualunque cosa che, in preda al panico, potrebbero urtare e con cui si potrebbero ferire (se il cane o gatto sono abituati al trasportino, considerate valida quest’opzione) e lasciate che siano loro a decidere dove rifugiarsi all’occorrenza. Durante i botti potreste provare a distrarre il cane cercando di coinvolgerlo con il suo gioco preferito, nel caso in cui non rispondesse positivamente alla vostra proposta, lasciate che rimanga nel luogo che si è scelto come riparo. Se avete ospiti, chiedetegli di non interagire in nessun modo, la paura potrebbe farlo agire in un modo poco carino. Se potete, camuffate un po’i rumori esterni, magari alzando un po’ la radio o la tv e chiudendo gli infissi per attutire il bagliore. In ultimo, non sgridate mai il cane, ma rassicuratelo con la vostra presenza senza consolarlo con carezze insistenti, non obbligatelo a starvi vicino, ma fategli sentire che ci siete e comportandovi in modo assolutamente normale . Partendo in anticipo potreste avvalervi di un supporto omeopatico per proteggere il cane dall’evento stressogeno/traumatico e/o farvi seguire da qualcuno per attuare dei programmi di desensibilizzazione progressiva ai rumori forti, che a seconda di timore del cane, riescono a eliminare o quantomeno ridurre l’emozione negativa legata allo stimolo.

Buon anno a tutti!

Francesca Mezzapesa

Educatrice cinofila – Istruttrice Rally Obedience

Lo spettro

IL PUNTASPILLI di Luca Martina 

 

L’aumento dei prezzi delle materie prime (gas, petrolio e carbone in primis) unitamente alla lenta ripresa della produzione di beni e servizi che fatica a tenere il passo della domanda sta provocando due fenomeni preoccupanti.

 

Da un lato l’inflazione (l’aumento dei prezzi) si è risvegliata con forza da un lungo torpore e dall’altro la crescita economica, dopo il rapido recupero degli ultimi 12 mesi, sta segnando il passo.

 

Ed è così che, dopo più quarant’anni, uno spettro è tornato ad aggirarsi per il mondo: la stagflazione.

 

La presenza di una inflazione elevata e di una economia in stagnazione, sino a provocare una recessione, la stagflazione, è storicamente una situazione molto rara.

 

Questi due fenomeni, infatti, quasi mai sono in grado convivere per troppo tempo.

 

Ciò in quanto durante una fase di forte rallentamento dell’economia si assiste ad una riduzione dei consumi che si traduce in una discesa della domanda e dei prezzi delle materie prime e, in ultimo, dei prodotti e dei servizi che ne fanno uso.

 

I mercati finanziari, sempre pronti a fiutare, anticipandoli, i cambiamenti di umore dell’economia, hanno iniziato ad innervosirsi trascorrendo questo scorcio di fine estate/inizio di autunno un po’ come le foglie sugli alberi.

 

Anche gli operatori, preoccupati dall’andamento perturbato degli indici, hanno ridimensionato drasticamente il loro ottimismo, che regnava sovrano ad inizio anno, ed a dominare ora è la cautela.

 

Lo testimoniano una serie di sondaggi che fotografano le opinioni dei principali investitori, professionali e non, e che attestano una situazione non troppo diversa rispetto a quella dell’autunno del 2020, quando i timori e le incertezze legati al diffondersi della pandemia, in assenza di vaccini efficaci, erano ben peggiori di oggi.

 

A questa congiuntura ha contribuito anche la politica del governo cinese che, nel tentativo, sempre più chiaro, di riportare l’economia sotto il controllo centrale e di ridurre le “derive capitalistiche” della speculazione e della concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, sta rallentando sensibilmente la crescita economica.

 

L’innalzamento dei toni nei confronti della “provincia ribelle”, Taiwan, rafforza la sensazione di un ritorno al passato anche se le azioni di forza non sono mai preannunciate (perderebbero di efficacia) e si tratterebbe, quindi, di una strategia di logoramento di lungo termine, che ricorrerà in futuro sempre di più alle sanzioni economiche (come sta avvenendo nei confronti dell’Australia) ed agli attacchi informatici.

 

La sessione plenaria del comitato centrale cinese, a novembre, è vicina e sarà seguita da parte di tutti i leaders mondiali con un’accresciuta attenzione rispetto al passato (in attesa del, ben più importante, Congresso Nazionale che avrà luogo a fine 2022) per cogliere ogni possibile segnale sulla politica, sia interna che estera, di Xi Jinping.

 

Tutto ciò non può che ricordarci come i sistemi economici (così come i mercati finanziari) non sono affatto universi governati da rigorosi criteri matematici, l’economia non è certo una scienza esatta, bensì organismi viventi che dopo una lunga corsa o una faticosa camminata hanno bisogno di riposarsi e, in qualche caso, di essere sottoposti a test o a cure intensive per potersi poi completamente riprendere.

 

Nel nostro caso l’ipotesi più probabile è che si tratti solamente di una pausa che, seppur fastidiosa, servirà a recuperare le forze grazie all’energia che verrà fornita, in porzioni generose, dai pacchetti di spesa in corso di approvazione in tutto il mondo, per poi tornare a percorrere la strada intrapresa dopo le riaperture della seconda parte dello scorso anno.

 

I prezzi dei combustibili, dopo la salita vertiginosa degli ultimi mesi, torneranno a scendere passata la stagione invernale e questo contribuirà ulteriormente a sostenere una situazione economica già in fase di miglioramento (e a riportare il tasso di inflazione sotto controllo, non troppo più elevato del tasso ritenuto “ideale” del 2%).

 

Naturalmente non si possono escludere incidenti di percorso ma non sembrerebbe ancora essere tempo di archiviare la speranza di assistere ad un decennio di crescita e di riforme, indispensabili per garantirci una fetta importante di risorse europee e, ancor più, per rendere più solide le prospettive future del nostro Paese.

 

Questo soffitto viola No, non esiste più

Music Tales, la rubrica musicale 

Quando sei qui vicino a me

Questo soffitto viola

No, non esiste più

Io vedo il cielo sopra noi

Che restiamo qui

Abbandonati

Come se non ci fosse più

Niente, più niente al mondo”

La canzone fu scritta dal giovane Paoli quando non era ancora iscritto alla SIAE, per questo nei crediti delle varie versioni del disco figurano Mogol come autore del testo e Toang compositore della musica. Solo successivamente sarà depositata con la firma corretta del solo Paoli.

Il brano, rifiutato da interpreti come Jula de Palma e Miranda Martino, fu proposto a Mina dal paroliere Mogol. Mina, poco convinta e all’inizio anche riluttante, decise di registrarla solo dopo averla sentita eseguita al pianoforte dallo stesso Paoli, ma soprattutto a seguito delle pressioni dei discografici.

Con questo singolo tuttavia, la cantante raggiunse il 15 ottobre 1960, per la seconda volta nella sua carriera (dopo Tintarella di luna/Mai), il traguardo discografico del primo posto nelle vendite. Il pezzo infatti, entrato al quinto/sesto posto nell’estate 1960, rimase in classifica fino all’inizio dell’anno successivo, dopo aver raggiunto il primo posto per 14 settimane diventando il 45 giri più venduto dell’anno, sfiorando nel tempo i 2 milioni di copie vendute.

Non tutti sanno che il testo descrive l’incontro con una prostituta avvenuto in un bordello di Genova riconoscibile dal “soffitto viola”.

Nonostante l’argomento trattato, è comunque considerata una delle più rilevanti espressioni della canzone d’autore italiana e un capolavoro artistico.

L’immagine di alta poesia, che evoca l’atto d’amore consumato nella stanza col soffitto viola, trasfigura circostanze e ambienti.

La raffinata melodia, inizialmente lenta e confidenziale, conduce gradatamente verso spazi infiniti e trasognati raggiungendo il massimo dell’intensità musicale e poetica, per poi tornare nel finale all’intimità iniziale.

Un eccellente lavoro di dinamiche e colori, che è stato oggetto di citazioni e riferimenti nella cultura popolare. (Film, citazioni in brani, Commedie n.d.r.)

La versione che ho voluto riservarvi è di un tale Michael Allan Patton (in arte Mike Patton) cantante, tastierista e compositore statunitense noto per essere il leader di gruppi quali Faith No More e dei Fantomas nato nel 1968 ad Eureka negli Stati Uniti.

“ il cielo in una stanza” fa parte di un disco da lui prodotto che porta il titolo di Mondo Cane e contiene solo brani in lingua italiana.

Cario, fresco, perché è anche bello sentire gli stranieri che azzardano la nostra meravigliosa lingua. Ditemi che ne pensate!

L’amore può derivare da un sentimento generoso: il gusto della prostituzione; ma è corrotto ben presto dal gusto della proprietà.”

Buon ascolto

https://www.youtube.com/watch?v=3HVPImBI95M&ab_channel=probalmend

Chiara De Carlo

 
 
 

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Ecco a voi gli eventi della settimana!

TORINO DESIGN OF THE CITY

 15-09-2021 / 31-10-2021
 

DI PIETRA E FERRO: 150 ANNI DEL TRAFORO DEL FREJUS

 18-09-2021 / 31-10-2021
Sabato 18 Settembre 2021 / Domenica 31 Ottobre 2021 Piazza Carlo Alberto 8 Torino

Chiuso: Lunedì

ORARI

Lunedì: 

Chiuso

Martedì: 

10:00-18:00

Mercoledì: 

10:00-18:00

Giovedì: 

10:00-18:00

Venerdì: 

10:00-18:00

Sabato: 

10:00-18:00

Domenica: 

10:00-18:00

PREZZO

€ 0,00 Gratuito possessori di Abbonamento Musei
€ 10,00 Intero
€ 8,00 Ridotto maggiore 65 anni; militari

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Benjamin Myers “All’orizzonte” -Bollati Boringhieri- euro 16,50

Questo romanzo dello scrittore e giornalista inglese Benjamin Myers ha riscosso subito un enorme successo, forse perché è un incantevole inno alla natura, una boccata di aria salubre e fresca, e tocca corde profonde dell’animo umano. Ma è anche un romanzo sul significato che si vuole dare alla vita.
Narra del viaggio alla scoperta di sé stesso (ma non solo) che il 16enne Robert decide di intraprendere, prima di restare inguaiato nel lavoro in miniera al quale è destinato per tradizione familiare; ma anche perché nel villaggio in cui vive la forma di sostentamento arriva proprio dai cunicoli bui e pericolosi a centinaia di metri sottoterra per estrarre il carbone.

Un destino che Robert rifugge e al quale oppone la sua curiosità per il mondo. Così prima di scendere nel ventre della terra e consegnarsi a un destino che odia, parte da solo per una sorta di periodo sabbatico alla scoperta della natura. Sarà anche il viaggio che cambierà per sempre la sua esistenza.
Siamo nell’Inghilterra del 1946, l’estate successiva alla fine della guerra, e il giovane si avventura nella brughiera dello Yorkshire, che descrive a fondo, raccontando le emozioni che prova strada facendo. Per mantenersi lungo il tragitto si offre per qualche lavoretto in cambio di vitto e alloggio per una notte, accontentandosi di giacere in capanni o tra il fieno e gli animali. Poi al sorgere del nuovo giorno riprende la marcia verso altre scoperte.
Determinante è l’incontro con Dulcie Piper, eccentrica e affascinante signora che vive sola con il suo pastore tedesco in una baia sulla costa dello Yorkshire. Una donna diversa da quelle conosciute da Robert; si veste in modo stravagante e predilige i pantaloni come un uomo, guida la macchina, fuma sigari e all’occorrenza bestemmia e impreca. Soprattutto, gronda esperienza come se avesse viaggiato per l’intero globo ed è di una cultura strabordante. Dulcie ha un’intelligenza sopraffina ed è sensibile e generosa.
Offre ospitalità a Robert, il quale in cambio svolge lavoretti al cottage, e lo ammalia con i suoi racconti e suggerimenti di lettura.
A partire dai romanzi di David Herbert Lawrence (l’autore de “L’amante di Lady Chatterley” romanzo all’epoca scandaloso e bandito). Dulcie ha conosciuto e incontrato più volte lo scrittore, nel Nuovo Messico, dov’era insieme alla moglie Frida, e che lei chiamava amichevolmente Bert. E qui scorrono pagine magnifiche per chi ama lo scrittore inglese.

Il legame tra Robert e Dulcie è di una bellezza profonda e vi incanterà con la magia di questa donna che mostra al giovane un’infinità di spiragli sulla vita. Gli propone cibi esotici, gli insegna a fare il miele e a preparare infusi vari con i doni della natura,…più di tutto lo inizia alla letteratura e alla poesia. Il loro legame cresce profondo e bellissimo e con esso Robert fa ordine nei suoi pensieri e scopre se stesso. Poi il ritrovamento di un dattiloscritto che sembrava perduto, firmato Romy Landau, riporterà a galla fantasmi del passato di Dulcie e sarà anche una svolta importante nel loro rapporto….

 

Stacey Swann “Infelici gli Dei” -Bompiani- euro 18,00

E’ il romanzo di esordio dell’americana Stacey Swann che ha imbastito una corposa e caleidoscopica saga familiare in cui gli equilibri sono precari e le svolte molteplici.
Siamo nella remota provincia texana, a Olympus, dove vivono i Briscoe. Una famiglia notevole e complicata su cui comanda il patriarca Peter. Potente, ricco, magnate immobiliare e non esattamente un marito fedele, dal momento che ha seminato uno svariato numero di figli: 6, da tre donne diverse. Una è la moglie June che, pur covando un intimo rancore, lo ama nonostante tutto ed è rimasta al suo fianco.

E’ lampante il richiamo ai temi tipici della mitologia, a partire dalla location, Olympus, come l’Olimpo degli Dei. Poi l’autrice usa gli archetipi dei personaggi, a partire da Peter che incarna una sorta di Zeus, il Giove che ha dato vita alla progenie, a capo del clan. Di fatto una famiglia altamente disfunzionale in cui intrighi, offese, malintesi e tradimenti la fanno da padroni.

La trama inizia con il ritorno a casa del secondogenito March dopo oltre 2 anni di esilio. E’ una sorta di Marte dio della guerra perché fin da piccolo ha mostrato un animo violento e bellicoso, incapace di dominare gli attacchi di ira funesta che lo hanno sempre scagliano contro i fratelli e gli amici.
In più, l’aveva fatta davvero grossa portandosi a letto la bellissima Vera, moglie del fratello Hap; figlio prediletto di June, dal carattere mite, responsabile e profondamente buono.

In rapida successione arrivano anche gli altri figli e la trama divampa.
Thea che si era allontanata dalla famiglia appena possibile, diventata un avvocato di successo a Chicago.
I gemelli Arlo e Artie, nati da una relazione che Peter aveva avuto prima che nascesse March. Il loro è un rapporto simbiotico, che però si sta sfilacciando.
Arlo (potrebbe essere Apollo, dio della musica) ritorna da un tour come cantante country e scopre con grande delusione che la gemella si è innamorata di un uomo che complica tutto. Probabilmente Artie non vorrà più seguire Arlo in giro per concerti… e quello che era un legame al limite del morboso prenderà una piega inaspettata e foriera di sventura.

Aspettatevi di scoprire gli animi e i doppi fondi di questa tormentata famiglia, sullo sfondo di una cittadina del Texas rurale, dove tutti si conoscono e mantenere i segreti diventa impossibile.

 

Rebecca Kaufmann “La casa di Fripp Island” -BigSur- euro 17,50

Questo è il terzo romanzo della scrittrice americana nata in Ohio ed oggi residente in Virginia. Come il precedente “La casa dei Gunnar” (del 2020), è ambientato in un’altra casa che l’autrice evidentemente privilegia come microcosmo in cui ambientare le sue storie e delineare i personaggi. E’ in parte un thriller, ma parla anche di amicizia e di morte; avvertiamo fin da subito che qualcosa di grave accadrà e leggiamo presi dall’ansia di scoprire chi ucciderà chi.
Siamo su un’isola esclusiva della costa della Carolina del Sud; in una lussuosa villa sulla spiaggia, dove
per una settimana alloggiano due famiglie che in un certo sono amiche, sebbene molto diverse.
I Daly appartengono all’alta borghesia e sono velatamente snob; invece i Ford sono della classe lavoratrice impoverita, ma decisamente orgogliosi. Due donne, i loro mariti, e la loro prole.
Lisa, sempre molto curata e impeccabile, ha sposato un uomo che ha accumulato una fortuna e pertanto può concedersi il lusso di una casa come questa. Poppy invece è la moglie complessata e un po’ sciatta, di un onesto lavoratore precario quanto a salute e situazione economica.

Sono con i loro 4 figli; un quasi 18enne chiuso e scontroso, una 14enne con le prime tempeste ormonali, e poi le figlie più piccole sui 10-11 anni.
Non sappiamo chi dei due nuclei familiari subirà il lutto, però veniamo subito avvisati che sull’sola c’è anche un individuo sospettato di essere un predatore sessuale.

Il delitto avrà luogo solo verso la fine del libro, e nel frattempo aumentano quasi sotto traccia le tensioni tra gli adulti e tra i ragazzi. Un clima carico di incomprensioni, non detti e segreti, sguardi malevoli o male decodificati, che mettono in bilico il già precario equilibrio tra i due nuclei familiari.
Invece dopo il delitto la Kaufmann racconta come si può sopravvivere al lutto…ma in queste pagine c’è molto di più.

Giuseppina Torregrossa “Al contrario” -Feltrinelli- euro 17,50

E’ una Sicilia amara e povera quella che la scrittrice e ginecologa palermitana Giuseppina Torregrossa descrive nel suo ultimo romanzo.
Siamo nel 1927 nell’immaginario paesino di Malavacata, quasi il terzo mondo tra miseria, tifo che miete vittime, stamberghe umide e miserevoli; abitato da gente ruvida abituata a faticare per sopravvivere a stento. E’ lì che arriva il nuovo medico condotto Giustino Salonia che si è trasferito da Palermo; dove è invece rimasta la moglie Gilda che lo raggiungerà in un secondo tempo, nel tentativo di rimettere sulla giusta carreggiata il matrimonio.
Intorno all’ambulatorio la scrittrice fa vorticare un romanzo corale, in cui si alternano le voci di una folla di personaggi; sono dei vinti che poco hanno e tanto faticano per un tozzo di pane. Dalla giovane ragazza che rischia la morte per un aborto clandestino e imbastisce poi una storia clandestina con Salonia, al padre-padrone del paese don Ettore. E poi ancora tra gli altri; un ferroviere di fede socialista, uno strozzino e un viscido sensale che si dibattono tra guerre dei poveri, zuffe e tanta fatica per sopravvivere in un mondo di miseria. Personaggi spesso al limite, sfrontati o disperati; sicuramente assai coloriti.
Sullo sfondo c’è il volgere della Storia del Novecento con i contadini che reclamano le terre, il fascismo che avanza e la guerra che svuota il paese richiamando gli uomini nelle trincee.
Ed è l’inizio della seconda parte del romanzo che potremmo definire “Il tempo delle donne” in cui alla ribalta ci sono gli animi femminili che faticosamente inseguono una nuova armonia; mentre le bombe cadono lontano e, paradossalmente, a Malavacata non c’era mai stata tanta pace come ora, in tempo di guerra….

 

Stanley Middleton “Holiday” -SEM- euro 18,00

Middleton, prolifico scrittore inglese –nato nel 1919 e morto nel 2009- fino ad ora inedito in Italia, pubblicò più di 40 romanzi e con “Holiday” nel 1974 vinse il Booker a pari merito con Nadine Gordimer.
Siamo nell’Inghilterra di inizio anni 70, il professore di lettere e pedagogo, Edwin Fisher, si reca a Bealthorpe, stazione balneare in cui era solito soggiornare da piccolo insieme al padre, un bottegaio dedito alle furbizie che però resterà sempre al palo.
Edwin, è in piena crisi: deve superare la tragedia della morte del figlio, spirato in ospedale a soli 3 anni. Un improvviso e inaspettato macigno di dolore che ha spalancato un baratro tra lui e la bellissima e un po’ instabile moglie Meg. Dopo 6 anni di matrimonio la crisi sembra inarrestabile.

Le origini di Edwin sono ben diverse da quelle dell’altolocata moglie, figlia di Vernon, un uomo partito dal basso che con la professione legale è riuscito ad arrivare in cima alla piramide sociale ed ora brilla nell’alta società.
Meg ed Edwin arrivano da mondi diversi e nella crisi coniugale anche questo avrà il suo peso, tanto più quando i genitori di lei si metteranno di mezzo per sistemare le cose.

Le pagine che scorrono raccontano uno spaccato di vita di provincia inglese dove apparentemente non c’è violenza evidente, anche se sotto traccia serpeggia una ferocia letale.
Attraverso le storie e i rapporti dei personaggi -analizzati con una penna simile a un bisturi- Middleton rappresenta una sorta di infelicità latente che aggroviglia un po’ tutti i personaggi. Ma lo fa senza noiosi intenti moralizzatori, piuttosto con una sensibilità acuta e lasciandoci una storia sulla quale meditare.