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Torino e le sue donne: Carol Rama

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Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce

Con la locuzione sesso debole” si indica il genere femminile. Una differenza di genere quella insita nellespressione sesso debole” che presuppone la condizione subalterna della donna bisognosa della protezione del cosiddetto sesso forte, uno stereotipo che ne ha sancito lesclusione sociale e culturale per secoli. Ma le donne hanno saputo via via conquistare importanti diritti, e farsi spazio in una società da sempre prepotentemente maschilista. A questa categoria” appartengono  figure di rilievo come Giovanna Darco, Elisabetta I dInghilterra, Emmeline Pankhurst, colei  che ha combattuto la battaglia più dura in occidente per i diritti delle donne, Amelia Earhart, pioniera del volo e Valentina Tereskova, prima donna a viaggiare nello spazio. Anche Marie Curie, vincitrice del premio Nobel nel 1911 oltre che prima donna a insegnare alla Sorbona a Parigi, cade sotto tale definizione, così come Rita Levi Montalcini o Margherita Hack. Rientrano nellelenco anche Coco Chanel, lorfana rivoluzionaria che ha stravolto il concetto di stile ed eleganza e Rosa Parks, figura-simbolo del movimento per i diritti civili, o ancora Patty Smith, indimenticabile cantante rock. Il repertorio è decisamente lungo e fitto di nomi di quel sesso debole” che non si è addomesticato, per dirla alla Alda Merini. Donne che non si sono mai arrese, proprio come hanno fatto alcune iconiche figure cinematografiche quali Sarah Connor o Ellen Ripley o, se pensiamo alle più piccole, Mulan. 
Coloro i quali sono soliti utilizzare tale perifrasi per intendere il gentil sesso” sono invitati a cercare nel dizionario letimologia della parola donnadomna, forma sincopata dal latino domina” = signora, padrona. Non c’è altro da aggiungere.  (ac)

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5 Carol Rama
Torino è anche arte. Molte sono le Gallerie, le Fondazioni e i Musei che promuovono larte in tutte le sue sfaccettature, dalla scultura allarte figurativa fino al cinema, sia che si tratti di arte classica, medievale, o contemporanea.  La storia di oggi è una storia darte, che ha per protagonista una delle donne che larte lha creata, lha vissuta e allarte si è completamente dedicata.  Carol Rama nasce a Torino nel 1918, inizia a dipingere ancora adolescente, senza alcuna formazione accademica ma sostenuta nella sua passione da alcuni incontri fondamentali, primo fra tutti Felice Casorati. Molti sono gli amici intellettuali da cui trae informazioni, conoscenze e stimoli: Edoardo Sanguineti, Massimo Mila, Albino Galvano, Carlo Mollino, Paolo Fossati, Carlo Monzino, Luciano Berio, Eugenio Montale e ancora Luciano Anselmino, grazie al quale entra in contatto con Andy Warhol e Man Ray. Della pittura fa una pratica ininterrotta, è il filtro attraverso cui elabora oggetti, situazioni, persone della quotidianità per convertirli in qualcosa di artistico. Carol è sempre aggiornata sulle varie tendenze darte, ma mantiene grande autonomia di lavoro, sviluppando nel corso del ventesimo secolo un percorso tutto personale, attraverso luso di materiali, temi e stili diversi. Negli acquerelli degli anni Trenta e Quaranta, la rudezza e la scabrosità dei soggetti è decantata nelleleganza compositiva del quadro. Si tratta di lavori eseguiti a cavallo dei suoi ventanni, con noncuranza verso i ben pensanti e le mode artistiche del momento, produzioni che denotano grande maturità tecnica e di ideazione. Negli anni che precedono lo scoppio della guerra, lartista si accosta anche alla pittura a olio, con dense paste di colore e soggetti spesso non tradizionali. La sperimentazione continua: agli stessi anni Quaranta risale linteresse per lincisione che si concretizzerà nella splendida serie delle Parche, (linteresse per tale tecnica rispunta verso la fine degli anni Novanta). Dopo una esperienza astrattista negli anni Cinquanta allinterno del gruppo torinese del MAC (Movimento Arte Concreta), Carol attua negli anni Sessanta una svolta decisiva: su macchie di colore di derivazione informale applica oggetti duso quali strumenti medicali, trucioli metallici, occhi di bambola. Loggetto 
è inserito con tutta la sua fisicità nel dipinto, diventa colore e forma del quadro, pur rimanendo cosa. Negli anni Settanta, sostenuta da colui che sarà il suo gallerista per i decenni successivi, Giancarlo Salzano, un nuovo materiale entra a far parte della sua composizione pittorica, si tratta di camere daria segnate dalluso e di guarnizioni in gomma, utilizzate in sostituzione del colore e incollate su tele monocrome. Questi lavori conservano tutta lincisività dellessere materia (gomma come pelle e carne) e sono un rimando allattività aziendale del padre (specie luso della gomma richiama il lavoro paterno). Nel 1979 Carol espone per la prima volta alla Galleria Martano di Torino gli acquerelli realizzati una quarantina di anni prima, poi scelti lanno seguente da Lea Vergine per la mostra itinerante sulle grandi artiste del Novecento, Laltra metà dellavanguardia. A partire dagli anni Ottanta, lartista ritorna alla figurazione e realizza mirabili quadri in cui dipinge figure e animali fantastici su carte prestampate. La conoscenza internazionale di Carol è dovuta alle mostre pubbliche, come la sala personale alla quarantacinquesima Biennale di Venezia nel 1993, a cura di Achille Bonito Oliva, allestita dallamico Corrado Levi, e lantologica allo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1998, a cura di Maria Cristina Mundici. Il grande riconoscimento pubblico sul suolo Italiano le arriva nel 2003, quando le viene conferito il Leone doro alla carriera in occasione della cinquantesima Biennale di Venezia. Nel 2004 anche la sua città natale le dedica una ampia antologica presso la Fondazione Sandretto-Rebaudengo a cura di Guido Curto. Nel gennaio 2010, rappresentata da Corrado Levi, riceve il prestigioso Premio Presidente della Repubblica” da Giorgio Napolitano. Nel 2014 inaugura al Museo dArte Contemporanea (MACBA)  di Barcellona una importante mostra monografica a cura di Teresa Grandas, Beatriz Preciado e Anne Dressen, poi allestita anche a Torino nell’ ottobre 2016 alla GAM. Il consenso internazionale è ulteriormente consolidato nel 2017 dallampia personale tenutasi al New Museum di New York. Il suo ultimo lavoro conosciuto è del 2007 e chiude una intensa carriera durata oltre settantanni. Muore nella sua casa-studio torinese, il 24 settembre 2015.

 

Alessia Cagnotto

La Fontana Angelica tra bellezza e magia

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Oltre Torino. Storiemitileggende del torinese dimenticato.

Torino e lacqua

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Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce

Il fil rouge di questa serie di articoli su Torino vuole essere lacquaLacqua in tutte le sue accezioni e con i suoi significati altrilacqua come elemento essenziale per la sopravvivenza del pianeta e di tutto lecosistema ma anche come simbolo di purificazione e come immagine magico-esoterica.

1. Torino e i suoi fiumi

2. La Fontana dei Dodici Mesi tra mito e storia

3. La Fontana Angelica tra bellezza e magia

4. La Fontana dellAiuola Balbo e il Risorgimento

5. La Fontana Nereide e lantichità ritrovata

6. La Fontana del Monumento al Traforo del Frejus: angeli o diavoli?

7. La Fontana Luminosa di Italia 61 in ricordo dellUnità dItalia

8. La Fontana del Parco della Tesoriera e il suo fantasma

9. La Fontana Igloo: Mario Merz interpreta lacqua

10. Il Toret piccolo, verde simbolo di Torino

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3. La Fontana Angelica tra bellezza e magia

Maestosa e non vista la Fontana Angelica si erge in Piazza Solferino, nel pieno centro storico di Torino. Lopera architettonica prende il nome da Angelica Cugiani moglie di Tommaso Bainotti e madre del ministro Grande Ufficiale Pietro Bainotti. Questultimo alla sua morte decise di devolvere un lascito di 150.000 lire  alla città di Torino, affinché la cittadinanza acconsentisse al suo desiderio di far erigere una fontana in memoria dei genitori. Pietro chiese inoltre che tale opera venisse costruita in stile gotico medievale e che fosse collocata in Piazza San Giovanni davanti al Duomo. La commissione appositamente incaricata per la costruzione del monumento, costituita da Carlo Francesetti di Mezzenile, Leonardo Bistolfi, Giovanni Chevalley, Edoardo Rubino e Enrico Tovez, si oppose ad alcune indicazioni e non esaudì del tutto il volere di Pietro Bainotti. Le personalità coinvolte e lo stesso architetto e scultore Giovanni Riva, incaricato del progetto, identificarono come luogo urbanisticamente più adatto proprio Piazza Solferino. La Fontana fu inaugurata martedì 28 ottobre 1929, data molto significativa per il Regime Fascista che in quel giorno celebrava lottavo annuale dalla Marcia su Roma. La giornata era stata resa ancora più solenne dalla visita del Quadrumviro Italo Balbo, ministro dellAeronautica; in quello stesso giorno, oltre alla Fontana Angelica, vennero inaugurate case popolari e asili. Sulla cronaca de La Stampa si poteva leggere: In piazza Solferino, alle ore 17,30, si inaugura pure la Fontana Angelica. Molta folla è radunata intorno. Giungono le autorità: i due vice-podestà prof. Silvestri e avv. Gianolio, il senatore Di Rovasenda, lon. Bagnasco, lon. Ferracini, il comm. avv. Edoardo Agnelli, vice-presidente al Consiglio dellEconomia, il Rettore della Universitàcomm. prof. Pivano, il gen. Fasolis, ling. Porporato, lavv. Maccari ed altri. Lo scultore Riva, il quale da anni lavora ad ultimare la fontana che in seguito a concorso gli èstata aggiudicata, si trova fra le autorità che vivamente lo complimentano per lopera sua. Egli raccoglie il premio del suo faticoso lavoro. Dalla fontana monumentale con le sue quattro statue in bronzo che rappresentano le stagioni, si sprigiona dun tratto un alto pennacchio dacqua ed altri due veli dacqua convergono dai lati e si rovesciano nella vasca centrale. I giuochi dacqua completano leffetto decorativo della Fontana Angelica finalmente liberata dallo steccato che per tanto tempo ha ingombrato la piazza(La Stampa, 29 ottobre 1930).

Siamo immersi nel centro della città, circondati da alti palazzi eleganti, da macchine e pullman rumorosi e dalle rotaie del tram, curve come asole luccicanti che ricamano le strade torinesi. La piazza in cui ci soffermiamo è ariosa, lascia un raffinato gioco al sole perché la illumini, si prende i suoi spazi e tiene alla giusta distanza gli edifici che la circondano.
Piazza Solferino èuna grande piazza del centro storico della città sabauda, limitata da via Pietro Micca, via Santa Teresa, via Cernaia e via dellArcivescovado. Essa prende il nome dal comune di Solferino in provincia di Mantova, dove il 24 giugno 1859 si svolse unimportante battaglia, che vide la vittoria delle truppe franco- piemontesi contro lesercito austriaco durante la II guerra di indipendenza italiana. Fino alletà napoleonica la piazza era conosciuta come la piazza del mercato del legno, oppure come piazza del boscopiazza dei combustibili. Era inizialmente di forma irregolare e si trovava alla periferia della cittàottocentesca e delimitava i confini meridionali dellantico Castrum romano (lattuale via Cernaia). Il progetto definitivo, che portòla zona ad avere laspetto che oggi possiamo ammirare, risale al 1853, ad opera dellarchitetto Carlo Promis, successivamente vennero aggiunte le aiuole centrali.  Per quel che riguarda gli edifici, ancora oggi, uno di quelli piùnoti è il Palazzo dei telefonidi via Meucci, che oggi ospita lAgenzia del Territorio, inoltre non possiamo non nominare il Teatro Alfieri, uno degli luoghi culturali più amati dai torinesi, quando si desidera trascorrere una serata allinsegna dellarte e della cultura. Se queste sono le notizie ufficiali che ci riposta la cronaca urbana della città, non dobbiamo scordarci che a Torino si viaggia sempre su piani paralleli, e alla dimensione reale corrisponde e controbilancia sempre una versione non ufficialedei fatti. Anche il monumento della Fontana Angelica, come tanti altri edifici e angoli torinesi, pare nascondere qualcosa di più di una semplice dedica amorevole nei confronti della famiglia. Alcuni sostengono che in realtà si tratti di unopera complessa pregna di misteriosi simbolismi massonici.

La Fontana si presenta costituita da quattro imponenti figure scultoree ispirate alle quattro stagioni, due femminili e due maschili, Primavera, Estate, Inverno e Autunno. E se ai più basta incantarsi davanti alla maestria della fusione del bronzo, alla bellezza della torsione dei corpi, alleleganza e alla sontuosità che lopera emana nella sua interezza, c’è chi strizza gli occhi e decide di soffermarsi a cercare qualcosaltro.  E se la Primavera in realtàfosse la rappresentazione simbolica della virtù e lEstate quella dei vizi amorosi e degli aspetti più profani della vita? Se le due figure maschili in realtà fossero Boaz e Joaquim, guardiani leggendari delle colonne dErcole? Domande che scorrono nella mente dei curiosi come trascinate dal vortice dellacqua che esce dalle otri delle due figure centrali, quella stessa acqua che secondo alcuni è rappresentazione della conoscenza. Ancora unosservazione prima di andare via: allontanandoci piano piano dalla fontana ci si rende conto che viene a crearsi uno spazio perfettamente rettangolare nel centro dellopera architettonica, a metà tra i due guardiani; guardando con attenzione non può che essere un passaggio, lingresso per la via della conoscenza, che ovviamente ai più è precluso. Unultima cosa, intanto che si volgono le spalle allimponente Fontana, sappiate che si racconta che lo steso Giovanni Riva abbia modificato il progetto originale, muovendo il volto della statua dellInverno verso oriente, dove sorge il sole: semplice licenza artistica o attenzione verso simbologie altre? 

Alessia Cagnotto

 

Conegrina e “il Carabiniere”, inflessibili guardapesca

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Conegrina, al secolo Aquilino Bonello, messa alle spalle una vita da ambulante, si è riciclato come guardapesca, ereditando la mansione che, per più di trent’anni, è stata il pane quotidiano di Alighiero Dentoni. Il passaggio delle consegne è avvenuto da poco, quasi per caso.

Una sera che i due si erano trovati a condividere un mezzino di rosso all’osteria dell’Onda la cosa è venuta fuori con naturalezza. Alighiero Dentoni , era noto ai più come “il Carabiniere”, poiché da giovane aveva indossato la divisa dell’Arma. Quasi nessuno lo chiama per nome e cognome. Non per cattiveria o noncuranza, e nemmeno con l’intenzione di ignorare l’anagrafe; è solo che, con il tempo, il soprannome ha spodestato il cognome, sostituendolo nella vita di tutti i giorni, lasciandogli solo il compito di rappresentarlo nei documenti ufficiali. Comunque, “il Carabiniere”, in procinto di raggiungere il traguardo della pensione come dipendente della Provincia, stava da tempo lambiccandosi su chi potesse prendere il suo posto. Arcigno,inflessibile,incorruttibile e poco incline alle smancerie si era guadagnato il rispetto di tanti ma la simpatia di pochi. Conegrina era tra i rari amici con cui da anni, alla sera, scambiava due parole all’osteria, bevendo insieme o giocando alle carte. Quest’ultimo, dai paesi ai piedi dei monti fino in pianura, godeva di una certa notorietà. Per anni aveva battuto in lungo e in largo il territorio con il suo scassatissimo autocarro proponendo nei mercati e sulle “pubbliche piazze” i suoi prodotti. Nel suo campionario aveva un po’ di tutto: aghi, ditali, filo per cucire, soda, lisciva, candeggina, sapone, mollette per stendere la biancheria, spazzole per lavare i pavimenti, pettini e tante altre utili cose. Il suo grido di battaglia era arcinoto: “Forza, forza  donn! Conegrina e savon! “.

 

A volte risuonava anche un possente “Donne, oggi il tempo volge al bello, è arrivato in piazza l’Aquilino Bonello”. Gli affari andavano a gonfie vele. Praticava dei prezzi onesti e non faceva storie quando, di fronte a un acquisto importante, gli veniva richiesta una dilazione nei pagamenti. Spesso accettava, dimostrando di gradirlo più del denaro, una sorta di baratto: io do una cosa a te e tu ne dai un’altra a me. Molte sue clienti intravedevano così una specie di doppio vantaggio: si liberavano di cose inutili ottenendo in cambio oggetti che potevano servire. Nessuno può dire con certezza le ragioni dell’amicizia tra i due ma era plausibile che fosse proprio il buon Conegrina ad aver attaccato bottone all’anziano guardapesca, scalfendone la riottosità fino a conquistarsi l’amicizia. Comunque fossero andate le cose è certo che Alighiero Dentoni raccomandò con insistenza l’ambulante all’assessore provinciale Fernando Chiurlazzi, titolare della delega alla pesca. Quest’ultimo, potendo decidere come procedere alla sua sostituzione, optò per l’atto diretto di nomina, raccomandando al Dentoni un adeguato periodo di affiancamento.Mi raccomando,eh? Non perdiamo tempo con tutte quelle balle della burocrazia ma, attenzione: non voglio guai. Quello lì che mi hai segnalato dev’essere all’altezza e ne rispondi tu di persona se succede qualcosa,intesi?”. Il “Carabiniere”, borbottò delle rassicurazioni: “ Stia tranquillo, assessore. Garantisco io”. Il Chiurlazzi, di fronte ad una frase del genere si tranquillizzò, rammentandosi che veniva spesso pronunciata anche dal suo grande maestro del quale teneva in ufficio, appeso al muro, una gigantografia con il petto sporgente, copia uguale e sputata del ritratto che teneva sulla scrivania suo padre che, negli anni trenta, era stato il podestà del paese. Nel frattempo,espletate le pratiche e venduta a buon prezzo la licenza mercatale che , considerata l’entità del giro d’affari e di clientela, faceva gola a molti, per Aquilino Bonello iniziò una nuova vita. L’affiancamento dimostrò quello che già s’intuiva: l’incredibile affiatamento tra i due che andavano non solo d’amore e d’accordo ma si comportavano come se l’uno fosse l’esatta copia dell’altro. Regolamento alla mano, sembrano le controfigure di Gennaro Olivieri e Guido Pancaldi, i due famosissimi arbitri svizzeri di Giochi senza Frontiere. Mancava solo il celebre conto alla rovescia ( “Attention… Trois, Deux, Un… Fiiit!“) ma il doppio fischio finale, quello sì che c’era. Eccome se c’era: uguale, tremendo, inconfondibile. Due  acuti, perforanti sibili. Come ignorarli? Non si poteva far finta di niente. Quei suoni intimidatori, all’unisono e in perfetta sincronia, segnalano l’infrazione. Oppure, nel migliore dei casi, l’ammonimento. Entrambi in divisa, si comportano da veri e propri “sceriffi d’acqua dolce”. Conegrina, che è sempre stato uno sveglio, il regolamento se l’é studiato a memoria. Niente carte e foglietti ( che se vanno in acqua si rovinano) ma tutto in testa, ben impresso nella zucca ormai priva di capelli. Non sfuggiva nessun particolare, ai due. Nessun dubbio o incertezza su quali attrezzi fossero consentiti e quali altri proibiti; una precisione invidiabile per i periodi e le situazioni in cui si potevano usare gli attrezzi a inganno, come il bertovello o la nassa . La lenza da fondo, la “lignola”? “Al massimo con 30 ami e mai e poi mai dal 25 aprile al 31 maggio”.

 

Il lato delle maglie della rete interna di un tremaglio? “Non inferiore a trenta millimetri”. E la  sciabica, quella che un tempo veniva  chiamata  la  “persichéra”, una rete con una sacca particolarmente allungata, utilizzata per la pesca del pesce persico? “ Guai a metterla in acqua, ora come ora”. Si aveva quasi il sospetto, e a pensar male si fa peccatomi si indovina, che si divertissero a comportarsi da carogne. Al Dentoni, pur incassando già l’assegno della pensione, non passava nemmeno dall’anticamera del cervello l’idea di mollare. Si era riciclato come guardapesca volontario. Giorni addietro sono stati visti all’opera, con uno sprovveduto pescatore della domenica che aveva chiesto ad entrambi delle informazioni. Sono partiti a raffica: “ Deve sapere che la pesca è consentita a partire da un’ora prima del levar del sole sino ad un’ora dopo il tramonto, da queste parti. Dovesse recarsi invece sul lago Maggiore è tutta un’altra storia perché là valgono le disposizioni della convenzione Italo-Elvetica. Le raccomandiamo i divieti; stia molto attento perché qui non si può sgarrare”. Il malcapitato si è sorbito l’intero calendario di pesca.”Dal 25 aprile al 31 maggio, niente persici. Per la trota di lago , da metà ottobre alla fine di gennaio. Luccio da metà febbraio a metà marzo. Niente carpe, cavedani, tinche per tutto giugno. La pesca all’anguilla è consentita anche nelle ore notturne, ma solo sul Maggiore. Qui da noi, stia tranquillo, non ne prenderà nemmeno una”. Il sorrisetto sornione di Aquilino tradisce una punta, tutt’altro che impercettibile, di cinico sarcasmo. E via con le misure minime delle specie pescabili: dai 18 centimetri del persico ai 30 del luccio. Aggiornatissimi, non si fanno sfuggire le novità. Un esempio? Eccolo: “ La misura minima per la pesca della trota? Modificata da cm. 22 a cm 30. Con esclusione della trota mormorata,  la cui lunghezza minima è confermata in cm. 35 e della trota iridea,  la cui cattura è disciplinata a parte. Entrata in vigore, seppure in via sperimentale? Dall’alba dell’ultima domenica di febbraio”. Annichilito e esausto, il tipo ha ringraziato e, fatto dietrofront, ha riposto la canna da pesca nel baule dell’auto e se n’è andato. Forse, agli “sceriffi”, bisogna che qualcuno gli dica di non esagerare. Ammesso che si trovi qualcuno che abbia tanto coraggio e che, in ogni caso, non sia pescatore, evitando ritorsioni.

Marco Travaglini

Rock Jazz e dintorni a Torino: Paolo Fresu e i Nomadi

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Al Colosseo in memoria di Carlo Rossi si esibiscono Negrita, Caparezza, Nina Zilli e altri.  Per il Torino Jazz Festival al Folk Club suona il quartetto di Pasquale Iannarella mentre all’Hiroshima Mon Amour è di scena il quintetto The End.

Martedì. Al Magazzino sul Po sono di scena i Kanerva. Chiusura del Torino Jazz Festival con il concerto del quintetto di Paolo Fresu con la Torino Jazz Orchestra al Lingotto. Sempre per il TJF alla Casa Teatro Ragazzi tributo a Gil Scott-Heron con una formazione guidata da Eric Mingus e Silvia Bolognesi. Al Blah Blah si esibiscono i LabGraal. Allo Spazio 211 è di scena LNDFK mentre all’Off Topic suona il trio Turin Unlimited Noise.

Mercoledì. Al Capolinea di Ciriè raduno “metallaro” con gli Elvenpath e Airborn.

Giovedì. Al Circolo della Musica di Rivoli va’ in scena lo spettacolo “Canzoni d’amore e di contributi” con Max Collini e Lastanzadigreta. Al Blah Blah è di scena Johnny DalBasso mentre al Magazzino sul Po suonano gli Indianizer.

Venerdì. Al Blah Blah si esibiscono i Lem. Al Kontiki suonano i Vespri+Tuan. All’Hiroshima è di scena il rapper Claver Gold. Al Magazzino sul Po suonano i Lhi Balòs. Al Folk Club  si esibisce il chitarrista Clive Carroll. Al Cap 10100 sono di scena i Milanonord. Al Cafè Muller suonano i jHAsHA!. Allo Spazio 211si esibiscono i Furor Gallico.

Sabato. A Pinerolo festival musicale in una chiesa sconsacrata con : Kypck, Skepticism , Cultus Sanguine, Shores  of Null. Al Colosseo “sold out” per i Nomadi. Alla Suoneria di Settimo suona La Paranza del Geco. Al Blah Blah sono di scena i Titor.

Domenica. A Pinerolo suonano i Dawn of Winter, Shape of Despair, Blck Oath e Ponte del Diavolo. Al Blah Blah suona Il Senato. Al Bunker party di Ivreatronic con Donato Dozzy.

Pier Luigi Fuggetta

L’isola del libro

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RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

 

Elizabeth Strout “Lucy davanti al mare” -Einaudi- euro 19,00

 

L’esile scrittrice 68enne Elizabeth Strout, che vive tra New York e il Maine, è una delle autrici contemporanee più amate. Vincitrice del Premio Pulitzer nel 2009 con “Olive Kitteridge”, ha l’immensa capacità di raccontare la vita attraverso toni, pensieri e descrizioni appena sussurrati, che rendono il quotidiano teatro di un quadro molto più ampio. Tante pennellate lievi, ma potentissime.

Questo è il suo quarto romanzo dedicato a Lucy Barton, personaggio immaginario e suo alter ego. Scrittrice di successo, grande cuore materno nei confronti delle due figlie ormai adulte, due matrimoni alle spalle e la tendenza a qualche attacco di panico.

Dopo aver sposato e messo su famiglia con William, ha dovuto affrontare il divorzio. Poi la vita le ha messo sul cammino un secondo amore, l’amabile musicista David che però il destino le ha strappato troppo presto. Ora è una vedova pressoché inconsolabile.

A scompigliare ulteriormente le carte si mette il Covid. Siamo all’inizio della pandemia e William, che è uno scienziato (e reduce da un altro divorzio), capisce subito la portata drammatica del virus. Riesce a convincere Lucy a chiudersi insieme a lui in una casa nel Maine affacciata sull’Oceano. Nell’immaginaria Crosby in cui aveva ambientato “Olive Kitteridge” (che tra l’altro viene citata in più parti dell’ultimo romanzo).

Il romanzo è un po’ la cronistoria dello spaesamento dell’abitudinaria Lucy in una casa che non sente sua, alle prese con stati d’animo alterni, senza mai dimenticare da dove viene e la povertà traumatica della sua infanzia. Il suo tempo è scandito da rituali minimi: passeggiate, il progressivo riavvicinarsi a William, le notizie di cronaca. Ma anche i dispiaceri che stanno affrontando le figlie, inquiete e sfuggenti.

William fin dalle prime avvisaglie della pandemia ha spinto le figlie Chrissy e Becha, con i loro mariti, ad allontanarsi dai centri urbani per mettersi in salvo. Poi, una abortisce per la terza volta, si dispera, diventa scheletrica ed ha un amante. L’altra invece viene lasciata dal marito, pseudo poeta mediocre e geloso del successo letterario della suocera.

Teatro di tutto il romanzo è una tavolozza di colori della natura, tra mare in burrasca o calmo, cieli azzurri che virano in tempesta. Ma anche notizie di morte e pazienti intubati in lotta per sopravvivere.

 

 

Gaëlle Nohant “L’archivio dei destini” -Neri Pozza- euro 20,00

 

Dietro le pagine di questo libro ci sono oltre tre anni di lavoro in cui l’autrice ha svolto un’enorme indagine documentaristica, incontrato testimoni non solo in Polonia e Germania.

Fulcro delle sue ricerche sono gli Archivi Arolsen, noti anche come International Tracing Service, il più grande centro di documentazione e ricerca sulle persecuzioni naziste. E’ stato creato dagli Alleati alla fine della Seconda guerra mondiale, ed ha sguinzagliato dei detective col compito di indagare sui destini delle vittime del nazismo, su richiesta dei loro parenti. Tracce ovviamente difficili da seguire quando le camere a gas, i forni crematori e le fosse comuni hanno inghiottito famiglie intere.

 

I personaggi del libro sono quasi tutti di fantasia, ma le loro esperienze sono quelle vissute davvero da chi è stato travolto dal furore nazista. Tutto quanto viene narrato è basato sulla realtà storica. Tanto più che la Nohant si è avvalsa della collaborazione e dell’amicizia di persone come Nathalie Letierce-Liebig, che da 40 anni lavora alla Missione di Ricerca e Chiarimento dei Destini e si occupa della Missione Memoria Rubata.

 

A questa incredibile donna è ispirata la figura della protagonista del libro, Irene, per la quale il lavoro di ricerca svolto è una vocazione ed un impegno che pervade tutta l’esistenza. Il suo compito è restituire le migliaia di oggetti raccolti nel centro dopo la liberazione dei campi di sterminio. Cose materiali, per lo più di uso comune strappate alle vittime: fedi nuziali, foto, portafogli, orologi,…..

Tutti reperti di immenso valore simbolico, testimonianze silenziose, ma urlanti orrore e testamenti di vite falciate. Grazie a loro i defunti riacquistano il loro posto nel cuore delle famiglie.

Irene cerca in tutti i modi di rimettere insieme legami familiari interrotti dalla guerra, recupera poco a poco, con fatica, sensibilità e grande emozione, alcuni frammenti della quotidianità di chi è scomparso. Così facendo, le loro esistenze non restano limitate solo al tragico destino; ogni vita per breve e tremenda che sia è unica e preziosa.

Un libro magnifico e struggente che riunisce e riconcilia membri di famiglie attraverso generazioni. Mette anche il dito in piaghe dolorosissime come quelle dei bimbi ebrei strappati alle madri per essere dati in adozione a famiglie ariane. Molti di loro neanche ricorderanno più la lingua di origine, mentre i loro discendenti rintracciati da Irene saranno letteralmente scioccati di fronte ai segreti che la storia ha infilato nelle loro famiglie,

 

 

Serena Dandini “La vendetta delle muse” -HarperCollins- euro 18,00

 

Le muse raccontate da Serena Dandini sono state creature dotate di grande ingegno e talento, ma la storia ha steso un velo di indifferenza su di loro; ed ecco che l’autrice ha deciso di scrivere per rivendicarne la grandezza e un po’ anche per vendicarle.

La selezione è avvenuta in base alle preferenze dell’autrice che ha ricostruito un pantheon di figure femminili a lei particolarmente care, che i libri di storia non citano spesso. Grandi donne rimaste per lo più invisibili.

Alcune, come Colette, si sono vendicate da sole; mentre altre sono state considerate delle rovina famiglie, ragazze cattive. Tra queste ci sono Alma Mahler e la Gala di Dalì; ambiziose che hanno coltivato questa loro caratteristica contravvenendo alla regola secondo la quale le donne dovrebbero fare passi indietro per lasciare ampio spazio agli uomini.

Sono state capaci di trasformare in forza le loro debolezze, coraggiose nell’infrangere parecchi tabù, incluso quello di stare con uomini molto più giovani.

A determinare i loro percorsi è stata soprattutto l’ostinazione nell’inseguire i loro sogni. Una su tutte, la splendida Hedy Lamarr, prima donna a comparire nuda sugli schermi nel film “Estasi” nel 1933. Poi diventata l’attrice e la donna più bella del mondo; ma dalla sua aveva anche un quoziente intellettivo fuori dal comune.

Studiò un sistema radiocomandato a distanza che nel 1940 ancora non esisteva; meccanismo ultrasofisticato che consentiva alle frequenze radio di cambiare in continuazione ed ostacolare le intercettazioni del nemico. Un’arma che avrebbe potuto contrastare le aggressioni di Hitler e che è alla base di tutta la tecnologia odierna. Insieme al musicista George Antheil mise a punto un “Sistema di comunicazione segreto per missili radio controllati” che però restò inutilizzato fino al 1958.

 

Le radiofrequenze studiate da Hedy Lamarr troveranno poi applicazione nelle nuove tecnologie militari, mediche, ma anche nel Wi-Fi e nella telefonia mobile e in tanti altri dispositivi che usiamo oggi. Giusto per dire la grandezza di una donna.

 

 

Patricia Cornwell “Cause innaturali” -Mondadori- euro 22,50

Tutto inizia con il macabro ritrovamento dei resti orribilmente mutilati di due campeggiatori ritrovati in una zona selvaggia della Virginia settentrionale. Le vittime sono Huck e Brittany, che erano ricercati dai federali per il riciclaggio di denaro e terrorismo, dal momento che fiancheggiavano il gruppo filorusso “The Replubic.

Quello che gli investigatori trovano nell’accampamento semi segreto delle vittima fa pensare ad un violentissimo attacco a sorpresa computo da più assassini particolarmente spietati e sadici. A far luce sull’accaduto troviamo Kay Scarpetta e la nipote Lucy.

Yoga per la primavera – 3 pose per fare spazio nel corpo

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YOGA SENZA BARRIERE 

 

La primavera è un tempo di rinnovamento per la natura e può esserlo anche per noi. Tramite lo yoga, possiamo liberare il corpo, rinfrescare la mente e rivitalizzare lo spirito. Ecco tre pose yoga che aiutano a preparare il corpo alla rinascita primaverile

 

Tadasana (Posizione della Montagna)

Questa posa è fondamentale per la corretta postura, stabilizza e dà energia preparando il corpo ad asana più complessi.

Per eseguirla bisogna stare eretti con i piedi uniti, distribuire il peso equamente tra entrambi i piedi. Sollevare le braccia sopra la testa, respirare profondamente.

Virabhadrasana 1 (Posizione del Guerriero 1)

Il guerriero 1 rinforza gambe e caviglie, migliora equilibrio e concentrazione, e apre il torace e i fianchi.

Esegui questa posa partendo da Tadasana, fai un grande passo indietro con il piede destro, piega il ginocchio sinistro e alza le braccia, mantenendo la schiena dritta.

Virabhadrasana 2 (Posizione del Guerriero 2)

Il guerriero 2 migliora la stabilità, aumenta la resistenza fisica e mentale.

Simile a Virabhadrasana 1, ma con le braccia estese perpendicolari al corpo e lo sguardo oltre le dita della mano anteriore.

Queste tre pose aprono e rafforzano il corpo, preparandolo per accogliere con entusiasmo la stagione della rinascita. Pratica con consapevolezza per un risveglio completo di corpo e spirito.

Serena Fornero