Rubriche- Pagina 36

Prendiamoci cura del nostro “bambino interiore”

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Parte 1

Il Bambino Libero, o bambino interiore, è una parte della nostra personalità che resta sempre bambina e che quindi mantiene in sé le caratteristiche legate al mondo dell’infanzia. È l’aspetto di noi che porta nella nostra vita la giocosità, la creatività, lo stupore.

E il contatto con lo spirito, ma anche il bisogno, la vulnerabilità. Spesso da adulti tendiamo a soffocare la parte che in noi è l’espressione di quel bambino libero, rischiando di renderla inaccessibile, perché non la percepiamo più.

Anche per sentirci adeguati nei confronti del mondo, siamo ormai identificati quel mondo, quello dei “grandi”, e siamo solo adulti, siamo seri, siamo responsabili. Cosa in sé corretta e funzionale. Ma per il nostro benessere ed equilibrio é necessario anche restare in parte bambini.

Pur essendo divenuti adulti. E recuperare quindi la spontaneità, la creatività e la fantasia, per equilibrare un atteggiamento adulto talvolta rigido, in cui viene a mancare l’entusiasmo, in cui non si sa godere del qui e ora.

In cui ci vergogniamo ad esprimere le nostre emozioni, e a domandare. Eppure, dentro di noi, quel bambino interiore esiste ancora, e ci chiede di essere amato, confortato e affettivamente nutrito. Impariamo quindi a conoscere e riconoscere il bambino dentro di noi.

A trattarlo come un bravo genitore farebbe con il suo amato figlio. Ascoltiamo le sue esigenze. Accettiamo questo bambino interiore, che talvolta è stato emotivamente un po’ schiacciato, e ha dovuto far finta che le sue emozioni non esistessero.

(Fine della prima parte)

Potete trovare questi e altri argomenti legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it

Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”

Gancia: una tradizione che continua a La Torre di Viatosto

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PENSIERI SPARSI  di Didia Bargnani

Era il 1865 quando il trisavolo di Massimiliano Vallarino Gancia, Carlo Gancia, imprenditore piemontese, crea uno champagne nostrano che chiama Spumante Italiano, da allora per l’azienda vinicola si contano solo successi, fino ad arrivare alla quarta generazione con Vittorio e Lorenzo Vallarino Gancia e poi alla vendita dello storico marchio, una parte nel 2011 e la restante nel 2014, ad un gruppo russo.
Oggi, in continuità con i desideri di papà Vittorio, Massimiliano Vallarino Gancia, in qualità di Brand Ambassador insieme a Rosalba Borello Vallarino Gancia, addetta alle P.R., portano avanti l’attività iniziata da Vittorio nella tenuta La Torre di Viatosto, azienda vitivinicola a pochi chilometri da Asti, alle spalle della suggestiva chiesa romanica in località Viatosto.
“Negli anni mio marito Vittorio – mi racconta Rosalba- aveva maturato un legame fortissimo con il mondo dell’agricoltura, desiderava che le sue vigne fossero coltivate con metodi biologici nel più totale rispetto dell’ambiente e della natura. Oggi abbiamo sei ettari di vigne con la possibilità di arrivare a nove, con uve nebbiolo, merlot e moscato”.
“ Oggi La Torre di Viatosto produce 10.000 bottiglie all’anno – spiega Massimiliano-  ma contiamo di arrivare a 50.000 bottiglie fra quattro o cinque anni, con la guida di un enologo esperto e con la supervisione di mio fratello Lamberto; desideriamo un prodotto di altissima qualità affinché mio padre, anche da lassù, possa esserne fiero”.
Siamo nel cuore del Monferrato, terra di ottimi vini già nell’800, La Torre di Viatosto è l’unico vigneto in questa località, qui sono state piantate uve Nebbiolo all’80% che si produce come Monferrato Nebbiolo DOC anche se Massimiliano e Rosalba preferiscono vinificarlo come metodo classico Rose’ extra brut ( Cuve’ Vittorio) che viene prodotto con Nebbiolo in purezza.
Chi sono i vostri clienti?
“ Ristoratori, enoteche e poi tanti visitatori che vengono qui in cascina dove organizziamo degustazioni ; è importante – sottolinea Rosalba- conoscere da vicino, di persona, la realtà da cui arriva il nostro vino”.
Se volete degustare i vini di Massimiliano e Rosalba potete prenotare una degustazione proprio a casa loro, davanti alle vigne, vi aspetta uno splendido panorama e l’accoglienza calorosa di una grande famiglia unita.
Ad maiora Rosalba e Massimiliano!  Vittorio è sicuramente fiero del vostro impegno e dei vostri risultati.

Una fresca insalata di farro

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Il farro e’ un cereale antico dalle elevate proprieta’ nutritive.

L’insalata di farro e’ un’ottima alternativa all’insalata di riso o di pasta, e’ un piatto estivo originale e fresco. Gusto di nocciola, giusta consistenza…una sorpresa di gusto, assolutamente da provare.

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Ingredienti

 

200gr. di farro perlato

80gr. di olive verdi denocciolate

1 confezione di wurstel di pollo

2 uova sode

150gr. di mais e piselli sgocciolati

2 filetti di peperone giallo e rosso in agrodolce

Olio evo

Lavare il farro e metterlo in una pentola con acqua fredda e salata. Cuocere a fuoco lento per 30 minuti dall’ebollizione. A cottura ultimata scolare e lasciar raffreddare. Tagliare i wurstel, le uova sode e i filetti di peperone, unire il mais e i piselli sgocciolati e le olive al farro, condire con un filo di olio evo, mescolare bene, aggiustare di sale e servire fresco.

 

Paperita Patty

Sua maestà la bagna cauda

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Esistono numerose varianti  della ricetta tradizionale che prevede esclusivamente l’utilizzo di pochi ingredienti di ottima qualita’: acciughe, aglio e olio

La Bagna Cauda e’ senza dubbio uno dei pilastri della cucina piemontese, ed ha origini lontane nel tempo. E’ una ricetta semplice ricca di gusto e passione che esalta la convivialita’, un rito simbolo di amicizia ed allegria poiche’ in genere la “bagna” si consuma in compagnia. Esistono numerose varianti  della ricetta tradizionale che prevede esclusivamente l’utilizzo di pochi ingredienti di ottima qualita’: acciughe, aglio e olio. Vi propongo la mia variante modernizzata per “addolcire” l’intingolo.

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Ingredienti per 4 persone:

2 teste d’aglio intere

1 etto di acciughe “rosse” di Spagna sotto sale a persona

200ml di olio evo

200ml di latte intero

200ml di panna da cucina

acqua e aceto q.b.

Verdure fresche di stagione a piacere (cardo gobbo, cavolo verza, topinambur, peperoni arrostiti, patate lesse, cipolle al forno, barbabietola ecc.)

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Dissalare velocemente le acciunghe in acqua e aceto e ridurre a filetti. Preparare l’aglio eliminando il germoglio centrale di ogni spicchio poi, affettare sottilmente. Far cuocere a fuoco lentissimo l’aglio in 100ml di latte sino a quando e’ tenerissimo, scolare il latte e ridurre in poltiglia. In una terrina di coccio (“fojot” in piemontese) versare l’olio e quando e’ caldo mettere le aggiughe e la crema di aglio, rimestare con un cucchiaio di legno sino a quando e’ tutto sciolto infine, aggiungere la panna ed il rimanente latte. La salsa e’ pronta per essere servita bollente in ciotole di terracotta singole per ogni commensale. Abbinamento perfetto con un giovane barbera vivace.

 

Paperita Patty

 

Le pericolose conseguenze dell’effetto alone

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Parte 2

Nel continuo intento di farci risparmiare tempo e fatica (ecco come nasce l’esperienza, ma purtroppo anche certi schemi mentali difficili da sradicare) il nostro cervello a volte sbaglia, nel suo tentativo di semplificarci la vita. Facendoci arrivare a determinazioni e conclusioni rapide.

In tal modo certamente risparmiandoci ogni volta un faticoso e lungo lavoro di ponderazione e di valutazione, ma talvolta semplificando eccessivamente la realtà. È certamente questo il caso dell’effetto alone. Nella nostra vita questa dinamica ci si ritorce contro a volte con conseguenze davvero molto gravi.

Conoscendo l’esistenza dell’effetto alone e le dinamiche che ne derivano, possiamo però anche essere in grado di sfruttarle a nostro favore, usandolo consapevolmente. Sia per valutare in modo più veloce e corretto le altre persone, o certi oggetti (pensiamo agli inganni da effetto alone di molta pubblicità…) in molteplici situazioni.

Ma anche di esprimere al meglio noi stessi attraverso il modo in cui ci presentiamo nei vari ambienti, in modo da suscitare le reazioni a noi più favorevoli… Specialmente negli ultimi tempi il fenomeno dell’Effetto Alone è stato analizzato anche relativamente al settore commerciale e del marketing dei prodotti, poiché esso condiziona il nostro giudizio.

È la percezione che abbiamo anche sui prodotti, in special modo quelli appartenenti a uno specifico brand (o marchio o linea di prodotti). Per via di questa ingannevole distorsione mentale, le case produttrici più famose e prestigiose in genere godono di un sostanziale vantaggio. Nel senso che che beneficiano del fenomeno Effetto Alone quando lanciano un nuovo prodotto.

Nel caso in cui la marca venga percepita con un giudizio positivo dai consumatori. Se in precedenza la casa produttrice ha commercializzato un prodotto di successo, gli acquirenti tenderanno ad estendere il giudizio positivo dato al prodotto precedente anche sul nuovo prodotto, pur non sapendo ancora nulla delle sue caratteristiche.

(Fine della seconda parte)

Potete trovare questi e altri argomenti legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP
www.tentoni.it

Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”

Arturo, fascista pentito

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Le discussioni con Arturo, fascista tutto d’un pezzo, erano spesso animate e a volte molto dure. Lui era convinto della bontà delle scelte del Duce, entusiasta del regime e profondamente legato alla politica nazionale e autarchica. Non era mai stato un violento anche se non ammetteva nessun tipo di errore per quanto veniva imposto in quegli anni ed era pronto a giustificare quasi tutto. Quasi perché su un punto s’incrinavano le sue certezze: chi non la pensava come i fascisti andava convinto, ragionando con tutta la passione necessaria ma mai si doveva usare la violenza. Le squadracce e le loro bravate, non godevano del suo plauso. S’arrabbiava, diventavano rosso in volto. Tutta quella violenza, le botte e le bevute d’olio di ricino imposte ai dissidenti, andavano non solo criticate ma anche condannate. Arturo sosteneva che il vero fascismo non fosse quello. La rivoluzione sociale non poteva degenerare e il riscatto del popolo non doveva affermarsi con imposizioni e discriminazioni. Le nostre discussioni, all’osteria davanti all’imbarcadero di questo piccolo paese sul lago Maggiore, assumevano toni molto forti ma non degeneravano mai in uno scontro vero e proprio. Arturo portava rispetto per chi non condivideva il suo punto di vista e concludeva i suoi ragionamenti con una frase precisa, sempre la stessa: “Sei più testardo di un mulo e non vuoi vedere più in là del tuo naso. Ti convincerai che le cose andranno per il verso giusto. E chi sgarra, come questi matti che interpretano le direttive del partito con arroganza e violenza, pagherà per i suoi torti”. In realtà era lui, povero Arturo, a non persuadersi di ciò che stava accadendo attorno a noi, al clima sempre più pesante e opprimente, alla paura che induceva al silenzio, al clima di sospetto. Eravamo agli inizi ma già si intuiva che le cose sarebbero peggiorate, che il regime avrebbe mostrato il suo volto peggiore anche nei piccoli centri, nella provincia più profonda. Ogni dissenso era considerato tradimento, e come tale andava represso. Arturo se ne andò una mattina. Aveva trovato un impiego dalle parti di Castellanza come contabile in una manifattura tessile. Sembrava invecchiato precocemente. Parlava poco, non mostrava più l’ardore di un tempo. Qualcuno disse che un giorno, sul finire del 1938, ebbe uno scontro durissimo con alcune camicie nere che avevano prelevato dalla fabbrica due giovani operai accusandoli di essere ebrei e che, come tali, dovevano essere allontanati dalla produzione. Arturo li difese, gridando che il fascismo era nato per difendere il popolo e i lavoratori, che nessuno doveva essere discriminato, che quei metodi gli facevano schifo, ribrezzo. Venne malmenato e, una settimana più tardi, licenziato dalla direzione del cotonificio. Tornò da sua zia, l’unica parente che gli era rimasta dopo la morte, avvenuta molti anni prima, dei genitori. Era avvilito, provato. Mangiava poco e vagava a lungo, senza meta, tra i boschi e lungo le rive del lago. Un giorno sparì. E di lui non si seppe più nulla. Solo dopo la liberazione, venimmo a conoscenza della sua morte. La delusione profonda verso il tradimento dei suoi ideali l’aveva portato ad aggregarsi ad un gruppo di partigiani del varesotto e, durante un rastrellamento, era stato catturato e fucilato dai suoi ex camerati. Ci dissero che non aveva armi per sua precisa scelta: la violenza gli faceva orrore e si occupava solo di tutto ciò che poteva consentire alla banda di resistere tra quei monti, dal recupero del vettovagliamento alla logistica. Morì senza aver mai sparato un colpo. Vittima di quel regime che gli aveva acceso in cuore una speranza per poi spegnerla con l’arbitrio e la violenza.

Marco Travaglini