Rubriche- Pagina 3

Il Chirurgo Estetico come Coach dell’Armonia

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PENSIERI SPARSI  di Didia Bargnani

Nella Chirurgia Plastica e nella Medicina Estetica l’offerta oggi è vastissima tanto da creare spesso confusione e disorientamento nel paziente che generalmente è motivato dal desiderio di migliorare il proprio aspetto fisico. In questo contesto il chirurgo non dovrebbe essere un mero esecutore, un tecnico che esegue un intervento ma un vero e proprio “coach” che conduce i pazienti ad effettuare scelte consapevoli ed in armonia con il loro essere, la bellezza infatti non è solo un volto perfetto ma rappresenta un concetto più ampio legato anche all’armonia interiore.
Abbiamo intervistato il dott. Daniele Bollero, specialista in Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica per capire come si possa essere il “coach”dei propri pazienti, indirizzandoli verso decisioni consapevoli.
Come descriverebbe il suo ruolo come medico estetico?
“ Il compito di un chirurgo plastico come di un medico estetico è quello di focalizzarsi non solo sulla correzione dei difetti fisici ma sulla ricerca dell’armonia , dobbiamo avere come obiettivo il condurre il paziente verso scelte equilibrate che rispecchino il desiderio di migliorarsi senza essere ossessionati dalla perfezione assoluta “.
Quale tipo di approccio secondo lei è necessario per stabilire un buon rapporto con il paziente?
“Attualmente l’offerta è incredibile, il medico deve portare il paziente a capire cosa è meglio per lui e poi lui ti seguirà  nel tuo concetto di bellezza, fortunatamente la relazione tra medico e paziente non è più quella di vent’anni fa, quando il medico decideva cosa fare, oggi tra questi due soggetti c’è comunicazione e il paziente partecipa alle scelte”.
Il “coaching” diventa un processo che permette al paziente di trovare le proprie risposte e superare i limiti interni, l’empatia del medico è fondamentale per capire che cosa spinge un individuo a volere un cambiamento.  “ Solo grazie all’empatia e alla comunicazione reciproca possiamo giungere a stabilire un piano che rispetti la sua anatomia e favorisca il suo benessere psicologico, il mio lavoro deve servire per migliorare l’aspetto di una persona senza stravolgerlo, il risultato deve condurre ad avere un aspetto più gradevole ma anche, possibilmente, ad essere una persona più sicura e felice”.
Qual e’ il futuro della Medicina Estetica?
“ Verso la qualità, mi piace fare un paragone con il cibo: fast food o qualità? Fast filler o qualità?  Il medico estetico dovrà sempre più indirizzare il paziente verso un percorso da svolgere insieme, non esiste il trattamento risolutivo fatto in una seduta, posso togliere le rughe, correggere i volumi con del botox, con l’acido ialuronico ma poi dovrò dedicarmi alla cura della pelle, alla qualità della pelle. Solo attraverso un rapporto fiduciario si può ottenere la soddisfazione dei pazienti che siano donne o uomini, un percorso che migliora la qualità della vita”.
Quando desideriamo rivolgerci ad un Medico Estetico il nostro pensiero va anche ai costi, cosa ne pensa?
“ I costi se sono ben distribuiti non sono assolutamente inavvicinabili, è compito mio far spendere bene i miei pazienti durante il loro percorso con me, l’importante è affidarsi ad un medico competente e seguirlo, non saltabeccare da uno Studio all’altro, e stabilire un rapporto di fiducia che possa mettere in risalto la bellezza che nasce da dentro e,  come  dico sempre, un individuo informato sarà un paziente soddisfatto”.
Su Instagram: drdanielebollero

“Il cammino della speranza: poesia come cura per l’anima”

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TORINO TRA LE RIGHE

Per la rubrica Torino tra le righe, oggi voglio parlarvi di un libro molto toccante: “Il cammino della speranza”, scritto da un’autrice torinese che si firma con lo pseudonimo Good Vibes. Si tratta di una raccolta poetica profondamente commovente che esplora le cinque fasi del lutto attraverso la forza evocativa della poesia. Ogni poesia rappresenta un viaggio intimo e universale attraverso le fasi del lutto: negazione, rabbia, contrattazione, depressione e accettazione. La raccolta è stata concepita per aiutare il lettore a riconoscere e accogliere le proprie emozioni, offrendo al contempo un percorso verso la speranza e la rinascita.
Il libro si apre con un prologo in cui l’autrice spiega come scrivere queste poesie sia stato per lei un atto di sopravvivenza, un modo per dare forma al dolore che l’ha travolta quando ha perso entrambi i genitori. Questo processo di elaborazione personale si riflette nelle sue parole, che guidano il lettore attraverso le emozioni più profonde e dolorose, dall’incredulità iniziale alla rabbia, dalla negoziazione alla tristezza, fino alla scoperta di una nuova luce nell’accettazione. “Il cammino della speranza” diventa così uno specchio per chiunque abbia affrontato una perdita, un invito a sentirsi meno soli e a trovare conforto nella poesia.
Good Vibes, nata a Torino nel 1980, ha seguito studi classici e si è laureata in lettere moderne. La prematura perdita dei genitori l’ha costretta a mettere da parte il sogno di insegnare, spingendola verso una carriera nel mondo aziendale. Tuttavia, il bisogno di esprimere e comprendere il proprio dolore l’ha portata a scrivere. Con il tempo, ha trasformato questa attività in una missione: aiutare gli altri a superare il lutto attraverso le sue opere.
“Il cammino della speranza” non è l’unico libro in cui Good Vibes affronta il tema della perdita. “Il libro del vento”, ad esempio, trae ispirazione dalla toccante storia del “telefono del vento”, un monumento situato a Otsuchi, in Giappone, dove le persone possono metaforicamente “parlare” con i propri cari scomparsi. Un altro titolo significativo è “Nel tuo abbraccio: lettere dal cuore”, una raccolta di lettere intime in cui l’autrice tiene vivo il ricordo delle persone amate, offrendo al lettore una prospettiva sincera e confortante sul modo di affrontare il dolore.
Lo pseudonimo Good Vibes riflette il desiderio di trasmettere un messaggio di positività e di speranza, anche nei momenti più bui. La bellezza di queste raccolte risiede nel loro valore terapeutico: attraverso i versi, il lettore viene accompagnato in un percorso di riflessione, comprensione e guarigione. Alla fine del viaggio, la poesia illumina una strada verso una nuova serenità, ricordandoci che, anche nei momenti più difficili, la speranza può essere una guida preziosa.
Consiglio vivamente la lettura di “Il cammino della speranza” e delle altre opere di Good Vibes a chiunque senta il bisogno di ritrovare un senso nel dolore e di scoprire una luce nel buio. Questi libri rappresentano non solo un’esplorazione poetica del lutto, ma anche un abbraccio virtuale per chiunque stia affrontando una perdita.
Marzia Estini
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Fresca e leggera: insalata di pollo allo yogurt

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Una ricetta light perfetta. Pollo grigliato arricchito da ingredienti freschi e leggeri, un piatto sfizioso che si prepara in anticipo in breve tempo e con poche calorie, adatto sia a pranzo che a cena.

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Ingredienti

1 petto di pollo/tacchino a fette

2 cucchiai di yogurt greco

1 cucchiaio di maionese

1 cuore di sedano

100gr. di Emmenthal

30gr. di gherigli di noce

1 limone

Erba cipollina, sale, pepe, olio evo

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Grigliare le fette di pollo senza condimento, lasciar raffreddare. Lavare e tagliare l’erba cipollina e il sedano. Ridurre a cubetti il formaggio. In una ciotola mescolare lo yogurt con la maionese, il sale, il pepe, l’erba cipollina, l’olio e poco succo di limone. Tagliare a tocchetti il petto di pollo, metterlo in una insalatiera, aggiungere le noci, il sedano, il formaggio e condire con la salsa allo yogurt. Mescolare bene ed eventualmente aggiustare di sale. Guarnire con fette di limone e servire accompagnato da una fresca insalatina verde.

Paperita Patty

Le vostre foto. Un viaggio tra gli sfarzi di Palazzo Reale

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Dallo scalone monumentale che accoglie i visitatori con imponenza, si accede agli ambienti sontuosi, come la sala da pranzo, perfetta testimonianza della magnificenza regale.


L’Armeria Reale è una delle collezioni di armi e armature più ricche e antiche al mondo.

La Cappella della Sindone, capolavoro del Guarini, affascina per la sua straordinaria architettura barocca.


Un percorso che intreccia arte, storia e bellezza.

(Le foto sono della nostra lettrice Alessandra Macario)

Utilizziamo al meglio il nostro tempo

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La capacità di gestire bene il nostro tempo è una delle qualità indispensabili per essere efficienti ed efficaci nel nostro agire e per evitare di vivere dominati dall’ansia. Il tempo che abbiamo a disposizione è una risorsa finita, ventiquattro sono le ore di un giorno e più o meno trecentosessantacinque i giorni di un anno.

La differenza la fa la nostra capacità di gestirlo al meglio. Se le giornate durano per tutti 24 ore, perché certe persone riescono a fare qualsiasi cosa desiderano e altre invece concludono poco o nulla, e magari sono molto più affannate delle altre? Moltissimo dipende dalla capacità di gestire e di organizzare il nostro tempo, limitando tutte quelle attività che lo sprecano.

Capita a tutti noi, spesso senza rendercene conto, di trascorrere ore a fare cose del tutto irrilevanti che ci allontanano da ciò che invece vorremmo fare. Il nostro tempo è troppo importante per essere sprecato, ma per utilizzarlo nel modo che veramente desideriamo occorre anche un po’ pianificarlo.

Forse non siamo completamente consapevoli di quanto il nostro rapporto con il tempo ci generi oggi una imponente quantità di ansia e di stress, in un mondo e in un’epoca in cui praticamente ogni individuo deve rispondere contemporaneamente a più ruoli, familiari, lavorativi, sociali, eccetera.

Abbiamo sempre più la sensazione di non avere abbastanza tempo per attendere a tutte le incombenze, che il tempo voli via, bruciando la nostra esistenza, e che le cose da fare siano una montagna incombente e soffocante… Sono poche le persone che possono avere il privilegio di non essere coinvolte in queste dinamiche.

Possiamo difenderci da questo vortice, ritornando ad essere più padroni del nostro tempo? Una maggior consapevolezza dei nostri limiti fisici e psicologici, e una coraggiosa riflessione su alcune esagerazioni nelle ambizioni sociali ed economiche, potrebbe ad esempio aiutarci ad affrontare la vita con un minore livello di impegni e quindi con una maggiore quantità di tempo a disposizione.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it
Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”.

(Fine della prima parte)

Potete trovare questi e altri argomenti dello stesso autore legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

Alla Beccaccia una signora “dedita all’altrui piacere”

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La notizia, lì e nei dintorni, girava già da qualche settimana. A mezza voce, tra ammiccamenti e gomitate, si era sparsa la voce che “La Beccaccia”, un’osteria con locanda, ospitasse una signora dedita alla promozione dell’altrui piacere.

Ovviamente, dietro pagamento di una modica somma perché, com’è noto, il “mestiere più vecchio del mondo”, come tutte le attività che si rispettino, non era gratis. Natalino e Pacifico, un po’ per curiosità, un po’ per l’indole trasgressiva che li accomunava, decisero di andare a vedere se quanto si sentiva dire corrispondesse poi al vero. “Un sopralluogo s’impone”, sentenziò Pacifico, che per mestiere s’occupava a tempo pieno della tutela dei lavoratori ( “di tutti i lavoratori”). Ovviamente Natalino, operaio e pubblico amministratore, non obiettò alcunché, trovandosi d’accordo con l’amico in tutto e per tutto. Quindi, inforcate le bici, partirono. La strada non era molta tra il loro paese e quello dell’osteria. Pedalando di buona gamba, i sette chilometri e mezzo s’accorciarono in un baleno e i due amici, raggiunto il campanile del paese, svoltarono a sinistra, imboccando la strada che saliva verso la stazione ferroviaria, dove – un po’ prima dello spiazzo davanti all’edificio – si scorgeva, sulla facciata di una vecchia casa a  due piani,  l’insegna de “La Beccaccia”. Lasciate le bici- nell’apposita rastrelliera collocata tra la Stazione e la locanda, i due entrarono. L’oste, tal Tossichini Aristide, detto “Burbero” per il carattere

ruvido e scontroso, in maniche di camicia, era intento ad asciugare dei bicchieri. Vedendo comparire  sull’uscio Natalino e Pacifico, non tradì particolare curiosità. Continuando a passare i calici nell’asciugamano, senza dire una sola parola e con un cenno del mento, chiese ragione della loro presenza. Un po’ impacciati, i due esitarono a parlare per qualche istante. Poi, incrociato lo sguardo interrogativo del Tossichini, Natalino prese coraggio e, schiaritasi la voce, chiese: “Si può vederla?”. “Burbero”, senza scomporsi più di tanto, con fare svogliato, indicò la scala in fondo al locale che portava al piano superiore. I due amici, ringraziando, salirono svelti i gradini di legno, trovandosi davanti ad un corridoio dove, da una parte e dall’altra, s’aprivano tre

porte. Due a sinistra e una a destra. Quale delle tre era quella giusta? Tentarono a destra ma la porta era chiusa a chiave. Afferrata la maniglia della prima a sinistra, il risultato fu lo stesso: bloccata. Rimaneva l’ultima porta. E questa s’aprì, con un lieve cigolio. Entrati nella stanza, restarono a bocca aperta, sgranando gli occhi davanti alla scena che si presentò  davanti al loro sguardo smarrito. Altro che femmina compiacente e lussuriosa! Nella penombra della stanza, sdraiata sul letto, vestita di nero e con il rosario in mano, s’intravvedeva il cadavere di un’anziana donna.  Ai fianchi del letto quattro grossi ceri accesi diffondevano una luce tremolante e fioca da far venire i brividi. Pacifico e Natalino si guardarono in faccia e, quasi di scatto, fecero dietrofront, uscendo dalla stanza, chiudendosi rumorosamente la porta alle spalle. La scala dalla quale erano saliti con un po’ d’imbarazzo e circospezione, venne ridiscesa in fretta e furia. Quell’impazienza insospettì l’oste che non ci mise molto a capire la situazione, considerando che i due non erano i primi a sbagliare indirizzo e credere che nella sua locanda si praticasse il mercimonio. Rosso in volto, furibondo perché i due avevano scambiato la vecchia zia Giuditta, morta il giorno prima a ottant’anni d’infarto , per una poco di buono, “Burbero” iniziò ad inveire. Brandendo minaccioso una vecchia scopa di saggina, si lanciò all’inseguimento dei malcapitati che, inforcate al volo le biciclette, pedalarono via come due indemoniati. Giunti al paese, trafelati e stanchi, si presentarono ansimando all’osteria dell’Uva Pigiata. Paolino Pianelli, a conoscenza della loro avventura, vedendoli in quello stato, fece l’occhiolino sussurrando: “L’avete vista, eh?”. Pacifico, con un filo di fiato e una buona dose d’ironia, rispose che sì, l’avevano vista. Ma che già al primo sguardo, avevano capito subito che non faceva per loro e se n’erano andati via.

 

 Marco Travaglini

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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SOMMARIO: Bulli, delinquenti, autonomi a Torino – Il sindaco Lorusso e l’insicurezza  urbana – Daniele Sacco e il “Cambio” – Lettere

Bulli, delinquenti, autonomi a Torino
Il bullo e delinquente che getto’ dai Murazzi una bicicletta elettrica che colpì un giovane universitario, oggi paraplegico e che ha avuto la vita rovinata, ha avuto una sentenza di cinque anni inferiore (perché scelse il rito abbreviato) della ragazza che fu presente al fattaccio dei Murazzi, ma non vi partecipò. 16 anni sono molti per un concorso morale non facilmente dimostrabile. C’è da domandarsi perché la ragazza non prese le distanze dai suoi amici, ma il mondo del bullismo ha regole mafiose.
C’è da dire, pur senza aver letto le carte e pur condannando l’ omertà  della ragazza, summum ius, summa iniuria.
Soprattutto, rifiuto l’idea delle sentenze esemplari:  esse contengono in sé elementi illiberali che non potrò mai condividere.
In concomitanza con la sentenza  ci sono state le violenze di autonomi e studenti che hanno imbrattato Torino, danneggiato vetrine, ferito due poliziotti e un carabiniere.  Momenti di violenza  urbana, si dice oggi, che il prefetto vede legati anche alla criminalità. Un commento a se’ meriterebbe il solito sociologo (come aveva ragione Croce a tenere in nessun conto i sociologi) che giustifica la violenza dei “fragili”, incitando ad un dialogo con loro. Ma le sue parole sono talmente fuori da ogni logica che discuterle sarebbe uno sforzo inutile. Vanno citate  per documentare ancora una volta a che punto giungano certi intellettuali come nel 1968 e nel 1977, per non ricordare i complici di Lotta Continua e delle Br.  Nel caso dei violenti e nostalgici degli anni di piombo non ci possono essere indulgenze. Lo Stato deve tutelare i veri fragili che sono i cittadini. Ma, in ogni caso,  senza sentenze esemplari che sminuiscono il valore della nostra democrazia

Il sindaco Lorusso e l’insicurezza  urbana
In un ‘intervista al “Corriere della Sera”, il sindaco di Torino ha dichiarato che “l’illegalità colpisce soprattutto i fragili” Ed ancora “la sinistra non può aver paura di parlare di sicurezza” , riecheggiando l’ex sindaco Veltroni, oggi editorialista del “Corriere”, che considera un errore pensare alla sicurezza non  come una priorità sottovalutata dalla sinistra.
Ha anche ragione il sindaco di Torino nel dire che l’insicurezza non è solo problema di ordine pubblico, ma certi giustificazionismi  da tardo positivismo sociale di Verdi e Sinistra italiana sono superficiali e falsi. Lo Stato deve essere presente nelle periferie come nelle Ztl.
Ma in certe zone il degrado e il permissivismo hanno raggiunto dei livelli tali che neppure i Carabinieri sono sufficienti: gli spacciatori – ricorda il sindaco di Torino – si spostano dai luoghi presidiati di trecento metri e riprendono il loro mercato.  Sono problemi che vanno risolti , altrimenti  continueremo a baloccarci con la insicurezza percepita, mentre l’obiettivo è neutralizzare quella reale. Anche in una dichiarazione dell’on. Laus ci sono spunti di riflessione che meritano di essere considerati. Vorrei aggiungere che gli spacciatori che si arricchiscono, vanno perseguiti nel modo più duro, direi manu militari. Per loro nessuna comprensione diventa accettabile.
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Daniele Sacco e il “ Cambio”
Dicono che il conte di Cavour, che pranzava al “Cambio”,  si senta più solo dal 1 gennaio quando il cav. Daniele Sacco ha lasciato dopo 42 anni la direzione del ristorante, che con lui si era aperta alle novità, rimanendo una valida tutela della tradizione dell’unico locale storico di Torino, fondato  nel 1757.  Nella sua storia più recente Sacco ha attinto all’esempio del proprietario e direttore il comm.  Parandero, che tenne mirabilmente il locale per lunghi decenni persino durante la guerra. I locali del “Cambio” appartengono oggi all’erede di Parandero che è molto orgogliosa di suo padre. Ricordo i pranzi con la mia famiglia : mio padre era di casa anche per motivi di lavoro.
Ma non posso dimenticare che Arrigo Olivetti volle fondare al Cambio il Centro “Pannunzio” e Soldati  nel 1982 fondò  nella sala “Risorgimento” il Premio “Pannunzio”. E nelle sere d’estate, come scrisse Valdo Fusi, cenare nel  dehors a contatto visivo con palazzo Carignano suscita delle emozioni proustiane. Il “Cambio” ha avuto visitatori e clienti illustri a livello internazionale. Sacco con diplomazia e caparbietà tutta piemontese ha tenuto alto il nome di uno dei luoghi mitici di Torino. Lo ha fatto con il passo di corsa del bersagliere perché questi 42 anni sono passati in fretta Ricordo il primo  Premio “Pannunzio” del 1982 con il presidente del Consiglio Spadolini, che smaniava perché Galante Garrone ricordasse nella sua laudatio che lui a 25 anni era già professore, mentre Sacco da una parte e chi scrive dall’altra cercavamo di far funzionare le cose.
In un  elegante libro al quale io stesso ho collaborato, uscito  per i 200 anni del locale, Chiamparino ha banalizzato il ristorante, mettendo insieme agnolotti e Risorgimento. Fu una delle tante volte che non mi sentii rappresentato dal sindaco. Sacco dopo oltre quarant’anni è  rimasto giovane: ad un certo punto della storia del ristorante ha dovuto affrontare momenti difficili che ha fatto superare con la sua autorevolezza da tutti riconosciuta. Cosa farà  il diversamente giovane Sacco dopo la pensione ? Non è facile pensarlo anziano seduto su una panchina a svernare in riviera.
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LETTERE  scrivere a quaglieni@gmail.com
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Follie metropolitane
A Chieri l’abbonamento alla sosta delle auto in centro è aumentato da 80 a 400 euro. Una follia. Il centro di Chieri verrà ucciso da una giunta di demagoghi e incompetenti. Cosa ne pensa? Barbara Enrico

Mi sembra un provvedimento privo di buon senso. Chieri non vuole essere da meno di Moncalieri che ha chiuso il centro storico, facendone un deserto.  Basta a volte un sindaco o un assessore verde per provocare guasti terribili che distruggono  il tessuto urbano di una città. A Torino via Roma tutta pedonale provocherà dei contraccolpi che solo i ciechi non possono prevedere.

Torino: capitale del Barocco tra palazzi, chiese e monumenti

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Scopri – To      Alla scoperta di Torino

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Torino è una città che incanta con il suo fascino elegante e la sua ricca eredità artistica. Tra le epoche che hanno definito il suo volto, il Barocco occupa un posto speciale, trasformando la capitale sabauda in un teatro di grandiosità e bellezza. Questa corrente artistica, sviluppatasi tra il XVII e il XVIII secolo, ha influenzato profondamente la città, sia dal punto di vista urbanistico che architettonico, grazie al lavoro di grandi maestri come Guarino Guarini e Filippo Juvarra. Torino, infatti, è un museo a cielo aperto, dove i palazzi, le chiese e i monumenti narrano una storia di potere, fede e splendore artistico.
PALAZZI BAROCCHI: la Torino nobiliare.
I palazzi nobiliari di Torino sono tra i migliori esempi dell’architettura barocca in Italia. Camminando lungo le vie del centro, come Via Po o Via Garibaldi, è possibile ammirare eleganti facciate, portoni monumentali e cortili interni decorati con statue e fontane. Tra i più celebri spicca PALAZZO CARIGNANO, una delle opere più iconiche di Guarino Guarini. Costruito nel 1679, il palazzo si distingue per la sua facciata ondulata in mattoni rossi, un esempio di come il Barocco giochi con forme e volumi per creare un effetto dinamico. Oggi, Palazzo Carignano ospita il Museo Nazionale del Risorgimento, ma un tempo fu sede del primo Parlamento italiano.
Un altro gioiello barocco è PALAZZO BIRAGO DI BORGARO, progettato da Filippo Juvarra. Situato in Via Carlo Alberto, questo palazzo è un esempio di raffinatezza e funzionalità, con interni decorati da affreschi e stucchi che riflettono il gusto della nobiltà torinese dell’epoca. PALAZZO GRANERI DELLA ROCCIA, invece, è famoso non solo per la sua architettura ma anche per aver ospitato eventi culturali e letterari che hanno segnato la vita intellettuale della città.
PALAZZO MADAMA: un viaggio attraverso i secoli; si erge nel cuore di Piazza Castello, è un edificio che racconta la storia di Torino come nessun altro. Nato come Porta Romana, il palazzo è stato trasformato nei secoli fino a diventare una delle residenze preferite delle “Madame Reali”, le potenti reggenti sabaude. La sua trasformazione barocca è opera di Filippo Juvarra, che progettò la monumentale facciata in marmo. Con le sue colonne corinzie, i timpani e le ampie finestre, Juvarra riuscì a creare un’opera che combina eleganza e maestosità. Oggi, il palazzo ospita il Museo Civico d’Arte Antica, un luogo dove storia e arte si incontrano in un percorso che va dal Medioevo al Settecento.
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CHIESE BAROCCHE: la fede diventa spettacolo.
Le chiese barocche di Torino sono capolavori che uniscono devozione e creatività architettonica. La CHIESA DI SAN LORENZO, progettata da Guarino Guarini, è un esempio straordinario di come il Barocco utilizzi la luce e la geometria per creare un’esperienza spirituale unica. L’interno, con la sua cupola complessa e luminosa, sembra dissolversi in un intreccio di archi e aperture, invitando il fedele a guardare verso il cielo.
Un’altra meraviglia è la CHIESA DEI SANTI MARTIRI, situata in Via Garibaldi. Costruita dai Gesuiti, questa chiesa è famosa per i suoi ricchi interni, decorati con marmi policromi, affreschi e stucchi dorati. La CHIESA DELLA CONSOLATA, invece, è un esempio di come il Barocco sia stato utilizzato per rinnovare edifici più antichi. Il santuario, dedicato alla Madonna Consolata, è un luogo di grande devozione popolare, ma anche un capolavoro architettonico, grazie all’intervento di Guarini e Juvarra.
LA BASILICA DI SUPERGA, tra cielo e terra,
è uno dei simboli più riconoscibili di Torino. Situata su una collina che domina la città, la basilica fu progettata da Filippo Juvarra per celebrare la vittoria di Torino sull’assedio francese del 1706. La sua posizione panoramica, combinata con l’imponenza della struttura, rende Superga un luogo unico, dove arte e natura si incontrano. All’interno si trovano le tombe della Famiglia Reale dei Savoia, mentre il piazzale offre una vista mozzafiato dalle Alpi alla città sottostante.
LA REGGIA DI VENARIA è la Versailles piemontese; un altro capolavoro barocco, una delle residenze sabaude più grandiose. Dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, la reggia è un esempio perfetto di come il Barocco sia stato utilizzato per glorificare il potere regale. I suoi giardini, la Galleria di Diana e la Cappella di Sant’Uberto sono solo alcune delle meraviglie che attendono i visitatori. Restaurata negli ultimi decenni, la reggia è oggi uno spazio culturale dinamico, che ospita mostre ed eventi internazionali.
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IL BAROCCO NEL TESSUTO URBANO tra piazze e portici.
Il Barocco non si limita ai palazzi e alle chiese, ma definisce anche l’urbanistica di Torino. Le piazze principali, come PIAZZA SAN CARLO, sono esempi di come lo spazio pubblico possa essere trasformato in un luogo di bellezza e armonia. I PORTICI, che si estendono per chilometri, sono un’altra caratteristica unica della città, offrendo riparo e un senso di continuità tra gli edifici.
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TORINO, un patrimonio da vivere, non solo  una città da visitare, ogni strada, ogni palazzo e ogni chiesa raccontano una storia di grandezza e innovazione. Il Barocco, con la sua capacità di sorprendere e affascinare, è parte integrante dell’identità di Torino, una città che continua a incantare chiunque la scopra.
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NOEMI GARIANO

Terrina di pasta con verdure, variante vegetariana della pasta al forno

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Una deliziosa variante vegetariana della tradizionale pasta al forno.
Senza pomodoro, ma ugualmente ricca di sapore. Un primo piatto ghiotto ed originale.

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Ingredienti

300gr.di pasta corta
1 porro
2 carote
300gr. di verza
200gr.di zucca
1 piccola melanzana
500ml. di besciamella
1 mozzarella
200gr. di prosciutto cotto
Parmigiano grattugiato q.b.
Olio, sale, pepe, noce moscata

Preparare le verdure, tagliarle a piccoli pezzi e stufarle per 20 minuti in padella con un poco di sale. Lasciar raffreddare e mescolare con il prosciutto cotto tritato, il pepe, la noce moscata ed il pepe. Preparare la besciamella con mezzo litro di latte.
Lessare la pasta al dente.
Mescolare la pasta con le verdure e la mozzarella a tocchetti, trasferire il tutto in una terrina imburrata, coprire con la besciamella e in ultimo cospargere con il parmigiano grattugiato.
Passare in forno a 200 gradi per circa 15/20 minuti, finche’ si sarà formata una crosticina dorata.

Paperita Patty