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I crackers gluten free ai semi di lino de La Cuoca Insolita

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Articolo a cura de La Cuoca Insolita

Mi ricordo che la prima volta che ho aperto un libro di ricette senza glutine, non riuscivo a capire come fosse possibile fare dei prodotti da forno…senza usare la farina! Ho richiuso il libro, pensando che era una follia e che quei crackers, probabilmente, erano anche insulsi. Ero troppo abituata a considerare veramente buoni solo i gusti che la tradizione mi tramandava. Poi un giorno mi sono accorta che avevo da troppo tempo una busta intera di semi di lino a casa… Non volevo rischiare di buttarla, così mi sono ritrovata a sfogliare quel vecchio libro e questa volta ho deciso di fare una prova. Avevo tutto in casa e la ricetta richiedeva pochissime lavorazioni.
Quella sera c’erano a casa i miei suoceri:
– “Che profumino… Cos’hai preparato di buono oggi?”
– “Volete assaggiare?”.
– Sorriso soddisfatto, che voleva dire: “Sì, grazie!”
Finita tutta la teglia prima di cena.

Tempi: Ammollo semi (1h30); Preparazione (15 min); Cottura (2h30 min); 

Attrezzatura necessaria: Colino, robot da cucina tritatutto, coltello a lama liscia e tagliere, leccarda o teglia da forno 30 x 22 cm, carta da forno

Difficoltà (da 1 a 3): 1

Costo totale: 2,39 €

Ingredienti (per circa 300 g di crackers): 

  • Semi di lino – 100 g
  • Mandorle sgusciate – 50 g
  • Pomodori secchi reidratati – 50 g 
  • Capperi sotto sale – 15 g

Perché vi consiglio questa ricetta?

  • E’ adatta ai celiaci ed è senza farina.
  • Non fa alzare la glicemia (al contrario di pane, grissini o crackers).
  • a il 30% di calorie in meno rispetto ai crackers comuni!
  • I semi di lino in questa ricetta portano due benefici principali: l’elevato potere saziante e l’apporto di molti sali minerali (altre proprietà benefiche invece qui si perdono, per via della  cottura).
  • Le mandorle forniscono molto calcio e sono utilissime per lo sviluppo delle ossa nei bambini e per la prevenzione dell’osteoporosi nelle persone adulte.

Approfondimenti e i consigli per l’acquisto degli “ingredienti insoliti” a questo link.

In caso di allergie… Allergeni presenti: frutta a guscio.

Preparazione dei crackers

Fase 1: AMMOLLO DEI SEMI DI LINO

Mettete in ammollo i semi di lino per almeno 1h30 circa 750 ml di acqua. Al termine i semi saranno aumentati molto di volume e la loro consistenza sarà gelatinosa. Poneteli in un colino per eliminare tutta l’acqua in eccesso. 

Crackers di Lino

FASE 2: LA MISCELA DEGLI INGREDIENTI

Tritate grossolanamente le mandorle con il robot tritatutto (se non lo avete potete usate coltello e tagliere ma sarà un po’ meno veloce). Tritate invece più finemente i pomodori secchi insieme ai capperi, che avrete precedentemente risciacquato per togliere l’eccesso di sale. Unite tutti gli ingredienti ai semi di lino scolati. Disponete sulla leccarda o nella teglia, su carta da forno, formando uno strato che livellerete bene con il dorso di un cucchiaio fino ad uno spessore di 2-3 mm (deve essere sottile, altrimenti a fine cottura i crackers non saranno croccanti).

FASE 3: LA COTTURA

Accendete il forno a 100° C e una volta caldo infornate e cuocete per 2h. Sfornate e capovolgete lo strato sul lato opposto e fate cuocere ancora per 30 minuti, in modo che anche questo perda la sua umidità residua. A fine cottura la superficie dei crackers dovrà essere piuttosto dura al tatto. Spezzettate tutto lo strato in piccoli pezzetti della dimensione dei crackers e portate in tavola. 

Chi è La Cuoca Insolita?

La Cuoca Insolita (Elsa Panini) è nata e vive a Torino. E’ biologa, esperta in Igiene e Sicurezza Alimentare per la ristorazione, in cucina da sempre per passione. Qualche anno fa ha scoperto di avere il diabete insulino-dipendente e ha dovuto cambiare il suo modo di mangiare. Sentendo il desiderio di aiutare chi, come lei, vuole modificare qualche abitudine a tavola, ha creato un blog e organizza corsi di cucina. Il punto fermo è sempre questo: regalare la gioia di mangiare con gusto, anche quando si cerca qualcosa di più sano, si vuole perdere peso, tenere a bada glicemia e colesterolo alto o in caso di intolleranze o allergie alimentari.

Hamburger di fassone made in Piemonte

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Un piatto unico appagante e sfizioso

Gli hamburger fatti in casa sono perfetti per un piatto unico appagante e sfizioso. Genuini e privi di conservanti si preparano velocemente,  pochi semplici ingredienti di qualita’e un risultato perfetto. Elemento principale la carne di “fassone” tenera, succulenta e saporita, apprezzata da tutti.

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Ingredienti :

 

500gr. di carne tritata di “fassone”

1 cipolla media

2 tuorli

Sale e pepe q.b.

3/4 panini da hamburger

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Stufare la cipolla affettata sottilmente con una noce di burro e un pizzico di sale. In una ciotola impastare a mano la carne tritata con il sale, il pepe, i due tuorli e la cipolla stufata. Formare i medaglioni di carne (con questa dose ne vengono 3 o 4, dipende dallo spessore) e cuocerli sulla piastra pochi minuti per parte. Tagliare i panini e tostare la parte interna in padella. A piacere spalmare un velo di senape sul pane, disporre la carne e completare con una fetta di pomodoro e una foglia di insalata verde. Servire con croccanti patatine fritte. Altro che fast food!

Paperita Patty  

Casa Ugi, eccellenza torinese per i bambini malati di cancro

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SCOPRI – To Alla scoperta di Torino

Nel 1980 nasce a Torino l’UGI, una associazione di genitori che sostiene le famiglie con bambini malati oncologici e li supporta, collaborando con l’ospedale infantile Regina Margherita; da circa 20’anni è operativa “Casa UGI” che completa l’assistenza di queste famiglie offrendo loro cure e ospitalità. Oggi abbiamo il piacere di intervistare il Presidente, Prof. Enrico Pira.

D: Buongiorno Prof. Pira, ormai non solo per Torino ma in tutta Italia “Casa Ugi” è un’eccellenza nella cura e nel sostegno dei bambini malati oncologici, qual è la vostra storia e come nasce l’associazione?

R: L’Associazione UGI nasce quale unione fra genitori che hanno avuto esperienza di un tumore infantile in famiglia che si mettono a disposizione di altri genitori con gli stessi problemi; amiamo definirci “genitori per i genitori” perché ovviamente è il genitore che guida le varie fasi della malattia del bambino. Le nostre attenzioni sono sui bambini, col tempo abbiamo fondato “CASA UGI” che è una casa di accoglienza, un dislocamento dell’ospedale.

D: Quindi i ragazzi possono essere direttamente ospitati da voi per fare le cure?

R: Nella fase acuta i ragazzi e le ragazze sono in ospedale, ma nella fase intermedia qualla delle terapie e dei controlli sono qui da noi, abbiamo 21 alloggi disponibili, da poco ne abbiamo creati alti 6 nel centro della città per ospitare famiglie più numerose.

D: Avete uno spazio per la riabilitazione?

R: Sì da circa 4 anni abbiamo messo in funzione Ugi2 dove abbiamo spostato le competenze amministrative per liberare gli spazi di Ugi1 dove abbiamo aperto una web radio che si chiama Radio Ugi, gestita sia da ragazzi guariti, sia da artisti, abbiamo anche una palestra fatta apposta per la riabilitazione dei ragazzi dopo la malattia e che stiamo ora replicando per l’ospedale Regina Margherita utilizzando le donazioni che ci stanno arrivando.

D: Ha fatto notizia la donazione di Francesco Bagnaia, pilota di moto Gp che ha donato i suoi regali di nozze a casa Ugi per devolverli all’ospedale infantile Regina Margherita di Torino. Avete sempre bisogno di sostengo e senza risorse economiche non si può fare tutto quello che state facendo.

R: Sì sono fondamentali, spesso derivano da donazioni, lasciti testamentali e negli ultimi anni abbiamo fatto anche dei concorsi ministeriali per vincere i bandi e avere un sostengo economico.

D: Le percentuali di guarigione sono molto alte vero?

R: Le percentuali di guarigione sono del 90% sul totale, se invece andiamo a vedere per singola malattia come quelle del sistema linfopoietico sono anche superiori, questo impone di continuare a lavorare per l’inserimento sociale e poi anche in parte contribuiamo per la ricerca.

D: Voi seguite i bambini anche dopo la malattia?

R: Certo il dopo è fondamentale per bambini e ragazzi, bisogna riuscire a recuperare soprattutto il benessere psicologico, che è una complicanza che spesso incide al 50% quindi organizziamo attività sportive per dimostrare ai ragazzi che sono guariti e che sono uguali a tutti gli altri.

D: Lei ha avuto esperienza con suo figlio se la sente di raccontarla?

R: Sì, ho passato un brutto momento, ma anche lui è stato curato e ora sta bene, subito è scioccante ma poi la voglia di reagire diventa massima sia per il genitore che per il bambino, noi questo vogliamo trasmettere, vogliamo dare la grinta a chi non riesce ad averla perché si può guarire. Grazie Prof. Pira, a lei ed ai suoi collaboratori, siete un’orgoglio per la nostra città e mi permetta di chiudere il nostro incontro con il vostro motto: “Vietato smettere di sognare” perché le prospettive di guarigione devono essere alla portata di tutti.

NOEMI GARIANO

Lo Zabaione? Ecco la ricetta del “tiramisù” alla torinese

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Lo Zabaione, deliziosa crema all’uovo, è torinese Doc! Ecco la prodigiosa ricetta “1-2-2-1”

Ebbene sì, la ricetta dello zabaione non è lombarda, veneziana, e nemmeno emiliana, come si legge qua e là.

La ricetta della nota specialità fa parte della ricca cucina subalpina, e la si deve al frate spagnolo Pasquale de Baylón. Intorno a metà Cinquecento, il giovane frate francescano approdò a Torino per il suo apostolato, presso la Parrocchia di San Tommaso, all’angolo tra via Pietro Micca e via San Tommaso.

Fra Pasquale, addetto cuoco presso il convento, non riuscendo a montare uova e zucchero, provò quindi ad aggiungere vino dolce al composto. Fu così che, per caso, nacque la crema calda oggi conosciuta col nome di Zabaglione, o semplicemente zabaione.

Secondo certe cronache del tempo, il frate divenne ben presto un fidato consigliere per le giovani dame penitenti. Trascurate dai mariti, le pie donne si rivolgevano a lui in cerca di aiuto, per stimolare l’eros ed il vigore fisico dei congiunti.

Così facendo, la cura a base di zabaione divenne ben presto un’efficace panacea rinvigorente, oltre che una gustosissima ricetta.

La Ricetta originale di Fra Pasquale (1-2-2-1)

Alle signore che si dolevano della scarso appetito dei consorti, il frate suggeriva una semplice preparazione a base di tuorli d’uovo, zucchero e marsala, sapientemente combinati.

Ecco la ricetta miracolosa del San Pasquale de Baylón (da cui proviene il piemontese ‘L Sanbajon, divenuto zabaione o zabaglione in italiano):

  • 1 Tuorlo d’uovo
  • 2 cucchiaini di zucchero (da sbattere finchè il tuorlo diventa quasi bianco), a cui aggiungere:
  • 2 gusci d’uovo abbondanti di marsala
  • 1 guscio d’acqua

La crema andava scaldata a bagnomaria, da mescolare al primo bollore.

L’eredità di Fra Pasquale

Santificato nel 1680 da Papa Alessandro VIII, San Pasquale de Baylon è, dal 1722, il Santo Protettore di tutti i Cuochi del mondo; la sua festa cade il 17 maggio ed è venerato in Torino nella chiesa di San Tommaso.

Un suo ritratto è collocato nel coro della Chiesa del Monte dei Cappuccini a Torino.

Per correttezza, va comunque menzionata la teoria secondo cui, per la prima volta, la ricetta dello zabaione fu descritta da Bartolomeo Stefani, cuoco di corte della famiglia Gonzaga di Mantova nel testo L’arte di ben cucinare et instruire i men periti in quella lodeuole professione, Mantova, 1685.

Nel testo si legge:

Per far un zambalione: Si pigliarà ova fresche sei, zuccaro fino in polvere libra una e meza, vino bianco oncie sei, il tutto si sbatterà insieme, e poi si pigliarà un tegame di pietra vitriato a portione della detta composizione, si mettarà due once di butiro a disfar nel tegame, quando sarà disfato si butterà la composizione dandogli fuoco sotto e sopra.

Se si vorrà mettere nella composizione cannella pista se ne mettarà un quarto, se si vorrà ammuschiar conforme il gusto, avertendo però alla cottura che non si intostisca troppo.

Puoi fare ancora il zambalione in questa maniera: pigliarai oncie due di pistacchi mondi, pellati e poi pistati nel mortaio e stemprali con il vino, che va fatto il zambalione, e questo zambalione serve assai per i cacciatori, perché alla mattina, avanti vadino alla caccia, pigliano questo; se per sorte perdessero il bagaglio possano star così sino alla sera; se può fare con il latte di pignoli, come di sopra, e per convalescenti, che non possono pigliar forza, si fa col seme di melone.

In viaggio con il gabbiano

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Liberato l’ormeggio il battello si preparava a far rotta verso l’isola Pescatori. L’Helvetia si muoveva al rallentatore, restia a prendere il largo

Pareva non voler lasciare l’attracco, confidando nell’accoglienza dell’imbarcadero per prendere fiato e riposare il suo scafo provato da decenni di onorato servizio sulle acque del Verbano.

Ma le due eliche, mosse dalla potenza dei quattrocento cavalli a motore, fecero ribollire l’acqua e pur con un certo rimpianto e di malavoglia, partì. Con me era salita a bordo solo una coppia di stranieri. E più di tre quarti dei posti a sedere erano vuoti. Non c’era da stupirsi. La bella stagione era agli inizi e, per di più eravamo a metà settimana. Il lago era calmo e l’aria appena mossa da una leggera e piacevole brezza. Attraverso il tondo dell’oblò della porta d’accesso al ponte di coperta verso prua, dov’erano stivati i grossi e rigidi salvagenti, vidi un gabbiamo che si era posato vicino ai sugheri. Pur essendo uccelli di mare, diverse colonie di gabbiani vivono sui grandi laghi del nord, dal Maggiore al Garda. E quello lì,con una certa insistenza, mi guardava fisso con i suoi occhietti mobili. Ritto sulle zampette, se ne stava con fare allegro appollaiato sul parapetto, le lunghe ali raccolte, muovendo il becco   adunco e robusto. Sembrava mi parlasse, intendesse comunicare, desideroso di dispensare un saluto. Lo guardavo anch’io con curiosità. Forse troppa perché, qualche minuto dopo, prese il volo e si diresse verso il largo, lanciando le sue grida un po’ rauche. Il battello, dopo la breve navigazione stava per giungere all’attracco sull’isola quando un gabbiano planò sul ponte e mi fissò a lungo. Pareva in tutto e per tutto lo stesso di qualche istante prima che forse, con gesto garbato e cortese,non voleva far mancare un saluto prima dello sbarco.

Marco Travaglini

I retroscena della chirurgia estetica con la dottoressa Cacciatore

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SCOPRI -TO Alla scoperta di Torino 

Oggi siamo in compagnia della Dott.ssa Carola Cacciatore, nota specialista torinese che si occupa di medicina estetica, il cui motto è “equilibrio, armonia e naturalezza”. Proprio per questo approfondiremo insieme numerose problematiche che i trattamenti estetici possono portare se non fatti correttamente.

D) Buongiorno Dott.ssa Cacciatore, spesso non è chiara la differenza fra chirurgo plastico ed estetico, può spiegarcela?

R) Certo, molto volentieri; il chirurgo plastico è ricostruttivo come dice il termine, è quindi un chirurgo che ha una formazione specialistica, si occupa di correggere difetti, lesioni, traumi, disturbi dovuti a malattie come, per sempio, le problematiche oncologiche. Il medico estetico invece si occupa di migliorare l’aspetto della persona in generale e può venire da diverse specializzazioni prendendo un master in medicina estetica dopo aver conseguito la laurea in Medicina.

D) Molte persone quando iniziano un percorso di medicina estetica provano così tanta soddisfazione per il risultato da non riuscire più a farne a meno. Questo è dovuto ad un aumento di dopamina, quando siamo particolarmente soddisfatti di un acquisto o di qualcosa che abbiamo addosso l’ormone che ci fa provare soddisfazione cresce e spesso ne vogliamo ancora. Ecco che alcune persone così eccedono nei trattamenti. Come si fa quindi a non esagerare con la chirurgia estetica?

R) I pazienti si fidano di me, quindi io sono sempre molto sincera se un trattamento diventa esagerato non lo consiglio e mi è capitato diverse volte. Le persone devono star bene dentro e fuori, la medicina estetica è bella quando è naturale. Amo rispettare le linee naturali del volto del paziente e spesso arrivano clienti disperati con lavori fatti molto male e soprattutto mi capita di avere tante persone con eccessi di filler, quest’ultimo va fatto ogni tot mesi ma non tutti i medici lo dicono.

D) Si rischia anche poi di cadere nei disturbi della dismorfofobia, ovvero il non vedere bene una parte di noi che invece è normale agli occhi degli altri?

R) Assolutamente sì, ho pazienti che ne soffrono, infatti faccio sempre una consulenza preventiva per comprendere che le necessità siano reali ed effettive, diversamente consiglio professionisti che si occupano di seguire la parte psicologica.

D) Come mai molte donne hanno quell’effetto “labbra a canotto”, è normale?

R) No, non è normale, può avvenire per situazioni diverse, ad esempio se è stato fatto uno stravaso di filler, ovvero eccessivo acido ialuronico, che ha sformato i tessuti delle labbra, oppure, si presenta se si utilizzano tecniche non corrette, bisogna intervenire sul primo tessuto sottocutaneo per dare definizione in modo corretto e non tutti lo fanno, questo causa quel famoso difetto estetico chiamato anche “labbra a papera”.

D) Bisogna quindi, affidarsi a mani esperte. So che ha seguito anche numerosi pazienti che hanno subito delle operazioni oncologiche e questi casi, sono per lei un grande stimolo a voler perfezionare sempre di più la tua bravura con l’obiettivo di rendere le persone serene e lucenti, ce lo può spiegare?

R) Certamente, ho molti pazienti oncologici anche perché vengo dalla chirurgia toracica, dove trattavo i tumori al polmone. Bisogna avere tanta delicatezza con i pazienti, dargli fiducia, tranquillità e spensieratezza, amo ridonare a questi pazienti luce sia dall’aspetto estetico sia a livello mentale. Per esempio ho seguito una ragazza con un tumore al seno, dopo le tante cure lei non si vedeva più bene con se stessa, la sua pelle del viso era cambiata, era tirata e si vedeva invecchiata, per questo motivo non usciva più, se non per andare al lavoro, si vergognava della sua immagine, odiava le foto e gli incontri con amici e parenti, con un mio percorso estetico e uno mentale che ha gestito con dei professionisti si è risentita finalmente bellissima, fiera del suo percorso e nuovamente sicura di sé stessa.

D) Qual è il percorso che attua nello specifico con questi pazienti?

R) La pelle con la radioterapia e la chemioterapia subisce delle trasformazioni importanti, i pazienti si vedono più stanchi, più lassi e con la medicina estetica vado ad operare in queste zone del viso con vitamine, filler, in base alla necessità, così da far ritrovare al paziente la morbidezza e la bellezza che aveva prima delle cure. Il mio lavoro è quindi utile a tantissime persone per far si che si sentano la loro miglior versione, sempre rimanendo loro stessi, perché ciò che ci rende belli è la nostra unicità.

Grazie Dott.ssa, è stata una bella esperienza conoscerla, Le auguro di implementare questa splendida carriera ricca di grandi risultati sempre col motto “equilibrio, armonia e naturalezza”.

NOEMI GARIANO

 

Che buono il pane proteico! La ricetta de La Cuoca Insolita

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Rubrica a cura de La Cuoca Insolita

Introduzione Al pane noi italiani non possiamo proprio rinunciare. Questa ricetta si può usare per un pane da tagliare a fette anche sottilissime, perché non si sbriciola. Adatto sia a tavola che per colazione o per uno spuntino, è morbido, profumatissimo e si conserva anche per 3 settimane in frigorifero! Il lievito madre lo rende ancora più digeribile. Da provare subito!

Tempi: Preparazione (15 min); Lievitazione (3 h); Cottura (30 minuti)
Attrezzatura necessaria: 1 ciotola grande, 1 teglia per plumcake, forno, 1 coltellino a lama liscia
Difficoltà (da 1 a 3): 1
Costo totale: 3,50 €/kg

Perché vi consiglio questa ricetta?

  • Il bello del pane proteico è che ha meno carboidrati rispetto al pane tradizionale, fatto di farina di grano, acqua e poco altro. Confrontato con il classico pancarré parliamo del 20% di carboidrati in meno e sei volte di più di fibre.
  • Risultato? Il suo indice glicemico (IG) è più basso e la glicemia si alzerà molto meno velocemente.
  • Perché questa è una bella notizia? Perché glicemia che si alza in fretta = maggiore possibilità di prendere peso e problemi di fame dopo 2 ore. Ancora: per chi soffre o è a rischio di diabete gli sbalzi glicemia vanno tenuti a bada il più possibile.
  • È preparato con il lievito madre = lievitazione naturale, sapore più intenso e meno gonfiore di pancia. Clicca qui per sapere come fare il lievito madre in casa.

È adatto anche per fare dei panini o toast, perché si possono tagliare delle fette anche sottilissime, che non si rompono. Ottimo sia per panini dolci che salati.

Ingredienti per il pane proteico

  • Farina di farro integrale – 140 g
  • Farina Manitoba – 160 g
  • Farina di lenticchie rosse – 45 g
  • Farina di semi di canapa – 30 g
  • Farina di semi di lino – 30 g
  • Lievito madre appena rinfrescato – 250 g
  • Acqua tiepida – 200 ml
  • Olio extra vergine di oliva – 3 cucchiai
  • Sale – 7 g (1 cucchiaino raso)
  • Semi di zucca interi – 35 g

Approfondimenti e i consigli per l’acquisto degli “ingredienti insoliti” a questo link.

In caso di allergie…

Allergeni presenti: cereali contenenti glutine

Come preparare il pane proteico

Fase 1: MESCOLA E IMPASTA

Aggiungete tutte le farine nella ciotola insieme all’acqua tiepida.  Amalgamate bene con le mani e, quando l’impasto sarà meno appiccicosa, unite il lievito madre, quindi l’olio e il sale. Aggiungere i semi di zucca e amalgamateli bene nella palla di pasta cruda.

Fase 2: LA LIEVITAZIONE

Formate un salame e praticate dei tagli con il coltello sulla superficie. Disponete nella teglia da plumcake unta di olio e cosparsa di farina e mettete in forno spento a lievitare, con un pentolino di acqua bollente. Lasciate lievitare per 3 ore o comunque fino a quando il volume sarà raddoppiato.

FASE 2: LA COTTURA

Accendete il forno a 180 gradi ventilato e cuocete per 30 minuti circa. Se a fine tempo la superficie del pane è troppo dura, inumidite subito la superficie del pane con acqua, usando uno spruzzino. Lasciate raffreddare, possibilmente su una griglia, prima di tagliare il pane a fette.

Potete anche provare a fare dei piccoli da 50 g, cuocendoli a 180° C per 15 minuti. Verranno morbidi e buonissimi. Mettete sempre un pentolino di acqua nel forno durante la cottura e spruzzate a fine cottura la superficie del pane con lo spruzzino.

CONSERVAZIONE

In frigorifero: 3 settimane
Nel congelatore: tagliate a fette e mettete nel congelatore, in una busta gelo. Si conserverà perfettamente per mesi.

Giacomo e la briscola chiamata

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Quando il cielo lacrimava e sul lago soffiava quell’arietta fresca che intirizziva, la passeggiata sul lungolago verso la Villa Branca finiva immancabilmente davanti alla porta dell’amico Giacomo dove ci attendevano le sfida a briscola e tresette

 

Giacomo Verdi, detto “balengo” perché amava spingere la sua barca a remi tra le onde del lago in tempesta, infischiandosene dei rischi, da un bel po’ di tempo era costretto a stare in casa. Un brutta sciatalgia e i reumatismi rimediati  nel far la spola tra le due sponde del lago e le isole, gli impedivano di stare troppo in piedi. E allora, con la scusa di andarlo a trovare, ingaggiavamo delle tremende sfide all’ultima mano. “ Ah, amici miei, sapeste che rottura di balle dover star qui recluso. Per uno come me che non trovava mai terraferma e che fin da piccolo stava con la faccia contro vento, star qui costretto tra seggiola e divano, tra poltrona e letto, è proprio una gran brutta cosa. Quelle volte che non sento il cambio del tempo e riesco a metter il naso fuori dall’uscio, è una tal festa che non mi potete credere. Guardate, è come se fosse un Natale o una Pasqua fuori stagione. Ah, è talmente bello che mi sento un re”. Ogni volta, prima di tirar fuori il mazzo delle carte dal cassetto, Giacomo –  quasi stesse sgranando un rosario – ci faceva partecipi delle sue lamentele. Ma bastavano due o tre smazzate per sparigliare tutto e come d’incanto si dimenticava di acciacchi e malanni. Faceva smorfie, imprecava, sbatteva le carte sul tavolo. Non nascondeva l’ira o la gioia, a seconda di come gli “giravano” le carte, ma era un’altra persona. Amava quei giochi, vantandosi di essere un grande esperto. A volte ci teneva delle vere e proprie lezioni. “ Vedete, il mazzo con cui stiamo giocando è composto da 40 carte di 4 diversi semi. Ma c’è una grande varietà stilistica nel disegno. In alcune regioni sono diffuse le carte di stile italiano o spagnolo, con i semi di bastoni, coppe, denari e spade e con le figure del fante, del cavallo e del re. In altre si usano le carte con i semi francesi .Sono cuori, quadri, fiori e picche, con le figure del fante, della donna e del re.Ecco, sono proprio queste che stiamo usando per la nostra partita”. Parlava come un libro stampato, in un italiano corretto e persino raffinato. “Fate attenzione a queste.Sono carte bergamasche, tipicamente nordiche.Hanno caratteristiche in comune con le figure dei tarocchi lombardi. L’asso di coppe si ispira alle insegne della famiglia Sforza”. Era capace di andar avanti così per un bel po’ se non cambiavamo discorso. E allora ci raccontava delle sue avventure, partendo sempre da quella volta che aveva portato sull’isolino una contessa ( omettendo di dire chi fosse, precisando “sapete,io sono una persona discreta e non mi piace far nomi” ) che per tutto il tragitto continuò a fargli l’occhiolino. Immaginando una qualche complicità e una sorta d’invito, appena toccato terra, tentò di abbracciarla e baciarla, guadagnandosi una sberla tremenda. “Madonna, che botta mi ha dato! Cinque dita cinque, in faccia, secche come un chiodo. Ero diventato rosso come un tumatis, un pomodoro, restando lì a bocca aperta, come un baccalà”. “ Ah, cari miei, se beccavo quel maledetto Luigino dell’Osteria dei Quattro Cantoni lo facevo nero come il carbone”. Quella storia l’aveva raccontata un infinità di volte ma, per non contraddirlo, ci fingevamo interessati e lo incalzavamo con le solite domande (“Come mai,Giacomo? Cosa c’entrava Luigino?”). E lui s’infervorava. “Cosa c’entrava, quella carogna? Cosa c’entrava? C’entrava che se l’avevo tra le mani gli davo un bel ripassoLo pettinavo per bene quel mascalzone. Mi aveva assicurato che la contessa era una che ci stava, che gli piacevano i barcaioli. Mi disse che se gli fossi piaciuto mi avrebbe fatto l’occhiolino. E me l’aveva fatto, porco boia; altro che se me l’aveva fatto. Ma era per via di un tic nervoso. Altro che starci. Sembrava una iena. E quel saltafossi lo sapeva, capite? Lo sapeva e mi ha tirato uno scherzo”. Sbollita la rabbia per quella brutta figura che ormai faceva parte dei ricordi, ricominciava a giocare, picchiando le carte sul tavolo come se quello fosse la testa pelata di Luigino. Giacomo abitava in una casa che dava su via Domo. Dalla parrocchiale , dove c’è Largo Locatelli, si scendeva verso l’abitazione per una viuzza stretta, tortuosa, lastricata a boccette che finiva nella piazzetta. Lì, al numero 12, in una casa piuttosto bassa, coperta da un tetto di piode, stava il Verdi. Quasi in faccia alla cappelletta che ,si diceva, fosse stata eretta come ex-voto per la liberazione dalla peste. Sotto l’arco s’intravedevano ancora gli affreschi raffiguranti la Madonna con il Bambino e ben due coppie di santi : Giuseppe e Defendente, da una parte;Gervaso e Protaso, dall’altra. Era lì che la povera Marietta posava il cero nei giorni in cui suo marito, quel matto di Giacomo, metteva la barca in acqua incurante del “maggiore” che spazzava le onde, gonfiando minacciosamente il lago. Ora che Marietta era  passata a miglior vita era Giacomo – ormai prigioniero a terra per via dei malanni – a dare qualche soldo a Cecilio, il sacrestano, perché non si perdesse quell’abitudine che – diceva, sospirando – “ in fondo, mi ha sempre portato bene”. Ecco, le giornate più uggiose le passavamo in casa di Giacomo, in uno dei rioni più antichi di Baveno.Lì c’è ,ancora adesso, la “Casa Morandi”, un edificio settecentesco di quattro piani, con scale esterne e ballatoi. È forse l’angolo più apprezzato dai pittori e dai fotografi di tutta la cittadina. Sono in tanti, in Italia e all’estero, a tenere sulle pareti del salotto un acquerello, una china o più semplicemente una foto incorniciata della casa Morandi. Segno inequivocabile che da lì è passata un sacco di gente ,portando con sé la storia, quella vera, quella che si legge sui libri. E magari incrociando le carte con Giacomo.

Marco Travaglini