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Il profumo del Natale tra le piazze del Torinese

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SCOPRI – TO ALLA SCOPERTA DI TORINO

Quando l’aria si fa più pungente e le luci iniziano ad accendersi già dal tardo pomeriggio, Torino entra in una dimensione tutta sua. Il Natale, qui, non è soltanto una ricorrenza: è un’atmosfera che si respira passeggiando sotto i portici, tra le vetrine storiche e, soprattutto, tra i mercatini che ogni anno animano la città e il suo territorio. I mercatini di Natale di Torino e dintorni sono diventati nel tempo un appuntamento atteso, un rito collettivo che unisce tradizione, convivialità e una passione profonda per il cibo di qualità.
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Torino, dove il Natale si assapora lentamente
Nel cuore della città, i mercatini natalizi trovano spazio in alcune delle piazze più amate e riconoscibili. Ogni anno, queste aree si trasformano in piccoli villaggi di legno, illuminati da luci calde e decorazioni discrete, in perfetto stile torinese. Non servono date precise per raccontarli: è una consuetudine che si rinnova puntualmente, capace di attirare migliaia di persone, tra residenti e visitatori, tutti accomunati dalla stessa voglia di rallentare e godersi il momento.
Ciò che colpisce di più, passeggiando tra le bancarelle, è il modo in cui la gente vive questi spazi. Non c’è fretta. Si cammina con le mani nelle tasche del cappotto, ci si ferma a osservare un banco, si chiacchiera con gli artigiani, si assaggia qualcosa “tanto per provare” e si finisce spesso per tornare a casa con un sacchetto in più del previsto. I mercatini torinesi sono così: discreti ma irresistibili.
Il vero cuore pulsante resta la parte gastronomica. Tra le bancarelle fanno capolino dolci della tradizione, biscotti artigianali dal profumo di burro e vaniglia, paste secche preparate secondo ricette tramandate, spesso legate alle colline piemontesi. Non mancano i classici intramontabili come lo zabaione caldo, cremoso e avvolgente, sorseggiato lentamente magari appoggiati a un tavolino improvvisato, e la cioccolata calda, densa, quasi da mangiare con il cucchiaino, fedele alla grande tradizione torinese del cacao.
Negli ultimi anni, accanto ai sapori più consolidati, si sono affacciate anche nuove tendenze. Una su tutte: il cosiddetto cioccolato “Dubai”, diventato una vera curiosità gastronomica. Si tratta di un cioccolato ricco e intenso, spesso farcito con pistacchio e pasta kataifi, che richiama consistenze orientali e sorprendenti. Alcune versioni lo propongono anche con riso soffiato, per un contrasto ancora più marcato. I torinesi, notoriamente esigenti in fatto di cioccolato, ne vanno particolarmente ghiotti, e non è raro vedere file davanti ai banchi che lo propongono in varie declinazioni.
Tra bancarelle e tradizioni, il gusto prima di tutto
Se c’è un elemento che accomuna tutti i mercatini di Natale del capoluogo è l’attenzione per la qualità. Anche quando si parla di prodotti semplici, l’artigianalità è sempre al centro. I biscotti non sono mai anonimi, le creme hanno nomi che evocano territori, i dolci raccontano storie. È questo che la gente ama: non solo comprare, ma sentire di portare a casa un pezzo di atmosfera natalizia.
Accanto al cibo, naturalmente, trovano spazio anche altri simboli del periodo. Le stelle di Natale colorano gli angoli delle piazze, insieme a decorazioni fatte a mano, candele profumate e piccoli oggetti pensati come regali. Ma anche qui, tutto sembra fare da cornice a ciò che davvero attira: il profumo che si sprigiona dalle bancarelle, il vapore che sale dalle tazze fumanti, il piacere di concedersi qualcosa di buono.
I mercatini diventano così un punto di incontro. Famiglie, coppie, gruppi di amici: tutti trovano il proprio modo di viverli. C’è chi li percorre ogni anno come una tradizione irrinunciabile e chi li scopre per la prima volta, restando sorpreso dalla loro capacità di essere accoglienti senza mai risultare eccessivi.
Dalla città alla provincia, il Natale continua
Uscendo da Torino, l’atmosfera natalizia non si perde, anzi si arricchisce di nuove sfumature. Nei dintorni del capoluogo, numerosi centri propongono mercatini che, pur più raccolti, mantengono lo stesso spirito. Località come Asti e altre città del Piemonte diventano mete ideali per una gita fuori porta, perfetta per un pomeriggio invernale.
Qui il legame con il territorio è ancora più evidente. I prodotti enogastronomici locali trovano grande spazio: dolci tipici, conserve, miele, nocciole, vini da dessert. Anche in questi mercatini il cibo resta protagonista, spesso affiancato da specialità che raccontano la tradizione contadina e artigiana della regione. Non mancano le bevande calde, le versioni locali dello zabaione, le reinterpretazioni della cioccolata calda, sempre pronte a scaldare le mani e l’umore.
Passeggiando tra le bancarelle della provincia, si respira un clima più intimo, quasi familiare. Le stelle di Natale decorano gli ingressi, le luci si riflettono sulle piazze storiche e il tempo sembra scorrere più lentamente. È un Natale meno affollato, ma non per questo meno sentito, dove il piacere della scoperta si unisce alla voglia di ritrovare sapori autentici.
In fondo, che si resti in città o ci si spinga appena oltre, i mercatini di Natale del Torinese hanno tutti la stessa anima. Sono luoghi in cui il freddo diventa una scusa per fermarsi, per bere qualcosa di caldo, per assaggiare un dolce in più. Sono spazi dove il Natale non si limita a essere visto, ma viene soprattutto gustato, morso dopo morso, anno dopo anno.
A rendere questi mercatini così amati è anche la loro capacità di rinnovarsi senza perdere identità. Ogni anno cambiano alcuni profumi, compaiono nuove proposte dolciarie o variazioni sul tema del cioccolato, ma resta immutato il piacere di ritrovarsi all’aperto, avvolti da luci soffuse e da un brusio allegro. Nel Torinese il Natale passa anche da qui: da una tazza fumante tra le mani, da un assaggio condiviso, da quel senso di familiarità che, puntualmente, riesce a far sentire tutti un po’ a casa.
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NOEMI GARIANO

Le supposte di glicerina

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Andreino è un tipo piuttosto strano. Non tanto per l’aspetto fisico – mingherlino, calvo, con due gambette corte e secche come manici di scopa – quanto per il carattere, diciamo chiuso, che dimostra di avere. Andreino è un burbero solitario. Uno di quelli  che dormono con il sedere scoperto , sempre di cattivo umore. Vive da solo, lavora da solo ( è un artigiano del ferro che non conta le ore e si tira “piat cumè ‘n dés ghèi”, piatto come una moneta da dieci centesimi, vale a dire stanco morto ), mangia da solo davanti alla tv accesa, va a cercar funghi da solo e non pesca mai dove ci sono altri. Ha le sue idee fisse sulla salute ( “l’infragiùur, se t’al cùrat, al dura sèt dì, se t’al cùrat mìa, al pòl durà anca na ‘smana”, che – tradotto –significa che il raffreddore, se lo curi, dura sette giorni, se non lo curi può durare anche una settimana).

A dimostrazione della scarsa considerazione che ha, in genere, dei dottori. L’unico per cui ha rispetto è il dottor Rossini. Da quella volta che gli curò una fastidiosissima sciatalgia, per Andreino è “un gatto”, il migliore, l’unico vero medico in circolazione. Se lo dice lui che si vanta di aver consumato più scarpe che lenzuola, dichiarando la buona salute e una certa avversione per quei signori che avevano contratto il giuramento di Ippocrate, c’é da credergli. Il problema è che il dottor Mauro Rossini, quelle rare volte che lo ha incontrato nella veste di paziente nel suo studio medico, non è quasi mai riuscito a spiegargli le cure che servivano poiché Andreino lo interrompeva,  annuendo vigorosamente e ripetendo come un mantra: “ho capito…certo…chiaro… grazie, grazie, dottore”. Un comportamento a dir poco imbarazzante, con tutti i rischi che poteva generare, tra i quali l’incomprensione. Tant’è che un giorno, recatosi dal medico perché sofferente da tempo di stitichezza e senza che nessun tipo di cura gli avesse fatto effetto, mentre il dottore stava illustrando diagnosi e rimedio, si alzò di scatto, lo ringraziò con tutto il cuore e si precipitò nella farmacia davanti al municipio. “Si ricorda la posologia?”, chiese il farmacista, consegnandogli le supposte di glicerina. Lui disse di sì e,  a scanso di equivoci, se ne fece dare due scatole. Passati una decina di giorni si presentò dal suo medico che gli domandò come stesse e se le supposte avessero fatto il loro dovere. Andreino, tenendo gli occhi bassi, temendo di fare una critica all’uomo che tanto stimava, rispose: “Caro dottore, per andar di corpo ci sono andato e son più libero ma mi è venuto un gran mal di stomaco. Quelle supposte “in pròpi gram”, sono cattive. Ogni volta che ne mettevo in bocca una e la masticavo mi veniva da vomitare”. Cos’era mai stato, direte voi? Ha poi solo sbagliato la parte, in fondo. Invece di farsele salire, le supposte le fece scendere. Comunque , l’effetto per esserci stato c’è stato. Alla spiegazione del medico, una volta tanto, prestò ascolto e compreso l’errore, si affannò con le scuse e i buoni proponimenti. Da quel giorno Andreino sta ancora da solo come un eremita ma ha imparato, se non ad ascoltare chi gli parla per il suo bene ( è più forte di lui..) almeno a leggere i bugiardini delle medicine. Così, per evitare fastidi e un po’ , come gli disse Giuanin, battendogli una gran pacca sulle spalle, per “tègn da cùunt la candéla che la prucisìon l’è lunga”. Un modo come un altro per dire al burbero ometto di aver cura di sé. Con il dubbio che le parole gli entrino da un orecchio per uscire immediatamente dall’altro.

Marco Travaglini

IMU 2025: tutto quello che serve sapere prima della scadenza del 16 dicembre

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ABITARE CON STILE

Rubrica settimanale a cura di Magda Jasmine Pettinà 
Uno spazio dedicato al mondo della casa in tutte le sue forme: dal mercato immobiliare al design d’interni, dall’arte di valorizzare gli spazi alle nuove tendenze dell’abitare contemporaneo. Consigli pratici, spunti estetici e riflessioni su come rendere ogni casa un luogo che rispecchi chi siamo — con uno sguardo che unisce competenza, bellezza e sensibilità.
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Dicembre porta con sé non solo l’atmosfera delle feste, ma anche un appuntamento immancabile per i proprietari di immobili: il saldo IMU, in scadenza il 16 dicembre 2025.

Dopo l’acconto versato a giugno, arriva infatti il momento di regolare i conti con il proprio Comune, applicando le aliquote aggiornate e pubblicate dal MEF. Se il Comune non ha deliberato entro i termini, si fa riferimento alle aliquote base.

In questo articolo facciamo chiarezza—con un linguaggio semplice e diretto—su chi deve pagarecome si calcola l’imposta, quali sono le esenzioni, e cosa accade in caso di ritardo o omesso pagamento. Un piccolo vademecum per arrivare preparati e sereni alla scadenza.

 

Chi deve pagare l’IMU? E chi ne è esente?

L’IMU non riguarda tutti i proprietari. Sono esenti:

  • le abitazioni principali che non rientrano nelle categorie di lusso;

  • gli alloggi sociali;

  • il nudo proprietario, quando l’immobile è gravato da usufrutto.

Devono invece pagare l’IMU:

  • le prime case di lusso, categorie catastali A/1, A/8, A/9;

  • tutte le seconde case e gli immobili diversi dall’abitazione principale.

Per le prime case di lusso resta prevista un’aliquota agevolata e una detrazione di 200 euro.

Come si calcola l’IMU 2025 sulla prima casa di lusso

Il calcolo parte da tre passaggi fondamentali:

  1. Rivalutare del 5% la rendita catastale.

  2. Applicare il coefficiente catastale previsto per la tipologia dell’immobile.

  3. Applicare l’aliquota deliberata dal Comune.

Il risultato finale sarà l’importo su cui calcolare il saldo di dicembre, tenendo conto di quanto già versato a giugno.

Coniugi con residenze diverse: la novità della Cassazione

Una recente sentenza ha introdotto un’importante modifica:

se i coniugi hanno residenze diverse in due immobili differenti, entrambi possono usufruire dell’esenzione per abitazione principale.

Un chiarimento che rende più equa una situazione sempre molto discussa.

Prima casa in affitto: chi paga l’IMU?

Anche dopo l’abolizione della TASI, nulla cambia sul fronte IMU:

l’imposta rimane interamente a carico del proprietario, anche se l’immobile è affittato.

 

Pertinenze: quante sono esenti?

Sono esenti dal pagamento IMU fino a tre pertinenze, una per ciascuna delle categorie:

  • C2 (cantine, solai, depositi)

  • C6 (box, stalle, scuderie)

  • C7 (tettoie)

 

Cosa succede se si paga in ritardo?

Niente panico. Il sistema fiscale mette a disposizione un utile strumento: il ravvedimento operoso, che consente di regolarizzare spontaneamente la posizione con sanzioni ridotte proporzionate al ritardo.

Le principali forme di ravvedimento

 

  • Sprint: entro 14 giorni → sanzione fino all’1,4%

  • Breve: entro 30 giorni → 1,5%

  • Intermedio: entro 90 giorni → 1,67%

  • Lungo: entro un anno → 3,75%

  • Biennale: entro due anni → 4,29%

  • Ultrabiennale: oltre due anni → 5%

 

Superato un anno senza ravvedimento, la sanzione sale al 30% dell’importo dovuto, oltre agli interessi.

Il pagamento avviene tramite modello F24, barrando la casella “Ravv.” e utilizzando il codice tributo corretto (3912 per abitazione principale, 3918 per altri fabbricati, ecc.).

 

Accertamenti e prescrizione: cosa bisogna sapere

Il Comune può notificare un avviso di accertamento entro 5 anni dalla data in cui il versamento sarebbe dovuto avvenire.

Oltre questo periodo, scatta la prescrizione, e l’IMU non è più dovuta.

Se il Comune richiede il pagamento di più annualità arretrate, il contribuente è tenuto a versare solo gli ultimi cinque anni.

In sintesi

La scadenza del 16 dicembre è un appuntamento importante per gestire in modo consapevole il proprio patrimonio immobiliare.

Conoscere chi pagacome calcolare l’imposta, e come regolarizzare eventuali ritardi aiuta a muoversi con serenità in un ambito spesso percepito come complesso.

Un’abitazione non è soltanto un bene: è una parte della nostra identità.

Gestirla con attenzione, anche sul piano fiscale, significa valorizzarla e mantenerla nel tempo.

www.domus-atelier.com – info@domus-atelier.com

Insalata russa “insolita” e super-light

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La Ricetta della Cuoca Insolita

 

Chi è La Cuoca Insolita
La Cuoca Insolita (Elsa Panini) è nata e vive a Torino. E’ biologa, esperta in Igiene e Sicurezza Alimentare per la ristorazione, in cucina da sempre per passione. Qualche anno fa ha scoperto di avere il diabete insulino-dipendente e ha dovuto cambiare il suo modo di mangiare. Sentendo il desiderio di aiutare chi, come lei, vuole modificare qualche abitudine a tavola, ha creato un blog (www.lacuocainsolita.it) e organizza corsi di cucina. Il punto fermo è sempre questo: regalare la gioia di mangiare con gusto, anche quando si cerca qualcosa di più sano, si vuole perdere peso, tenere a bada glicemia e colesterolo alto o in caso di intolleranze o allergie alimentari.
Tante ricette sono pensate anche per i bambini (perché non sono buone solo le merende succulente delle pubblicità). Restando lontano dalle mode del momento e dagli estremismi, sceglie prodotti di stagione e ingredienti poco lavorati (a volte un po’ “insoliti”) che abbiano meno controindicazioni rispetto a quelli impiegati nella cucina tradizionale. Usa solo attrezzature normalmente a disposizione in tutte le case, per essere alla portata di tutti.

Calendario corsi di cucina ed eventi con La Cuoca Insolita alla pagina https://www.lacuocainsolita.it/consigli/corsi/

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Insalata russa “insolita” e super-light


L’insalata russa è un classico: si trova in tavola in mille occasioni ed è buonissima. Ma c’è un piccolo problema: ha un potere calorico e un contenuto di grassi micidiali. Se però non volete rinunciare, c’è un modo per prepararla con il 75% di calorie e il 95% di grassi in meno rispetto alla ricetta tradizionale. Ma come fa ad essere così buona? Anche se è senza uova né patate ed è super-light, è deliziosa. Non preoccupatevi di deludere i vostri ospiti: quando scopriranno il segreto della vostra ricetta non potranno più farne a meno!

Tempi: Preparazione (45 min); Cottura (10 min).
Attrezzatura necessaria: pentola per cottura a vapore con cestello, coltello a lama liscia e tagliere, minipimer, grattugia per scorza di limone, colino
Ingredienti per 4 persone:
Per le verdure:
⦁ Piselli surgelati – 100 g
⦁ Carote – 100 g
⦁ Topinambur (o patate) – 100 g
Per la maionese super-light:
⦁ Fagioli bianchi di Spagna – 200 g
⦁ Latte di soia o di canapa – 50 g
⦁ Succo di limone – 25 g
⦁ Scorza di ½ limone – 2,5 g
⦁ Olio e.v.o. –2 cucchiaini
⦁ Sale fino integrale di Sicilia – 6 pizzichi (1,5 g)
⦁ Curcuma in polvere – 1 punta di cucchiaino
⦁ (per chi vuole: Filetti di sgombro al naturale – 50 g)

Approfondimenti e i consigli per l’acquisto degli “ingredienti insoliti” a questo link: https://www.lacuocainsolita.it/ingredienti/

Difficoltà (da 1 a 3): 1 Costo totale: 3 €
Perché vi consiglio questa ricetta?
⦁ Il vostro medico vi ha detto di eliminare le Solanaceae (es. patate, melanzane, pomodori e peperoni) dalla dieta, ma voi ne andate pazzi? Nessun problema! Qui userete i topinambur al posto delle patate! Il risultato è sorprendente e fa bene anche a chi vuole tenere a bada la glicemia.
⦁ Se non volete usare il latte di soia, potete usare il latte di canapa: è uno dei pochi alimenti di origine vegetale che contiene tutti gli aminoacidi essenziali (quelli che il nostro organismo non sa produrre da solo) che servono per formare le proteine. In alternativa anche il latte vaccino può andare benissimo.
⦁ In una porzione da 200 g, solo 125 Kcal al posto di 535 Kcal circa della ricetta tradizionale (il 75% in meno! Si, avete letto bene…).
⦁ Pochissimi grassi: meno di un cucchiaino di olio a porzione… Il 95% in meno di grassi rispetto alla ricetta tradizionale. Ideale quindi anche per chi ha problemi con il colesterolo e a chi vuole perdere qualche chilo.

Preparazione
LE VERDURE
Pelate e tagliate le carote e i topinambour a dadini piccoli, di massimo 1 cm di lato. Cuocete a vapore le verdure separatamente. Se usate la pentola a pressione i tempi sono questi: piselli surgelati (5 min), carote (5 min), topinambur (3 min). Se avete una pentola normale il tempo è il doppio. Se usate le patate il tempo in pentola a pressione è di 2 min.
LA MAIONESE SUPER LIGHT
Spremete il limone e filtrate il succo su un colino. Grattate la scorza del limone e mescolatela al succo e a tutti gli altri ingredienti nel bicchiere del minipimer, per frullate fino ad ottenere un composto cremoso e senza pezzi.
LA PREPARAZIONE DELL’INSALATA RUSSA “INSOLITA”
Mescolate le verdure e la maionese super-light. Mettete tutto nel contenitore che sceglierete per dare la forma al vostro antipasto. Schiacciate bene, livellate e capovolgete il contenitore su un piatto di portata. Potete decorare a piacere.

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A chi è adatta questa ricetta?
Senza uova. In più, usando il latte di canapa, anche chi è allergico a soia o latte può mangiare questa insalata russa “insolita”.

 

 

 

 

 

 

 

Valori nutrizionali
Una porzione della ricetta della Cuoca Insolita a confronto con la stessa porzione della ricetta tradizionale con maionese, uova e tonno sott’olio:

Una insolita crostata alla crema di mele

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Le torte di mele, declinate in numerosissime varianti, non deludono proprio mai…Provate questa insolita e squisita crostata, il suo cremoso ripieno vi conquisterà!

Ingredienti

Frolla: 180gr. di farina, 100gr. di burro, 60gr. di zucchero, 2 tuorli, un pizzico di sale.

Farcia: 4 grosse mele Renette, 1/2 bicchiere di vino bianco secco, 2 cucchiai di zucchero, 100gr. di cioccolato amaro 70%, un pizzico di cannella

Preparare la frolla impastando velocemente tutti gli ingredienti, avvolgere in pellicola e far riposare in frigo per 30 minuti.
Pelare e tagliare 3 mele a tocchetti, cuocere con il vino, lo zucchero e la cannella sino a quando si saranno spappolate. Lasciar intiepidire e aggiungere mescolando il cioccolato.

Stendere la frolla in una teglia rotonda foderata con carta forno, bucherellare il fondo e riempire con la crema di mele. Affettare la mela rimasta, spruzzarla con il succo del limone e posarla sulla crema, cospargere con un poco di zucchero. Cuocere in forno statico a 220 gradi per 45 minuti.

Paperita Patty

Terrina di pasta con verdure, variante vegetariana della pasta al forno

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Una deliziosa variante vegetariana della tradizionale pasta al forno.
Senza pomodoro, ma ugualmente ricca di sapore. Un primo piatto ghiotto ed originale.

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Ingredienti

300gr.di pasta corta
1 porro
2 carote
300gr. di verza
200gr.di zucca
1 piccola melanzana
500ml. di besciamella
1 mozzarella
200gr. di prosciutto cotto
Parmigiano grattugiato q.b.
Olio, sale, pepe, noce moscata

Preparare le verdure, tagliarle a piccoli pezzi e stufarle per 20 minuti in padella con un poco di sale. Lasciar raffreddare e mescolare con il prosciutto cotto tritato, il pepe, la noce moscata ed il pepe. Preparare la besciamella con mezzo litro di latte.
Lessare la pasta al dente.
Mescolare la pasta con le verdure e la mozzarella a tocchetti, trasferire il tutto in una terrina imburrata, coprire con la besciamella e in ultimo cospargere con il parmigiano grattugiato.
Passare in forno a 200 gradi per circa 15/20 minuti, finche’ si sarà formata una crosticina dorata.

Paperita Patty

Le lumache felici

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PENSIERI SPARSI di Didia Bargnani

Le lumache felici esistono e vivono in un allevamento in Toscana, a Montemerano in provincia di Grosseto, dove vengono coccolate dal loro ‘custode’ che le nutre esclusivamente con prodotti del proprio orto: carote, carciofi, cardo mariano, finocchietto, affinché la qualità della loro bava sia eccellente perché è proprio di questa bava che voglio raccontarvi.
Michela Bertaia, chimica torinese, grossista di materiale medico con azienda a Grugliasco, sente parlare di questo impianto di elicicoltura e incuriosita decide di andare a visitarlo. Qui scopre che la bava di queste lumache, selezionate una ad una, e’ di una qualità ineguagliabile, da qui l’idea di farne dei prodotti di skin care si concretizza velocemente e con il suo socio, Mauro Felice Vecco, danno vita ad una nuova società, Kaliste’.
La bava delle lumache, se allevate con tutta una serie di accorgimenti particolari, rappresenta il cosmetico naturale per eccellenza, e’ infatti ricca di principi attivi come l’acido glicolico, il collagene, l’allantoina, l’elastina, l’acido ialuronico e molti altri.
“ Si potrebbe produrre anche chimicamente – mi spiega Michela- ma non sarebbe la stessa cosa, sarebbe una bava “morta”, priva di tutti quegli enzimi di cui è ricchissima quella delle nostre lumache. Kylinf, lo spray viso-corpo-capelli che rappresenta il prodotto top della gamma, contiene bava al 90% oltre ad un umettante ed un conservante, si tratta di un vero e proprio elisir per la nostra pelle: stimola la rigenerazione cellulare, velocizza la cicatrizzazione in caso di lesioni, lenitivo per scottature, uniforma l’incarnato e anche i vantaggi per i capelli sono numerosi “.
Come si preleva la bava?
“ Da noi tutto è ovviamente cruelty free, le nostre lumache vengono scelte con cura e solo quelle più adatte a fornire bava saranno impiegate per questo scopo, le altre diventeranno fattrici. Dobbiamo spiegare perché le lumache sbavano, lo fanno per tre motivi: strisciando, provando dolore o quando sono felici. Quando escono dal letargo, due volte all’anno, con il freddo e con il caldo, vengono messe in una macchina, brevettata da un allevatore di Cherasco, dove vengono bagnate da una leggera pioggerellina di acqua, questo le rende felici e così sbavano. A questo punto la bava viene analizzata e inviata in laboratorio per il confezionamento dei vari prodotti”.
“La bava messa sul viso produce quello che viene definito “benefico rossore”, gli enzimi presenti nella bava richiamano il sangue dai tessuti sottostanti, che sparisce dopo pochi minuti dall’applicazione – rassicura Michela – oltre a Kylinf abbiamo altri prodotti eccezionali come la crema LaLiz, 50% pura bava, con effetto energizzante per la pelle, la crema Luce, 65% pura bava, multi vitaminica e antiage e per i più giovani K-young, 90% bava pura e propoli. Tutte le creme e i sieri sono disponibili sul nostro sito, www.kylinf.it e dall’8 dicembre al 6 gennaio saremo presenti in un temporary shop in via Carlo Alberto 32 a Torino dove mi troverete, felice di raccontarvi il percorso della bava dalle lumache felici alle creme “.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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SOMMARIO: Pisanu tra Moro e Berlusconi – Gente di Piemonte – Lettere

Pisanu tra Moro e Berlusconi
A “Rai Storia “che alcune volte può anche essere interessante, ha dominato in una puntata sul compromesso storico e il rapimento di Moro  l’ex parlamentare e ministro Beppe Pisanu  capo della segreteria di Zaccagnini, uno dei peggiori segretari della Dc che stava portando insieme a Moro alla resa  incondizionata della Dc ai comunisti, dopo che nel 1976 la Dc mendicò il voto anticomunista, usufruendo dell’appoggio di Montanelli che invitata a votare lo Scudo Crociato, “turandosi il naso”.
Chi scrive voto’ Dc per la prima e ultima volta. Zac gli provocò il voltastomaco.  Sarebbe ora di vedere con il distacco della storia sia Moro sia Zaccagnini, anche se i grandi capi Dc non furono mai meritevoli di attenzione da Colombo a Taviani, da Andreotti a Rumor. Erano dei collettori di voti, mai degli statisti che lo fu il solo De Gasperi. Appare veramente incredibile come con totale disinvoltura Pisanu sia poi  diventato per lunghi anni Ministro degli interni con Berlusconi.
Era un mediocre abbarbicato al potere, ma rivendicare oggi il suo essere stato sempre un moroteo spiega tante cose anche di un ministro scialbo, pronto a tutto salvo salvaguardare lo Stato che  per i morotei era un optional. In Sardegna si distinse solo Cossiga, ma non c’è la benché minima possibilità di un confronto tra i due sardi.
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Gente di Piemonte
Ho ritrovato in un fondo di magazzino della mia biblioteca “Gente di Piemonte“ di Luigi Firpo, un volumone edito da Mursia nel 1983 . Non lo volli mai inserire nella mia biblioteca perché è un volume ancora oggi vergognoso . Dopo aver scritto di Leonardo , Erasmo da Rotterdam, Botero, Rousseau, d’Azeglio, Vittorio Amedeo II, Pomba, Galileo Ferraris, Giolitti, Solari, l’accademico spocchioso  Firpo chiude il libro con l’amico di casa Diego Novelli sindaco in carica di Torino, esaltato in modo servile forse anche  su suggerimento della moglie che era già allora  molto vicina al sindaco. Questo volume squalifica il suo autore che equipara un vivente a metà dell’opera con personaggi storici consolidati .Uno storico non può permettersi queste sbandate.
 Non volli il libro nella mia biblioteca, credo che adesso lo destinerò alla spazzatura. Se poi pensiamo ai gravi errori politici di Novelli e alle sbandate politiche successive al 1983, è lo stesso sindaco comunista che va messo sotto processo perché le esaltazioni mistiche di Firpo nei suoi confronti devono essere ridimensionate da un esame dei fatti reali che hanno portato Torino sotto la sua guida al declino. L’unica verità che emerge è che Novelli era un ragioniere seralista, anche se Firpo lo considera un grande intellettuale. Tempo prima del libro una sera a cena si lasciò scappare un giudizio negativo su Novelli considerato un giovane cresciuto in una casa da ballatoio di Borgo San Paolo con una finta cultura appresa in modo disordinato e frammentario, facendo il magazziniere in una piccola casa editrice. Era la fine degli anni 70, poi irruppe improvviso l’”amore” per il Sindaco che cominciò a frequentare abitualmente  la villa  con piscina del professore in viale Seneca.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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I Gobetti

Dà fastidio  leggere che Steve della Casa, ex Lotta Continua, noto per le imprese violente  dell’”Angelo Azzurro” di via Po  con conseguenze penali e il vecchio ottuagenario Bruno Gambarotta si occupano della due giorni sul figlio di  Piero Gobetti esaltato come grande uomo di cinema. Ho conosciuto Paolo  e mi pareva un uomo finito sia per il matrimonio  infelice con Carla che si credeva la vera erede di Piero, sia per altri aspetti  di vita a tutti noti, ma di cui nessuno parla e sui quali io stesso taccio. Narciso Nada fondatore del Centro “Gobetti” andò via perché non voleva mescolarsi con gli eredi. Ma oggi c’è anche Polito che inizia le sue Messe cantate in anticipo rispetto al 2026 per non perdere tempo. Segretario tuttofare di Bobbio, se ne considera erede al Centro “Gobetti“ che gode di una duplice sede: una in via Fabro e una al Polo del ‘900. Un privilegio ingiustificabile. Non crede che sia il caso di dire basta alle Messe Cantate?  Occorre la storia, non le litanie di Polito.  Innocenzo Rinucci

Piero Gobetti
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Conosco anch’io certi aspetti della famiglia Gobetti. So poco o nulla di chi gestisce oggi il centro intitolato all’eroico giovane morto di polmonite  a Parigi, come ha testimoniato Giuseppe Prezzolini che lo ha assistito in ospedale fino all’ultimo. A me delle biografie di Carla e Paolo Gobetti poco importa. Di loro ritenevo poco interessante e totalmente da rifiutare il loro livido comunismo senza mai un’ombra di dubbio. Ma evito di scrivere  di due persone che non ho mai ritenuto interessanti e di cui non ho mai avuto stima. Erano i discendenti di Piero, nel senso più letterale del participio presente del verbo discendere. Non voglio offendere, ma temo che questa sia la triste realtà.
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Viale assolto
Va riconosciuto che l’estremismo violento di un femminismo senza equilibrio ha subito una sconfitta sonora: il ginecologo Silvio Viale è  stato assolto in Tribunale dalle accuse di violenze sessuali a lui rivolte. È  stato fatto oggetto di campagne d’odio vergognose. Lei cosa ne pensa?    Teresa Siusi
Esprimo totale solidarietà a Viale che ha subito un linciaggio indegno. Non ho mai avuto comunanza di idee con lui, ma la sua coerente ed a volte discutibile battaglia va riconosciuta pienamente. Combattere un politico con le armi della diffamazione sessuale dimostra la bassezza dei suoi detrattori. Viale si è rivelato un galantuomo limpido, diffamato con l’intenzione di distruggerlo. Una vergogna.
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Non è Berrino?
Dopo anni di successi con un bistrot ad Albenga il signor Enzo Bellissimo è  stato costretto a chiudere il suo locale di successo perché il Comune  gli ha imposto di abbattere una veranda. Una cosa assurda. Adesso ha riaperto il bistro’  ad Alassio con un buon successo iniziale. Ma ho letto ieri che c’è già di chi parla di lui come del nuovo Mario Berrino pittore, re delle estati alassine al mitico  caffè Roma. Con tutto il rispetto non confondiamo Berrino che è stato unico ed irripetibile  – pensiamo al famoso Muretto – con altri a lui non comparabili.  Giuseppe Delfino
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Sono stato molto amico di Mario Berrino che ha voluto la piastrella con la mia firma sul muretto e conosco poco Bellissimo che ha subito un sopruso dal Comune di Albenga. Andrò a visitare il suo nuovo locale ad Alassio e mi auguro che il suo successo coincida con il futuro della perla della Riviera. Per ora l’unico che tiene banco è Giampiero Colli di Sail Inn che oggi non ha eguali.
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Le scuole
La valutazione delle scuole fatta dalla Fondazione Agnelli non è di per sé cosi’ attendibile e trasparente. Troviamo scuole in testa e in coda. Ma certo se il declassamento continua come nel caso del liceo d’Azeglio, qualche ragione ci sarà. L’enclave della sinistra faziosa si rivela non più credibile. Vive sulla memoria di Augusto Monti, un professore totalmente dimenticato. Mio nipote si è trovato malissimo. Giulio Ascani
Anch’io non capisco bene i parametri usati dalla Fondazione Agnelli. Ma risalta innanzi tutto  un fatto positivo: il liceo Botta di Ivrea, liberato del suo vecchio preside Cardinale, vola al primo posto nei licei classici. Il d’Azeglio è al settimo posto, ma nel ‘24 era al nono posto. Il penultimo posto. Il celebrato Liceo europeo Umberto I e ‘ all’ultimo posto e lo scorso anno non era neppure tra quelli classificati. Nei licei di scienze umane risalta all’ultimo posto l’ex magistrale “Regina Margherita”. Tra i Tecnici il celebrato “Sommeiller” e ‘ al penultimo posto. E ci sarebbero anche altri fatti rilevanti. I criteri adottati non sono spiegati in modo limpido. E questo è un limite alla ricerca.

La bagna cauda, cuore caldo di Torino

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ScopriTo alla scoperta di Torino

A Torino, quando arriva il freddo, c’è un profumo che attraversa i portici e si infila nelle osterie come un vecchio amico: quello della bagna cauda. È un piatto che sembra semplice, quasi umile, ma custodisce una storia di viaggi, di campagne e di convivialità che ha segnato l’identità gastronomica piemontese. Oggi, mentre i ristoranti torinesi continuano a reinterpretarla, la bagna cauda rimane una delle esperienze più sincere da vivere in città.

La sua origine non è interamente torinese, ma Torino ha avuto un ruolo decisivo nel trasformarla da pietanza contadina a rito urbano. Nata nelle Langhe come salsa energetica per i vendemmiatori, a base di acciughe sotto sale, aglio e olio, arrivò presto nei mercati cittadini insieme alle barbatelle, ai carrettieri e alle famiglie che cercavano lavoro in città. Qui la ricetta trovò gli ingredienti migliori, le acciughe spagnole che arrivavano nello storico mercato di Porta Palazzo e l’aglio di Caraglio, considerato da molti il più adatto per ottenere una salsa morbida e profumata senza essere aggressiva.

L’arte della preparazione

Preparare la bagna cauda perfetta a Torino è considerato quasi un gesto rituale. Le acciughe devono essere dissalate con pazienza, l’aglio tagliato fine e cotto lentamente fino a diventare una crema. Qualcuno aggiunge una noce di burro, altri giurano che un goccio di latte attenui l’asprezza senza tradire la ricetta. Le verdure che la accompagnano parlano di stagioni: cardi gobbi di Nizza Monferrato, peperoni di Carmagnola, topinambur, cavolo verza, barbabietole. Ogni famiglia, ogni chef, ogni trattoria custodisce una variante che racconta un pezzo di Piemonte.

Negli ultimi anni si sono diffuse anche versioni più leggere, con meno aglio o addirittura con l’aglio cotto nel latte per renderlo più digeribile. Ma a Torino c’è ancora chi difende la versione tradizionale, convinto che la bagna cauda sia un piatto che non va addomesticato: o la si ama o la si teme, e questo fa parte del suo fascino.

I ristoranti di Torino che la celebrano

Il capoluogo piemontese ha fatto della bagna cauda una bandiera, e alcune tavole sono diventate luoghi di pellegrinaggio per gli appassionati. In molti ricordano ancora le serate affollate di certe osterie del Quadrilatero, dove il profumo della salsa usciva dalle porte spalancate e attirava studenti, famiglie e turisti incuriositi. In una trattoria di Borgo San Paolo, lo chef racconta spesso di aver imparato la ricetta da sua nonna: durante le prime nebbie autunnali preparavano il fujot di terracotta che manteneva la salsa calda al centro del tavolo, mentre le chiacchiere si mescolavano al vapore dei cardi appena tuffati.

Nel quartiere Vanchiglia c’è un ristorante che propone la bagna cauda solo due mesi l’anno. Il proprietario, con un sorriso furbo, dice che è il piatto a decidere quando vuole comparire: «La bagna cauda è come un ospite importante, arriva quando è il momento giusto». La loro versione è celebre per il profumo intenso e per le verdure che cambiano ogni settimana, a seconda del raccolto che arriva dai piccoli produttori della collina torinese.

Anche alcune trattorie storiche della zona di San Salvario mantengono viva la tradizione delle serate dedicate, in cui la bagna cauda diventa un pretesto per stare insieme. Un cameriere racconta che una volta un gruppo di amici napoletani, alla loro prima esperienza, aveva ordinato due fujot “per assaggiare”. Dopo mezz’ora, conquistati dalla salsa fumante, ne avevano chiesti altri quattro, ridendo e domandandosi come avessero potuto vivere senza.

Le varianti che raccontano la città

Torino ha sempre avuto la capacità di integrare culture e influenze diverse, e questo vale anche per la bagna cauda. Alcuni ristoranti del centro propongono una versione “rossa”, arricchita con un pizzico di peperoncino. Altri preferiscono la variante “ricca”, con tartufo nero grattugiato sopra la salsa calda, un’idea nata pare in un locale vicino al Po, dove lo chef voleva proporre qualcosa che unisse la tradizione contadina alla raffinatezza sabauda.

La città ospita ogni anno anche cene collettive dedicate alla bagna cauda, momenti in cui il piatto diventa un racconto corale: torinesi di lungo corso, studenti fuori sede e curiosi provenienti da altre regioni si siedono allo stesso tavolo e condividono risate, mani unte e racconti che nascono spontanei.

Torino e la bagna cauda continuano così a camminare insieme: un piatto caldo, generoso, che non ha paura di essere intenso e che più di molti altri sa trasformare una cena in un’esperienza. Chi arriva in città e decide di provarla scopre presto che non si tratta solo di una salsa, ma di un rito, un modo tutto piemontese di stare a tavola e di raccontare la propria storia attraverso il cibo.

NOEMI GARIANO