Rubriche- Pagina 19

Medaglioni di filetto di maiale con verdure

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Il filetto di maiale e’ un taglio pregiato dal sapore delicato e dalla consistenza morbida.

Questo che vi propongo e’ un ottimo secondo leggero e saporito, piacevolmente aromatico e di sicuro effetto.

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Ingredienti

1 filetto di maiale

2 patate

8 pomodorini

1 fetta di zucca

1 cipollotto

Olive, capperi q.b.

Prezzemolo, rosmarino q.b.

Olio, sale, pepe

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Lavare bene le patate e cuocerle a vapore con la buccia e la fetta di zucca tagliata a spicchi. In un tegame rosolare in poco olio il cipollotto, aggiungere il filetto di maiale tagliato a medaglioni di circa 2cm di spessore, cuocere a fuoco vivace per non piu’ di cinque minuti per parte, salare e pepare. A cottura ultimata, mettere da parte la carne e saltare le verdure a vapore con le erbe aromatiche, le olive, i capperi e i pomodorini tagliati a meta’, aggiustare di sale, unire i medaglioni e servire in tavola.

Paperita Patty

Persone negative, difficili, complicate e conflittuali: impariamo a difenderci

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Perché esistono soggetti così difficili e complicati? Si tratta, con tutta evidenza, di persone che non sono capaci di stare bene con se stesse, che vivono una profonda (e spesso inconsapevole) sofferenza interiore, e che non sono state e non sono in grado di trovare un equilibrio e una serenità interiori che permettano loro di condurre un’esistenza positiva e mentalmente sana.

Le persone difficili e complicate, quelle con cui fatichiamo a convivere, sovente nascondono problemi che spiegano la loro sgradevole modalità di comportamento. In certi momenti della nostra vita può essere capitato anche a noi di vivere più o meno in una condizione simile, e questo ci può essere d’aiuto nel cercare di comprenderle e nel rapportarci al meglio con loro.

Queste persone sembrano trovare una sorta di ricompensa in quelli che ritengono siano gli errori e le mancanze altrui. Non avendo in genere una buona autostima, esse hanno un enorme bisogno di vedere le negatività nelle altre persone, in modo da sentirsi relativamente superiori rispetto agli altri.
Esse molto difficilmente possono accettare che altre persone siano serene.

In pace con se stesse e con il mondo, positive ed equilibrate. Anzi, tutto ciò le turba, le infastidisce e le irrita profondamente, fino a diventare intollerabile. Quindi, spesso senza rendersene conto, cercano in ogni modo di turbare l’equilibrio e la serenità che vedono negli altri. Queste loro reazioni possono causare una grande sofferenza in chi si trova a subirle.

Specialmente se si tratta di persone che vivono nello stesso ambiente di lavoro o sociale o, ancor peggio, nella stessa famiglia delle persone conflittuali e negative. Queste persone sono spesso caratterizzate da un intenso narcisismo e dal desiderio nascosto di complicare la vita agli altri, e molto difficilmente potranno modificare il loro modo di essere.

Perché sono in genere le persone meno disposte a raggiungere la consapevolezza delle loro caratteristiche e difficoltà. Ci sono vicino a noi persone con queste caratteristiche? Come possiamo cercare di difenderci da loro? Ne parleremo in modo approfondito con l’articolo della prossima domenica su Il Torinese. Buon 2025 a tutti i lettori!

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it
Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”

(Fine della seconda parte)

Potete trovare questi e altri argomenti dello stesso autore legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

Cosa c’è di meglio di un piatto di spaghetti?

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Una ricetta stuzzicante, facilissima da realizzare, con pochi grassi

 

A volte semplici ingredienti fanno la differenza. Un primo piatto sano che ci regala i colori, i sapori e i profumi degli aromi mediterranei. Una ricetta stuzzicante, facilissima da realizzare, con pochi grassi, saporita, sfiziosa e invitante, ottima per una spaghettata con gli amici.

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Ingredienti:

360gr. di spaghetti (per 4 persone)

Pomodorini Pachino (quantita’a piacere)

1 cipolla media

1 spicchio di aglio

6 filetti di acciughe sott’olio

4 cucchiai di olive taggiasche denocciolate

1 peperoncino piccante essicato

Olio evo, sale q.b.

Basilico fresco q.b.

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In una larga padella soffriggere in poco olio la cipolla e l’aglio affettati, aggiungere i pomodorini lavati e tagliati a meta’, lasciar insaporire per pochi minuti, aggiungere i filetti di acciuga, il peperoncino e le olive taggiasche, mescolare bene per amalgamare tutti gli ingredienti, eventualmente aggiustare di sale. Scolare gli spaghetti al dente, saltarli velocemente in padella con il sugo, cospargere di basilico fresco e servire subito.

Paperita Patty

La gazza e il Natale a cucù

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L’inverno non era ancora neve ma nell’aria si avvertiva da giorni la sua presenza. Da nord soffiava vigoroso un vento freddo e le nuvole, nel cielo ingrigito, si rincorrevano veloci. I boschi del Mottarone erano silenziosi. Solo qualche passero infreddolito cinguettava senza molta convinzione. Solo Mirella svolazzava tra i rami del vecchio albero sul piazzale della stazione ferroviaria. Saltellava sulle zampe come un’anima in pena.

Mirella era una gazza bella e furba. Bella, poiché possedeva un piumaggio iridescente che la rendeva del tutto particolare, come solo gli uccelli eleganti sanno di poter essere. A prima vista appariva bianconera ma, a seconda della luce, s’intravedevano nel piumaggio riflessi color verde metallico e grigio perla. Ne era consapevole e lo faceva pesare agli altri uccelli durante il volo, quando alternava veloci battiti d’ala a lunghe planate, inarcando il becco con aria altezzosa.

Anche quand’era a terra camminava e saltellava impettita, tenendo la coda sollevata. Si credeva molto furba e scaltra, abituata com’era a turlupinare il prossimo. In quanto gazza si distingueva dagli altri uccelli per un piccolo particolare: subiva il fascino degli oggetti luccicanti, era attratta da quelli particolarmente colorati che adorava rubare e nascondere. “Comunque”, teneva a precisare con gli altri pennuti, “andiamoci piano con le offese: io non sono una ladra. Diciamo che ho la tendenza ad appropriarmi delle cose belle anche se non sono mie. Ma non è un difetto, semmai una qualità. Mi piace il bello e di fronte al bello non resisto. Suvvia, e che sarà mai?“. Mirella andava presa così com’era. Si riteneva, nonostante il difettuccio, una gazza senza aggettivo. E pretendeva di esser chiamata esclusivamente con il nome proprio. Visto e considerato che, pur negandone l’evidenza, un po ladra lo era nei fatti, aveva accumulato un bel bottino nel nido che si era ricavata tra le travi del solaio della signora Brigida, l’anziana proprietaria della locanda del Lago. Lì, nel fitto intreccio di ramoscelli, brillavano gli oggetti racimolati durante le sue scorribande. Un bottone dorato, una spilla di latta, una fibbia argentata, alcuni tappi di metallo a corona, una moneta da cinquecento lire di quelle vecchie, con incise le tre Caravelle, il cappuccio di una stilografica. Tutte cose luccicanti e quindi di valore. Ma da un po’ di tempo Mirella aveva messo gli occhi sull’orologio del capostazione. Amleto Ballanzoni era un omone sulla sessantina, con il volto incorniciato da una folta barba bianca. I bambini, per questo, l’avevano ribattezzato Babbo Natale. D’indole buona, sorridente e pacioso, non se l’era mai presa. Anzi: la somiglianza con il caro e simpatico vecchietto gli garbava, strappandogli un sorriso. Da una trentina d’anni dirigeva con fischietto e paletta la stazione ferroviaria di Baveno, sulla linea Milano-Domodossola. Un tempo era una fermata importante, ora un po meno, ma il signor Amleto, con in testa il suo berretto da capostazione di prima classe in panno rosso e galloni dorati, non si scomponeva.

Il dovere era sempre il dovere. “I treni devono viaggiare in orario”, affermava compito scrutando orgoglioso il suo Perseo meccanico, a carica manuale, con la lucida locomotiva turca disegnata sulla cassa. Quest’orologio da tasca, fissato al panciotto con una catena d’argento, era il tratto distintivo del ferroviere, quasi un segno del comando. L’orologio assumeva un’importanza vitale e serviva a garantire l’assoluta precisione nel calcolo per regolare il traffico su rotaia. Tutto dipendeva dal tempo: tabelle, orari, coincidenze, scambi. E la sincronizzazione degli orologi era indispensabile. Quello in possesso di Amleto non è un orologio comune ma un modello costruito appositamente per le Ferrovie dello Stato e quindi era “l’Orologio”, quello con la “o” maiuscola. Preciso, infallibile, perfettamente funzionante. “L’orologio per noi è un po’ come l’Arma dei Carabinieri: nei secoli fedele”, sentenziava al bancone del Circolo Operaio il Ballanzoni, lisciandosi la barba. Magari non durava proprio dei secoli ma qualche decennio sì. E il suo Perseo era lì, testimone muto ma preciso, a confermarlo. Il destino del ferroviere e quello del suo orologio erano talmente indissolubili che, di norma, andavano in pensione insieme. Deposto il berretto e riconsegnati fischietto e paletta, l’orologio rimaneva di proprietà, quasi fosse una medaglia, un distintivo, un segno di riconoscimento per chi aveva fatto parte della grande famiglia dei ferrovieri. Proprio a quell’orologio mirava la gazza ladra. Per Mirella rappresentava l’oggetto del desiderio. Un lucente e ticchettante trofeo da aggiungere alla sua collezione, il pezzo più pregiato, la “chicca” della quale potersi vantare a destra e manca. Iniziò a svolazzare con aria indolente attorno alla stazione. Un battito d’ali così svagato non avrebbe destato i sospetti del capostazione che, tra l’altro, non pareva avere (così almeno pensava Mirella) grandi conoscenze in fatto di uccelli e quindi particolare timore nell’avvistare nei dintorni il volteggiare di una gazza. Così, in quei giorni che anticipavano l’avvio delle feste di fine anno, proprio mentre iniziò a nevicare, accadde il fatto più inatteso e terribile che l’Amleto Ballanzoni si sarebbe mai immaginato di vivere: il furto dell’orologio.

La cappa grigia del cielo si era rotta e la neve precipitava lieve, a larghe falde. Si rinnovava la magia che nasceva in ogni persona, bambini e adulti; una magia speciale, antica. I più piccoli giravano su se stessi con  le facce rivolte al cielo e le bocche aperte; ogni fiocco che si depositava  sulle lingue aveva un sapore particolare, emettendo una specie di lieve crepitio. Era uno dei suoni dell’infanzia, uno dei ricordi di attesa felice che non avrebbero mai dimenticato. Il capostazione era uscito a guardare il cielo e bastò un attimo di disattenzione, uno sguardo appena distolto dal prezioso oggetto che aveva momentaneamente appoggiato sulla scrivania dell’ufficio, dopo averlo staccato dalla catenella per lucidarlo. L’orologio sparì come d’incanto. Il disperato capostazione, non trovandolo al rientro in ufficio, frugò dappertutto in un crescendo di agitazione e sconforto. Niente. Il suo Perseo non c’era più. Era pur vero che aveva lasciato la porta aperta ma, Buon Dio, era  successo tutto così in fretta che non riusciva a farsene una ragione. Chi poteva essere stato? Il perché lo intuiva: era un signor orologio che poteva senz’altro far gola a qualche malintenzionato. Ma, nonostante si sforzasse di pensare chi potesse essere il colpevole, l’identità del ladro rimaneva un mistero. Si trattava di un furto con destrezza, senz’ombra di dubbio. Come se l’orologio si fosse volatilizzato. Non immaginava il pover’uomo di aver fatto centro con quella definizione. Sì, perché proprio su di un volatile andava concentrata l’attenzione e la conseguente ricerca della refurtiva. Amleto Ballanzoni, però, non s’intendeva per nulla d’uccelli. Sapeva distinguere un passero da un’aquila solo per le dimensioni. Era a conoscenza di tutto quanto concerneva il mondo delle rotaie ma di ornitologia capiva poco o nulla. Non sapendo distinguere un tordo da un merlo, una beccaccia da una poiana, immaginarsi cosa può sapere delle gazze e di quel loro vizietto. Così Mirella impreziosì la sua collezione e per un paio di giorni se ne stette buona a rimirare i suoi trofei senza sentire l’impellente bisogno di dedicarsi al furto, alla rapina, all’altrui alleggerimento. Al capostazione, con il morale a terra, non restò che arrangiarsi in qualche modo. Nell’attesa di comprarsi un orologio nuovo, pur con la consapevolezza che come il suo Perseo non ce ne sarebbe stato più di eguale, recuperò dalla soffitta il vecchio pendolo a cucù.Era un ricordo della zia Ermelinda che, a  sua volta, l’aveva ereditato dal signor Giustinetti, un impiegato alle poste svizzere di Martigny che d’estate e per molto tempo soggiornò in una camera d’affitto sul lago Maggiore.

Per ringraziare la zia delle gentilezze e di un certo qual affetto che la gentildonna aveva in qualche misura corrisposto, lasciò come pegno d’amicizia il simbolo più indicativo del tempo per uno svizzero: un orologio. Nella fattispecie, quell’orologio a cucù. L’oggetto, seppur impolverato e con la superficie tormentata da qualche scalfittura, manteneva un invidiabile funzionamento. Il meccanismo era in buono stato ma il merito del suo pieno recupero fu di Amleto che, con passione e curiosità, si dilettava a smontare e rimontare tutti i meccanismi che gli capitavano tra le mani. Si trattava di un pezzo veramente raro della produzione tedesca di orologi a cucù di fine ‘800 e doveva avere anche un discreto valore economico. Il frontale riproduceva, stilizzandola, una tipica stazione ferroviaria dell’epoca, in foggia neogotica. “Quasi un segno del destino”, commentò l’omone, piacevolmente sorpreso dalla scoperta. Il cucù se lo ricordava vagamente e vederlo ora come riproduzione del suo ambiente di lavoro e di vita gli fece momentaneamente passare  il magone per il furto subito. Il movimento, revisionato e sincronizzato, consentiva allo scoccare delle ore l’apertura di uno sportello dal quale usciva un uccellino che eseguiva un intonato canto del cuculo. Il piccolo volatile canterino sembra quasi vero. “Non è la mia cipolla”, borbottò Amleto, “ma non è neanche poi male e, in fondo, tiene bene il tempo che poi è giusto il mestiere che deve fare”. Così, in quei giorni che precedevano il Natale il pendolo a cucù prese servizio. La cosa non passò inosservata nemmeno a Mirella che, terminata la fase contemplativa, aveva ripreso i suoi giri. Al canto del cuculo si era precipitata a curiosare dalla finestra dell’ufficio della stazione. Ciò che vide la lasciò interdetta, con il becco spalancato. “Mamma mia, che fusto! Che melodia, che ugola intonata”, disse tra se, incantata davanti alla visione dell’uccelletto di legno che faceva capolino dal pendolo al battere dell’ora. Mirella ebbe un tuffo al cuore. Avvertì il fascino irresistibile del maschio canterino e, turbata, guardandolo con occhio languido, se ne innamorò così, su due zampe. Il classico colpo di fulmine, “le coupe de foudre”, come dicono gli svizzeri tra Losanna e Ginevra. Roba da rimarci stecchita, dimenticando d’essere ladra e immaginandosi stretta in un abbraccio a cinguettare appassionatamente con quell’esempio superbo di germanico volatile. Come fare ad attirarne l’attenzione? Come farsi vedere e trasmettere il piacevolissimo brivido che le intirizziva le piume? Aspettò rapita per ore, alternandosi in volo tra il davanzale della finestra e l’albero del piazzale della stazione. Ogni tanto il cuculo faceva la sua comparsa, cantava e poi si ritirava dietro l’anta di legno. Non pareva interessato alla presenza di Mirella. Quasi non l’avvertisse. La gazza era incredula.

Ma come? Non avverte, quel pennuto, il mio fascino? Non incrocia mai il mio sguardo. Anzi, mi pare che tenga sempre gli occhi fissi davanti a se… E quel suo rimanere lì, impettito come uno stoccafisso? E’ una mia idea o quello se la tira un po? “. Mirella, come tutte le gazze, era caratteriale, piuttosto scontrosa, scorbutica. Ma il fascino esercitato da quell’uccelletto del cucù era troppo forte e lei, nonostante tutto l’orgoglio, non poteva (e non voleva) resistergli. “Che sia sensibile ai regali?”, pensò Mirella. Forse subiva anche lui l’attrazione degli oggetti lucenti. Chissà che quell’uccello, forse per timidezza, non avendo il coraggio di volar via da quella strana casetta, non avesse bisogno di qualche incoraggiamento? Mirella volò al suo nido e, preso un bottone dorato, lo posò sulla mensola a fianco del pendolo a cucù. Allo scoccare dell’ora, puntualmente, l’uccelletto fece capolino cantando e, senza rivolgere lo sguardo né a destra né a sinistra, ritornò dietro l’uscio. Forse il bottone era poca e misera cosa, pensò la gazza, e poco per volta si privò di tutto il suo patrimonio, accumulato di furto in furto. Cedette anche il pezzo più pregiato: l’orologio sottratto al capostazione mettendo a segno il colpo più bello della sua vita. Era innamorata persa, la povera Mirella. Innamorata senza speranza, ignara del fatto che l’uccello di legno dell’orologio a cucù non poteva  corrisponderle l’affetto essendo un finto volatile, tutto legno e senza cuore. Così, dopo tutto quel gran darsi da fare senza ottenere in cambio nemmeno uno sguardo, con il cuore gonfio di amarezza, la gazza fece per riprendersi le sue cose ma, colmo della disperazione, oltre al bottone, ai tappi e alla spilla non trovò più l’orologio. Amleto Ballanzoni l’aveva visto sulla mensola e, incredulo, si era dato una gran manata in fronte: “Eccolo lì, il mio Perseo! Vecchio balordo, cominci a perdere i colpi! L’avevo davanti agli occhi e non riuscivo a vederlo da tanto ch’ero agitato. Meno male, va… D’ora in poi starò più attento a dove metto le cose”. Il capostazione, recuperato il prezioso orologio, decise di lasciare al suo posto anche il pendolo a cucù. Ormai faceva parte dell’arredamento. Funzionava bene e, per di più, era perfettamente in integrato con l’ambiente della stazione ferroviaria. L’unica modifica che Amleto decise di introdurre riguardava quel fastidioso cuculo che cantava, monotono, ogni ora. L’eliminazione avvenne senza troppe storie. Bastò spegnere il meccanismo della suoneria con l’apposita levetta e l’uccello restò, segregato e silenzioso, dentro la sua casetta trasformatasi in prigione. Mirella, ormai disperata, vedendo quella porticina sempre chiusa, decise di andarsene via, il più lontano possibile da quell’odioso uccello pieno di boria che chissà poi chi si credeva di essere. Volò via verso Loita dove conobbe, proprio la vigilia di Natale, una gazza maschio. Tra i due scoccò l’amore e di comune intesa, rastrellando oggetti in quattro e quattr’otto, abbellirono la loro dimora nel bosco che saliva verso Campino. Amleto Ballanzoni, intanto, fischiando e agitando la paletta all’arrivo e alla partenza dei treni nella sua stazione, con il berretto rosso in testa e l’orologio ben saldo alla catenella del panciotto, salutava i bambini che si sporgevano dai finestrini dei convogli gridando “E’ Babbo Natale! E’ Babbo Natale!”. L’uccelletto di legno riposò nella penombra della sua dimora in attesa di tornare a cantare allo scoccare di ogni ora. Può darsi che accadrà presto ma noi non lo sappiamo. Forse è anche già accaduto ma questa è un’altra storia.

Marco Travaglini

Natale… che passione!

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IL TORINESE… CON LA CODA

Avete onorato la tradizione e fatto l’albero di Natale? Avete addobbato casa con ghirlande, lucine e festoni? 

Bene! Avete fatto la felicità del vostro gatto! 

Su Instagram si vedono migliaia di video di gatti che distruggono alberi di Natale. Gatti che si lanciano su abeti addobbati e staccano palline e decorazioni varie. Gatti che pianificano la distruzione del simbolo natalizio. Gatti che scappano con le ghirlande in testa, facendo impazzire i proprietari. E’ molto divertente, ma a volte anche pericoloso.

Non vogliamo rovinarvi le feste, ma se avete a casa un gatto, soprattutto se cucciolo, il rischio che possa ingerire piccole decorazioni c’è e non è così remoto.

Se vedete il gatto ingerire qualcosa, chiamate il vostro veterinario. Se, infatti, l’ingestione è avvenuta da poco, è possibile indurre il vomito. 

Non tutti i materiali sono radiopachi, cioè visibili con una radiografia, quindi non sempre si ha la sicurezza che ci sia il corpo estraneo, dove sia e soprattutto se sia in grado di essere espulso. 

Se il vostro gattino smettesse di alimentarsi, cominciasse  a vomitare e ad essere mogio, l’ingestione di corpo estraneo è una possibilità da valutare attentamente, soprattutto se in casa sono presenti elementi che richiamano la sua attenzione, come appunto le decorazioni natalizie.

Uno dei corpi estranei più pericolosi è quello lineare, ovvero il filo, che sia di spago, di lana o elastico. Il filo può avere un capo in un punto dell’intestino e l’altro molto più avanti o indietro, incastrandosi può creare il cosiddetto “intestino a fisarmonica”.

La valutazione di cosa fare è molto delicata, a volte si riesce, lavorando con i giusti farmaci, la fluidoterapia e un attento monitoraggio, a non intervenire chirurgicamente. Altre volte, purtroppo, si esegue una chirurgia o, se la struttura veterinaria ne è in possesso e se la situazione lo consente, si può provare a rimuovere il corpo estraneo con l’endoscopio.

Ovviamente l’albero di Natale è una scusa per parlare dell’argomento, un corpo estraneo può essere ingerito in varie situazioni e vale anche per i cani. I cuccioli sono i soggetti più a rischio, perché più propensi a masticare per gioco e più tontoloni. Anche gli adulti possono ingerire corpi estranei, ma è una condizione da tenere sotto controllo perché può essere indicativo di stress o malessere.

Altra pratica che può essere messa in atto per noia, malessere o gioco è quella di masticare cavi elettrici  e i cavi delle lucine di Natale sono una tentazione. 

Quindi se non volete far saltare l’impianto prima del cenone, o peggio trascorrerlo al pronto soccorso veterinario, fate particolare attenzione ai vostri pet!

 

Dott.ssa Federica Ferro
Dott. Stefano Bo

Più thriller che analisi uno dei momenti più importanti della Chiesa

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“Conclave” di Berger sugli schermi natalizi

 

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

 

Che sia racconto di più o meno nascoste verità o traliccio per far apparire note e soluzioni sopra le righe (leggi Don Brown con i suoi Codici), la Storia della Chiesa – il Papato tout court – ha interessato nel più recente passato e continua a interessare i cineasti. Sotto differenti lenti lo hanno guardato Moretti con tutti i dubbi di Piccoli pronto a fare il gran rifiuto e Sorrentino e Fernando Meirelles diviso tra Benedetto e Francesco, oggi lo bisturizza – ma non poi tanto, non come si sarebbe voluto – l’austriaco Edward Berger, già autore di quel “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, dal romanzo di Remarque, vincitore nel 2022 dell’Oscar per il miglior film internazionale. Anche qui sta alla base un romanzo, autore Robert Harris, la sceneggiatura affidata a Peter Straughan che già mostrò ben altra forza con un precedente “La talpa” ricavato dalle pagine di John Le Carré. Con “Conclave” – scenograficamente e nella fotografia di Stéphane Fontaine perfetto – un’altra occasione per mettere sul palcoscenico della Storia una gran bella quantità colpi di scena, di falsità e di misteri che trovano un po’ troppo facili soluzioni, di cardinaloni che arrivano nei loro eleganti abiti da recita a confondere le acque, le certezze su cui non ci si dovrebbe mai facilmente accomodare e i dubbi che si dovrebbero sempre rinfocolare, gli sguardi e le spiate al riparo di una porta, i documenti segreti, i reazionari e i progressisti, i vecchi europei/americani e le forze nuove che ormai sembrano essere obbligatori dei più nuovi continenti.

Ogni cosa con buona pace dello Spirito Santo che da parecchio tempo fa fatto il suo tempo: ma tutto con tratto di buon manicheismo volto a se sia meglio abbarbicarsi alla tradizione e alla sua conservazione o se offrirsi a una apertura – calibrata e ragionata – all’altro. Il papa è morto e al cardinale Lawrence (Ralph Fiennes, combattuto sino alle lacrime, in profonda crisi di fede) tocca in qualità di decano mettere insieme i tantissimi tasselli per mettere in piedi la straripante costruzione del “Conclave”. A Santa Marta prendono alloggio i nuovi arrivati, sotto gli affreschi di Michelangelo e colleghi prendono posto i tavoli e le schede ove gli stessi dovranno segnare le personali preferenze (e la macchina da presa parecchio si sofferma sulla “bellezza” e l’antichità degli oggetti e dei riti): che sono poi frutto di dialoghi e di scontri, di giochi di potere più o meno espliciti, di voti comprati e di scandali annunciati, di retromarce e di sussurri lasciati arrivare là dove più si conviene. In mezzo, dando più spazi al thriller che all’analisi, tra le votazioni condotte alla luce (o al tanto buio che circola) di quanto sopra, le schede posate nell’urna e bruciate immediatamente dopo, i colori opposti a significare al cospetto del popolo raccolto in piazza (che non vedremo mai, la faccenda riguarda esclusivamente l’interno, le segrete stanze, le alleanze tra questo e quello) la fumata nera e l’ultima fumata bianca, le sconfitte e la vittoria: quest’ultima con un espediente e un finalino che inducono a sorridere un po’ dell’occhio strizzato alla modernità del cinema. Ovvero sul trono di Pietro un Innocenzo intersessuale, proveniente da Kabul.

Nei momenti clou dei dialoghi (che non tralasciano, ma come un velocissimo passaggio, il ruolo della donna e l’omosessualità) tra il nostro Castellitto, ironico quanto irascibile prelato legato a “ci fu un tempo” con tanto di messa in latino e antiislamista sino allo spasimo e il sempre perfetto Stanley Tucci che continua a sperare in tempi più limpidi, stanno i cedimenti di una sceneggiatura che semplifica troppo, mostra e fa sentire ogni cosa per sommi capi e per le tante frasi ad effetto là dove ci sarebbe stata necessità di maggiori approfondimenti, di parole più incisive, di fatti più concreti, di tortuosità che costruissero ben più solidi e filosofici misteri. Probabilmente la realtà è proprio (ahimè) quella narrata ma ogni cosa sa di prevedibile e di infelicemente previsto. “Conclave” è piuttosto un thriller ecclesiastico, il papa è defunto per un infarto che s’accomoda ad ogni stagione e che innesta nello spettatore qualche ragionevole dubbio, il papa è stato capace di nascondere nel testile del proprio letto dei documenti che mettono definitivamente in ombra il cardinale John Lithgow già perverso di suo, le cartelline che passano di mano in mano espongono ricerche di segreti che nemmeno CIA e KGB. E invece siamo in piena Santa Sede. Peccato, in ultimo, sciupare lo spazio ristretto di Isabella Rossellini, dal momento che la sua suor Agnes avrebbe potuto avere ben altra e più incisiva voce. E quando esce dall’anonimato fa sentire appieno la propria vincitore, dando modo all’attrice di porre una candidatura ai futuri Golden Globe.

L’isola del libro

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RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Jean-Baptiste Andrea “Vegliare su di lei” -La nave di Teseo- euro 22,00

Jean-Baptiste Andrea è sceneggiatore e scrittore; al suo esordio nel 2017 con “Mia regina” era stato subito evidente il grande talento narrativo. La riconferma è arrivata con quest’ultimo romanzo che gli è valso il Premio Goncourt in Francia; tradotto in più di 20 paesi, 700.000 lettori conquistati al primo colpo, mentre il cinema lo sta opzionando. Chapeau.

Questa è la storia di un amore impossibile fin dall’inizio, che risorge e muore continuamente nella Liguria di inizi Novecento, tra un ragazzino nato povero e quasi nano e la giovane rampolla di una nobile famiglia. Mimo e Viola sono come due calamite che si attraggono e respingono; o come lei preferisce definire il loro legame «Siamo una sinfonia. E anche la musica ha bisogno di silenzi».

Quasi 500 pagine che sono anche uno spaccato della prima metà del 900 tra le due guerre mondiali. E i protagonisti del romanzo non lasciano certo indifferente il lettore. Michelangelo (detto Mimo) è poverissimo, ha una rara forma di nanismo, ma il gigantesco sogno di diventare scultore. Viola è una ragazza ricchissima e particolare: sensibile, ribelle, coraggiosa e, soprattutto, refrattaria alle regole e alle imposizioni dell’epoca.

Il romanzo racconta la carriera di Mimo e il suo legame indissolubile con la stravagante Viola che ruba i libri per poterli leggere, fa amicizia con un’orsa, si lancia dal tetto di casa e miracolosamente sopravvive. Finisce per accoltellare l’odioso e manesco marito……e non finisce qui….

 

 

Alison Espach “La magia dei momenti no” –Bollati Boringhieri- euro 19,00

Al centro di questo intrigante romanzo della giovane scrittrice americana Alison Espach c’è un malinteso iniziale che innesca la trama. Protagonista è Phoebe Stone, fresca di dolorosa separazione dal marito, morale a pezzi, vita distrutta e zero prospettive. Questo è il suo stato d’animo.

Phoebe si veste di tutto punto, arriva in un lussuoso albergo di Newport, nel Rhode Island, e si prepara a farla finita con la sua vita spezzata. Intanto, nell’hotel fervono i preparativi per il matrimonio tra la ricca e viziata ereditiera Lila e il magnifico Gary, uomo che tutte vorrebbero impalmare.

Phoebe medita di suicidarsi proprio in quell’albergo perché è lì che con il marito Matt avevano progettato una romantica serata ad ostriche e champagne. Questo, prima che il mondo le crollasse addosso e lui la lasciasse perché innamoratosi di un’altra donna.

Per un malinteso, tutti pensano che Phoebe sia tra gli invitati al matrimonio; è così che lei, suo malgrado, finisce nell’ingranaggio dei festeggiamenti. Lia le proibisce di morire per non funestare la sua festa, poi la sceglie come confidente dei suoi dubbi e la elegge damigella d’onore.

Da questo fraintendimento nascono gag umoristiche, si disintegrano maschere e bugie, e si scopre la storia dolorosa di Phoebe. I suoi fallimentari tentativi di diventare madre, la disfatta subita quando il marito la lascia per convivere con Mia e il figlioletto di lei. Il destino sembra farsi sonore beffe di Phoebe…..e la vicenda finisce per incidere anche sulle decisioni di Lia.

 

 

Aslak Nore “Il cimitero del mare” Marsilio- euro 21,00

La storia si ispira a una vicenda realmente accaduta nel 1940, rivisitata e romanzata dallo scrittore norvegese Aslak Nore che intreccia geopolitica e la storia di una famosa dinastia di armatori. Sono i Falk, divisi tra due rami della stirpe e in rotta di collisione fra loro.

I dissidi si inaspriscono alla morte della matriarca. L’enigmatica Vera Lind, (famosa scrittrice di successo, che improvvisamente aveva smesso di scrivere) si getta da una scogliera e va incontro alla morte. Dopo la sua dipartita restano due grandi enigmi irrisolti: non si trova il suo testamento, e neppure un vecchio manoscritto al quale lei aveva lavorato senza mai pubblicarlo.

In compenso, Vera ha lasciato una lettera alla nipote Sasha, nella quale le lancia un’amletica sfida.

Deve scegliere tra la fedeltà al motto dei Falck “Familia ante omnia” (La famiglia prima di tutto); oppure scoprire la verità racchiusa nel manoscritto-biografia degli affari del clan, nel quale Vera ha scritto il resoconto di una tragedia.

Il naufragio -durante la Seconda Guerra Mondiale- in cui era morto suo marito, e più di altre 300 persone; tra civili norvegesi e soldati tedeschi (all’epoca la Norvegia era stata occupata dal Terzo Reich).

Vera era miracolosamente sopravvissuta e tratta in salvo insieme al neonato Olav, che sarebbe poi diventato il capo indiscusso e “padre-padrone” della dinastia Falck. Pagine che nessuno ha mai potuto leggere, ma che farebbero crollare il potere degli armatori dai mille interessi ramificati un po’ ovunque, e non sempre limpidi.

Sasha ovviamente coglie la sfida e si mette alla ricerca di entrambi gli scritti, aiutata dal giornalista John Berg, affascinante ma con qualche segreto nascosto.

Trama ambiziosa e romanzo coinvolgente, grazie alla bravura e all’esperienza di Aslak Nore che è stato giornalista in prima linea sui fronti di guerra più caldi, Medio Oriente in primis. Ma anche abilissimo nell’approfondire la psicologia dei suoi personaggi.

 

 

Diane Keaton “Fashion First” -Rizzoli New York- US $ 55,00

Quello di Diane Keaton è decisamente uno stile unico, che l’ha contraddistinta fin dai primi film, in cui spiccava per personalità e per quello che indossava in modo sublime.

Ora la grande attrice americana racconta i suoi outfit in questo libro-diario fotografico ricco di immagini. Pagina dopo pagina Diane Keaton sciorina in modo divertente il suo stile, e lo fa pubblicando molte foto personali tirate fuori da qualche scatola di latta.

Negli scatti in bianco e nero del fotografo-guru dell’epoca, Michael Comte, emerge il glamour fuori dagli schemi dell’attrice negli anni Novanta.

Il ricco volume è una carrellata di immagini dell’intera vita della Keaton; a partire da lei bambina che gioca in una tinozza. Poi la sua carriera dai primi film di Woody Allen in cui indossava magistralmente pantaloni maschili oversize; in modo ironico, scanzonato, personalissimo.

Via via fino ad oggi, in cui ammanta i suoi anni con gonne e pantaloni sempre fermati da cinturoni a vita altissima, e calza cappelli uno più estroso dell’altro. Non vi resta che sfogliarlo e divertirvi con questa intramontabile icona piena di personalità e fascino.

È complicato essere semplici

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“Ho comprato dei prodotti finanziari ma non so bene come funzionino….Male!! risponde l’esperto”.
E allora come fare? A chi rivolgersi? Il cliente risparmiatore ha bisogno di sapere come comportarsi. In caso di necessità il professionista non manca mai. Riccardo Ferrero, consulente finanziario, torna sul Torinese con “Epimeteo e Prometeo – Dialoghi sugli investimenti” attraverso le sue divertenti, ironiche e argute vignette. Questa volta con… E’ complicato essere semplici.

Persone negative, difficili, complicate e conflittuali: impariamo a difenderci

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(Prima parte)

Non ditemi che non ne conoscete e che la loro presenza non si rivela decisamente fastidiosa, e di difficile approccio… Nel luogo di lavoro, tra coloro coi quali veniamo a contatto nelle nostre incombenze quotidiane, ma talvolta anche tra i conoscenti e gli amici e magari anche in famiglia…

Persone che conoscono alla perfezione la spiacevole arte di complicare le cose, individui difficili ed esigenti, che hanno un problema per ogni soluzione, una contraddizione per ogni evidenza e una tempesta per ogni momento di calma. Esseri petulanti che tentano, consapevolmente o meno, di rubarci la pace interiore,

Personalità complesse, che adorano le discussioni, che sfiancano, che debilitano e che dobbiamo imparare a gestire se vogliamo preservare la nostra serenità mentale ed emotiva. Con le quali magari siamo costretti a convivere, per ragioni di lavoro, di impegni o di vita privata.

Quante volte avremo avuto la tentazione di spostarle nella cartella “spam”, come succede a certa posta elettronica, di trasferirle in una dimensione parallela alla nostra realtà, così da mantenerla intatta e al sicuro, e da preservarla dalla fatica, a volte improba, di rapportarci con le persone che appartengono a queste categorie.

Ma pare che non sia così semplice liberarsi di loro… Il meglio che possiamo fare consiste spesso nel cercare le modalità per far sì che il loro impatto nella nostra vita, a prescindere dalla vicinanza e dalla frequenza con le quali ci rapportiamo con loro, sia il meno invasivo e devastante possibile Tutti, a modo nostro, siamo un po’ complicati.

Ognuno di noi ha qualche groviglio, nella mente e nel cuore, in cui si mischiano paure e insicurezze, frustrazioni e ansie. Tutto questo, in una certa misura, fa parte dell’inevitabile. Ma la principale differenza con le persone che incarnano l’estremo della complessità è che esse sono quasi sempre incapaci di stabilire rapporti sociali e affettivi funzionali, rispettosi e sani.

 

(Fine della prima parte)

Potete trovare questi e altri argomenti legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it

Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”