Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce
Con la locuzione “sesso debole” si indica il genere femminile. Una differenza di genere quella insita nell’espressione “sesso debole” che presuppone la condizione subalterna della donna bisognosa della protezione del cosiddetto “sesso forte”, uno stereotipo che ne ha sancito l’esclusione sociale e culturale per secoli. Ma le donne hanno saputo via via conquistare importanti diritti, e farsi spazio in una società da sempre prepotentemente maschilista. A questa “categoria” appartengono figure di rilievo come Giovanna D’arco, Elisabetta I d’Inghilterra, Emmeline Pankhurst, colei che ha combattuto la battaglia più dura in occidente per i diritti delle donne, Amelia Earhart, pioniera del volo e Valentina Tereskova, prima donna a viaggiare nello spazio. Anche Marie Curie, vincitrice del premio Nobel nel 1911 oltre che prima donna a insegnare alla Sorbona a Parigi, cade sotto tale definizione, così come Rita Levi Montalcini o Margherita Hack. Rientrano nell’elenco anche Coco Chanel, l’orfana rivoluzionaria che ha stravolto il concetto di stile ed eleganza e Rosa Parks, figura-simbolo del movimento per i diritti civili, o ancora Patty Smith, indimenticabile cantante rock. Il repertorio è decisamente lungo e fitto di nomi di quel “sesso debole” che “non si è addomesticato”, per dirla alla Alda Merini. Donne che non si sono mai arrese, proprio come hanno fatto alcune iconiche figure cinematografiche quali Sarah Connor o Ellen Ripley o, se pensiamo alle più piccole, Mulan.
Coloro i quali sono soliti utilizzare tale perifrasi per intendere il “gentil sesso” sono invitati a cercare nel dizionario l’etimologia della parola “donna”: “domna”, forma sincopata dal latino “domina” = signora, padrona. Non c’è altro da aggiungere. (ac)
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5 Carol Rama
Torino è anche arte. Molte sono le Gallerie, le Fondazioni e i Musei che promuovono l’arte in tutte le sue sfaccettature, dalla scultura all’arte figurativa fino al cinema, sia che si tratti di arte classica, medievale, o contemporanea. La storia di oggi è una storia d’arte, che ha per protagonista una delle donne che l’arte l’ha creata, l’ha vissuta e all’arte si è completamente dedicata. Carol Rama nasce a Torino nel 1918, inizia a dipingere ancora adolescente, senza alcuna formazione accademica ma sostenuta nella sua passione da alcuni incontri fondamentali, primo fra tutti Felice Casorati. Molti sono gli amici intellettuali da cui trae informazioni, conoscenze e stimoli: Edoardo Sanguineti, Massimo Mila, Albino Galvano, Carlo Mollino, Paolo Fossati, Carlo Monzino, Luciano Berio, Eugenio Montale e ancora Luciano Anselmino, grazie al quale entra in contatto con Andy Warhol e Man Ray. Della pittura fa una pratica ininterrotta, è il filtro attraverso cui elabora oggetti, situazioni, persone della quotidianità per convertirli in qualcosa di artistico. Carol è sempre aggiornata sulle varie tendenze d’arte, ma mantiene grande autonomia di lavoro, sviluppando nel corso del ventesimo secolo un percorso tutto personale, attraverso l’uso di materiali, temi e stili diversi. Negli acquerelli degli anni Trenta e Quaranta, la rudezza e la scabrosità dei soggetti è decantata nell’eleganza compositiva del quadro. Si tratta di lavori eseguiti a cavallo dei suoi vent’anni, con noncuranza verso i ben pensanti e le mode artistiche del momento, produzioni che denotano grande maturità tecnica e di ideazione. Negli anni che precedono lo scoppio della guerra, l’artista si accosta anche alla pittura a olio, con dense paste di colore e soggetti spesso non tradizionali. La sperimentazione continua: agli stessi anni Quaranta risale l’interesse per l’incisione che si concretizzerà nella splendida serie delle “Parche”, (l’interesse per tale tecnica rispunta verso la fine degli anni Novanta). Dopo una esperienza astrattista negli anni Cinquanta all’interno del gruppo torinese del MAC (Movimento Arte Concreta), Carol attua negli anni Sessanta una svolta decisiva: su macchie di colore di derivazione informale applica oggetti d’uso quali strumenti medicali, trucioli metallici, occhi di bambola. L’oggetto
è inserito con tutta la sua fisicità nel dipinto, diventa colore e forma del quadro, pur rimanendo “cosa”. Negli anni Settanta, sostenuta da colui che sarà il suo gallerista per i decenni successivi, Giancarlo Salzano, un nuovo materiale entra a far parte della sua composizione pittorica, si tratta di camere d’aria segnate dall’uso e di guarnizioni in gomma, utilizzate in sostituzione del colore e incollate su tele monocrome. Questi lavori conservano tutta l’incisività dell’essere materia (gomma come pelle e carne) e sono un rimando all’attività aziendale del padre (specie l’uso della gomma richiama il lavoro paterno). Nel 1979 Carol espone per la prima volta alla Galleria Martano di Torino gli acquerelli realizzati una quarantina di anni prima, poi scelti l’anno seguente da Lea Vergine per la mostra itinerante sulle grandi artiste del Novecento, “L’altra metà dell’avanguardia”. A partire dagli anni Ottanta, l’artista ritorna alla figurazione e realizza mirabili quadri in cui dipinge figure e animali fantastici su carte prestampate. La conoscenza internazionale di Carol è dovuta alle mostre pubbliche, come la sala personale alla quarantacinquesima Biennale di Venezia nel 1993, a cura di Achille Bonito Oliva, allestita dall’amico Corrado Levi, e l’antologica allo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1998, a cura di Maria Cristina Mundici. Il grande riconoscimento pubblico sul suolo Italiano le arriva nel 2003, quando le viene conferito il Leone d’oro alla carriera in occasione della cinquantesima Biennale di Venezia. Nel 2004 anche la sua città natale le dedica una ampia antologica presso la Fondazione Sandretto-Rebaudengo a cura di Guido Curto. Nel gennaio 2010, rappresentata da Corrado Levi, riceve il prestigioso “Premio Presidente della Repubblica” da Giorgio Napolitano. Nel 2014 inaugura al Museo d’Arte Contemporanea (MACBA) di Barcellona una importante mostra monografica a cura di Teresa Grandas, Beatriz Preciado e Anne Dressen, poi allestita anche a Torino nell’ ottobre 2016 alla GAM. Il consenso internazionale è ulteriormente consolidato nel 2017 dall’ampia personale tenutasi al New Museum di New York. Il suo ultimo lavoro conosciuto è del 2007 e chiude una intensa carriera durata oltre settant’anni. Muore nella sua casa-studio torinese, il 24 settembre 2015.
Alessia Cagnotto