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La tavola della tradizione: zuppa contadina con cavolo nero

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Da assaporare ben calda con fette di pane casereccio e un filo d’olio crudo. Una bonta’ di zuppa!

Le foglie bitorzolute del cavolo nero sono perfette per realizzare questa corroborante e salutare zuppa ricca di sostanze antiossidanti, vitamine e sali minerali. Pochi ingredienti poveri della tradizione contadina, gusto intenso ed aromatico, da assaporare ben calda con fette di pane casereccio e un filo d’olio crudo. Una bonta’ di zuppa !

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Ingredienti

 

6 foglie di cavolo nero

250gr. di fagioli borlotti secchi

150gr. di zucca

1 cipolla,1 spicchio di aglio

2 carote

2 coste di sedano con le foglie

2 patate

50gr. di pancetta

olio evo, sale, pepe, 3 semi di anice

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Cuocere i fagioli in pentola a pressione per circa un’ora in un litro d’acqua con mezza cipolla, una carota, le coste di sedano e il sale. Tenere da parte un mestolo di fagioli e passare i rimanenti al passaverdura con le verdure e il brodo. Tritare la carota e la cipolla rimasti con l’aglio e la pancetta, soffriggere in poco olio. Unire il passato di fagioli, le foglie di cavolo nero (private della costa bianca centrale) ridotte a listarelle, la zucca, le patate tagliate a dadini e i semi di anice, aggiustare di sale e pepe. Mescolare e proseguire la cottura a fuoco basso per un’ora circa. Servire bollente con fette di pane casereccio.

 

Paperita Patty

 

Antico “bonet” alle nocciole

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E’ un dessert conosciuto soprattutto nella variante al cacao

Tipico dolce al cucchiaio della pasticceria piemontese, il “bonet” e’ un dessert conosciuto soprattutto nella variante al cacao, ricoperto di caramello goloso, delicato, particolarmente energetico. La versione piu’ antica dell’alta Langa, prevede l’utilizzo delle nocciole. Questa e’ la mia proposta. Delizioso!

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Ingredienti:

 

½ litro di latte fresco intero

100 gr. di nocciole tostate

180 gr. di zucchero

1 cucchiaio di caffe’ ristretto

2 cucchiai di rum

50gr. di amaretti

4 uova e 2 tuorli

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In uno stampo in alluminio caramellare 100gr. di zucchero con ½ bicchiere di acqua. Ridurre a farina le nocciole con lo zucchero rimanente. Ridurre in polvere gli amaretti, bollire il latte. Nel frullatore sbattere le uova e i tuorli, aggiungere  il caffe’, il rum, le nocciole, gli amaretti, versare il latte caldo a filo. Trasferire il composto nello stampo, cuocere a bagnomaria sul gas a fuoco bassissimo (l’acqua non deve mai bollire) per circa 1 ora. In alternative cuocere in forno a 180 gradi per 50 minuti circa. Lasciar raffreddare e conservare in frigo sino al momento di servire.

 

Paperita Patty

Utilizziamo al meglio il nostro tempo

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Parte 3

Per raggiungere sul serio l’obiettivo di utilizzare al meglio il nostro tempo occorre avere la voglia e il coraggio di organizzarlo in modo un po’ più razionale, utilizzando una parola che, soprattutto nel vocabolario dell’italiano medio, risulta solitamente ostica e antipatica: Programmazione.

Senza per questo ridurre la nostra vita a una rigida e ridicola serie di impegni. Partendo da due componenti fondamentali, ciò che dobbiamo fare e ciò che vogliamo fare. Possiamo anche suddividere queste componenti in più tipologie (ad esempio lavoro, impegni vari, attività personali, ecc.).

E riportiamo quindi gli impegni su una agenda, cartacea o (sarebbe meglio perché più agevole nelle modificazioni) elettronica (va benissimo anche quella già inserita nei cellulari). Utilizzare bene l’agenda ci permette, oltre a organizzare molto meglio il tempo, di liberare la mente, senza dover fare affidamento solo sulla memoria.

Non ci dimenticheremo impegni e appuntamenti, ma avremo sempre un quadro chiaro del tempo a disposizione per fare qualsiasi altra cosa non abbiamo già previsto di fare, semplicemente visualizzando l’agenda. Parlo per esperienza personale, in quanto da molti anni utilizzo con risultati eccellenti questo metodo.

Se smetteremo di farci spaventare dalla parola “pianificazione” e ne metteremo in pratica il metodo, grazie ad essa potremo facilmente programmare tutti i nostri impegni, rispettando senza ansia e stress le scadenze, e riusciremo così a gestire in maniera efficiente il nostro tempo, senza trascurare le cose, le attività e le persone che amiamo.

Cerchiamo infine di eliminare le azioni non necessarie, quelle cioè che sono frutto di abitudini spesso inutili, e che ci fanno perdere tempo. Ognuno di noi ne ripete qualcuna. Finiamo con lo spendere molti minuti delle nostre giornate in attività ripetitive e di routine senza mai domandarci se quelle azioni hanno ancora un senso e una effettiva funzione.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it
Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”.

(Fine della terza e ultima parte)

Potete trovare questi e altri argomenti dello stesso autore legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

Rock Jazz e dintorni a Torino. Il trio Tavolazzi-Zirilli-Di Gennaro e Daddy G

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Martedì. Alle OGR il trio Tavolazzi-Zirilli-Di Gennaro. Al Blah Blah il progetto Rome+Guest TBA.

Mercoledì. All’Osteria Rabezzana suona il quartetto di Federico Ponzano. A Eataly Lingotto si esibisce Leo Pari.

Giovedì. Alla Divina Commedia sono di scena i Soul Time Band. Al Cafè Neruda suona Simona Palumbo Latin Quartet. Il trombonista Gianluca Petrella è di scena al Banco. All’Off Topic Didie Cara presenta: Canzoni al telefono.

Venerdì. Alla Divina Commedia si esibisce la Marconi Blues Band. Al Folk Club è di scena Dalen. Al Magazzino sul Po si esibisce Ella Nadì. Al Blah Blah suonano gli Extrema.

Sabato. Al Magazzino sul Po sono di scena i Dub Pigeon. Al Blah Blah suonano i Game Over+ Damnation. Allo Ziggy si esibiscono i Witchunter+Axeblade. Alle OGR è di scena Daddy G.

Pier Luigi Fuggetta

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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SOMMARIO: Il giorno della memoria  attraverso il racconto di Guareschi – Paolo Macchi Cacherano di Bricherasio – Lettere

Il giorno della memoria  attraverso il racconto di Guareschi
Lunedì , giorno della memoria,  tra le tante manifestazioni programmate a Torino  c’è una manifestazione speciale: il ricordo degli Imi, gli 800 mila internati  militari italiani  in Germania  tra il 1943 e il 1945.  Ornella Pozzi leggerà  al Centro Pannunzio delle pagine di “Diario clandestino “ di Giovannino Guareschi deportato in Germania come ufficiale fedele al giuramento prestato al Re. Guareschi ci ha lasciato una testimonianza unica. Era un umorista, ma sapeva affrontare le situazioni drammatiche come la sua  prigionia, scrivendo  persino pagine di  delicato lirismo. L’inventore di “Don Camillo” era stato prigioniero dei tedeschi , anche se gli internati non godettero delle garanzie sancite dalla convenzione  in quanto considerati “badogliani” traditori. Alessandro Natta che fu anche lui internato, ha parlato di un’altra Resistenza, sia pure con molto ritardo, perché i comunisti mai avrebbero equiparato gli internati  ai partigiani. Gli internati, oltre che militari, erano  dei veri patrioti, orgogliosi delle  stellette portate con grande  dignità. Il libro dovrebbe essere letto  nelle scuole. Anni fa mi invitarono a parlare  in prefettura a Savona nel giorno della memoria. Il fatto che io avessi  citato Guareschi   e la principessa Mafalda di Savoia non  venne gradito da alcuni antifascisti intolleranti savonesi e non mi invitarono più in quella città  che ha ancora una via intitolata a Stalingrado. Dovetti aspettare il 2024 per tornare a Savona invitato a parlare  dal Comando dell’Esercito Liguria.  Forse quegli antifascisti erano anche  un po’ fascisti, come diceva Flaiano.
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Paolo Macchi Cacherano di Bricherasio
Venerdì sono stato a ricordare il mio amico Paolo Macchi Cacherano di Bricherasio, ultimo erede di una delle più aristocratiche famiglie del vecchio Piemonte che diede alla storia il generale che sconfisse i Francesi all’Assietta e uno dei fondatori della Fiat escluso in modo un po’ banditesco  da Giovanni  Agnelli dalla conduzione dell’azienda a cui aveva dato i suoi capitali all’atto della fondazione. Paolo l’ho ricordato  in più occasioni come un grande amico colto e raffinato che si dedicò  totalmente agli studi filosofici e storici come un un umanista  del Rinascimento. Venerdì mi sono ricordato di un episodio di cui mi ero dimenticato. Nel 1975 tenevo un seminario a Scienze Politiche sui manifesti di Gentile e Croce usciti nel 1925. Lo invitai a parteciparvi, ma quando seppe che il seminario era “fiscalizzato” e dava un 27 garantito senza sostenere l’esame di Storia dei partiti e dei movimenti politici , mi disse che non  si iscriveva perché vedeva il seminario “fiscalizzato” come una furbata sessantottina. Era un po’ indietro in qualche esame perché amava lo studio più che laurearsi in fretta , ma rifiutò quella che riteneva come una facilitazione non dignitosa. Una grande lezione anche umana  in una università preda dei contestatori che volevano anche lo sconto sugli esami, come una volta disse il mio maestro Franco  Venturi che di fronte alla richiesta dei contestatori di ridurre i programmi d’esame rispose beffardamente: sono d’accordo, potete ridurre del 50 per cento i libri, leggendo una pagina si’ e una pagina no. Paolo era un grande uomo di studi severi ed austeri. Ma quando andavamo alla “Posta” di Cavour, non lontana da  Bricherasio dove viveva, mangiavamo, bevevamo  e ridevamo di gusto, come diceva il Verri del Caffè. Era nipote di Edoardo Calleri di Sala primo presidente della Regione Piemonte e mio collega in Comune. Non mi parlò mai  dello zio durante tutto il periodo in cui fu presidente. Anche con Edo nacque un’amicizia rigorosamente fuori dalla politica. Questo era lo stile di una famiglia di grandi piemontesi, anzi di grandi italiani.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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Il nuovo centro
Ho letto un post di Marco Calgaro sul nuovo “centro” di del Rio e Marini. Giustamente Calgaro che è stato vicesindaco di Torino e deputato, solleva qualche perplessità. Anch’io credo sia un progetto velleitario, peggio di quello di Renzi. Cosa ne pensa?  Gino Raiterio
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Anch’ io ho perplessità. Il pensiero di Calgaro per me è un punto di riferimento da quando era vicesindaco e dialogavamo  al Lions ospiti dell’avv. Tosetto, un vero presidente del Lions come il senatore Cravero. Oggi tutto è decaduto. Il centro nelle mani di Del Rio, quello che ha abolito le Province, fa sorridere. Non suscita neppure il riso o il pianto. E’  il nulla. Renzi al confronto un piccolo statista.
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3 gennaio 1925
Mussolini il 3 gennaio 1925 tenne un discorso che viene considerato l’inizio della dittatura . Lei da storico cosa ne pensa? Maria Pia Stella
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Mussolini tenne un discorso in cui si assunse le sue responsabilità , sfidando la  Camera a  porlo in stato d’accusa  per il delitto Matteotti ai sensi dell’articolo 47 dello Statuto e quindi processato dall’alta corte di giustizia. La Camera e il Senato non raccolsero la sfida . Rimasero a “cercare  farfalle sotto l’arco di Tito” per dirla con Mussolini che cito’ Carducci. L’opposizione antifascista dopo il sacrificio di Matteotti fu vile e velleitaria.  Più che resistere fuggi’ sull’Aventino a commemorare Matteotti, ma fu incapace di raccoglierne il testimone. Durante il discorso del 3 gennaio tacquero e dopo incominciarono a pensare di andare all’estero.  I combattenti antifascisti  militanti  furono quasi esclusivamente i comunisti, pochi socialisti  pochi cattolici, pochi liberali. Il discorso di Mussolini l’ho riletto storicamente di recente. E’ una sfida a cui gli antifascisti non seppero rispondere in modo adeguato. Questa purtroppo  è la verità storica. Filippo Turati disse, quando era già  esule in Francia, che erano stati loro a consegnare l’Italia al fascismo. Molti storici alla De Luna e Barbero dovrebbero rifletterci su invece di replicare la solita vulgata, come se non fossero passati cento anni. Un secolo.
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Caccia alla poltrona
Balza evidente da una cronaca del “Corriere della sera” l’operazione in atto  al   c i r c o l o  dei lettori e al Polo del 900 per collocare ai vertici persone di fiducia, ma non si parla di   B i i n o presidente del Circolo e del presidente Sinigaglia al Polo. Hanno anche età  da pensione, ma saranno  forse destinati a restare a vita? Questa lotta per il posto è mortificante. I risparmi del bilancio regionale c’è da sperare che riguardino anche questi due enti. C’è un direttore che scalpita per andare al circolo. Era di estrema sinistra  e scriveva di terroristi rossi suoi parenti, adesso è passato all’altra sponda. Voleva anche la direzione del Salone del libro.
C u l i c c h i a   non cessa mai di stupire.        U. A.
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Forse la deludo, ma questi personalismi da basso sottogoverno doroteo non mi interessano. La cultura deve volare alto. Io ho sempre contestato i due leviatani (Circolo e Polo) nel loro insieme come produttori di conformismo. Essi hanno distrutto l’associazionismo culturale torinese  dal circolo degli artisti al circolo della Stampa, privilegiando i servili di turno.

La bottiglia senza “buscion”

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La primavera stava per lasciare, senza grandi rimpianti, il passo all’estate. Grandi nuvole nere s’addensavano sulla vetta delle montagne. L’aria si fece elettrica, segno che il temporale stava per scatenarsi. Audenzio Remolazzi , intento a falciare il fieno nel prato, guardò il cielo che si faceva sempre più scuro e s’affretto a raccogliere quant’aveva tagliato per evitare che la pioggia imminente facesse marcire il maggengo.

Tra sé e sé disse : “Ah, quando il monte mette il cappello, conviene lasciare la falce e metter mano al rastrello”. E diede voce anche a Bartolo che stava riposandosi appoggiato con la schiena  al tronco di un melo. “Oh.. Sacrebleu”, fece quest’ultimo, stirandosi. “Ho dormito come un sasso Colpa della frittata con le cipolle che è come una droga; mi piace ma mi crea un peso sullo stomaco che chiama l’obbligo di un riposino”. Guardò il cielo e borbottò: “Secondo me, Audenzio, è un temporale varesotto, poca acqua e gran casotto”. Tanto rumore per nulla, dunque? Nel dubbio, per non saper leggere e scrivere, s’impegnarono entrambi a rastrellare il fieno per poi raccoglierlo nel covone che andava coperto con una cerata. Ma più che dal cielo e dal temporale, il rumore più forte veniva dalla strada che saliva verso la Contrada delle Ciliegie. Stava passando una moto Guzzi, guidata dal proprietario, tal Arturo Brilli. Pareva un aeroplano intento a rullare sulla pista prima del decollo.” Guardalo là, l’Arturo. Sta passando con la sua moto taroccata che fa un gran fracasso e poca strada. Guarda che scia di fumo che lascia! Per me gli manca  qualche rotella in testa. Va sempre in giro colorato come l’Arlecchino di carnevale, cantando a squarciagola le canzoni d’osteria. Ah, no c’è più religione. Son diventati tutti matti”.

 

Audenzio Remolazzi, in pensione dopo quasi quarant’anni passati in fabbrica, era fatto all’antica. Scuoteva la testona per mostrare tutto il disappunto per le abitudini di quel “ragazzaccio” che non aveva nessuna voglia di lavorare e, giunto ormai alla soglia dei quarant’anni, non riusciva a smettere di essere quel che era: un pelabròcch, un buono a nulla. Da una settimana i suoi vecchi genitori erano partiti per il mare della Liguria con il viaggio organizzato da Don Goffredo per i pensionati della parrocchia e lui che faceva? Se la spassava, avanti e indietro, a zonzo. “E’ proprio vero il proverbio: via il gatto, ballano i topi. Eh,sì. E quel topo lì, in assenza dei suoi che lo frenano un po’, si scatena a ballare giorno e notte”. Remolazzi, appena mi ha visto uscire dal bosco con in mio bastone da passeggio, ha subito attaccato bottone anche con me. “Ma l’ha visto l’Arturo, quella canaglia? Pensi che ieri sera dava del tu al prevosto come se fossero vecchi amici. Io glielo avevo detto a don Goffredo, di non dargli troppa confidenza. Eh sì, che glielo avevo detto; la troppa confidenza fa perdere la riverenza. Ma lui, uomo di chiesa sempre in giro a cercar di salvare anime, niente. Mi ha risposto di aver pazienza, di aver fiducia che il “ragazzo, crescendo, capirà come comportarsi”…Ha capito? Deve ancora crescere, quel furfante del Brilli.

 

Roba da matti”. A dire il vero era difficile dar torto a Remolazzi ma che si poteva fare? Se non erano riusciti i suoi genitori a “raddrizzarlo” fin da piccolo, figurarsi ora che aveva passato i quaranta e aveva la testa più matta che mai. Tra l’altro, aveva il vizio di bere. Era uno di quelli che – per far in fretta a tracannare – stanno sempre con la bottiglia “senza buscion”, senza tappo. Pensate che una volta si era preso una sbornia tale che scambiò la barca a remi di suo padre per un motoscafo e gridò a tutti che gli avevano rubato il motore. Si recò persino al commissariato dei Carabinieri per sporger denuncia, picchiando pugni sul tavolo e urlando come una bestia, tanto che al povero maresciallo Valenti e al suo fido aiutante, il  brigadiere Alfio Romanelli, non restò altra soluzione che sbatterlo in gattabuia per qualche ora, finché gli si diradassero i fumi dell’alcool. Visto che nei circoli, nei bar e nelle osterie del paese e dei dintorni si guardavano bene dal dargli da bere perché esagerava e dava in escandescenze, il Brilli, tenendo fede – ironia della sorte – al suo stesso cognome, pigliava il treno o il battello e andava a “tracannare” in altri lidi, cambiando destinazione di volta in volta.

A chi cercava di moderarlo, come è capitato talvolta anche a me, rispondeva che “Quando c’è la sete, la gamba tira il piede”. Un modo per dire che, pur di soddisfare il proprio bisogno, non contava la distanza. Il maresciallo Valenti era stato testimone di un altro episodio. Un sabato sera, di turno con una pattuglia per i consueti controlli sul rettilineo che porta dal paese a quello confinante, più o meno all’altezza della seicentesca chiesa della Madonna del Carmine, incrociò il motocarro di Giovanni Guelfi con a fianco Arturo. La cosa strana era che quel motocarro era privo del vetro anteriore e in quelle condizioni non avrebbe potuto circolare. Il mezzo del Guelfi, a causa del gelo di quell’inverno che tutti ricordavano tar i più rigidi degli ultimi anni, aveva subito dei danni e il più serio tra questi era l’aver sottovalutato la crepa che, in meno di un amen, aveva provocato la rottura in mille pezzi del vetro.  Pur essendo ormai sul finire della primavera, non aveva ancora provveduto a sostituito. Andava in giro così, faccia al vento, evitando di circolare nei giorni di pioggia. Quella sera, appena videro l’Alfetta dell’Arma sul ciglio della strada, imprecarono alla sfortuna. Guelfi voleva fare una inversione a “u“ e tornare indietro.

Fu Arturo adavere, tuttavia, una brillante idea: far finta che il vetro fosse al suo posto, integro. E come? Con il più semplice degli accorgimenti: facendo finta di pulirlo con un fazzoletto. Così passarono, con noncuranza, davanti agli attoniti carabinieri. Mentre Giovanni guidava, fischiettando il ritmo di una polka, Arturo s’impegnò a “pulire” l’inesistente vetro con un grande fazzoletto bianco. Il maresciallo Valenti, a bocca aperta, se li vide passare davanti al naso con il fazzoletto svolazzante e i capelli scompigliati dal vento. Il dubbio che l’avessero fatto apposta, con quel candido fazzoletto che – agitato in aria – sembrava v
oler far “marameo” ai tutori dell’ordine, non abbandonò mai il maresciallo. Ma volete mettere l’alzata d’ingegno, il tocco d’artista, la prova di disperato e incosciente “coraggio”? Così la raccontò, scuotendo la testa, Audenzio Remolazzi. Nel frattempo, con l’aiuto di Bartolo, avevano raccolto e messo al sicuro il fieno. Appena in tempo per evitare il peggio, considerato che non si trattò di un “temporale varesotto” ma di un acquazzone in piena regola
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Marco Travaglini