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Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?

Torino, bellezza, magia e mistero.
Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume? Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.

Articolo 1: Torino geograficamente magica
Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo 3: I segreti della Gran Madre
Articolo 4: La meridiana che non segna l’ora
Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo 7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo 8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo 10: Torino dei miracoli

Articolo 7 – Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?

Molti personaggi particolari si sono aggirati per le strade di Torino nel corso del tempo, alcuni famosi, altri conosciuti solo nei quartieri in cui abitavano, altri ancora avrebbero preferito non essere ricordati da nessuno.

Una delle figure più discusse e celebri che visitò la magica città augustea fu Nostradamus, il cui vero nome era Michel de Notre Dame (1503-1566). Egli fu astrologo, farmacista e scrittore, si interessò moltissimo anche di medicina, è a lui che viene addirittura attribuita l’invenzione della “pillola rossa”, con la quale si pensava di poter curare la peste, ma in realtà era solamente un concentrato di vitamina C, estratta da sostanze vegetali. Verso il 1550 egli iniziò a dedicarsi all’occultismo e nello stesso anno scrisse il suo primo “Almanacco”; in seguito decise di stilare 1000 quartine nelle quali erano contenute premonizioni destinate a tutta l’umanità.  Lo stesso Nostradamus cita Torino nella sesta quartina della prima Centuria: “L’occhio di Ravenna sarà escluso, quando ai suoi piedi le ali cadranno, i due Bresse avranno costituito Torino, Verseil che francesi calpesteranno.” Cosa significhino questi versi non ci è dato saperlo, ma intanto possiamo vantarci di aver colpito l’animo del più famoso tra gli esoteristi, tanto da indurlo a redigere una profezia proprio sulla nostra città. A documentare il passaggio dello studioso per le strade di Torino è la cosiddetta lapide di Domus Morozzo, che recita: “NOTRE DAMUS A LOGE ICI ON IL II A LE PARADIS LENFER LE PURGATOIRE IE MA PELLE LA VICTOIRE QUI ME MEPRISE OVRA LA RUINE HNTIERE”, (Nostradamus ha alloggiato qui, dov’è il Paradiso, l’Inferno, il Purgatorio. Io mi chiamo la Vittoria, chi mi onora avrà la gloria, chi mi disprezza avrà la completa rovina). Si trattò di un soggiorno breve di cui non conosciamo la motivazione. Assai dubbie le notizie sulla stessa lapide (forse una scrittura in codice), di cui si dice resti una foto del 1922.
Un’altra persona che si poteva incontrare per le nostre strade, non di tale celebrità, ma ben nota ai torinesi era Enrietta Naum, una donna poco appariscente e poco istruita, nata nel 1846, che abitava in via Cappel Verde 6. Non si sa nulla della sua infanzia né della sua adolescenza, ma passò alla storia come l’unica esorcista donna riconosciuta dalle autorità politiche e religiose. E poi c’è sempre chi ama gettare malelingue e infatti, se per alcuni era una santa, per altri era una “masca”, esperta di rimedi e conoscitrice di erbe magiche.

Il caso più eclatante che la vide protagonista avvenne nel 1914, quando compì un esorcismo a favore di Giuseppe Brossa, di soli quattordici anni. Pare che il caso fosse davvero grave, poiché il ragazzo compiva scelleratezze contro le cose e contro gli animali e proferiva parole indicibili. Così Giovanni fu portato a casa di Enrietta, la quale, mentre pronunciava formule in latino, mise sul fuoco un pentolino con dell’acqua e delle erbe. Ed ecco che Giovanni iniziò a comportarsi in modo animalesco, allora l’anziana donna lo afferrò per i capelli e guardandolo negli occhi intimò al diavolo di abbandonare il corpo del ragazzo e precipitarsi nell’acqua bollente. Pare che il pentolino e Giovanni caddero insieme, uno a terra e l’altro nelle braci del focolare, il pavimento tremò e il giovane rinvenne, finalmente guarito. La donna era sempre disponibile ad aiutare i bisognosi, ma il cuore grande delle sue vicine di casa risposero a tanta gentilezza con un solerte invito a cambiare abitazione. Enrietta si spostò in via Porta Palatina, e lì continuò ad accogliere chi le chiedeva aiuto. Quando morì, la Gazzetta del Popolo la ricordò così: “La pia donna aveva dedicato la sua vita al bene spirituale degli altri, liberando coloro che si erano trovati in preda di forze maligne o di “fatture” praticate da nemici senza scrupoli”. Enrietta fu l’ultima esorcista donna, e non solo a Torino.

Noto ai torinesi, ma decisamente non amato, fu invece Pietro Pantoni. Egli abitava in via Bonelli 2, ed era il boia della città. Il suo percorso di vita era segnato fin dall’adolescenza, poiché quello era il mestiere di famiglia. Nel 1831 Pietro ricevette, da Urbano Rattazzi, la patente di Ministro di Giustizia torinese. L’uomo rimase in attività per più di trent’anni, giustiziando 127 persone, fino al 13 aprile 1864, anno in cui si tolse il celebre e sinistro mantello rosso: la forca avrebbe di lì in avanti lasciato il passo alla fucilazione. Pietro non ebbe vita facile, poiché la figura del boia, ovviamente, era denigrata da tutti. La moglie di Pietro Pantoni soffrì in modo particolare questa situazione, tanto che quasi non usciva di casa. Una storia antica ci riporta al XV secolo, quando il duca Amedeo VIII di Savoia era dovuto intervenire per riportare l’ordine tra i fornai della città di Torino, che si rifiutavano di vendere il pane al boia. Il duca li obbligò a farlo, pena il diventare clienti dello stesso esecutore. Ma i fornai, astuti, escogitarono un modo per manifestare comunque il loro disprezzo e iniziarono a porgere alla moglie del boia di turno il pane al contrario. Il Duca intervenne di nuovo: nacque il pancarrè, un pane uguale dai due lati, per non far torto a nessuno.  Nonostante tutto, le monete pagate dalle consorti dei boia torinesi continuarono ad essere gettate in una ciotola di aceto dai fornai, per essere “ripulite” dalla loro efferata origine. Curioso era anche il metodo con cui il boia veniva pagato dopo un’esecuzione. Il responsabile firmava il foglio di pagamento indossando i guanti, per non aver nulla a che fare con quel denaro. Dopodiché buttava il foglio per terra, dove un addetto lo prendeva con delle pinze e lo gettava al boia, che aspettava nella tromba delle scale o sotto la finestra.

L’esecutore di giustizia torinese aveva anche piccoli privilegi: un banco riservato nella Chiesa di Sant’Agostino e il diritto ad essere sepolto sotto il campanile di quella stessa Chiesa.
Torniamo a Pietro Pantoni, la cui storia, oltre alle palesi difficoltà dovute ai giudizi delle persone, ci testimonia anche un’altra realtà, l’eterna presenza di coloro che tentano di arricchirsi sulle disgrazie altrui, come testimonia il tariffario ufficiale per le esecuzioni che prevedeva un compenso di 16 lire per un rogo, 21 lire per un’impiccagione e addirittura 36 lire per uno squartamento. Un altro personaggio che avremmo potuto incontrare per le vie della città è colui che nel 1846 celebrò proprio il matrimonio di Pietro Pantoni, si tratta di Giuseppe Cafasso, conosciuto ai più come “il prete della forca”, poiché per anni era stato a fianco dei condannati anche nell’ultimo tragitto, quello verso il patibolo.  Il lungo iter della morte incominciava la sera prima dell’esecuzione, quando Cafasso, il condannato e il boia si riunivano per pregare. Durante l’incontro, il boia chiedeva perdono al condannato per ciò che avrebbe dovuto compiere il giorno successivo. All’alba, dal confortatorio del carcere, il condannato saliva sul carro che lo avrebbe condotto al patibolo, scortato dai membri incappucciati della Confraternita della Misericordia, che recitavano il Miserere, e che cercavano di mitigare la sofferenza del poveruomo, visti anche i ripetuti oltraggi della folla; il boia saliva sul carretto con il morituro. Davanti agli occhi del condannato, al cui collo veniva messa una corda precedentemente benedetta, veniva posto un grosso crocifisso dotato di alette laterali, così che lo sfortunato vedesse il patibolo soltanto all’ultimo momento. Questo crocifisso è conservato ancora oggi nella Chiesa della Misericordia a Torino. Torino ha ospitato personaggi di ogni genere, celebri, inquietanti, misteriosi, magnanimi; la varietà delle persone che hanno attraversato le sue strade sono lo specchio della complessità della città stessa, metà “bianca” e metà “nera”, un po’ storia, un po’ leggenda.

Alessia Cagnotto

Chi è Cristina Fresia, AD di Fresia Alluminio, azienda attenta alle persone

Rubrica a cura di ScattoTorino

Foto di Vincenzo Solano

Fresia Alluminio non è “semplicemente” un’azienda, ma una realtà produttiva nella quale le persone hanno valore. Questo plus, insieme alla competenza imprenditoriale e alla capacità di guardare al mercato con una vision volta al futuro, è sempre stato un elemento che ha fatto la differenza e che ha trasformato il negozio di ferramenta di nonno Valentino in un’impresa famigliare di successo. Dal 1930 ad oggi Fresia Alluminio è diventata un punto di riferimento del settore non solo in Piemonte (a Volpiano risiedono la direzione generale e il polo logistico-produttivo) e in Liguria (a Vado Ligure ci sono un magazzino e un centro logistico), ma anche nel resto d’Italia e all’estero. La società progetta, brevetta e commercializza sistemi ecosostenibili per serramenti in alluminio ad alta efficienza energetica. Inoltre è stata la prima nel nostro paese ad aver certificato l’intera filiera di un serramento e la prima in Europa ad aver immesso sul mercato, nel 2011, una gamma di prodotti nati dal recupero e dalla rigenerazione dell’alluminio e della poliammide.

Dal 2014, anno che ha visto il settore dell’edilizia in forte crisi, Cristina Fresia è Amministratore Delegato della società. In precedenza si era occupata della gestione del personale e grazie all’empatia e alla stima che ha saputo creare con i collaboratori, è riuscita a traghettare l’impresa di famiglia fuori da quel periodo buio. Come? Comunicando con trasparenza la situazione al suo staff e sviluppando un piano industriale che al 31 dicembre del 2019 ha raggiunto i risultati previsti. Una delle sue capacità è stata la gestione del problema con coraggio. Quello stesso coraggio che, unito alla grinta e alla determinazione, le ha permesso di essere un modello per i dipendenti. “Credo nell’intangibile” racconta a ScattoTorino. “L’arte, i sentimenti, lo sguardo sono elementi che viviamo e non tocchiamo. Parlando di azienda, l’intangibile è la somma delle persone che, se unite, creano non solo parole ma anche azioni”.

Fresia Alluminio vanta una lunga tradizione famigliare. Ce la racconta?

“Quest’anno festeggiamo 50 anni di attività di vendita di alluminio. Il 6 giugno avremmo dovuto celebrare l’evento, ma la situazione legata al Covid-19 non lo permette. In realtà già nel 1930 nonno Valentino aprì un negozio di ferramenta e mio padre lo sostituì in seguito alla sua morte prematura. Papà Ezio ha avuto l’idea, giovanissimo, di comprare altre ferramenta e così ha scoperto le barre di alluminio.

Fresia AlluminioQuesto materiale è leggero e facile da lavorare e mio padre ha insegnato ai fabbri a fare i serramenti. In questi decenni i nostri clienti sono rimasti fedeli perché li abbiamo sempre seguiti con attenzione. In pratica noi progettiamo il sistema dei serramenti in modo che, con semplicità di assemblaggi, si realizza il serramento e la fabbricazione la curano i clienti stessi. Fresia Alluminio è nata un po’ dopo e si è separata da Fresia Ferramenta. Oggi Fresia Alluminio è un’azienda famigliare in cui papà è il Presidente mentre io e mio fratello Valentino siamo più operativi. Il nostro business è progettare finestre, porte scorrevoli e facciate continue ad alto potere isolante energetico e acustico che minimizzano la naturale dispersione termica e l’impatto ambientale”.

Ci presenta Alsistem?

“Essendo nati da una ferramenta, eravamo dei commercianti e compravamo l’alluminio inteso come prodotto già esistente. Papà ha avuto l’idea di creare un nostro sistema di profili, ma essendo piccoli il progetto era costoso. Ha quindi coinvolto altri commercianti italiani e circa 20 anni fa ha creato un’azienda, Alsistem, che progetta e acquista. Dai 3 soci iniziali siamo passati a 10 in tutta la penisola. I vantaggi di questo consorzio, che detiene i brevetti dei propri sistemi in esclusiva, sono la suddivisione dei costi e la diffusione delle diverse referenze su più mercati oltre a quello territoriale”.

Fresia Alluminio e sostenibilità. Un connubio vincente?

“L’alluminio è malleabile e noi compriamo la materia prima o il secondario, cioè l’alluminio fuso che è quasi migliore del primario. L’alluminio si fonde facilmente, ma ha un’alta conducibilità. Per tagliare il calore in eccesso molte aziende inseriscono nel serramento una barretta di plastica. Grazie a mio fratello, che è molto bravo nella ricerca, noi inseriamo il neociclato che è un materiale rigenerato. Dal 2011, quindi molto prima che in Italia si parlasse di sostenibilità, i nostri prodotti sono certificati e forniamo la documentazione e l’analisi del loro ciclo di vita. Nel 2020 le referenze certificate sono 11, più di quelle di tante aziende conosciute a livello internazionale”.

Quanto è importante il fattore umano nella vostra impresa?

“Da ragazza ho studiato presso la scuola di Amministrazione aziendale e a 21 anni ho trovato lavoro al di fuori di Fresia Alluminio. A 22 anni sono entrata in azienda e mio padre mi ha affidato la responsabilità del personale. Da sempre, quindi, conosco le procedure, l’organizzazione e le persone. Ho un approccio friendly con i collaboratori e spesso mi sento di dire che Fresia Alluminio è un’azienda famigliare non solo perché fondata dalla mia famiglia, ma perché ci conosciamo tutti da tempo. Mi piace ottenere le cose con il sorriso, anche se in certi casi è importante essere più direttivi.

I nostri clienti sono artigiani e abbiamo l’abitudine a relazionarci in modo famigliare anche con loro. Due volte all’anno ci incontriamo con il personale per raccontare cosa abbiamo fatto. Coinvolgiamo tutti: dai magazzinieri all’autista agli impiegati. Mio fratello racconta del mercato, dei prodotti, delle novità e io della parte relativa alle risorse umane. È un’occasione di scambio anche per i colleghi e questo aiuta a creare armonia in azienda, perché il capitale umano ha un ruolo fondamentale”.

Fresia Alluminio

Il biennio 2020-2021 la vede Consigliera dell’Unione Industriale. Un riconoscimento prestigioso

“Da giovane facevo parte dei Lyons, dell’Api ed ho partecipato ad attività di gruppo perché le ritengo formative. In seguito, tra l’azienda e la famiglia, non ho più avuto tempo. Poi mi sono iscritta all’Unione Industriale e un giorno mi hanno telefonato per chiedermi se volevo fare la rappresentante per votare. Ho accettato e, di getto, ho chiesto di candidarmi. Non mi sono promossa e non l’ho detto a nessuno, ma sono stata votata. Attualmente i nostri meeting si svolgono con Zoom perché non possiamo incontrarci di persona, ma sono entusiasta”.

Torino per lei è?

“Sono entrata a far parte dell’Unione Industriale per fare qualcosa per Torino. La nostra città è composta da persone ricche di idee, ma purtroppo non sempre emerge il loro lavoro. Nel capoluogo c’è molto intangibile e spero di poter contribuire al suo sviluppo in modo che diventi visibile a tutti. Amo Torino e non mi staccherei mai da lei. Viaggio molto per lavoro, ma torno sempre a casa”.

Un ricordo legato alla città?

“La mia prima conquista è stata, da ragazzina, quando papà mi donò un motorino. Dai 14 ai 19 anni ho scoperto tanti angoli di Torino e della collina. Ricordo ancora la gioia e il senso di libertà che provavo nel conoscere a poco a poco la mia città”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

Le imprevedibili vie della storia: riappare il socialismo

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Molti analisti politici non si sa bene in base a quali considerazioni – la storia non si ripete mai – prevedevano il riproporsi in Italia del fascismo a distanza di cento anni dalla sua nascita. Ed hanno sostenuto questa tesi con vigore, vedendo nel pericolo nero una minaccia alle istituzioni repubblicane . La stessa Commissione Segre venne istituita con lo scopo di arginare questa minaccia.

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Il Coronavirus ha cambiato il corso della politica e non c’è più nessuno che parli del virus fascista. Neppure l’ANPI che si diletta di esibirsi in manifestazioni faziose che snaturano il senso vero di un antifascismo non rituale , non ha continuato a gridare al lupo.
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In conseguenza del virus sembra invece che sia risorto il socialismo . Il Sindaco di Milano si dichiara di estrema sinistra e propone l’ipotesi socialista come panacea di tutti i mali. Romano Prodi (che svendette le proprietà pubbliche ai privati) oggi propone la presenza dello Stato nelle imprese come azionista e quindi controllore. Lo studioso di storia delle dottrine politiche  Pier Paolo Portinaro ritiene che il ruolo del privato vada totalmente ridiscusso, parlando in occasione della festa della “Repubblica al tempo del Coronavirus”.  Anche i Cinquestelle vorrebbero ricondurre la vita  del maggior numero di italiani ad un reddito statale ed assistenzialistico e la politica del Governo Conte, incapace di dare appoggio alle imprese private, sta mettendo le basi per un declassamento sociale ed economico di molti che avevano saputo fare impresa e produrre ricchezza. A questo proposito c’è stato chi assurdamente ha detto che produrre più ricchezza (che sempre genera maggiore benessere) alimenta più povertà. Un paleo – socialismo si sta profilando all’orizzonte. Un pauperismo da decrescita infelice sta crescendo come una sinistra minaccia al nostro futuro. Non sono queste la vie giuste per affrontare la crisi. La ricchezza prima va prodotta o riprodotta e poi eventualmente redistribuita secondo i meriti e non secondo i criteri dell’assistenzialismo. Anche cento anni fa, con la nascita dell’ultimo Governo Giolitti,  entrava in crisi comatosa lo Stato liberale e i socialisti e i comunisti pensavano di ripetere in Italia la rivoluzione bolscevica  del 1917 in Russia. La storia non si ripete mai perché i contesti sono sempre diversi ed essa non è mai un paradigma per il presente. Certo, cent’anni fa lo Stato liberale non resse all’urto di bolscevichi e fascisti. Oggi questo Stato appare uscito non indenne dal disastro del virus al di là delle apparenze. C’è una crescente sfiducia da parte di tanti cittadini. Vorrei denunciare la deriva a sinistra che si sta intravvedendo e che ritengo una minaccia al quel pochissimo di democrazia liberale rimasta. Non sono un liberista senza regole alla Bruno Leoni. Nella polemica che divise Croce ed Einaudi sul liberalismo e sul liberismo mi sarei schierato con Croce che difendeva il primato del liberalismo rispetto al liberismo economico einaudiano. Ma oggi in Italia sono in gioco le fondamenta stesse dello Stato liberale che vanno difese con un’iniezione di liberismo economico , l’unico capace di far riprendere il Paese. L’ipotesi egualitaria e giacobina che sta emergendo, mi fa venire un brivido dietro la schiena  quasi come la pandemia. La giustizia sociale nella libertà, il socialismo liberale di Rosselli e la socialdemocrazia di Saragat sono tutt’altra cosa. Dobbiamo renderci conto che le democrazie illiberali non sono solo quelle di destra ,ma anche quelle di sinistra. La lezione di Tocqueville, di Croce, di Popper lo sta a dimostrare.
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Molti italiani sono stanchi, ma la fiumana in via del Corso è un errore

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Al di là degli errori e dei ritardi del Governo e delle Regioni, a mitigare gli effetti della pandemia che ha provocato morte e sconcerto in tutta Italia, è stato il distanziamento sociale. Questo risulta essere un dato oggettivo e inoppugnabile. Un distanziamento sociale che ha provocato la sospensione  inevitabile, ma indispensabile di precisi diritti costituzionali in nome della salvaguardia della salute  e della vita.

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La manifestazione del 2 giugno a Roma del centro – destra a Roma ha rappresentato un’evidente trasgressione delle norme anti-contagio, come si può vedere dalle  molte riprese  in diretta della fiumana di gente che seguiva il tricolore portato a braccia  in via del Corso. Qui la politica non c’entra, c’entra il senso di responsabilità. Alla vigilia della  riapertura dei “confini” tra regioni non è stato un bel segno di civismo violare le norme. Comprendo e anche in parte condivido la stanchezza e la rabbia di molti italiani per questa tragedia che ha colpito vite e attività di tantissime persone e che sta provocando una crisi economica e sociale a dir poco tragica. Forse la situazione è scappata di mano ai promotori che parlavano di trecento persone in piazza ben distanziate. La presenza di giornalisti e operatori ha già di per sé modificato la situazione. Ma soprattutto la partecipazione di tanta gente ha snaturato la manifestazione ed è sintomo di un disagio vero della gente. Era allora il caso di promuoverla? Possibile che nessuno abbia pensato ai pericoli che essa poteva determinare? La posta in gioco è la salute delle persone, in primis degli stessi manifestanti. Una vera destra nazionale avrebbe dovuto dimostrare una sensibilità diversa e non determinare un pessimo esempio per gli Italiani che sono stati mesi  disciplinati e chiusi in casa. Chi sventola il Tricolore deve sapere che certi valori nazionali sono superiori alle ragioni di parte. Così non è accaduto a Roma. Al di là di ogni altra valutazione.
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Bonomi accusa il governo (e fa bene). Ma non offre alternative

COMMENTARII  di Augusto Grandi / Carlo Bonomi, neo presidente di Confindustria, marca il territorio. Ed accusa il governo di provocare danni peggiori di quelli del virus. Difficile dargli torto anche se il pessimo Gualtieri considera “ingenerose” le dichiarazioni del numero 1 di viale Astronomia.

Non è che il ministro abbia tutti i torti, a patto di considerare le promesse come fatti concreti. Il che non è.

Il lìder minimo ed i suoi dittatorelli hanno distribuito miliardi a pioggia, provocando una voragine nei conti pubblici ma senza creare la benché minima premessa per il rilancio del Paese…

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Bonomi accusa il governo (e fa bene) ma non offre alternative

L’incultura storica è nemica di un nuovo Risorgimento

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Chi scrive ha ripetutamente richiamato il pericolo potenzialmente  liberticida insito  nei decreti del presidente del Consiglio dei  ministri , ”calati dall’alto“ come ha denunciato il presidente del Senato Casellati, l’unica alta carica dello Stato che si rivela davvero interessata a difendere lo Stato di diritto che ha subito, durante la pandemia, attacchi evidenti

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Ho anche scritto sul diritto di manifestare con responsabilità, criticando però con asprezza gli assurdi assembramenti per il sorvolo intempestivo e assurdo delle Frecce Tricolori che meriterebbe un’ indagine da parte di qualche magistrato.
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Ho infine sconsigliato al centro- destra di manifestare il 2 giugno festa nazionale poco sentita,ma pur sempre festa nazionale. Ciò premesso, appare di una notevole gravità che questo capo popolo da quattro soldi, ex generale dei carabinieri ed ex deputato socialdemocratico, Pappalardo stia organizzando manifestazioni di protesta che violano le norme di sicurezza sanitaria, soffiando sul fuoco del disagio sociale sempre più evidente. Gli assembramenti non vanno fatti non solo perché vietati, ma perché pericolosi. E l’uso delle mascherine è un atto di tutela di se’ stessi e degli altri. Chi trasgredisce è un barbaro, un untore, un asociale stupido ed autolesionista. Queste manifestazioni non esprimono il senso della democrazia, ma sono un’offesa a chi, stando chiuso in casa per mesi, ha contribuito a contenere il contagio e sono anche un oltraggio ai morti di Coronavirus e ai medici e infermieri che hanno lottato per salvare vite umane. I Gilet arancione, figli dei forconi e della protesta dei tir, sono pericoli reali per la democrazia perché tendono a cavalcare le difficoltà economiche, agitando slogan velleitari e assurdi che minacciano la stessa convivenza civile. Chi scrive ha denunciato senza mezzi termini gli errori di governo e regioni, ma non può accettare che questo ex generale dei Carabinieri che tradisce il suo passato militare di servitore dello Stato, possa creare problemi alla già difficile ripresa. I mestatori vanno ripresi, fermarti e condannati senza mezzi termini dall’ opinione pubblica. Ed anche il centro-destra che vuole portare una corona d’alloro all’altare della Patria dopo il presidente della Repubblica che in quell’occasione rappresenta tutti gli Italiani, dovrebbe essere più cauto. Una vera destra consapevole della storia d’ Italia dovrebbe andare all’Altare della Patria, ad esempio, a deporre una corona d’alloro al Padre della Patria Vittorio Emanuele II nel bicentenario della nascita, auspicando un nuovo Risorgimento. Ma l’incultura storica della destra è  purtroppo incapace di pensare a certi gesti capaci di collegare passato e futuro.
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L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Fabiano Massimi  “L’angelo di Monaco”   -Longanesi –     euro  18,00

La storia è vera e il libro inizia con gli ultimi istanti di vita della 23enne Angela Maria Raubal, detta Geli. E’ la nipote prediletta di Adolf Hitler, col quale viveva, e viene trovata morta la mattina del 19 settembre 1931 nella sua camera da letto, chiusa a chiave dall’interno. Suicidio o omicidio ben congegnato? Chi era davvero questa giovane, figlia della sorellastra di “Woolf”, come  lui si firmava in lettere compromettenti? Alcuni testimoni la descrivono fatua, dedita al lusso e ai divertimenti, piena di vita e di fascino, tanto da aver soggiogato “zio Alf” facendogli perdere lucidità. Oppure è una reclusa super sorvegliata, vittima impotente delle più aberranti perversioni dello zio, fino alle voci sull’incesto?

Inutile dire che la sua morte getta ombre pesanti sul Fűhrer, leader del partito da lui fondato, che richiama la Germania al risveglio e al predominio della pura razza ariana. Non è ancora il dittatore che invaderà mezza Europa sterminando milioni di ebrei…ma ci sta arrivando e uno scandalo non può proprio permetterselo.

Le indagini vengono affidate a 2 commissari con l’imperativo di chiuderle al più presto. L’ordine arriva dall’alto, da Hitler in persona e dai suoi accoliti più spietati, tra i quali Himmler e il morfinomane Göring. Ma la strada verso la verità è lastricata di menzogne, manipolazioni, inganni e ogni volta che stanno per essere rintracciati testimoni chiave…immancabilmente vengono trovati morti, apparentemente suicidatisi.

Questo romanzo mozzafiato miscela magnificamente realtà e immaginazione. Trae linfa dalle cronache dell’epoca -testimonianze, articoli di giornale, documenti ufficiali- e sono accertati personaggi, luoghi, tempi e ipotesi. I commissari incaricati delle indagini si chiamavano davvero come quelli del libro; Heydrich era “la belva bionda”, Eva Braun che qui fa capolino avrà il ruolo che tutti conosciamo. Soprattutto sono veri, anche se hanno dell’incredibile, i dati che risultano dalle carte ufficiali; come l’indagine aperta e chiusa in giornata o il mistero e i maneggi intorno all’autopsia di cui non c’è referto. Su tutto si innesta la bravura di Fabiano Massimi nel narrare una pagina di sporca storia e, pensando a Geli, scrive: “Per la sua morte non c’è stata giustizia. Forse un romanzo renderà giustizia alla sua vita”.

 

Marie Lamballe  “Il destino di una famiglia”    -Rizzoli-   euro 19,50

Il destino di cui si parla è quello della famiglia tedesca Koch alla fine della 2° Guerra Mondiale, ruota intorno al loro Cafè Angel a Wiesbaden, e ad altri personaggi che in un modo o nell’altro si ritroveranno nel locale una volta passata la bufera e compiuti i vari destini.

Heinz Koch è stato arruolato insieme ai figli e finisce prigioniero di guerra degli americani che lo ingaggiano come démineur (sminatore): fato beffardo perché, scampato ai combattimenti, è nel pericolo annidato nelle mine antiuomo che incappa tragicamente.

Durante la sua assenza è toccato alla moglie Else e alla figlia Hilde sopravvivere e pensare all’attività di famiglia che, prima della guerra, era rinomato ritrovo di artisti. Intorno a loro una girandola di persone. C’è Julia, costumista teatrale ebrea tenuta nascosta.

Luisa, figlia illegittima di un barone, che alla morte del padre viene cacciata insieme alla madre (entrambe considerate meno di zero dai parenti blasonati)… e le attende una fuga disperata, bombardamenti, ma anche incontri di grande umanità.

E c’è Jean Jacques soldato francese che la guerra conduce per un attimo nella vita di Hilde, della quale si innamora, ma che ritorna nel suo paese, e faticosamente riprende il suo ruolo di marito e proprietario dei vigneti di famiglia.

Ovviamente molto altro accade nelle vite dei personaggi ai quali si finisce per affezionarsi: alcune raccontate benissimo e a tutto tondo, altre un po’ meno. Ma, per chi ama le saghe familiari, il romanzo resta un affresco godibilissimo sullo sfondo storico della guerra e della caduta della Germania, con alle porte l’arrivo di russi e americani.

 

Henry “Come diventare newyorkesi” – Mattioli-   euro   10,00

Vale la pena riscoprire lo scrittore americano William Sydney Porter nato a Greensboro (Carolina del Nord) l’11 settembre 1862 e morto a New York il 5 giugno 1910, autore prolifico di 400 racconti scritti sotto pseudonimo O. Henry.

La sua fu a dir poco una vita avventurosa: avido lettore fin da piccolo, una carriera scolastica non oltre i 15 anni ma una cultura sconfinata da autodidatta, poi contabile nella farmacia dello zio, e in seguito mandriano, giornalista, disegnatore, impiegato di banca, suonatore di chitarra e mandolino, realizzatore di mappe topografiche …Insomma uomo dai tanti mestieri e dalla vita complicata.

Nel 1894 viene accusato di appropriazione indebita e scappa in Honduras; torna solo per accudire la prima moglie (sposata di nascosto perché la famiglia di lei era contraria) minata dalla tubercolosi. William dopo varie vicende, nel 1902 si trasferisce a New York, ha pochi soldi ma grandi idee e talento infinito. Sono gli anni in cui scrive racconti a getto continuo e viene incoronato dalla fama, che gusterà per poco tempo, stroncato alla fine da cirrosi epatica, con complicanze derivanti dal diabete e dalla cardiopatia.

“Come diventare newyorkesi” raccoglie 9 racconti e ci conduce dritti nelle strade della Grande Mela di quegli anni, facendoci immedesimare nei sogni e nei difetti dei suoi abitanti.

Il primo è magnifico e geniale: protagonista è lo spiantato poeta Raggles che si avventura nelle città e le corteggia come fossero donne, ognuna con le sue caratteristiche. Da Chicago (“..che ti piomba addosso”) all’elegante e casalinga  Pittsburg, passando per New Orleans e Boston, per arrivare a New York.

Una Manhattan frenetica e indifferente dalla quale Raggles si sente dapprima ignorato e respinto; poi è un incidente a fargli scoprire il vero cuore della città.

I brani successivi non sono da meno, abitati da cameriere che sognano ricchezze, ricche fanciulle che si fingono povere, broker che lavorano per un futuro migliore e incontri che sarebbero perfetti se solo ognuno si mostrasse per quello che è realmente.

Partiti in confusione, sardine affogate, tecnici disastrosi…

COMMENTARII  di Augusto Grandi / Nel caos rispunta la società civile? 

Mentre gli amministratori locali insistono con diktat più o meno assurdi, più o meno dettati dall’incapacità e dalle proprie paure, la società civile si prepara per “andare a comandare”. I politici hanno fallito.

Non hanno saputo affrontare l’emegenza, e questo può essere comprensibile, ma hanno dimostrato di non essere in grado di gestire neppure l’ordinaria amministrazione. E questo è molto, ma molto, più grave.

L’unica arma di difesa rimasta ai politici è il totale fallimento delle esperienze di governo affidate ai tecnici: i disastri provocati dalla banda Monti non sono stati dimenticati.

Però una soluzione deve essere individuata. Roma e Torino andranno al voto il prossimo anno, lìder minimo permettendo, ed è evidente che Raggi ed Appendino non sono più accettabili alla guida delle rispettive città. Le grandi manovre per il “dopo” sono già iniziate ed i pentastellati tentano la carta disperata della tenuta del governo nazionale per imporre al Pd un’alleanza nelle due città, in modo da tentare la riconferma dei due sindaci…

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Partiti in confusione, sardine affogate, tecnici disastrosi. Nel caos rispunta la società civile?

È tempo di verità e chiarezza

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni / Siamo a quasi cento giorni dalla crisi pandemica e dovremmo essere ad un punto di svolta o comunque in una situazione in cui si devono  incominciare a trarre delle conclusioni, sia pure provvisorie. In parte la situazione sanitaria appare sotto controllo, malgrado i ritardi e gli errori commessi da governo, regioni, comuni e politici e le imprudenze imperdonabili e superficiali di una parte di Italiani.

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La situazione economica in cui ci troviamo, appare invece gravissima e angosciante. Le misure del governo sono state intempestive, faragginose, lente, tardive. Chi ha dovuto chiudere le proprie attività  non sa come sbarcare il lunario, molti dipendenti non hanno ricevuto la cassa integrazione in deroga. L’economia non riesce a riprendersi . Il turismo non vede un orizzonte di ripresa.Si sta delineando una rabbia sociale esplosiva che potrebbe scardinare le stesse istituzioni democratiche, travolgendole. Neppure la politica estera italiana riesce a raggiungere obiettivi concreti. La Svizzera aprirà in giugno le sue frontiere con tanti paesi , ma non con l’Italia. Si parla di corridoi turistici che potrebbero tagliare fuori l’Italia. Per altri versi anche in Italia si commettono gravi errori come stanno facendo i presidenti di Sardegna e Sicilia che si inventano il passaporto sanitario, una vera e propria assurdità giuridica  e politica. Per altri versi l’ idea dei 60mila  vigilantes e’ un’idea peregrina per non dire stupida  che offende i cittadini  sono stati disciplinati per oltre due mesi e non da’ certezze di sorta. L’idea di “guardie rosse” o di ronde come pensavano i leghisti in passato, che vigilino  sulla nostra vita, esprime un quid di autoritarismo forse inconsapevole, ma non per questo non meno preoccupante. Circa gli aiuti europei che sembrerebbero arrivare- ma non è ancora così chiaro –   è  preoccupante l’entusiasmo per gli aiuti dell’ex presidente del Consiglio Monti, responsabile primo di un asservimento totale dell’Italia ad un’Europa che non aveva più nulla a che vedere con quella che fu in passato la Comunità europea. C’è chi ha detto non senza qualche ragione : “Timeo Danaos et  dona ferentes”: i Greci che avevano lasciato il cavallo di Troia in dono ai Troiani per poterli sconfiggere e distruggere.
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La scuola italiana esce dalla crisi sanitaria devastata con una ministra che ha rivelato dilettantismo , improvvisazione e uno spirito grillino davvero incompatibile con un’ istruzione pubblica almeno decente. Le lezioni in teleconferenza sono state un pannicello caldo che non ha sostituito le lezioni che restano comunque quelle del docente in classe a contatto con gli allievi. In ogni caso ci sono stati studenti che sono stati abbandonati a se’ stessi. La scuola non sappiamo quando potrà riaprire. Una situazione peggiore di quella vissuta durante la seconda guerra mondiale con conviveva con i bombardamenti.  Gli esami di scuola media saranno di fatto una mera formalità e anche quelli di Maturità saranno un bluff. Peggio del clima sessantottino di cui è intrisa la ministra. Tutti dicono che bisogna essere semplici e veloci, ma il Leviatano della burocrazia appare invulnerabile. Molti dei provvedimenti legislativi sono stati scritti con una  incompetenza  e una  improvvisazione che l’Italia non aveva mai conosciuto, malgrado il degrado giuridico che abbiamo subito negli anni. Un’ultima osservazione: cosa hanno portato di positivo e di utile i 500 consulenti assoldati dal Governo ? Cosa ha fatto Colao che non è neppure venuto in Italia ?  Cosa ha fatto e cosa sta facendo Arcuri con  le mascherine accumulando dei ritardi vergognosi e accusando i farmacisti di colpe inventate? Questi sono i problemi, i dubbi e le ansie della maggioranza degli Italiani che non si sente ben governata. Si danno  con facilità prestiti miliardari ad a FCA  e perfino ai Benetton, trascurando chi sta rischiando la sopravvivenza e magari sotto sotto vengono considerati degli evasori fiscali che hanno accumulato ricchezze illecite con il nero. Senza voler diffondere allarmismo, bisogna avere il coraggio di sollevare dei dubbi, come ci ha insegnato a fare Bobbio . Non c’è più spazio per là demagogie e le certezze propagandistiche. Occorre la verità e la chiarezza senza furbizie.  Ovviamente mi auguro di sbagliare totalmente per il bene della nostra Patria  a cui bisogna sempre guardare e che il pessimismo dello storico sia almeno in parte infondato.
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Dove si trova ël Barabiciu?

Torino, bellezza, magia e mistero

Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume? Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.

Articolo 1: Torino geograficamente magica
Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo 3: I segreti della Gran Madre
Articolo 4: La meridiana che non segna l’ora
Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo 7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo 8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo 10: Torino dei miracoli

Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?

Negli articoli precedenti si è parlato del lato buono di Torino, ma nell’urbe augustea sappiamo che ci sono anche poli di energia negativa. Il “cuore nero” della città, com’è noto ai più, si trova in piazza Statuto, dalle parti di Valdocco, nome che può essere ricondotto a “vallis occisorum”, ossia il luogo dove avvenivano le esecuzioni capitali e si inumavano i cadaveri oppure a “vallis occasus”, cioè la direzione in cui il sole tramonta. “Nomen omen”, verrebbe da dire. In piazza Statuto si trova il monumento che commemora l’apertura del traforo del Frejus e i tre ingegneri che lo progettarono, Sebastiano Grandi, Severino Grattoni e Germano Sommeiller. Ai Torinesi tuttavia esso soprattutto ricorda i caduti durante la lavorazione, ben 48 morti tra i 4 mila operai (tra di essi 18 si spensero per un’epidemia di colera). Sul monumento spicca la statua di un angelo con una stella in fronte e una penna nella mano destra, che dovrebbe raffigurare il genio alato della scienza, ma tale figura è associata notoriamente a Lucifero. Se volete sapere come mai la statua sia stata assimilata all’immagine del Diavolo, potete rischiare di andare a chiederglielo di persona, perché all’interno del giardino che la circonda si trova un tombino, che pare non essere un comune scarico fognario, anzi sarebbe nientemeno che la porta degli Inferi. Va segnalato però, che la maggiore concentrazione di energie diaboliche si trova poco oltre l’estremità della piazza, al di là di corso Principe Oddone, dove vi è un giardino, non troppo curato, che passa quasi inosservato, al centro del quale svetta un piccolo obelisco sormontato da un astrolabio. Tuttavia questo non è l’unico luogo in cui si può respirare l’aria malsana di “Chiel là,” o di “ël Barabiciu”, per dirla con una credenza piemontese, per cui è meglio non pronunciare il nome del maligno, perché tutte le volte che qualcuno lo dice, lui si avvicina di sette passi. Potreste incontrare “Belzebù” anche in altri posti. C’è infatti un palazzo, da alcuni soprannominato “Ca dël Diav”, caratterizzato da dicerie per nulla lusinghiere e a dir poco terrificanti.  Si tratta di Palazzo Trucchi di Levaldigi, edificato tra il 1673 e il 1677 dall’architetto Amedeo di Castellamonte (1613-1683), per il ministro delle Finanze Giovanni Battista Trucchi, conte di Levaldigi (1617-1698). La posizione del palazzo, tra via Alfieri e via XX Settembre, ne sottolinea il particolare taglio diagonale della facciata d’ingresso, caratterizzata dal rigoroso tracciato ortogonale della parete. L’aspetto complessivo dell’edificio è severo e imponente, come testimoniano le bugne del basamento, il ritmo delle lesene binate, i cornicioni marcapiano aggettanti e i timpani delle finestre. All’interno gli ambienti sono stati radicalmente rielaborati tra gli anni Dieci e Trenta del Novecento e riadattati alle nuove esigenze occupazionali. Dal 1939 l’edificio è sede della filiale della Banca Nazionale del Lavoro. La costruzione nasconde la sua leggenda di malvagità proprio all’interno di un particolare della struttura architettonica, precisamente nel portone, rimasto quello originario, montato nel 1675 e riccamente intagliato.  Giovanni Trucchi non era nobile di nascita (la famiglia ottenne il titolo comitale – “comes” = “conte” per “concessione d’arma”), ma riuscì ad ottenere una carica che lo rendeva secondo solo al duca Carlo Emanuele I, egli riuscì infatti a rivestire la dignità di Presidente Generale delle Finanze Sabaude, ed era anche soprannominato il “Colbert piemontese”, con riferimento a Jean-Baptiste Colbert, (1619-1683), braccio destro del Re Sole.

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Si mormorava molto sul denaro posseduto dal conte Trucchi, che sembrava non esaurirsi mai, e lo stesso conte, per burlarsi di tali dicerie, ordinò che il portone venisse montato in una sola notte e di nascosto. In questo modo la gente avrebbe iniziato a bisbigliare che fosse avvenuto un qualche sortilegio, se non proprio un vero patto satanico. Per far sì che non ci fossero dubbi in tal senso, il conte fece inserire al centro del portone un ornamento in bronzo con la forma della testa del demonio, dalla cui bocca – come si può ancora oggi ammirare – escono due serpenti che si intrecciano e formano il batacchio. Ma forse un po’ di malignità in quel luogo c’era sul serio, e lo dimostrano alcuni fatti. Nel 1790, durante una delle feste indette da Maria Anna Carolina di Savoia, una delle ballerine invitate al ricevimento venne uccisa a pugnalate. Successivamente, nel 1817, nel corso dell’occupazione francese, il capitano Du Perrì, che era in possesso di documenti segreti, cercò rifugio tra quelle stesse mura, ma scomparve all’interno del palazzo. Il corpo venne ritrovato vent’anni dopo, murato in un’intercapedine. Un altro punto cittadino in cui si annidano energie maligne è proprio all’interno di un edificio in cui tutto ci si aspetterebbe tranne che entrare in contatto con Satana o con qualcuno dei suoi seguaci. Si tratta del piccolo gioiello architettonico della chiesa di San Lorenzo edificata tra il 1668 e il 1687 su progetto di Guarino Guarini, per l’ordine monastico dei Teatini. L’edificio è a pianta centrale ottagonale, con i lati di forma convessa, con un presbiterio ellittico posto trasversalmente che introduce un asse principale nella composizione. Lo spazio, al livello inferiore, è definito dalla presenza di ampie serliane che delimitano le cappelle laterali, mentre la copertura è costituita da una cupola a costoloni che si intrecciano fino a formare l’ottagono sul quale poggia la lanterna. All’interno è voluto un gioco di contrasti tra luci ed ombre, per cui  in basso domina l’oscurità, accentuata dalla mancanza di finestre, la luce, invece, aumenta man mano che ci si eleva. Si può anche notare che la chiesa è “affollata” da angeli, in tutto più di 400, sono forse così tanti per contrastare qualche altra presenza che è riuscita a insinuarsi tra le sacre pareti? E allora guardiamo con attenzione verso l’alto: tra i costoloni intrecciati è possibile scorgere delle grandi facce demoniache, che si delineano, nette, man mano che lo sguardo vi si fissa, vigile. Se vi è venuta un po’ di angoscia non temete, sono moltissimi i rimedi per scacciare colui che è meglio non nominare, non mettete in tavola mai il pane rovesciato, attenti a non entrare in casa con il piede sinistro, mettete un ferro di cavallo dietro la porta (ma nel verso in cui forma una U), e fate attenzione al sale, se cade siate pronti a lanciarvene un po’ dietro la spalla sinistra. E, soprattutto, se uno sconosciuto, losco e misterioso, vi si avvicina e vi chiede di fare un patto con lui, “daje dël ti al Diav e butlo fora ëd ca”!

Alessia Cagnotto