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Ritorno ad Alassio

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Oggi è il primo sabato del primo fine settimana dei torinesi in Liguria dopo mesi di divieto. Tanti miei amici sono tornati ad Alassio : dalla contessa Perrone di San Martino ai farmacisti Platter Ricotti . Credo che sarà nella sua bella villa collinare anche il Presidente Enzo Ghigo  

La riapertura e’ un traguardo  importante e l’inizio  di una ripresa che appare molto difficile perché il turismo non è stato abbastanza considerato e protetto dal Governo. Per ora sono in gioco gli arrivi di piemontesi e lombardi, ma sarà molto importante l’auspicato arrivo degli stranieri, a partire dai  francesi.
Io ho in mente Alassio nello splendore del suo turismo. Ricordo di essere stato al Grand Hotel alla fine degli anni Cinquanta a trovare  mio zio che andava con l’amante in vacanza e che mi disse che doveva lavorare anche in vacanza e che doveva andarci con la segretaria. Inizialmente capii che Alassio era un posto in cui si doveva lavorare anche in vacanza. Più tardi capii che Alassio era un posto  per amare le belle donne in libertà. E infatti quella segretaria esibiva già allora un ridottissimo bikini. Alassio  era la città di Mario Berrino e  del Muretto. Alassio si identificava con Miss Muretto e con quella che Mario Soldati definiva la frenesia dell’estate. Quasi tutte le donne in bikini e alla sera in pantaloni attillati e la pancia scoperta in tanti ritrovi come la Capannina  e soprattutto al Caffè Roma dove  si ritrovavano grandi divi come Wanda Osiris, Anita Ekberg, Vittorio de Sica. Le più prestigiose famiglie del bel mondo avevano una residenza estiva ad Alassio: Mondadori,  Ferrero di Ventimiglia, Ruspoli, Ricordi, Moratti, Pininfarina sono solo alcuni dei numerosi grandi nomi. Per l’estate Berrrino aveva inventato la “gran cagnara” che creava un clima di euforia generale attorno al Muretto che segnava la ritrovata serenità dopo la guerra. Alassio che era bella anche sotto il fascismo come scrisse Mario Soldati, era  rinata a nuova vita durante gli Anni Cinquanta che furono splendidi. Il Roof Garden di Berrino offriva ottima  musica ed i migliori artisti  italiani ed internazionali: Modugno, Mina, Manfredi, Chiari, Villa, Vanoni, Celentano, Zanicchi, Rascel, Jannacci. Il Caffè Concerto in piazza Matteotti creato da Balzola era un richiamo più popolare, ma sicuramente importante. Alla riapertura del turismo alassino voglio ricordare il passato glorioso come auspicio di un nuovo turismo  futuro che ricrei un’Alassio  nuova perla del Ponente. Lo merita la città del Muretto che quest’anno dovrà ricordare degnamente il centenario della nascita di Mario Berrino grande artista e grande inventore ed animatore del turismo, delle serate e delle nottate alassine. Nel suo nome Alassio potrà rinascere. E tanti torinesi ritorneranno a trascorrere le loro vacanze ad Alassio  che dovrà essere pronta ad accoglierci in modo adeguato  ancora meglio del passato perché tornare ad Alassio è un atto di amore per una città che ha patito per il Coronavirus, ma ha saputo  prontamente rialzarsi,   meglio di noi piemontesi.
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Scrivere a quaglieni@gmail.com

Crostata di ciliegie fresche e crema pasticcera vantaggiosa

Rubrica a cura de La Cuoca Insolita

Quale miglior occasione per fare una bella crostata di ciliegie fresche e crema pasticcera? San Giovanni è alle porte e mi vengono subito in mente le mie estati in campagna da bambina, e i “giuanin” che iniziavano a trovarsi nelle ciliegie proprio in questo periodo. Allora bisognava sbrigarsi a mangiarle e si facevano marmellate e qualunque cosa pur di finire la cesta! E la tradizione continua anche adesso, dopo tanti anni. Se volete sapere cos’ha di speciale questa crostata, andate a leggere subito “Perché vi consiglio questa ricetta?”. Siete giù in cucina a prepararla?

Perché vi consiglio questa ricetta?

 Questa crostata è senza glutine e senza latte né burro.
 Per tutta la torta solo 30 g di zucchero al posto di 160 g! Questo grazie a eritritolo e stevia (due dolcificanti naturali, a zero
calorie e zero zuccheri).
 Usare uova intere aiuta a ridurre la quantità di grassi saturi! Infatti, il colesterolo è contenuto solo nel tuorlo.
 Calorie -20%, grassi -40%, di cui grassi saturi -85%, zuccheri -60% rispetto ad una torta analoga, preparata con fatta con burro, solo zucchero, latte intero, farina 00.
 La curcuma è un potentissimo antiossidante.

Tempi: Preparazione (40. min); Cottura (20 min);
Attrezzatura necessaria: teglia diam. 24, casseruola piccola, minipimer, tagliere e coltello a lama liscia, contenitore a bordi alti, matterello, rotella per pasta fresca, spruzzino.

Ingredienti per la crostata di ciliegie fresche e crema pasticcera

per uno stampo da 24 cm diam.

Per la pasta frolla:

 Farina di riso integrale – 160 g
 Fecola di patate – 120 g
 Farina di mandorle – 120 g
 2 uova intere
 Eritritolo – 80 g
 Zucchero bianco – 30 g
 Stevia foglie essiccate – 1 cucchiaino raso (2
g)
 Olio di semi girasole – 50 g
 Scorza di 1 limone
 Vanillina – 1 bustina
 Lievito per dolci – ½ cucchiaino (2 g)
 Sale fino integrale di Sicilia – 1 pizzico

Per la crema pasticcera vantaggiosa:

 Latte di soia – 500 ml
 1 Uovo intero
 Farina di riso bianca – 50 g
 Eritritolo – 50 g
 Zucchero bianco – 30 g
 Vanillina – ½ bustina
 Curcuma – 1 punta

Per la decorazione e la gelatina:

 Ciliegie denocciolate – 300 g
 Succo di mela – 125 g
 Agar-agar polvere – 2 g (1 cucchiaino raso)
 Per la gelatina, al posto dei preparati a base di pectina o della marmellata (ricche di zucchero), usate l’agar-agar, un’alga che contiene calcio, Vitamina D e Vitamina K!

Approfondimenti e i consigli per l’acquisto degli “ingredienti insoliti” a questo link).

In caso di allergie…
Allergeni presenti: Soia, uova, frutta a guscio

Preparazione della crostata di ciliegie fresche e crema pasticcera

FASE 1: LA PASTA FROLLA E LA COTTURA

Mescolate nella terrina tutti gli ingredienti fino ad ottenere un impasto che non si appiccica alle mani.
Chiudete nella pellicola e lasciate riposare a temperatura ambiente mezz’ora. Stendete la pasta con il mattarello, chiudendola in un foglio di pellicola, ad uno spessore di 0,5 cm circa. Ungete leggermente la teglia con olio e spolverate con la farina di riso. Trasferite la pasta frolla nella teglia, lasciando il bordo alto. Bucherellate il fondo con una forchetta. Formate con la pasta frolla un anello, di larghezza di un paio di cm e di diametro di circa la metà rispetto a quello della teglia (tagliatelo con la
rotella per la pasta fresca, per decorarne i bordi). Cuocete la pasta frolla in forno ventilato a 160° C per 10 minuti circa (l’anello) e per 20 minuti (la base della torta). A fine cottura, togliete dal forno e lasciate raffreddare per almeno 15 minuti.

crostata di ciliegie fresche ingredientiFASE 2: LA CREMA PASTICCERA VANTAGGIOSA

Con il minipimer frullate insieme il bianco e il rosso dell’uovo. Versate la quantità necessaria nella casseruola e aggiungete farina di riso, eritritolo, zucchero e vanillina e mescolate con il cucchiaio. Scaldate il latte (in un contenitore per microonde o in un’altra piccola casseruola sul fuoco). Prima che prenda il bollore spegnetelo e versatelo a poco a poco nella casseruola dove avevate già messo il mix di uova e gli altri ingredienti. Amalgamate bene e solo ora versate tutto il resto del latte, mescolate con la frusta e mettete a cuocere per 2-3 minuti a fuoco medio alto, girando continuamente con la frusta. Aggiungete la curcuma (pochissima alla volta per non avere un colore troppo giallo, che sarebbe innaturale). Versate la crema calda in un contenitore e copritela fino a quando si sarà raffreddata. Versate la crema raffreddata sulla base di pasta frolla cotta. Ponete al centro della torta l’anello di pasta frolla cotta.

FASE 3: LA DECORAZIONE DI FRUTTA E LA GELATINA

Lavate le ciliegie e tagliatele a metà, per togliere il nocciolo. Mettete in una casseruola il succo di mela (freddo) e l’agar-agar e portate a bollore, mescolando ogni tanto. Abbassate il calore (molto basso) e fate sobbollire per un paio di minuti. Lasciate raffreddare per alcuni minuti. La vedrete ancora liquida come l’acqua (infatti questa gelatina si addensa molto più lentamente di quella del preparato a base di pectina che si compra al supermercato). Non preoccupatevi, non avete sbagliato niente! Lasciate raffreddare un po’; e poi mettete la gelatina nello spruzzino e cospargete la superficie della frutta. Lo strato di gelatina sarà sottilissimo e il risultato finale sarà perfetto!

Sciacquate subito lo spruzzino versando dentro l’acqua (sennò la gelatina si addenserà nel tubo e non potrete più usare lo spruzzino!).

La conservazione

In frigorifero: 3-4 giorni (1 settimana le basi di pasta frolla senza la crema).
Nel surgelatore: sconsigliato, perché una volta scongelate non saranno croccanti come appena fatte. Potete
invece surgelare per 3-6 mesi le basi di pasta frolla (senza frutta e crema).

Chi è La Cuoca Insolita?

La Cuoca Insolita (Elsa Panini) è nata e vive a Torino. E’ biologa, esperta in Igiene e Sicurezza Alimentare per la ristorazione, in cucina da sempre per passione. Qualche anno fa ha scoperto di avere il diabete insulino-dipendente e ha dovuto cambiare il suo modo di mangiare. Sentendo il desiderio di aiutare chi, come lei, vuole modificare qualche abitudine a tavola, ha creato un blog e organizza corsi di cucina. Il punto fermo è sempre questo: regalare la gioia di mangiare con gusto, anche quando si cerca qualcosa di più sano, si vuole perdere peso, tenere a bada glicemia e colesterolo alto o in caso di intolleranze o allergie alimentari.

Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?

Torino, bellezza, magia e mistero.
Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume? Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.

Articolo 1: Torino geograficamente magica
Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo 3: I segreti della Gran Madre
Articolo 4: La meridiana che non segna l’ora
Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo 7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo 8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo 10: Torino dei miracoli

Articolo 7 – Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?

Molti personaggi particolari si sono aggirati per le strade di Torino nel corso del tempo, alcuni famosi, altri conosciuti solo nei quartieri in cui abitavano, altri ancora avrebbero preferito non essere ricordati da nessuno.

Una delle figure più discusse e celebri che visitò la magica città augustea fu Nostradamus, il cui vero nome era Michel de Notre Dame (1503-1566). Egli fu astrologo, farmacista e scrittore, si interessò moltissimo anche di medicina, è a lui che viene addirittura attribuita l’invenzione della “pillola rossa”, con la quale si pensava di poter curare la peste, ma in realtà era solamente un concentrato di vitamina C, estratta da sostanze vegetali. Verso il 1550 egli iniziò a dedicarsi all’occultismo e nello stesso anno scrisse il suo primo “Almanacco”; in seguito decise di stilare 1000 quartine nelle quali erano contenute premonizioni destinate a tutta l’umanità.  Lo stesso Nostradamus cita Torino nella sesta quartina della prima Centuria: “L’occhio di Ravenna sarà escluso, quando ai suoi piedi le ali cadranno, i due Bresse avranno costituito Torino, Verseil che francesi calpesteranno.” Cosa significhino questi versi non ci è dato saperlo, ma intanto possiamo vantarci di aver colpito l’animo del più famoso tra gli esoteristi, tanto da indurlo a redigere una profezia proprio sulla nostra città. A documentare il passaggio dello studioso per le strade di Torino è la cosiddetta lapide di Domus Morozzo, che recita: “NOTRE DAMUS A LOGE ICI ON IL II A LE PARADIS LENFER LE PURGATOIRE IE MA PELLE LA VICTOIRE QUI ME MEPRISE OVRA LA RUINE HNTIERE”, (Nostradamus ha alloggiato qui, dov’è il Paradiso, l’Inferno, il Purgatorio. Io mi chiamo la Vittoria, chi mi onora avrà la gloria, chi mi disprezza avrà la completa rovina). Si trattò di un soggiorno breve di cui non conosciamo la motivazione. Assai dubbie le notizie sulla stessa lapide (forse una scrittura in codice), di cui si dice resti una foto del 1922.
Un’altra persona che si poteva incontrare per le nostre strade, non di tale celebrità, ma ben nota ai torinesi era Enrietta Naum, una donna poco appariscente e poco istruita, nata nel 1846, che abitava in via Cappel Verde 6. Non si sa nulla della sua infanzia né della sua adolescenza, ma passò alla storia come l’unica esorcista donna riconosciuta dalle autorità politiche e religiose. E poi c’è sempre chi ama gettare malelingue e infatti, se per alcuni era una santa, per altri era una “masca”, esperta di rimedi e conoscitrice di erbe magiche.

Il caso più eclatante che la vide protagonista avvenne nel 1914, quando compì un esorcismo a favore di Giuseppe Brossa, di soli quattordici anni. Pare che il caso fosse davvero grave, poiché il ragazzo compiva scelleratezze contro le cose e contro gli animali e proferiva parole indicibili. Così Giovanni fu portato a casa di Enrietta, la quale, mentre pronunciava formule in latino, mise sul fuoco un pentolino con dell’acqua e delle erbe. Ed ecco che Giovanni iniziò a comportarsi in modo animalesco, allora l’anziana donna lo afferrò per i capelli e guardandolo negli occhi intimò al diavolo di abbandonare il corpo del ragazzo e precipitarsi nell’acqua bollente. Pare che il pentolino e Giovanni caddero insieme, uno a terra e l’altro nelle braci del focolare, il pavimento tremò e il giovane rinvenne, finalmente guarito. La donna era sempre disponibile ad aiutare i bisognosi, ma il cuore grande delle sue vicine di casa risposero a tanta gentilezza con un solerte invito a cambiare abitazione. Enrietta si spostò in via Porta Palatina, e lì continuò ad accogliere chi le chiedeva aiuto. Quando morì, la Gazzetta del Popolo la ricordò così: “La pia donna aveva dedicato la sua vita al bene spirituale degli altri, liberando coloro che si erano trovati in preda di forze maligne o di “fatture” praticate da nemici senza scrupoli”. Enrietta fu l’ultima esorcista donna, e non solo a Torino.

Noto ai torinesi, ma decisamente non amato, fu invece Pietro Pantoni. Egli abitava in via Bonelli 2, ed era il boia della città. Il suo percorso di vita era segnato fin dall’adolescenza, poiché quello era il mestiere di famiglia. Nel 1831 Pietro ricevette, da Urbano Rattazzi, la patente di Ministro di Giustizia torinese. L’uomo rimase in attività per più di trent’anni, giustiziando 127 persone, fino al 13 aprile 1864, anno in cui si tolse il celebre e sinistro mantello rosso: la forca avrebbe di lì in avanti lasciato il passo alla fucilazione. Pietro non ebbe vita facile, poiché la figura del boia, ovviamente, era denigrata da tutti. La moglie di Pietro Pantoni soffrì in modo particolare questa situazione, tanto che quasi non usciva di casa. Una storia antica ci riporta al XV secolo, quando il duca Amedeo VIII di Savoia era dovuto intervenire per riportare l’ordine tra i fornai della città di Torino, che si rifiutavano di vendere il pane al boia. Il duca li obbligò a farlo, pena il diventare clienti dello stesso esecutore. Ma i fornai, astuti, escogitarono un modo per manifestare comunque il loro disprezzo e iniziarono a porgere alla moglie del boia di turno il pane al contrario. Il Duca intervenne di nuovo: nacque il pancarrè, un pane uguale dai due lati, per non far torto a nessuno.  Nonostante tutto, le monete pagate dalle consorti dei boia torinesi continuarono ad essere gettate in una ciotola di aceto dai fornai, per essere “ripulite” dalla loro efferata origine. Curioso era anche il metodo con cui il boia veniva pagato dopo un’esecuzione. Il responsabile firmava il foglio di pagamento indossando i guanti, per non aver nulla a che fare con quel denaro. Dopodiché buttava il foglio per terra, dove un addetto lo prendeva con delle pinze e lo gettava al boia, che aspettava nella tromba delle scale o sotto la finestra.

L’esecutore di giustizia torinese aveva anche piccoli privilegi: un banco riservato nella Chiesa di Sant’Agostino e il diritto ad essere sepolto sotto il campanile di quella stessa Chiesa.
Torniamo a Pietro Pantoni, la cui storia, oltre alle palesi difficoltà dovute ai giudizi delle persone, ci testimonia anche un’altra realtà, l’eterna presenza di coloro che tentano di arricchirsi sulle disgrazie altrui, come testimonia il tariffario ufficiale per le esecuzioni che prevedeva un compenso di 16 lire per un rogo, 21 lire per un’impiccagione e addirittura 36 lire per uno squartamento. Un altro personaggio che avremmo potuto incontrare per le vie della città è colui che nel 1846 celebrò proprio il matrimonio di Pietro Pantoni, si tratta di Giuseppe Cafasso, conosciuto ai più come “il prete della forca”, poiché per anni era stato a fianco dei condannati anche nell’ultimo tragitto, quello verso il patibolo.  Il lungo iter della morte incominciava la sera prima dell’esecuzione, quando Cafasso, il condannato e il boia si riunivano per pregare. Durante l’incontro, il boia chiedeva perdono al condannato per ciò che avrebbe dovuto compiere il giorno successivo. All’alba, dal confortatorio del carcere, il condannato saliva sul carro che lo avrebbe condotto al patibolo, scortato dai membri incappucciati della Confraternita della Misericordia, che recitavano il Miserere, e che cercavano di mitigare la sofferenza del poveruomo, visti anche i ripetuti oltraggi della folla; il boia saliva sul carretto con il morituro. Davanti agli occhi del condannato, al cui collo veniva messa una corda precedentemente benedetta, veniva posto un grosso crocifisso dotato di alette laterali, così che lo sfortunato vedesse il patibolo soltanto all’ultimo momento. Questo crocifisso è conservato ancora oggi nella Chiesa della Misericordia a Torino. Torino ha ospitato personaggi di ogni genere, celebri, inquietanti, misteriosi, magnanimi; la varietà delle persone che hanno attraversato le sue strade sono lo specchio della complessità della città stessa, metà “bianca” e metà “nera”, un po’ storia, un po’ leggenda.

Alessia Cagnotto

Chi è Cristina Fresia, AD di Fresia Alluminio, azienda attenta alle persone

Rubrica a cura di ScattoTorino

Foto di Vincenzo Solano

Fresia Alluminio non è “semplicemente” un’azienda, ma una realtà produttiva nella quale le persone hanno valore. Questo plus, insieme alla competenza imprenditoriale e alla capacità di guardare al mercato con una vision volta al futuro, è sempre stato un elemento che ha fatto la differenza e che ha trasformato il negozio di ferramenta di nonno Valentino in un’impresa famigliare di successo. Dal 1930 ad oggi Fresia Alluminio è diventata un punto di riferimento del settore non solo in Piemonte (a Volpiano risiedono la direzione generale e il polo logistico-produttivo) e in Liguria (a Vado Ligure ci sono un magazzino e un centro logistico), ma anche nel resto d’Italia e all’estero. La società progetta, brevetta e commercializza sistemi ecosostenibili per serramenti in alluminio ad alta efficienza energetica. Inoltre è stata la prima nel nostro paese ad aver certificato l’intera filiera di un serramento e la prima in Europa ad aver immesso sul mercato, nel 2011, una gamma di prodotti nati dal recupero e dalla rigenerazione dell’alluminio e della poliammide.

Dal 2014, anno che ha visto il settore dell’edilizia in forte crisi, Cristina Fresia è Amministratore Delegato della società. In precedenza si era occupata della gestione del personale e grazie all’empatia e alla stima che ha saputo creare con i collaboratori, è riuscita a traghettare l’impresa di famiglia fuori da quel periodo buio. Come? Comunicando con trasparenza la situazione al suo staff e sviluppando un piano industriale che al 31 dicembre del 2019 ha raggiunto i risultati previsti. Una delle sue capacità è stata la gestione del problema con coraggio. Quello stesso coraggio che, unito alla grinta e alla determinazione, le ha permesso di essere un modello per i dipendenti. “Credo nell’intangibile” racconta a ScattoTorino. “L’arte, i sentimenti, lo sguardo sono elementi che viviamo e non tocchiamo. Parlando di azienda, l’intangibile è la somma delle persone che, se unite, creano non solo parole ma anche azioni”.

Fresia Alluminio vanta una lunga tradizione famigliare. Ce la racconta?

“Quest’anno festeggiamo 50 anni di attività di vendita di alluminio. Il 6 giugno avremmo dovuto celebrare l’evento, ma la situazione legata al Covid-19 non lo permette. In realtà già nel 1930 nonno Valentino aprì un negozio di ferramenta e mio padre lo sostituì in seguito alla sua morte prematura. Papà Ezio ha avuto l’idea, giovanissimo, di comprare altre ferramenta e così ha scoperto le barre di alluminio.

Fresia AlluminioQuesto materiale è leggero e facile da lavorare e mio padre ha insegnato ai fabbri a fare i serramenti. In questi decenni i nostri clienti sono rimasti fedeli perché li abbiamo sempre seguiti con attenzione. In pratica noi progettiamo il sistema dei serramenti in modo che, con semplicità di assemblaggi, si realizza il serramento e la fabbricazione la curano i clienti stessi. Fresia Alluminio è nata un po’ dopo e si è separata da Fresia Ferramenta. Oggi Fresia Alluminio è un’azienda famigliare in cui papà è il Presidente mentre io e mio fratello Valentino siamo più operativi. Il nostro business è progettare finestre, porte scorrevoli e facciate continue ad alto potere isolante energetico e acustico che minimizzano la naturale dispersione termica e l’impatto ambientale”.

Ci presenta Alsistem?

“Essendo nati da una ferramenta, eravamo dei commercianti e compravamo l’alluminio inteso come prodotto già esistente. Papà ha avuto l’idea di creare un nostro sistema di profili, ma essendo piccoli il progetto era costoso. Ha quindi coinvolto altri commercianti italiani e circa 20 anni fa ha creato un’azienda, Alsistem, che progetta e acquista. Dai 3 soci iniziali siamo passati a 10 in tutta la penisola. I vantaggi di questo consorzio, che detiene i brevetti dei propri sistemi in esclusiva, sono la suddivisione dei costi e la diffusione delle diverse referenze su più mercati oltre a quello territoriale”.

Fresia Alluminio e sostenibilità. Un connubio vincente?

“L’alluminio è malleabile e noi compriamo la materia prima o il secondario, cioè l’alluminio fuso che è quasi migliore del primario. L’alluminio si fonde facilmente, ma ha un’alta conducibilità. Per tagliare il calore in eccesso molte aziende inseriscono nel serramento una barretta di plastica. Grazie a mio fratello, che è molto bravo nella ricerca, noi inseriamo il neociclato che è un materiale rigenerato. Dal 2011, quindi molto prima che in Italia si parlasse di sostenibilità, i nostri prodotti sono certificati e forniamo la documentazione e l’analisi del loro ciclo di vita. Nel 2020 le referenze certificate sono 11, più di quelle di tante aziende conosciute a livello internazionale”.

Quanto è importante il fattore umano nella vostra impresa?

“Da ragazza ho studiato presso la scuola di Amministrazione aziendale e a 21 anni ho trovato lavoro al di fuori di Fresia Alluminio. A 22 anni sono entrata in azienda e mio padre mi ha affidato la responsabilità del personale. Da sempre, quindi, conosco le procedure, l’organizzazione e le persone. Ho un approccio friendly con i collaboratori e spesso mi sento di dire che Fresia Alluminio è un’azienda famigliare non solo perché fondata dalla mia famiglia, ma perché ci conosciamo tutti da tempo. Mi piace ottenere le cose con il sorriso, anche se in certi casi è importante essere più direttivi.

I nostri clienti sono artigiani e abbiamo l’abitudine a relazionarci in modo famigliare anche con loro. Due volte all’anno ci incontriamo con il personale per raccontare cosa abbiamo fatto. Coinvolgiamo tutti: dai magazzinieri all’autista agli impiegati. Mio fratello racconta del mercato, dei prodotti, delle novità e io della parte relativa alle risorse umane. È un’occasione di scambio anche per i colleghi e questo aiuta a creare armonia in azienda, perché il capitale umano ha un ruolo fondamentale”.

Fresia Alluminio

Il biennio 2020-2021 la vede Consigliera dell’Unione Industriale. Un riconoscimento prestigioso

“Da giovane facevo parte dei Lyons, dell’Api ed ho partecipato ad attività di gruppo perché le ritengo formative. In seguito, tra l’azienda e la famiglia, non ho più avuto tempo. Poi mi sono iscritta all’Unione Industriale e un giorno mi hanno telefonato per chiedermi se volevo fare la rappresentante per votare. Ho accettato e, di getto, ho chiesto di candidarmi. Non mi sono promossa e non l’ho detto a nessuno, ma sono stata votata. Attualmente i nostri meeting si svolgono con Zoom perché non possiamo incontrarci di persona, ma sono entusiasta”.

Torino per lei è?

“Sono entrata a far parte dell’Unione Industriale per fare qualcosa per Torino. La nostra città è composta da persone ricche di idee, ma purtroppo non sempre emerge il loro lavoro. Nel capoluogo c’è molto intangibile e spero di poter contribuire al suo sviluppo in modo che diventi visibile a tutti. Amo Torino e non mi staccherei mai da lei. Viaggio molto per lavoro, ma torno sempre a casa”.

Un ricordo legato alla città?

“La mia prima conquista è stata, da ragazzina, quando papà mi donò un motorino. Dai 14 ai 19 anni ho scoperto tanti angoli di Torino e della collina. Ricordo ancora la gioia e il senso di libertà che provavo nel conoscere a poco a poco la mia città”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

Le imprevedibili vie della storia: riappare il socialismo

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Molti analisti politici non si sa bene in base a quali considerazioni – la storia non si ripete mai – prevedevano il riproporsi in Italia del fascismo a distanza di cento anni dalla sua nascita. Ed hanno sostenuto questa tesi con vigore, vedendo nel pericolo nero una minaccia alle istituzioni repubblicane . La stessa Commissione Segre venne istituita con lo scopo di arginare questa minaccia.

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Il Coronavirus ha cambiato il corso della politica e non c’è più nessuno che parli del virus fascista. Neppure l’ANPI che si diletta di esibirsi in manifestazioni faziose che snaturano il senso vero di un antifascismo non rituale , non ha continuato a gridare al lupo.
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In conseguenza del virus sembra invece che sia risorto il socialismo . Il Sindaco di Milano si dichiara di estrema sinistra e propone l’ipotesi socialista come panacea di tutti i mali. Romano Prodi (che svendette le proprietà pubbliche ai privati) oggi propone la presenza dello Stato nelle imprese come azionista e quindi controllore. Lo studioso di storia delle dottrine politiche  Pier Paolo Portinaro ritiene che il ruolo del privato vada totalmente ridiscusso, parlando in occasione della festa della “Repubblica al tempo del Coronavirus”.  Anche i Cinquestelle vorrebbero ricondurre la vita  del maggior numero di italiani ad un reddito statale ed assistenzialistico e la politica del Governo Conte, incapace di dare appoggio alle imprese private, sta mettendo le basi per un declassamento sociale ed economico di molti che avevano saputo fare impresa e produrre ricchezza. A questo proposito c’è stato chi assurdamente ha detto che produrre più ricchezza (che sempre genera maggiore benessere) alimenta più povertà. Un paleo – socialismo si sta profilando all’orizzonte. Un pauperismo da decrescita infelice sta crescendo come una sinistra minaccia al nostro futuro. Non sono queste la vie giuste per affrontare la crisi. La ricchezza prima va prodotta o riprodotta e poi eventualmente redistribuita secondo i meriti e non secondo i criteri dell’assistenzialismo. Anche cento anni fa, con la nascita dell’ultimo Governo Giolitti,  entrava in crisi comatosa lo Stato liberale e i socialisti e i comunisti pensavano di ripetere in Italia la rivoluzione bolscevica  del 1917 in Russia. La storia non si ripete mai perché i contesti sono sempre diversi ed essa non è mai un paradigma per il presente. Certo, cent’anni fa lo Stato liberale non resse all’urto di bolscevichi e fascisti. Oggi questo Stato appare uscito non indenne dal disastro del virus al di là delle apparenze. C’è una crescente sfiducia da parte di tanti cittadini. Vorrei denunciare la deriva a sinistra che si sta intravvedendo e che ritengo una minaccia al quel pochissimo di democrazia liberale rimasta. Non sono un liberista senza regole alla Bruno Leoni. Nella polemica che divise Croce ed Einaudi sul liberalismo e sul liberismo mi sarei schierato con Croce che difendeva il primato del liberalismo rispetto al liberismo economico einaudiano. Ma oggi in Italia sono in gioco le fondamenta stesse dello Stato liberale che vanno difese con un’iniezione di liberismo economico , l’unico capace di far riprendere il Paese. L’ipotesi egualitaria e giacobina che sta emergendo, mi fa venire un brivido dietro la schiena  quasi come la pandemia. La giustizia sociale nella libertà, il socialismo liberale di Rosselli e la socialdemocrazia di Saragat sono tutt’altra cosa. Dobbiamo renderci conto che le democrazie illiberali non sono solo quelle di destra ,ma anche quelle di sinistra. La lezione di Tocqueville, di Croce, di Popper lo sta a dimostrare.
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Scrivere a quaglieni@gmail.com

Molti italiani sono stanchi, ma la fiumana in via del Corso è un errore

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Al di là degli errori e dei ritardi del Governo e delle Regioni, a mitigare gli effetti della pandemia che ha provocato morte e sconcerto in tutta Italia, è stato il distanziamento sociale. Questo risulta essere un dato oggettivo e inoppugnabile. Un distanziamento sociale che ha provocato la sospensione  inevitabile, ma indispensabile di precisi diritti costituzionali in nome della salvaguardia della salute  e della vita.

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La manifestazione del 2 giugno a Roma del centro – destra a Roma ha rappresentato un’evidente trasgressione delle norme anti-contagio, come si può vedere dalle  molte riprese  in diretta della fiumana di gente che seguiva il tricolore portato a braccia  in via del Corso. Qui la politica non c’entra, c’entra il senso di responsabilità. Alla vigilia della  riapertura dei “confini” tra regioni non è stato un bel segno di civismo violare le norme. Comprendo e anche in parte condivido la stanchezza e la rabbia di molti italiani per questa tragedia che ha colpito vite e attività di tantissime persone e che sta provocando una crisi economica e sociale a dir poco tragica. Forse la situazione è scappata di mano ai promotori che parlavano di trecento persone in piazza ben distanziate. La presenza di giornalisti e operatori ha già di per sé modificato la situazione. Ma soprattutto la partecipazione di tanta gente ha snaturato la manifestazione ed è sintomo di un disagio vero della gente. Era allora il caso di promuoverla? Possibile che nessuno abbia pensato ai pericoli che essa poteva determinare? La posta in gioco è la salute delle persone, in primis degli stessi manifestanti. Una vera destra nazionale avrebbe dovuto dimostrare una sensibilità diversa e non determinare un pessimo esempio per gli Italiani che sono stati mesi  disciplinati e chiusi in casa. Chi sventola il Tricolore deve sapere che certi valori nazionali sono superiori alle ragioni di parte. Così non è accaduto a Roma. Al di là di ogni altra valutazione.
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Bonomi accusa il governo (e fa bene). Ma non offre alternative

COMMENTARII  di Augusto Grandi / Carlo Bonomi, neo presidente di Confindustria, marca il territorio. Ed accusa il governo di provocare danni peggiori di quelli del virus. Difficile dargli torto anche se il pessimo Gualtieri considera “ingenerose” le dichiarazioni del numero 1 di viale Astronomia.

Non è che il ministro abbia tutti i torti, a patto di considerare le promesse come fatti concreti. Il che non è.

Il lìder minimo ed i suoi dittatorelli hanno distribuito miliardi a pioggia, provocando una voragine nei conti pubblici ma senza creare la benché minima premessa per il rilancio del Paese…

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Bonomi accusa il governo (e fa bene) ma non offre alternative

L’incultura storica è nemica di un nuovo Risorgimento

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Chi scrive ha ripetutamente richiamato il pericolo potenzialmente  liberticida insito  nei decreti del presidente del Consiglio dei  ministri , ”calati dall’alto“ come ha denunciato il presidente del Senato Casellati, l’unica alta carica dello Stato che si rivela davvero interessata a difendere lo Stato di diritto che ha subito, durante la pandemia, attacchi evidenti

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Ho anche scritto sul diritto di manifestare con responsabilità, criticando però con asprezza gli assurdi assembramenti per il sorvolo intempestivo e assurdo delle Frecce Tricolori che meriterebbe un’ indagine da parte di qualche magistrato.
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Ho infine sconsigliato al centro- destra di manifestare il 2 giugno festa nazionale poco sentita,ma pur sempre festa nazionale. Ciò premesso, appare di una notevole gravità che questo capo popolo da quattro soldi, ex generale dei carabinieri ed ex deputato socialdemocratico, Pappalardo stia organizzando manifestazioni di protesta che violano le norme di sicurezza sanitaria, soffiando sul fuoco del disagio sociale sempre più evidente. Gli assembramenti non vanno fatti non solo perché vietati, ma perché pericolosi. E l’uso delle mascherine è un atto di tutela di se’ stessi e degli altri. Chi trasgredisce è un barbaro, un untore, un asociale stupido ed autolesionista. Queste manifestazioni non esprimono il senso della democrazia, ma sono un’offesa a chi, stando chiuso in casa per mesi, ha contribuito a contenere il contagio e sono anche un oltraggio ai morti di Coronavirus e ai medici e infermieri che hanno lottato per salvare vite umane. I Gilet arancione, figli dei forconi e della protesta dei tir, sono pericoli reali per la democrazia perché tendono a cavalcare le difficoltà economiche, agitando slogan velleitari e assurdi che minacciano la stessa convivenza civile. Chi scrive ha denunciato senza mezzi termini gli errori di governo e regioni, ma non può accettare che questo ex generale dei Carabinieri che tradisce il suo passato militare di servitore dello Stato, possa creare problemi alla già difficile ripresa. I mestatori vanno ripresi, fermarti e condannati senza mezzi termini dall’ opinione pubblica. Ed anche il centro-destra che vuole portare una corona d’alloro all’altare della Patria dopo il presidente della Repubblica che in quell’occasione rappresenta tutti gli Italiani, dovrebbe essere più cauto. Una vera destra consapevole della storia d’ Italia dovrebbe andare all’Altare della Patria, ad esempio, a deporre una corona d’alloro al Padre della Patria Vittorio Emanuele II nel bicentenario della nascita, auspicando un nuovo Risorgimento. Ma l’incultura storica della destra è  purtroppo incapace di pensare a certi gesti capaci di collegare passato e futuro.
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L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Fabiano Massimi  “L’angelo di Monaco”   -Longanesi –     euro  18,00

La storia è vera e il libro inizia con gli ultimi istanti di vita della 23enne Angela Maria Raubal, detta Geli. E’ la nipote prediletta di Adolf Hitler, col quale viveva, e viene trovata morta la mattina del 19 settembre 1931 nella sua camera da letto, chiusa a chiave dall’interno. Suicidio o omicidio ben congegnato? Chi era davvero questa giovane, figlia della sorellastra di “Woolf”, come  lui si firmava in lettere compromettenti? Alcuni testimoni la descrivono fatua, dedita al lusso e ai divertimenti, piena di vita e di fascino, tanto da aver soggiogato “zio Alf” facendogli perdere lucidità. Oppure è una reclusa super sorvegliata, vittima impotente delle più aberranti perversioni dello zio, fino alle voci sull’incesto?

Inutile dire che la sua morte getta ombre pesanti sul Fűhrer, leader del partito da lui fondato, che richiama la Germania al risveglio e al predominio della pura razza ariana. Non è ancora il dittatore che invaderà mezza Europa sterminando milioni di ebrei…ma ci sta arrivando e uno scandalo non può proprio permetterselo.

Le indagini vengono affidate a 2 commissari con l’imperativo di chiuderle al più presto. L’ordine arriva dall’alto, da Hitler in persona e dai suoi accoliti più spietati, tra i quali Himmler e il morfinomane Göring. Ma la strada verso la verità è lastricata di menzogne, manipolazioni, inganni e ogni volta che stanno per essere rintracciati testimoni chiave…immancabilmente vengono trovati morti, apparentemente suicidatisi.

Questo romanzo mozzafiato miscela magnificamente realtà e immaginazione. Trae linfa dalle cronache dell’epoca -testimonianze, articoli di giornale, documenti ufficiali- e sono accertati personaggi, luoghi, tempi e ipotesi. I commissari incaricati delle indagini si chiamavano davvero come quelli del libro; Heydrich era “la belva bionda”, Eva Braun che qui fa capolino avrà il ruolo che tutti conosciamo. Soprattutto sono veri, anche se hanno dell’incredibile, i dati che risultano dalle carte ufficiali; come l’indagine aperta e chiusa in giornata o il mistero e i maneggi intorno all’autopsia di cui non c’è referto. Su tutto si innesta la bravura di Fabiano Massimi nel narrare una pagina di sporca storia e, pensando a Geli, scrive: “Per la sua morte non c’è stata giustizia. Forse un romanzo renderà giustizia alla sua vita”.

 

Marie Lamballe  “Il destino di una famiglia”    -Rizzoli-   euro 19,50

Il destino di cui si parla è quello della famiglia tedesca Koch alla fine della 2° Guerra Mondiale, ruota intorno al loro Cafè Angel a Wiesbaden, e ad altri personaggi che in un modo o nell’altro si ritroveranno nel locale una volta passata la bufera e compiuti i vari destini.

Heinz Koch è stato arruolato insieme ai figli e finisce prigioniero di guerra degli americani che lo ingaggiano come démineur (sminatore): fato beffardo perché, scampato ai combattimenti, è nel pericolo annidato nelle mine antiuomo che incappa tragicamente.

Durante la sua assenza è toccato alla moglie Else e alla figlia Hilde sopravvivere e pensare all’attività di famiglia che, prima della guerra, era rinomato ritrovo di artisti. Intorno a loro una girandola di persone. C’è Julia, costumista teatrale ebrea tenuta nascosta.

Luisa, figlia illegittima di un barone, che alla morte del padre viene cacciata insieme alla madre (entrambe considerate meno di zero dai parenti blasonati)… e le attende una fuga disperata, bombardamenti, ma anche incontri di grande umanità.

E c’è Jean Jacques soldato francese che la guerra conduce per un attimo nella vita di Hilde, della quale si innamora, ma che ritorna nel suo paese, e faticosamente riprende il suo ruolo di marito e proprietario dei vigneti di famiglia.

Ovviamente molto altro accade nelle vite dei personaggi ai quali si finisce per affezionarsi: alcune raccontate benissimo e a tutto tondo, altre un po’ meno. Ma, per chi ama le saghe familiari, il romanzo resta un affresco godibilissimo sullo sfondo storico della guerra e della caduta della Germania, con alle porte l’arrivo di russi e americani.

 

Henry “Come diventare newyorkesi” – Mattioli-   euro   10,00

Vale la pena riscoprire lo scrittore americano William Sydney Porter nato a Greensboro (Carolina del Nord) l’11 settembre 1862 e morto a New York il 5 giugno 1910, autore prolifico di 400 racconti scritti sotto pseudonimo O. Henry.

La sua fu a dir poco una vita avventurosa: avido lettore fin da piccolo, una carriera scolastica non oltre i 15 anni ma una cultura sconfinata da autodidatta, poi contabile nella farmacia dello zio, e in seguito mandriano, giornalista, disegnatore, impiegato di banca, suonatore di chitarra e mandolino, realizzatore di mappe topografiche …Insomma uomo dai tanti mestieri e dalla vita complicata.

Nel 1894 viene accusato di appropriazione indebita e scappa in Honduras; torna solo per accudire la prima moglie (sposata di nascosto perché la famiglia di lei era contraria) minata dalla tubercolosi. William dopo varie vicende, nel 1902 si trasferisce a New York, ha pochi soldi ma grandi idee e talento infinito. Sono gli anni in cui scrive racconti a getto continuo e viene incoronato dalla fama, che gusterà per poco tempo, stroncato alla fine da cirrosi epatica, con complicanze derivanti dal diabete e dalla cardiopatia.

“Come diventare newyorkesi” raccoglie 9 racconti e ci conduce dritti nelle strade della Grande Mela di quegli anni, facendoci immedesimare nei sogni e nei difetti dei suoi abitanti.

Il primo è magnifico e geniale: protagonista è lo spiantato poeta Raggles che si avventura nelle città e le corteggia come fossero donne, ognuna con le sue caratteristiche. Da Chicago (“..che ti piomba addosso”) all’elegante e casalinga  Pittsburg, passando per New Orleans e Boston, per arrivare a New York.

Una Manhattan frenetica e indifferente dalla quale Raggles si sente dapprima ignorato e respinto; poi è un incidente a fargli scoprire il vero cuore della città.

I brani successivi non sono da meno, abitati da cameriere che sognano ricchezze, ricche fanciulle che si fingono povere, broker che lavorano per un futuro migliore e incontri che sarebbero perfetti se solo ognuno si mostrasse per quello che è realmente.

Partiti in confusione, sardine affogate, tecnici disastrosi…

COMMENTARII  di Augusto Grandi / Nel caos rispunta la società civile? 

Mentre gli amministratori locali insistono con diktat più o meno assurdi, più o meno dettati dall’incapacità e dalle proprie paure, la società civile si prepara per “andare a comandare”. I politici hanno fallito.

Non hanno saputo affrontare l’emegenza, e questo può essere comprensibile, ma hanno dimostrato di non essere in grado di gestire neppure l’ordinaria amministrazione. E questo è molto, ma molto, più grave.

L’unica arma di difesa rimasta ai politici è il totale fallimento delle esperienze di governo affidate ai tecnici: i disastri provocati dalla banda Monti non sono stati dimenticati.

Però una soluzione deve essere individuata. Roma e Torino andranno al voto il prossimo anno, lìder minimo permettendo, ed è evidente che Raggi ed Appendino non sono più accettabili alla guida delle rispettive città. Le grandi manovre per il “dopo” sono già iniziate ed i pentastellati tentano la carta disperata della tenuta del governo nazionale per imporre al Pd un’alleanza nelle due città, in modo da tentare la riconferma dei due sindaci…

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