Rubriche

Amelia e le tristi letture

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Amelia aveva circa quarant’anni ma ne dimostrava almeno venti di più. Colpa dei capelli incanutiti precocemente e della schiena curvata dalla fatica del lavoro nel cotonificio.

Quanta strada aveva fatto su e giù nei reparti dello stabilimento, tra le spole dei telai  e  le balle di cotone. Non si era certo risparmiata in quel duro lavoro ma nemmeno aveva avuto alternative perché doveva pur guadagnarsi da vivere dopo essere rimasta orfana di entrambi i genitori. Quel pane amaro, con la fatica e il sudore della fronte come companatico, se lo era guadagnato per intero, dal giorno in cui aveva compiuto undici anni, varcando il cancello dello stabilimento. Le donne nel cotonificio lavoravano tanto e guadagnavano poco. Tutti i giorni, dal lunedì al sabato, dalle 7,30 alle 12,00 e dalle 13,30 alle 18,00. Nei mesi freddi dell’inverno entravano che era ancora scuro e uscivano quando ormai era calato il buio. A quel tempo anche le biciclette erano una rarità e molte, come Amelia, abitavano lontano e dovevano compiere lunghi tragitti a piedi, calzando gli zoccoli in tutte le stagioni e con ogni tempo. C’era chi lo chiamava “il calvario delle femmine” e non c’era in quella definizione nulla d’esagerato. La puntualità e la precisione erano fondamentali. A chi tardava anche di pochi minuti  veniva tolta un’ora di salario e se veniva compiuto un errore sul lavoro si era costretti a pagare una multa che veniva detratta dalla paga. Anche Amelia aveva iniziato, come tutte, dalle mansioni più semplici. Lei e le altre ragazzine erano state ausiliarie, attaccafili e spolatrici e poi, dopo un rapidissimo apprendistato, messe al telaio. Si era fatta donna in fabbrica, contribuendo con il proprio lavoro  al sostentamento della famiglia della zia Carla. Aveva fatto i conti con quella dura realtà subendo torti e soprusi, ingoiando rospi in silenzio ma mai  aveva perso l’allegria e l’ironia ereditate dalla sua povera mamma. Nel tempo aveva ottenuto la qualifica di maestra e con quella la responsabilità di insegnare il lavoro alle altre, verificando che non commettessero errori, rispettando tempi e ritmi nell’opificio. Cercava sempre di essere di manica larga, raramente alzava la voce e aiutava le ragazze a trarsi d’impaccio quand’era necessario. Anche per questo era ben voluta e ascoltata. A volte prendeva in giro le più giovani e, in fondo anche se stessa, raccontando una storia di grande dolore e affanno. “Care ragazze, ogni sera apro un libro che mi è molto caro e ogni pagina che leggo mi strappa lacrime e sospiri”. Le ragazze , incuriosite, si stringevano attorno a lei in un capannello. E si chiedevano quale mai fosse questo libro che squassava il cuore della signora Amelia che era una donna fatta e non era certo nell’età dei facili turbamenti. Che storie vi si narravano? Imbrogli amorosi? Intrighi, sotterfugi, indicibili trame che provocavano inconfessabili pensieri? E chi erano gli autori? Era la letteratura rosa di Liala o  l’umorismo un po’ osé di Pitigrilli? O si trattava forse di un racconto di Carolina Invernizio? Amelia lasciava che la loro fantasia corresse, che sognassero a occhi aperti. Cosa costava immaginare d’essere protagoniste di quelle storie dove le eroine erano sempre povere e romantiche, a volte coraggiose e decise, ben disposte a credere nei grandi amori anche se spesso celavano cocenti delusioni che lasciavano i cuore infranti? Non era un peccato regalare speranze, e a volte illusioni, a gente semplice che aveva bisogno di sognare per dimenticare per un istante la dura realtà di tutti i giorni. Ma poi, per non tirarla troppo per le lunghe, svelava il mistero. Quel libro s’intitolava “Lina Curletti,alimentari e affini”. Negli anni che precedettero la guerra anche Amelia, come tante,  faceva la spesa con il libretto. Tanto le serviva e tanto comprava, ben attenta a non fare un passo che fosse più lungo della gamba.La signora Lina,proprietaria dell’emporio dove si trovava un po’ di tutto, dal cibo al sapone, dalle scope di saggina alle candele, segnava gli acquisti e le relative cifre sulle pagine a righe del quadernetto con la copertina nera dove, nell’unico rettangolino bianco, erano scritti il nome e cognome del proprietario e quello del negoziante. Nel suo caso, con una calligrafia chiara e pulita, si leggeva in inchiostro blu il suo come e cognome – Amelia Donati – accanto a quello della Curletti. Fare la spesa con il libretto era un sistema di pagamento posticipato a fine mese, quando arrivava lo stipendio.Si “segnava” sulle pagine l’importo della spesa,generalmente sostenuto presso l’unico esercizio commerciale del paese. Era un credito che il negoziante faceva al cliente sulla fiducia, riempiendo di cifre e parole le righe,giorno dopo giorno. La sua lettura rappresentava un richiamo costante alla realtà e alla consapevolezza che spesso i denari erano scarsi e mancava “il due per far tre” nelle povere tasche di chi viveva del proprio lavoro. Per questa ragione i sospiri e lacrime erano ben più sentiti di quelli che poteva suscitare un romanzo d’appendice. E le risate delle ragazze, di fronte a questa storia, tradirono un po’ di quell’amaro che la vita riserva ogni giorno a chi deve con fatica mettere insieme il pranzo con la cena. E Amelia offrì alcune delle caramelle “Rossana” che portava in tasca per “donare quell’ attimo di dolcezza” che almeno per un istante scacciasse via quella nota di malinconica tristezza.

 

Marco Travaglini

(Foto di Aplasia Wikipedia)

Terrina di pasta con verdure, variante vegetariana della pasta al forno

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Una deliziosa variante vegetariana della tradizionale pasta al forno.
Senza pomodoro, ma ugualmente ricca di sapore. Un primo piatto ghiotto ed originale.

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Ingredienti

300gr.di pasta corta
1 porro
2 carote
300gr. di verza
200gr.di zucca
1 piccola melanzana
500ml. di besciamella
1 mozzarella
200gr. di prosciutto cotto
Parmigiano grattugiato q.b.
Olio, sale, pepe, noce moscata

Preparare le verdure, tagliarle a piccoli pezzi e stufarle per 20 minuti in padella con un poco di sale. Lasciar raffreddare e mescolare con il prosciutto cotto tritato, il pepe, la noce moscata ed il pepe. Preparare la besciamella con mezzo litro di latte.
Lessare la pasta al dente.
Mescolare la pasta con le verdure e la mozzarella a tocchetti, trasferire il tutto in una terrina imburrata, coprire con la besciamella e in ultimo cospargere con il parmigiano grattugiato.
Passare in forno a 200 gradi per circa 15/20 minuti, finche’ si sarà formata una crosticina dorata.

Paperita Patty

Oggi al cinema. Le trame dei film nelle sale di Torino

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A cura di Elio Rabbione

30 notti con il mio ex – Commedia. Regia di Guido Chiesa, con Edoardo Leo, Micaela Ramazzotti e Anna Bonaiuto. La moglie di Bruno, Terry, è appena uscita da una clinica di igiene mentale e il consiglio della psichiatra è che vada a trascorrere un mese in casa del suo ex, Bruno, cinquantenne dall’ordine e dalle emozioni irrinunciabili. Dopo un primo rifiuto, l’uomo dovrà accettare la situazione, rendendosi anche conto che l’esistenza squinternata e la esuberanza della donna portano un piacevole scompiglio nel solito tran tran di casa. Motivi non ultimi per guardare al passato con occhi diversi e al futuro con una nuova speranza. Durata 102 minuti. (Massaua, Reposi sala 1, The Space Torino, Uci Moncalieri)

Le assaggiatrici – Drammatico. Regia di Silvio Soldini, con Elisa Schlott. Autunno 1943. La giovane rosa, in fuga da Berlino colpita dai bombardamenti, raggiunge un piccolo paese isolato vicino al confine orientale. Qui è dove vivono i suoceri e dove il marito, impegnato al fronte, le ha scritto di rifugiarsi in attesa del suo ritorno. Rosa scopre subito che il villaggio, apparentemente tranquillo, nasconde un segreto: all’interno della foresta con cui confina, Hitler ha il suo quartier generale, la Tana del Lupo, Il Führer vede nemici dappertutto, essewre avvelenato è la sua ossessione. Una mattina all’alba Rosa viene prelevata, con altre giovani donne del villaggio, per assaggiare i cibi cucinati per lui. Divise tra la paura di morire e la fame, le assaggiatrici stringeranno tra loro alleanze, amicizie e patti segreti. Da un fatto vero, dal romanzo di Rosella Postorino. (Eliseo, Fratelli Marx sala Chico, Ideal)

Biancaneve – Fiabesco. Regia di Marc Webbe, con Rachel Zegler e Gal Gadot. Biancaneve, bellissima principessa, è rimasta sola dopo la morte dei suoi genitori, il Re Buono e la Regina Buona, e deve combattere contro le macchinazioni della Regina Cattiva che vorrebbe vederla morta. Ha l’aiuto dei sette nani, che lavorano in una miniera di diamanti, e del ladro Jonathan. Durata 119 minuti. (The Space Beinasco)

Black Dog – Doppio gioco – Thriller. Regia di Steven Soderberg, con Cate Blanchett, Michael Fassbender e Pierce Brosnan. George Woodhouse, agente segreto di Sua Maestà, è incaricato di una difficile missione: dovrà, in una sola settimana, per ordine del suo diretto superiore Meacham, scoprire il colpevole della fuga di notizie al cui centro è un software conosciuto con il nome in codice Severus. Cinque gli agenti sospettati, tra i quali Kathryn, la moglie di George. Durante una cena in comune, l’agente dovrà smascherare che è il traditore del gruppo. Alla morte, quella stessa sera, di Meacham, ecco che George vede crescere i propri sospetti nei confronti della moglie. L’uomo si ritrova questa volta diviso tra l’amore per lei e il dovere nei confronti del suo paese. Durata 93 minuti. (Massaua, Eliseo Grande, Fratelli Marx sala Groucho anche V.O., Ideal, Nazionale sala 1 anche V.O., The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Il caso Belle Steiner – Thriller. Regia di Benoît Jacquot, con Guillaume Canet e Charlotte Gainsbourg. Lui, Pierre, è un insegnante di matematica e lei, Cléa, lavora in uno studio d’ottica, non hanno figli, conducono una vita tranquilla in una piccola città. Le loro vite vengono sconvolte quando Belle, la figlia di un’amica e alla quale hanno dato ospitalità, viene trovata uccisa nella sua stanza. L’uomo diventa il principale sospettato dal momento che era l’unico presente in casa nel momento del delitto. Tratto dal romanzo di Simenon “La morte di Belle”. Durata 97 minuti. (Nazionale sala 3)

Eden – Drammatico. Regia di Ron Howard, con Jude Law, Vanessa Kirby, Daniel Brühl e Ana de Armas. Nel 1939, il dottor Friedrich Ritter e sua moglie Dora fuggono dalla Germani di Hitler per trovare rifugio nell’isola di Floreana, nelle Galapagos. Troveranno una famiglia di coloni e saggeranno l’arrivo di una sedicente quanto felina baronessa, con amici/amanti al seguito. Sul finale ci scapperà qualche morto, pur tra paesaggi e panorami mozzafiato, rinunciando a quello studio di caratteri che in un cinema autentico, senza fregature, dovrebbe essere tutt’altra cosa. Grandi mezzi produttivi, insoddisfacenti interpretazioni, strombazzata presentazione in anteprima mondiale all’ultimo Torino Film Festival. Possiamo benissimo risparmiarci il dovere di vederlo (ho già dato, in quell’occasione). Durata (prolississima) 129 minuti. (Ideal)

La fossa delle Marianne – Commedia drammatica. Regia di Eileen Byrne, con Luna Wedler e Edgar Selge. Paula continua a essere vittima di un incubo, continua a ritrovarsi nel buio di un fondale marino, con un bambino per il quale come lei è impossibile risalire. Quell’incubo ha un passato e una ragione, Paula ha da poco tempo perso il fratellino annegato nel mare di Trieste mentre si trovava in vacanza con lei e lei da allora è colpita da un senso di colpa. Un giorno, all’interno di un cimitero, la ragazza incontrerà per caso un uomo, che tenta disperatamente di rubare l’urna della moglie defunta, prima che la polizia lo cattura: insieme intraprenderanno un viaggio avventuroso verso l’Italia a bordo di un camper sgangherato. Durata 87 minuti. (Fratelli Marx sala Harpo)

La gazza ladra – Commedia. Regia di Robert Guédiguian, con Ariane Ascaride e Jean-Pierre Darroussin. Maria si occupa con amore di alcune persone anziane, e non poche volte fa la cresta sulla spesa che fa per loro. Per un unico motivo: mettere da parte un po’ di quattrini per poter far dare al nipote, ragazzino quantomai dotato, delle lezioni private di pianoforte, per cui ha già preso contatti con il miglior maestro di Marsiglia. Si spinge anche a firmare assegni che sa benissimo non potrà mai assolvere. Grazie all’intervento di qualche anima buona, il caos annunciato rientrerà presto in tutto il suo ordine. Durata101 minuti. (Centrale anche V.O., Due Giardini sala Ombrerosse, The Space Torino, Fratelli Marx sala Chico)

Guida pratica per insegnanti – Commedia. Regia di Thomas Lilti, con François Cluzet e Vincent Lacoste. Siamo al rientro dalle vacanze estive, all’inizio di un nuovo anno scolastico, e tra i docenti dell’istituto arriva Benjamin, un giovane dottorando senza borsa di studio che accetta di fare il supplente di matematica per potersi pagare gli studi. Spinto anche dalla famiglia a fare questa prima esperienza nell’insegnamento, Benjamin capirà presto quanto sia difficile questo lavoro. I suoi colleghi, con più esperienza di lui e momento affiatati tra loro gli mostreranno quanta dedizione e tenacia ci vogliano per andare avanti in questa professione. Il sistema dell’istruzione pubblica è un vero e proprio campo di battaglia, in piena crisi ed estremamente fragile. Benjamin dovrà contare sulle proprie forze e affrontare le dure prove alle quali verrà sottoposto, in un mestiere che si rivelerà più impegnativo e serio rispetto a quello che aveva immaginato. Durata101 minuti. (Classico anche V.O.)

Ho visto un re – Commedia. Regia di Giorgia Farina, con Edoardo Pesce, Sara Serraiocco, Marco Fiore e Blu Yoshimi. 1936, durante la Campagna d’Etiopia. Annibale è un gerarca fascista che sta educando il figlio Emilio secondo i canoni e le leggi che il regime va imponendo, cercando di farne un ottimo e grande balilla. Ma Emilio rifiuta quelle norme, ha un mondo tutto suo di fantasia, di smisurata immaginazione: la sua vita cambia quando un giorno vede richiuso nella voliera che sta al centro del giardino del podestà un giovane guerrigliero etiope, un prigioniero di cui tutti hanno paura. Ma non Emilio, che con Abraham stringerà una forte amicizia. Durata 100 minuti. (Reposi sala 4, Uci Lingotto, Uci Moncalieri)

In viaggio con mio figlio – Commedia drammatica. Regia di Tony Goldwyn, con Bobby Cannavale, Vera Farmiga, Whoopi Goldberg e Robert De Niro. Max Brandel è un comico di scarso successo che è tornato a vivere con il padre Stan dopo aver mandato all’aria la carriera e il matrimonio. Dopo aver discusso con l’ex moglie Jenna su come gestire il figlio ezra, un undicenne brillante e affetto da autismo, Max decide di rapire l’adolescente e intraprendere con lui un viaggio attraverso gli Stati Uniti. Durata 95 minuti. (Romano sala 1, The Space Torino, Uci Lingotto, Uci Moncalieri)

Julie ha un segreto – Drammatico. Regia di Leonardo Van Dijl, con Tessa Van den Broeck e Laurent Caron. Julie è un’ottima giocatrice di tennis, il suo è un vero talento, quando un giorno una compagna verrà uccisa il suo allenatore sarà indagato. Interrogata e spinta da tutti a riferire di quanto è a conoscenza, Julie deciderà di mantenere il più stretto silenzio sull’intera vicenda. Durata 97 minuti. (Centrale V.O.)

Lee Miller – Drammatico, biografico. Regia di Ellen Kuras, con Kate Winslet, Alexander Skarsgard, Marion Cotillard e Hosh O’Connor. Lee, ex modella statunitense per Vogue dall’età di 19 anni e grande appassionata di fotografia, parte per l’Europa durante la Seconda Guerra Mondiale in veste di fotoreporter proprio per la celebre rivista. La sua missione sarà quella di documentare le atrocità della guerra e mostrare al mondo il vero volto della Germania nazista. Attraverso i suoi scatti denuncerà i crimini perpetrati nei confronti degli ebrei e delle minoranze nei campi di concentramento. La giornalista produrrà un enorme archivio tra foto e appunti lasciando un’inestimabile testimonianza di quel periodo durissimo in cui lei stessa dovrà fare i conti con alcune verità del suo passato. Durata 116 minuti. (Greenwich Village sala 3)

Nonostante – Drammatico. Regia di e con Valerio Mastandrea, con Dolores Fonzi, Barbara Ronchi e Laura Morante. Un uomo trascorre serenamente le sue giornate in ospedale senza troppe preoccupazioni. È ricoverato da un po’ ma quella condizione sembra il modo migliore per vivere la sua vita, al riparo da tutto e da tutti, senza responsabilità e problemi di alcun genere. Quella preziosa routine scorre senza intoppi fino a quando una nuova persona viene ricoverata nello stesso reparto. È una compagna irrequieta, arrabbiata, non accetta nulla di quella condiziione soprattutto le regole non scritte. Non è disposta ad aspettare, vuole lasciare quel posto migliorando o addirittura peggiorando. Vuole vivere come si deve o morire, come capita a chi finisce lì dentro. Lui viene travolto da quel furore, prima cercando di difendersi e poi accogliendo qualcosa di incomprensibile. Quell’incontro gli servirà ad accettare che se scegli di affrontare veramente il tuo cuore e le tue emozioni, non c’è alcun riparo possibile. Durata 92 minuti. (Romano sala 3)

Operazione Vendetta – Azione. Regia di James Hawes, con Rami Malek, Laurence Fishburne e Rachel Brosnahan. Un crittografo della Cia perde la moglie in un attentato terroristico a Londra. Deciderà di passare all’azione con una pericolosissima missione di vendetta, nel tentativo di scoprire chi ci sia dietro quella morte: da Berlino a Casablanca a Istanbul, dovrà combattere e destreggiarsi tra spie e sparatorie e mercenari pronti a tutto. Nella scoperta finale di macchinazioni e inattesi giochi politici. Durata 123 minuti. (Lux sala 1, Uci Lingotto)

I peccatori – Azione, horror. Regia di Ryan Cooper, con Michael B. Jordan e Miles Caton. Due fratelli, che prima hanno combattuto tra le trincee e gli attacchi della Grande Guerra in Europa, poi hanno cercato di farsi strada tra la malavita di Chicago. Tornati definitivamente sulle rive del Mississippi dove sono nati, acquistano un grande edificio per trasformarlo in un locale da gioco e dove anche la musica trovi spazio, per la popolazione nera della zona. Una sera tre uomini bianchi entrano prepotentemente nel locale: e presto tutti verranno a conoscenza che non sono chi dicono di essere. Durata 137 minuti. (Ideal, The Space Torino, The Space Beinasco)

Queer – Drammatico. Regia di Luca Guadagnino, con Daniel Craig e Drew Starkey. All’inizio degli anni Cinquanta, William Lee è un americano, cinquantenne, omosessuale, espatriato a Città del Messico. Passa le sue giornate più o meno in solitudine, se si escludono le poche relazioni con gli altri membri della piccola comunità americana, trascorrendo le proprie giornate da un bar all’altro a bere bicchieri di tequila. Fino al giorno in cui ha l’incontro con il giovane Eugene Allerton, ex militare appena arrivato in città: per l’uomo è l’occasione per la prima volta di guardare alla possibilità di stabilire finalmente una connessione intima con qualcuno. Dal romanzo omonimo di William S. Burroughs. Durata 135 minuti. (Eliseo, Massaua, Massimo V.O., Nazionale sala 3, The Space Torino)

La solitudine dei non amati – Drammatico. Regia di Lilja Ingolfsdottir. Maria ha due figli e vive separata dal marito. Una sera incontra Sigmund, con cui prova a ricostruire una nuova famiglia. Ma il rapporto non si dimostra stabile, hanno inizio incomprensione e rabbia: Maria sarà costretta a una nuova separazione, chiedendosi se il rapporto con se stessa e con le persone che le stanno accanto sia sbagliato, se ancora ci sia spazio per un rapporto con Sigmund. Durata 101 minuti. (Fratelli Marx sala Harpo)

Sons – Drammatico. Regia di Gustav Moller, con Sidse Babett Knudsen e Dar Salim. Il film narra la storia della guardia carceraria Eva, la cui professionalità viene messa iun discussione dalla giustizia, dal momento in cui l’assassino di suo figlio viene rinchiuso nella prigione dove lei lavora. La donna chiede di essere trasferita nel reparto dove è detenuto i’omicida, senza rivelare, però, il legame che lei ha con il carcerato. Il desiderio di vendetta di Eva cresce sempre più, fino a mettere in gioco la sua morale e anche il suo stesso futuro. Durata 100 minuti. (Greenwich Village sala 2 V.O.)

Sotto le foglie – Commedia, thriller. Regia di François Ozon, con Josiane Balasko, Ludivine Sagnier e Hélène Vincent. La premurosa nonna Michelle vive la sua tranquilla pensione in un piccolo villaggio della Borgogna, vicino alla migliore amica Marie-Claude. Michelle non vede l’ora di trascorrere l’estate con il nipote Lucas, ma quando sua figlia Valérie e Lucas arrivano a casa le cose iniziano a prendere una strana piega e nulla sembra andare per il verso giusto: Valérie mangia dei funghi velenosi raccolti da Michelle e il ritorno di Vincent, il figlio di Marie-Claude appena uscito di prigione, sembra sconvolgere ulteriormente gli equilibri. Designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani: “Con la consueta sensibilità, Ozon descrive un paesaggio geografico e umano all’apparenza soave, dove le persone al contrario prima o poi mostrano comportamenti inaspettati, facendo emergere, sotto le foglie, il panorama problematico dei rapporti familiari e amicali, con la vicenda che si tinge di giallo, ambiguamente tra gesti amorevoli e sospetti atroci.” Durata 101 minuti. (Nazionale sala 3)

Storia di una notte – Drammatico. Regia di Paolo Costella, con Anna Foglietta, Giuseppe Battiston e Luigi Diberti. Piero ed Elisabetta si sono conosciuti e amati molto presto, riuscendo a costruire una famiglia felice. Ma un lutto terribile li ha colpiti: Flavio, il maggiore dei loro figli, è morto. Da quel momento per Piero ed Elisabetta tutto si disfa. Separati e lontani si ritrovano a Cortina. I loro figlio Denis e Sara li hanno convinti a passare le vacanze di Natale insieme. Qui un altro evento inaspettato li costringe a fare i conti con loro stessi. Durata 90 minuti. (Due Giardini sala Nirvana, Romano sala 3, Uci LingottoThe Space Beinasco, Uci Moncalieri)

The Accountant 2 – Azione. Regia di Gavin O’Connor, con Ben Affleck e Jon Bernthal. Dopo nove dacchè il Dipartimento del Tesoro ha smantellato il Living Robotics, con l’aiuto del Contabile. Raymond King, ex direttore dell’ufficio per la lotta alla criminalità finanziaria, riciclatosi con l’apertura di un’agenzia di investigazione, viene ucciso allorché s’imbatte in una caso troppo pericoloso: Marybeth Medina, che aveva preso il suo posto, è ora l’unica persona a raccogliere informazione su quel mondo criminale ma per combatterlo ancora una volta avrà bisogno dell’appoggio del Contabile. Durata 132 minuti. Massaua, Ideal, Reposi sala 5, The Space Torino, Uci Lingotto, Uci Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Una figlia – Drammatico. Regia di Ivano De Matteo, con Stefano Accorsi, Ginevra francescono e Michela Cescon. Pietro è un uomo di mezza età con un grande dolore alle spalle: la morte di sua moglie che lo ha lasciato solo con la loro figlia. Non ha avuto il tempo per il dolore perché ha dovuto occuparsi di lei crescendola con amore e dedizione in un rapporto esclusivo, totalizzante, in cui uno curava le ferite dell’altro attraverso le proprie. Quando, dopo qualche anno, proverà a rifarsi una vita con una nuova compagna, non tutto andrà come sognato: la relazione di sua figlia sarà esplosiva e Pietro sarà messo a dura prova. Si ritroverà a lottare tra rabbia e istinto paterno: quanto le può perdonare? Quanto è più forte l’amore della ragione? Durata 103 minuti. (Nazionale sala 4, Reposi sala 5, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

La vita da grandi – Commedia drammatica. Regia di Greta Scarano, con Matilda De Angelis, Yuri Tuci, Maria Amelia Monti e Paolo Hendel. Irene sta costruendo una vita regolare a Roma, quando è costretta a tornare a Rimini, la sua città natale, per prendersi cura di Omar, suo fratello autistico di 40 anni. Scoprirà che Omar ha idee chiare sul suo futuro: non vuole in nessun modo vivere con lei una volta che i genitori non ci saranno più. Convince Irene a tenere per lui un corso intensivo di adultità che gli permetta di essere autonomo, ma soprattutto di realizzare i suoi sogni, come partecipare al Talent che lo renderà un cantante famoso. Durata 90 minuti. (Romano sala 3)

UniTo: quando interrogavano Calvino

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Torino e la Scuola

“Educare”, la lezione che ci siamo dimenticati
Brevissima storia della scuola dal Medioevo ad oggi
Le riforme e la scuola: strade parallele
Il metodo Montessori: la rivoluzione raccontata dalla Rai
Studenti torinesi: Piero Angela all’Alfieri
Studenti torinesi: Primo Levi al D’Azeglio
Studenti torinesi: Giovanni Giolitti giobertino
Studenti torinesi: Cesare Pavese al Cavour
UniTo: quando interrogavano Calvino
Anche gli artisti studiano: l’equipollenza Albertina

 

9 UniTo: quando interrogavano Calvino

Lo dico subito: tengo molto al tema di questo articolo e non medierò in nulla la mia passione per l’autore che andrò ad affrontare quest’oggi per la mia rubrica sugli studenti torinesi. Si tratta di uno scrittore che purtroppo a scuola non viene approfondito e che rischia, a mio parere, di non essere sufficientemente conosciuto.
Sto parlando di Italo Calvino, nato nel 1923 a Santiago de Las Vegas, (Cuba), da genitori italiani, entrambi docenti universitari di materie scientifiche. In seguito, nel 1925, la famiglia si trasferisce a Sanremo, dove Italo trascorre l’adolescenza e compie il primo ciclo di studi, infine, nel 1941, si trasferisce a Torino per frequentare l’Università di Agraria. Nel 1943 entra nella brigata comunista Garibaldi. Dopo la guerra, nel ’45, Calvino lascia la Facoltà di Agraria e si iscrive a Lettere e nello stesso anno aderisce al PCI. Alla Facoltà di Lettere di Torino si laurea nel 1947 con una tesi su Joseph Conrad. A Torino entra in rapporto con Natalia Ginzburg e Cesare Pavese a cui sottopone i suoi racconti. Inizia a collaborare con il quotidiano “l’Unità” e con la rivista “Il Politecnico” di Elio Vittorini. Nel frattempo si afferma la celebre casa editrice torinese Einaudi (fondata nel ‘33 da Giulio Einaudi), all’interno della quale collaborano Pavese e Vittorini, di cui Calvino è diventato ormai grande amico. Grazie a Pavese viene pubblicato nel 1947 il primo romanzo di Italo “Il Sentiero dei nidi di ragno”. Le sue doti di scrittore non possono passare inosservate, così due anni più tardi esce una prima raccolta di racconti “In ultimo viene il corvo” (1949), seguito da una moltitudine di altri successi. Nel ‘57 lascia il PCI, e nello stesso periodo collabora con diversi giornali, tra cui “Officina”, rivista fondata da Pier Paolo Pasolini, e dirige con Vittorini la rivista “Menabò”.

Dopo i successi lavorativi, nel 1962, Calvino incontra l’amore, conosce infatti Esther Judith Singer, una traduttrice argentina con cui si sposa – a Parigi- nel 1964. Italo rimane con la compagna nella capitale francese fino al 1980, anno in cui si trasferisce a Roma e pubblica “Palomar”. Nel 1984 lascia Einaudi e passa a Garzanti. Nel 1985 riceve il riconoscente invito da parte dell’Università di Harvard a tenere una serie di conferenze. Italo accetta e inizia a preparare le sue lezioni, ma, purtroppo, viene colto da un ictus improvviso nella sua casa a Roccamare, presso Castiglione della Pescaia. Muore pochi giorni dopo a Siena, nella notte tra il 18 e il 19 settembre. I testi tuttavia vengono pubblicati postumi nel 1988 con il titolo “Lezioni americane: sei proposte per il prossimo millennio.” Per quel che mi riguarda, Calvino l’ho scoperto per caso, curiosando tra i molti libri che a casa ci sono sempre stati, giocando a leggere titoli che mi suggerivano storie elaborate e fantasiose. Ricordo una copertina sul verde, leggermente consunta, avvolgeva delle pagine ingiallite: era la trilogia de “I nostri antenati”. È stata una delle prime opere che ho letto con attenzione e totale trasporto, ho da subito amato lo stile lineare e lucidissimo dell’autore, il suo modo semplice di raccontare con misurato rigore, le parole fluide che si dispongono quasi in automatico a comporre le frasi, come pezzi di un puzzle che per forza così si devono incastrare.

Leggere Calvino è bello. Lasciarsi trasportare dalle trame dei suoi racconti è un’esperienza avvolgente, completa, rilassante, ma anche occasione di riflessione, perché Italo non è solo maestro della narrazione, ma anche uomo di grande cultura e forbito pensatore. Calvino tuttavia, prima di diventare un grande fra i grandi, fu uno studente fra gli studenti, e viene un po’ da sorridere all’idea di immaginarselo di fronte all’Università, intento a rivedere gli appunti e a ripassare per gli esami, mentre sfoglia velocemente i propri libri. E fa ancora più meraviglia immaginarselo lì, forse lievemente impaurito, in attesa di essere interrogato da qualche professore per cui provava magari timore reverenziale. Certamente di professori che incutevano, diciamolo pure, “paura” all’Università di Torino ne sono passati molti, e la storia dell’istituzione è decisamente antica. Le origini dell’Università degli Studi Torino risalgono ai primi anni del XV secolo. Dopo la morte improvvisa di Gian Galeazzo Visconti alcuni docenti delle Università di Pavia e Piacenza proposero a Ludovico di Savoia-Acaia la creazione dello “Studium Generale” di Torino, in quanto sede vescovile e crocevia della rete di collegamenti tra la Francia, la Liguria e la Lombardia. La nuova Università nacque ufficialmente nel 1404 con la bolla di Benedetto XIII, papa di Avignone.
Dal 1443 fino all’inaugurazione del prestigioso palazzo di via Po vicino a Piazza Castello nel 1720, l’Università ebbe sede nel modesto edificio acquistato e ristrutturato appositamente dal Comune all’angolo tra via Dora Grossa, l’attuale via Garibaldi, e via dello Studio (poi via San Francesco d’Assisi).

L’Università torinese, pur non competitiva rispetto alle altre grandi Università italiane, era comunque di grande rilievo, non dimentichiamo che Erasmo da Rotterdam vi conseguì la laurea in Teologia nel 1506. Particolarmente floridi per l’Università furono gli anni delle riforme di Carlo Alberto (1831-1849). Il periodo albertino è caratterizzato dallo sviluppo di alcuni istituti, dalla creazione di nuovi e dalla presenza sul territorio di docenti di prestigio, quali ad esempio Augustin Cauchy, matematico e ingegnere francese, o Pier Alessandro Paravia, letterato e mecenate italiano di grande fama. Nel corso degli anni molte furono le innovazioni e le modifiche che i vari corsi subirono, per esempio, nel 1844 le Facoltà di Medicina e di Chirurgia furono nuovamente riunite e riformate, mentre nel triennio 1846-48 si provvide, tra forti contrasti e resistenze, a riformare la Facoltà di Scienze e Lettere che il 9 ottobre 1848 cessò di esistere. Si istituirono due Facoltà separate, una di “Belle Lettere e Filosofia” e l’altra di “Scienze Fisiche e Matematiche”, quest’ultima tra l’altro poteva vantare nomi di docenti illustri quali Avogadro, Bidone, Plana, Giulio, De Filippi, Sobrero, e Menabrea. Continuando per una più che rapida carrellata storica, è necessario ricordare un altro momento storico cruciale, non solo per la storia della Scuola, ma per la Storia con la “S” maiuscola. La riforma Gentile, varata nella prima metà del 1923, che riconobbe 21 Università e inserì quella di Torino tra le dieci a carico dello Stato. Siamo durante il ventennio fascista, periodo in cui l’Ateneo torinese cercò di mantenere la massima autonomia didattico-scientifica. Quando il regio decreto del 28 agosto 1931 stabilì che i docenti avrebbero dovuto giurare di essere fedeli non solo alla monarchia, ma anche al regime fascista, in tutta Italia solo 12 insegnanti su oltre milleduecento rifiutarono di prestare il giuramento, perdendo così la cattedra. Tre di questi erano membri del corpo docente dell’Università di Torino: Mario Carrara, Francesco Ruffini e Lionello Venturi. Nell’ultimo secolo la Facoltà di Lettere ebbe insegnanti come Luigi Pareyson, Nicola Abbagnano, Massimo Mila. A Giurisprudenza insegnarono Luigi Einaudi e Norberto Bobbio. Molti tra i protagonisti della vita politica italiana del Novecento si formarono all’Università di Torino, come Gramsci e Gobetti, Togliatti e Bontempelli.

Alla fine degli anni Sessanta la nuova (e attuale) sede del “Palazzo delle Facoltà Umanistiche”, noto anche oggi come “Palazzo Nuovo”, trovò spazio nella moderna costruzione di Via Verdi. Nel 1998 è stata fondata l’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”. Nel 2012 è stato inaugurato il “Campus Luigi Einaudi”, nuovo polo accademico con funzione di sede unica per i corsi di studio nell’ambito delle Scienze giuridiche, politiche ed economico-sociali. L’identità dell’Università degli Studi di Torino è costituita dal sigillo, il cui primo esemplare risale al 1615. Vi è rappresentato un toro, che indica lo stretto legame dell’Ateneo con la città di Torino, adagiato su tre libri, che alludono alle prime tre Facoltà dello “Studium” torinese: Teologia, Leggi, Arti e Medicina. Il toro ha la testa volta all’indietro verso un’aquila ad ali aperte che poggia sulla groppa dell’animale. L’aquila fissa il sole, simbolo della sapienza, ed è coronata, perché è il re degli uccelli ed è anche insegna dell’imperatore che, con diploma del 1412, aveva confermato la bolla papale di fondazione, risalente al 1404. Sui tre libri sono incise una crocetta, un fermaglio e un altro segno indistinto. Questa la legenda: “SIGILL(um) UNIVERS (itatis) AUGUSTAE TAURINORUM”. Il logo divenne emblema dell’Università dal 1925.

Dopo questo breve “excursus” possiamo focalizzarci nuovamente sul nostro studente per oggi prediletto.
“Gli artisti usano le bugie per dire la verità” dice V, personaggio mascherato da Grey Fox, disegnato da David Loiyd, protagonista di “V per Vendetta”, una serie di fumetti scritti da Alan Moore, allo stesso modo – se mi è permesso l’ardito accostamento tra l’autore italiano e il mondo fumettistico inglese- Calvino usa le sue narrazioni favolistiche come spunto per un’ardita riflessione sull’esistenza e sulla condizione dell’uomo contemporaneo.  L’autore occupa un posto di primo piano non solo nella storia della narrativa ma anche nel nostro panorama culturale italiano, sia per i suoi lucidi interventi di critico militante, sia per la centralità del suo ruolo di collaboratore nella politica editoriale della casa editrice “Einaudi”, dove ha lavorato per trent’anni.
Calvino sostiene una concezione impegnata del lavoro intellettuale e della letteratura, tanto che nel 1955 scrive nel suo saggio “Il midollo del leone”: “Noi pure siamo tra quelli che credono in una letteratura come educazione di grado e di qualità insostituibile”.

La produzione di Calvino, per la varietà di innovazioni fantastiche e per le diverse modalità narrative, non trova eguali in nessun altro autore del Novecento. Il tema costante della sua produzione è la condizione storica dell’uomo, il suo stare al mondo, argomentazione a lui cara sia nei primi scritti, fino al suo ultimo libro “Palomar” (1983) in cui porta avanti una lucida e disincantata analisi della condizione dell’essere umano, che si interroga e che vuole capire se stesso e l’universo in cui vive.
La multiforme produzione calviniana è solitamente divisa in “fasi”: “neorealistica”, “allegorico-fiabesca” e “fantascientifica”. È utile però ribadire che tali classificazioni, che sono elastiche e strumentali, non vanno intese come un’ordinata successione cronologica, con modalità narrative specifiche che si concludono definitivamente una dopo l’altra; è infatti caratteristica preminente in Calvino la coesistenza, spesso anche all’interno dello stesso testo, di atteggiamenti contrastanti, che però egli riesce sapientemente a mediare.

Il suo essere narratore peculiare è evidente già dal suo primo romanzo, edito nel 1947, titolato “Il sentiero dei nidi di ragno”, un testo inseribile all’interno del filone neorealistico. Il libro affronta la tematica della Resistenza, argomento caro a molti altri suoi contemporanei, ma che Calvino espone secondo la sua ottica innovativa e inaspettata, così il lettore si trova catapultato non in un “semplice” romanzo storico, ma in una sorta di “favola a lieto fine”. Protagonista del romanzo è Pin, un bambino maturato velocemente, costretto a conoscere la violenza e la durezza della vita per strada. La vicenda ci è raccontata attraverso il suo sguardo di fanciullo cresciuto, che certo si inserisce nelle vicende degli adulti, ma che comunque non riesce a comprendere del tutto.
La dimensione favolosa e fantastica è di certo la più autentica per Calvino, come dimostrano i romanzi “Il visconte dimezzato” (1952), “Il barone rampante” (1957) e “Il cavaliere inesistente” (1959). Tali opere, conosciute come la trilogia de “I nostri antenati”, fanno capo al genere del racconto filosofico, filone letterario che in Italia non ha mai conosciuto particolari apprezzamenti. Va però detto che, se nel racconto filosofico l’intento è dimostrativo e raziocinante, in Calvino dominano il gusto per l’invenzione e il fantastico. In questi testi favolistici vi è però una sorta di “doppio fondo”, un messaggio nascosto, che il lettore accorto scova se si sofferma a pensare tra un capoverso e l’altro. Si tratta di tre romanzi allegorici sulla condizione dell’uomo contemporaneo, “alienato”, impossibilitato a raggiungere la completezza (come dichiara l’autore stesso nella presentazione editoriale de “Il visconte dimezzato”). Oltrepassiamo la gradevolezza della “fabula” e soffermiamoci dunque sul motivo di fondo del racconto di colui che è “dimidiamento dell’uomo contemporaneo, mutilato, incompleto, nemico a se steso”, o sul principio enunciato dal Barone: “chi vuol guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria” oppure sulla vicenda di Agilulfu, che è solamente un’armatura vuota, metafora dell’essere umano deprivato della sua irripetibile individualità, ridotto a “funzione”, usato come mezzo e non pensato come fine. Favole certo, ma con un “Ὁ μῦθος δηλοῖ ὅτι” (o mythos deloi oti: “la favola insegna che”, di esopica memoria) da non sottovalutare.

L’interesse per la condizione umana è altresì evidente ne “Le Cosmicomiche” e in “Ti con zero” (1967). Si tratta di opere inscrivibili alla fase “fantascientifica”, in cui l’autore attinge alla fisica quantistica, alla genetica e alla biochimica per sottoporre a discussione una moltitudine di problematiche scientifiche. Qfwfq è l’impronunciabile nome dell’entità protagonista, vecchia quanto il mondo e con la stessa memoria del mondo. È proprio tale improbabile personaggio ad analizzare un microcosmo lontano dal nostro, esistente prima della nascita del concetto di spazio e di tempo, nel quale però sono già presentati i conflitti, le tensioni e le dinamiche interpersonali che si incontrano nel mondo di oggi. Anche in questo romanzo psichedelico vi è una riflessione celata all’interno del tessuto narrativo, e l’interrogativo costante è “L’uomo non cambia e i suoi problemi sono immutabili e insolubili”? Al lettore l’ardua sentenza.
L’autore ci coinvolge continuamente e ci esorta a rimuginare, a trarre le giuste conclusioni, ma da sommo Maestro com’è, intanto che aspetta ne approfitta per darci ancora una lezione, che forse ci spiazza e ci costringe ad ingoiare quella minuscola frase che stavamo faticosamente formulando. Nell’opera “Le città invisibili” egli scrive: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abbiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce fatale a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio”. E la domanda rimane aperta: “la favola insegna che?”

Alessia Cagnotto

Fusilli con pesto di fiori di zucca e salmone

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Un primo piatto delizioso, dal tono raffinato e squisitamente delicato. Una magia di colori e sapori. 
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Ingredienti 

320gr. di pasta tipo fusilli 
8 fiori di zucca 
20gr. di pinoli 
50gr. di salmone affumicato 
1 piccolo scalogno 
Sale, pepe, timo, olio evo q.b. 
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Pulire delicatamente i fiori di zucca, eliminare il pistillo interno e tagliare a listarelle. In una larga padella soffriggere con poco olio lo scalogno affettato, aggiungere i fiori di zucca, il sale e il pepe. Cuocere per pochi minuti poi frullare con i pinoli, poco olio, ed un pizzico di sale. Nella stessa padella far saltare per pochi minuti il salmone affumicato precedentemente sminuzzato. Cuocere la pasta al dente, scolarla, saltarla in padella con il pesto ed il salmone, mantecare con un mestolino di acqua di cottura e aromatizzare con un pizzico di timo. Servire subito. 

Paperita Patty 

La giusta severità della maestra Pedrelli

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Quando mi hanno detto che la maestra Pedrelli è andata via dal paese ho provato una grande tristezza. Ora sta nel ricovero per anziani, tra le colline. Non che la notizia sia giunta inaspettata: dopotutto, pur essendo arrivata quasi a novant’anni ancora lucida, aveva da tempo dei problemi alle gambe che le impedivano di far da sola.

Andrò a trovarla, la mia maestra. Lo farò perché ogni volta che passo davanti al vecchio edificio delle scuole elementari il pensiero corre a lei, rigorosa ed esigente, sempre vestita con abiti quasi monacali e dotata di una incrollabile fede nel fatto che ci avrebbe, volenti o nolenti, insegnato a leggere, scrivere e far di conto. Era severa, la Pedrelli, ma giusta. Una sola volta perse del tutto la pazienza, quando prese Riccardo per le orecchie , gridandogli “esci dal banco“, tirandolo energicamente. Ricordo la scena: quello resisteva, avvinghiandosi al doppio banco come un polipo. Era uno di quei banchi di una volta, a due posti, con i buchi per infilarci il calamaio. Era pesante, pesantissimo. La maestra, rossa in volto, lo tirava per le orecchie. Riccardo, a denti stretti, con le labbra bianche per il dolore e le orecchie ormai violacee, non mollava la presa. Toccò alla Pedrelli gettare la spugna e chiamare a gran voce il bidello perché accompagnasse il mio compagno di classe al giusto castigo, dietro alla nera lavagna d’ardesia. Se avesse insistito ancora un po’, le orecchie di Riccardo le sarebbero rimaste in mano. E, nonostante le avesse infilato un rospo ripugnante nella borsetta, non meritava il distacco dei padiglioni auricolari. Per quanto mi riguarda, a scuola mangiavo le matite. Rosicchiavo il rivestimento di legno  fino alla mina e a vlte rimaneva l’ombra della grafite sulle  labbra. Mi rimproverava ma quel vizio era più forte di me. Una perdizione.  C’è voluto del tempo per  farmelo passare anche se alle matite sostituii le unghie delle mani. Le povere unghie , indifese, diventarono il bersaglio contro il quale mi scagliavo quando dentro di me si agitavano paure, disagi e insoddisfazioni. Sarà pure un brutto vizio ma, credetemi, faceva meno male che mangiarsi le matite. Per raggiungere la scuola di strada non dovevo farne tanta. Dalla casa di ringhiera al centro della frazione c’era, più o meno, un chilometro. Scendevo fino al “triangolo”, un prato cintato da un muretto basso che formava quella forma geometrica, dividendo  in due la strada. A destra il lungo il viale alberato che portava al crocevia, al Circolo Operaio e alla vecchia passerella sul Selvaspessa. A sinistra si finiva dritti nel “cuore” del paese. La cartella, a quei tempi, non pesava come quelle dei ragazzini di oggi che viaggiano piegati in due sotto il peso degli zaini affardellati. Avevo avuto la fortuna di ereditarne, da uno zio, una di pelle. Era consumata ( oggi si direbbe “vissuta”)  ma faceva ancora egregiamente la sua parte ospitando la coppia di quaderni a righe e a quadretti, il sussidiario, la cannuccia e i pennini, la matita e la gomma bicolore. Fino all’avvento della cinghia d’elastico, sono andato avanti così, sfruttandone la comodità. Ovviamente avevo il mio bel grembiule blu con un gran fiocco bianco che, immancabilmente, scioglievo senza riuscire a rifarlo: tant’è che la maestra incaricava Laura – più grandicella di un anno –  a rifarmi la galla. Lei, a dire il vero, sembrava ben contenta di quest’incombenza e io la lasciavo fare,  ringraziandola a denti stretti, più per timidezza che per imbarazzo. A quell’epoca, con i capelli tagliati corti e con la riga di lato, mi pareva di mettere in evidenza un orecchio a sventola. Uno solo, il sinistro che, pur essendo appena pronunciato – a causa  della postura a cui ero stato costretto quando avevo pochi mesi di vita, causa una lunga degenza ospedaliera per una brutta gastroenterite – mi pareva un orribile difetto al punto da paragonarmi al brutto anatroccolo. Così cercavo di pareggiare i miei limiti studiando a testa bassa. Quando suonava la campanella, entrava in classe l’insegnante. Tutti in piedi, di scatto, cantilenando un “Buongiorno, signora maestra” accompagnato dall’immancabile preghiera del mattino. Mi annoiavo alle prime prove di scrittura, sotto dettato: pagine di aste e dirampini per imparare a fare il punto interrogativo, seguite a ruota dai cerchi tondi delle “o” a cui s’aggiungeva una timida gambetta in basso a destra per trasformarle in “q di quaderno“. M’annoiavo perché sapevo già leggere e scrivere grazie alla Tv, al maestro Alberto Manzi e alla sua trasmissione “Non è mai troppo tardi“. Realizzate allo scopo di insegnare a leggere e a scrivere agli italiani che avevano superato l’età scolare per contrastare l’analfabetismo, le trasmissioni del maestro Manzi ( che accompagnava le sue parole con degli  schizzi a carboncino su una lavagna a grandi fogli bianchi ) erano di una  semplicità disarmante e anch’io, a poco più di cinque anni, avevo imparato a tenere in mano la penna e ad usare le lettere dell’alfabeto per formare le parole. Sono stati anni felici quelli passati a scuola con la maestra Pedrelli. Ne conservo un buon ricordo, forse annebbiato e ammorbidito dal tempo, ma credo che siano stati davvero così. Del resto, l’età dei bambini è quella per cui si prova la maggior nostalgia e anche i doveri erano tollerati. Ricordo i giochi durante l’intervallo quando – vocianti – invadevamo come delle cavallette il giardino spelacchiato della scuola, dove allo scalpiccio delle nostre scarpe resistevano solo rari e tenaci ciuffi d’erba. Ricordo la pazienza di Giulio Stracchini, operaio del comune addetto alla caldaia che durante inverno alimentava con ciocchi di legno e pezzi di carbone. I più disperati gli nascondevano il berretto per scherzo ma lui non se la prendeva mai: faceva finta di minacciarli, agitando la mano aperta, ridendo con bonomia sotto quei suoi baffoni grigi. E i bidelli? La signora Lia e il signor Gianni: quanta pazienza anche loro. Dovevano pulire le aule, ramazzare i corridoi e sovrintendere al buon funzionamento della scuola. Oggi non ci sono più  ma sono certo che, per aver dovuto sopportare generazioni di ragazzini, si saranno certamente guadagnati un posto tranquillo nel paradiso dei bidelli, dove si può lavorare a maglia o leggere il giornale senza che nessuno dia loro il benché minimo grattacapo. I ricordi me li ravvivano alcuni dei compagni di scuola di allora con i quali, talvolta, ci si incontra per strada. E poi c’è la maestra Pedrelli. Uno di questi giorni andrò a trovarla alla casa di riposo. Sono pronto a scommettere che, dopo avermi salutato, il suo sguardo si poserà sulle mie mani e mi dirà, con tono critico: “Ma come? Ti mangi ancora le unghie, alla tua età?”.

Marco Travaglini

Rock Jazz e dintorni a Torino: Lakecia Benjamin per il TJF e Ermal Meta

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA

Lunedì. Il Torino Jazz Festival propone alle 18 al Teatro Juvarra, Koro Almost Brass Quintet. Alle 21 al Teatro Colosseo il quartetto della sassofonista Lakecia Benjamin. Prima del concerto verrà consegnata la borsa di studio Memorial Sergio Ramella , voluta da AICS Torino APS, a uno studente del Dipartimento Jazz del Conservatorio Giuseppe Verdi. Sempre per il TJF alle 21.30 alle OGR, suona il quintetto di Ettore Fioravanti.

Martedì. Al Torino Jazz Festival alle 18 al teatro Vittoria, si esibisce il pianista Andrea Rebaudengo. Alle 21 sempre per il TJF, il progetto “Flamenco Criollo” del quintetto di Arruàn Ortiz. Alle 19 al Machito, Maria Pascual & The Kind Of Gipsy. Alle 21.30 al Folk Club sempre per il TJF, suona il trio Di Gennaro-Tavolazzi- Zirilli.

Mercoledì. Allo Ziggy si esibiscono i Ductape e i MayFlower Madame. Ultimo giorno del Torino Jazz Festival, con alle 18 al teatro Juvarra, Dudù Kouate 4 TET. Alle 21 all’Auditorium Agnelli del Lingotto, suona Jason Moran Bandwagon & TJF All Stars. Alle 18 all’Amen Bar si esibisce il trio di Sonia Infriccioli. Al teatro Colosseo è di scena Ermal Meta. All’Osteria Rabezzana suona Andrea Abbadia Quartet. Al Blah Blah si esibiscono gli Shandon +i Quarantena.

Venerdì. Al Magazzino sul Po suonano i Kanerva + Michele Veneziano con il progetto Sao Miguel. All’Off Topic suonano i Muito Kaballa. Al Blah Blah sono di scena i Dalila Kayros.

Sabato. Al Blah Blah suona il Melee duo+ i Movion. Allo Ziggy si esibiscono i Darkways + We Are Wawes.

Pier Luigi Fuggetta

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Croccanti spiedini di polpettine di pesce

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Gli spiedini che vi propongo questa settimana sono ideali come finger food per un aperitivo o come antipasto per un menu’ a base di pesce. Le polpettine, croccanti fuori e morbide dentro, si adattano ad essere preparate con diversi tipi di pesce, sono semplici e gustose, ottime servite calde o tiepide.

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Ingredienti

300gr. di filetti di nasello

1 fetta di pancarre’

2 uova

2 cucchiai di pecorino grattugiato

Latte q.b.

Prezzemolo q.b.

Succo di 1/2 limone

Olio per friggere

Sale e pepe q.b.

Pangrattato q.b.

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Cuocere a vapore i filetti di nasello acidulati con il succo del limone poi frullarli con la fetta di pancarre’, precedentemente bagnata nel latte, il pecorino, il sale, il pepe, il prezzemolo tritato e l’uovo intero. Con il composto ottenuto preparare delle piccole polpette che passerete prima nell’uovo sbattuto e poi nel pangrattato. Friggere in abbondante olio caldo, sgocciolare su carta assorbente ed infilzare sullo spiedino. Servire subito. Delicate e deliziose.

Paperita Patty