POLITICA- Pagina 29

La ‘via giudiziaria al potere’ appartiene alla sinistra. Ma non solo

LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo

No, non è uno slogan. E neanche solo un’arma di propaganda poltica. Anzi, la possiamo quasi definire una costante. Poltica, culturale e soprattutto etica. Parliamo di q u e l l a c h e comunemente viene definita come “la via giudiziaria al potere”. Una prassi che appartiene ideologicamente ed ontologicamente alla sinistra italiana. Nella sua versione comunista prima e in quella populista e giustizialista poi. È appena il caso di ricordare, per chi l’avesse dimenticato o avesse poca memoria storica, il sistematico attacco “moralistico” e “giudiziario” del Pci contro il “malgoverno e la corruzione della Democrazia Cristiana”. Per non parlare, com’è altrettanto noto, l’attacco frontale del Pci – politico e anche e sempre di natura moralistica e giudiziaria – ai suoi principali leader e statisti: da Donat-Cattin – il più bersagliato – ad Andreotti, dallo stesso Moro a Cossiga e via elencando. Una tecnica che si è perfezionata con l’avvento della seconda repubblica e dopo l’irruzione del populismo giustizialista dei grillini che è poi diventato la cifra ideologica quasi esclusiva dell’attuale sinistra italiana contro il nemico giurato da delegittimare, appunto, prima sotto il profilo morale e poi da distruggere sul versante politico e giudiziario.
Ma, se vogliamo essere intellettualmente onesti, non possiamo non evidenziare che la “via giudiziaria al potente” appartiene di diritto al pantheon della sinistra italiana ma con discreti e convinti compagni di viaggio. È a tutti noto, del resto, che larghi settori della destra italiana, per non parlare della Lega originaria di Bossi, individuavano proprio nella “via giudiziaria al potere” la strada principe par abbattere l’avversario politico. È anche inutile, al riguardo, ricordare che la stragrande maggioranza della carta stampata del nostro paese – che appartiene prevalentemente alla sinistra nelle sue multiformi espressioni – ha sempre accarezzato e condiviso la deriva della “via giudiziaria al potere”. Una deriva, è bene non dimenticarlo, che era e resta profondamente antidemocratica e, soprattutto, anti costituzionale al di là del quotidiano ed ipocrita giuramento ai valori e ai principi costituzionali.
Insomma, parliamo di una deriva che, anche se blandamente respinta a livello verbale, viene sistematicamente praticata a livello politico. E prima o poi riemerge prepotentemente all’attenzione. È come un fiume carsico che corre nel sottosuolo ma basta un fischio, come si suol dire, e torna centrale nella strategia dei partiti che la cavalcano. Una scorciatoia pericolosa e al tempo stesso inquietante per chi coltiva l’obiettivo di rafforzare la qualità della nostra democrazia da un lato e la credibilità delle istituzioni democratiche dall’altro. Altrochè la democrazia dell’alternanza, il rispetto dell’avversario che non è mai un nemico, la negazione dell’odio nella vita politica e la centralità dei programmi. Qui non siamo, com’è sufficientemente chiaro a tutti coloro che non vivono di pregiudiziali politiche ed ideologiche, solo al “tanto peggio tanto meglio”. Ma, semmai, ci troviamo di fronte alla tenace e pervicace volontà di distruggere il nemico politico non attraverso il mero gioco democratico – cioè con il voto – ma di ricorrere a tutti i mezzi leciti e non pur di abbattere l’odiato nemico. Ed è proprio lungo questo percorso che si inserisce e si incrocia la “via giudiziaria al potere”. Una prassi ben nota e conosciuta nella politica italiana proprio perchè parte da lontano.
Per queste ragioni, semplici ma oggettive, è compito delle forze autenticamente e costituzionalmente democratiche unirsi affinchè questa deriva non abbia di nuovo e definitivamente il sopravvento. Anche perchè, se ciò dovesse consolidarsi per davvero, sarebbe il nostro impianto democratico e costituzionale ad andare irreversibilmente in crisi aprendo le porte ad una democrazia autoritaria da un lato e senza quelle garanzie, dall’altro, che hanno permesso al nostro paese di vivere, almeno sino ad oggi, in un contesto democratico e liberale. E non in quella che comunemente viene definita come “repubblica giudiziaria”.

Merlo: Centro, Calenda lo nobilita, Renzi lo ridicolizza

“Storicamente in Italia il Centro non si è mai nascosto in una ‘tenda’, come pensa e auspica l’ex
comunista Goffredo Bettini all’interno del ‘campo largo’. E Calenda ha ragione, per coerenza ed
onestà intellettuale, nel sostenere che il Centro e una politica di centro non saranno mai compatibili con il populismo di Conte e l’estremismo
massimalista ed ideologico dei vari Fratoianni e Bonelli. Chi propone alleanze rapide ed opportunistiche con questi partiti, come fa il
capo di Italia Viva, lavora solo e soltanto per dissolvere e ridicolizzare scientificamente tutto ciò
che è riconducibile al progetto, alla cultura e ad una politica centrista, riformista e democratica.
Per queste ragioni, e in vista delle ormai prossime elezioni regionali, la posizione di Calenda oltre
ad essere coerente è anche carica di significati politici, culturali e, soprattutto, programmatici”.
On. Giorgio Merlo
Presidente nazionale ‘Scelta Cristiano Popolare’.

La politica tra i leader e i capi

LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo

Insomma, per dirla con Mino Martinazzoli, “nella politica della prima repubblica c’erano i leader
mentre nella seconda ci sono solo più i capi”. Una riflessione antica e per una volta molto secca,
senza le note iperboli care al leader democristiano bresciano. Una nota, però, che riassumeva in
modo straordinariamente efficace la profonda differenza che c’era tra la prima repubblica – l’intera
prima repubblica – e la cosiddetta seconda repubblica. Cioè quando sono arrivati i partiti
personali, la personalizzazione della politica, l’azzeramento delle tradizionali culture politiche e,
soprattutto, il tramonto di una classe dirigente che aveva contribuito a dare lustro, credibilità ed
autorevolezza alla politica del nostro paese. Per queste ragioni, semplici ma oggettive, non
possiamo non recuperare il vecchio ed antico monito di Martinazzoli. Perchè in quel monito si
nasconde non solo la qualità di una classe dirigente ma anche, e soprattutto, il profondo
cambiamento della politica italiana. E, di conseguenza, la qualità della nostra democrazia. Perchè
proprio in quella distinzione c’è il tramonto di una leadership che anticipa i problemi, che sa
governare i processi politici, che amministra un paese con le armi di un progetto e di una visione
di società e che, in ultimo, non teme il confronto con gli avversari perchè lo ritiene decisivo ed
essenziale per perseguire il “bene comune” di un paese. Una leadership che, invece e al contrario,
è stata sostituita con una serie di capi che dispensano ordini da eseguire, che trasformano i partiti
in cartelli elettorali alle strette dipendenze dell’azionista di riferimento e che, soprattutto,
impoveriscono il merito delle questioni sul tappeto. Appunto, dai leader ai capi.
Ora, se vogliamo che la politica recuperi la sua dignità e che i partiti – o ciò che resta di loro –
ritornino ad essere strumenti che producono politica e non contenitori grigi ed insignificanti per
nominare i “fedeli” nei luoghi della rappresentanza istituzionale, la selezione della classe dirigente
è un passaggio fondamentale e decisivo. E questo perchè il ritorno dei leader – nazionali o locali
che siano non c’è differenza alcuna – è il frutto e la conseguenza di una selezione democratica dal
basso della classe dirigente e la promozione di chi sul campo dimostra di avere maggior carisma,
capacità di guida ed autorevolezza culturale e politica.
Insomma, la politica ha delle sue regole, semprechè non voglia diventare una succursale del
peggior populismo grillino o leghista in salsa salviniana. Due derive che confliggono apertamente
con la funzione e il ruolo della buona politica in una società democratica e plurale. Due derive che
vanno combattute ed isolate prima sul versante culturale e poi su quello politico. Certo, se si
pensa di stringere alleanze solide ed organiche con simili partiti e le rispettive sub culture
politiche, è inutile poi lamentarsi se dobbiamo convivere con un contesto di profondo degrado
democratico e costituzionale. Perchè, appunto, quel monito di Martinazzoli resta il vero nodo da
sciogliere per continuare a rinnovare la politica, per ridare qualità alla democrazia e, infine, per
conferire una nuova credibilità ai partiti e alle istituzioni.

Ruffino (Az): “Il governo strizza l’occhio ai No vax”

Il commento dell’on. Daniela Ruffino (Azione):
     Capisco l’intenzione di tenersi buoni Salvini, Vannacci e Bagnai o di non scontentare quella parte di Fratelli d’Italia vicina alle posizioni negazioniste sui vaccini, ma la presidente Meloni farà bene a chiarirsi le idee. A cominciare dal concetto assai bislacco di “pluralismo scientifico”. La scienza non è pluralista, non lo sono le evidenze scientifiche: se un farmaco è stato sperimentato e si conoscono i suoi effetti terapeutici e quelli collaterali, siamo di fronte a un’evidenza che non ammette opinioni diverse. Se la Tachipirina abbassa la febbre, e qualcuno lo nega non siamo nel campo delle opinioni ma in quello degli imbecilli.
     Il ministro Schillaci ha azzerato il comitato Nitag dopo le pressioni del mondo scientifico non perché “dominante” ma perché composto da uomini di scienza che parlano di argomenti che conoscono un po’ meglio del ministro Lollobrigida. A settembre dovrà essere nominato il nuovo Nitag e si potrà capire se Schillaci è un ministro competente o se dovrà piegarsi alle esigenze politiche del governo.

Giachino: “Torino non ha svoltato con Lo Russo, ecco perché bisogna cambiare”

Al ritorno delle ferie in Toscana, il Sindaco Lo Russo, invece di andare a mangiare la pizza con il Gruppo di Barriera di Milano, ha scelto la più comoda piazza d’armi per ballare il liscio e per parlare con La Stampa. Sì perché per sapere le strategie del Sindaco non si deve andare come si è fatto per cinque secoli in Consiglio Comunale dove il Sindaco va una volta su cinque ma possiamo leggerlo tranquillamente da casa sul giornale. Ovviamente senza contraddittorio.
Malgrado siamo a  quattro anni da quando i torinesi, quelli che sono andati a votare, l’hanno eletto,  il Sindaco non ha fatto nessun Bilancio del lavoro svolto ma ci ha comunicato che sta cercando tra gli scontenti del Centro destra e della  sinistra estrema i voti per rivincere alle prossime elezioni che si terranno nel 2027.
La domanda che ogni amministratore pubblico si dovrebbe fare quando ha l’incarico di amministrare la cosa pubblica e’: “oggi Torino e i torinesi sta meglio  o peggio di quattro anni fa quando mi hanno votato? “
Torino oggi sta peggio di come stava il 17 Ottobre 2021 quando gli elettori di sinistra grazie ai tanti torinesi che non andarono a votare, elessero Sindaco Lo Russo.
Le periferie sono ancora più abbandonate, e’ aumentato il lavoro povero, Torino e’ la capitale della cassa integrazione altre aziende grandi e piccole sono scappate o sono state vendute all’estero. Come dichiarano fonti finanziare e il cardinale Repole, i grandi capitali torinesi non vengono investiti nella economia cittadina o regionale. I tempi dei lavori pubblici si sono molto dilatati, piazza Baldissera se va bene avrà una soluzione l’anno prossimo, il sottopasso di corso Giambone funziona a metà da tre anni.Il degrado impera in tante parti della Città dal centro alla periferia.
L’aeroporto torinese ha la metà del traffico rispetto a Bologna. Secondo il CRESME tra le 44 Aree metropolitane europee con oltre 1,5 milioni di abitanti Torino e’ solo 41a, Napoli 43a mentre Lione e’ undicesima. La tangenziale est è ancora un problema irrisolto.
Negli anni della ricostruzione ci fu una grande crescita economica che beneficiò tutti con lavoro, servizi, i lavoratori con i propri stipendi potevano acquistare l’auto , negli ultimi vent’anni di bassa crescita economica sono cresciute le diseguaglianze e la maggioranza della popolazione non è in grado di acquistare un’auto nuova.
La TAV ritarda e i benefici che porterà li sentiremo solo tra 9 anni ma il Sindaco vuole far pace con Askatasuna che lo sappiamo e’ punta di diamante  dei NOTAV.
Non so se La Stampa ascolterà anche chi si oppone alla Amministrazione e in particolare a chi ha saputo guidare ma Società civile torinese nella grande Piazza SITAV del  10.11.2018.
Intanto noi andiamo avanti a raccogliere firme per i Quartieri svantaggiati e dimenticati come Barriera di Milano.
Mino GIACHINO 
SITAV SILAVORO
La petizione:

De Gasperi, un modello ancora oggi per rilanciare economia e lavoro

Caro direttore,

sono venuto alla Messa in ricordo di Alcide DE GASPERI a perché ha molto da dire , insegnare e ispirare a chi si impegna oggi per il bene comune o interesse nazionale. I Governi guidati da lui e che gli sono succeduti hanno dato al nostro Paese il periodo di maggiore crescita economica e di sviluppo sociale. Perché negli anni del Boom economico oltre al lavoro gli italiani si avviarono al benessere nelle case con gli elettrodomestici nella società con l’aumento dei servizi .
In quel periodo il ceto medio e i ceti popolari ebbero un grande miglioramento delle condizioni sociali. Paradossalmente nel boom economico diminuirono le diseguaglianze che invece sono cresciute tantissimo negli ultimi venti anni di bassa crescita economica. Importante la omelia del Cardinale Reina vicario del Papa che ha sottolineato la importanza di riferirsi come Degasperi alla dottrina sociale della Chiesa e alla giustizia sociale .
Sono convinto che I cattolici hanno molto da dare al governo del Paese mentre nel PD i cattolici non han voce come ha detto lo stesso Pierluigi Castagnetti e vi prevalgono i diritti civili . Certo che i tanti che si dichiarano eredi della esperienza degasperiana non possono dimenticare che quella storia ebbe successo perché le diverse sensibilità stavano insieme. Mentre La divisione porta alla irrilevanza e al  prevalere dell’egoismo laicista.

Mino GIACHINO già sottosegretario ai Trasporti

Azione in visita al Carcere Lorusso Cutugno di Torino

Prandi: “Necessarie riforme strutturali, continueremo a vigilare la precaria situazione visitando anche le altre carceri del Piemonte.”
Insieme a Giacomo Prandi presente una delegazione di Radicali Italiani e la Segretaria Provinciale di Azione Torino Cristina Peddis
Come Azione siamo stati in visita insieme a Radicali Italiani al Carcere Lorusso Cutugno di Torino, – dichiara Giacomo Prandi, Vice Segretario Regionale di Azione – dove solo pochi giorni fa, un detenuto si è tolto la vita all’interno della struttura torinese, segnando il 55° suicidio nelle carceri italiane nel 2025. Questa tragedia evidenzia le gravi carenze del sistema penitenziario, tra cui sovraffollamento, carenza di personale qualificato e condizioni igienico-sanitarie precarie.
Azione ribadisce l’urgenza di riforme strutturali per garantire dignità e diritti fondamentali ai detenuti, – continua Prandi – come sancito dalla Costituzione. È essenziale investire in misure alternative alla detenzione, supporto psicologico e programmi di reinserimento sociale. Lo Stato deve dimostrare la sua civiltà anche attraverso il trattamento dei più vulnerabili. Non possiamo più ignorare queste emergenze, continueremo a vigilare la precaria situazione delle carceri, visitando anche le altre carceri del Piemonte.
Presidiare questi luoghi è fondamentale per vigilare sulle condizioni di vivibilità in cui queste strutture versano – aggiunge Cristina Peddis, Segretaria Provinciale di Azione Torino – perché uno stato libero e democratico si dimostra tale anche per le condizioni delle Sue carceri e di come tratta i detenuti. Oggi abbiamo visto con i nostri occhi le celle e gli spazi comuni che questa struttura offre, e purtroppo denunciamo con forza l’assenza strutturale di personale adeguatamente formato, in particolare psicologi e operatori sociali; il sovraffollamento cronico, che annienta ogni possibilità di percorsi individualizzati e umanizzanti; la carenza di misure alternative alla detenzione, soprattutto per le persone più fragili e la carenza assoluta di misure volte a reintrodurre il detenuto nel mondo del lavoro una volta terminata la pena. La questione delle carceri è troppo spesso dimenticata dai più. Azione si batterà sempre per garantire agli ultimi le condizioni minime di dignità umana garantite dalla Costituzione.
Torino, 19 agosto 2025