POLITICA- Pagina 13

Il film su Berlinguer e la fine dell’eurocomunismo

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

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Ho visto in prima televisiva su Sky il film di  Andrea Segre su Enrico Berlinguer “La grande illusione” . L’ho seguito con attenzione, anche se non ho mai avuto simpatia per il politico sardo che andai anche ad ascoltare tanti anni fa al Palazzetto dello Sport di Torino. Allora mi parve algido nel suo ideologismo togliattiano, nel film mi è apparso  invece un uomo appassionato e un grande trascinatore di masse ,pur travagliato da qualche dubbio. L’idea del compromesso storico mi sembrò fin da subito un progetto ostico e inaccettabile  per un liberale. Perfino Valerio Zanone si dovette accorgere che il governo delle grandi intese era invotabile. Come scrisse Mario Soldati che non era un politico, ma un uomo di grandi intuizioni, la democrazia italiana rischiò di venire stritolata dall’abbraccio catto-comunista voluto da Berlinguer e da Moro e realizzato da Andreotti :un pastrocchio che ci avrebbe isolati dall’Europa. Fu il rapimento e l’omicidio di Moro a mandare all’aria il progetto che qualcuno definì cin termine colorito  gli “spaghetti in salsa cilena”. Nel 1975 i comunisti conquistarono le grandi città e laddove non riuscirono ad avere la maggioranza sfruttarono il trasformismo di socialdemocratici e liberali che si offrirono di fare da puntello a maggioranze di sinistra in cambio di assessorati e di presidenze.
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Le elezioni del 1976 fermarono l’ascesa del PCI anche se sotto la guida di Zaccagnini ,allievo di Moro ,la Dc si aprì alla collaborazione con il PCI, pur avendo fatto il pieno di voti moderati. Il film mi ha fatto rivivere anni che giudico nefasti anche perché insanguinati dalla violenza estremista. Sono anni che non avrei voluto vivere perché a causa del terrorismo mi costrinsero a privarmi in parte della mia stessa vita privata e pubblica. Essere il direttore del Centro Pannunzio e per di più anche consigliere comunale fino al 1975 mi metteva nel mirino delle Br, come si diceva allora. Berlinguer cercò di tenere testa alla violenza eversiva, prendendo in modo netto le distanze dal terrorismo rosso e ovviamente nero. Questo aspetto forse non è ricordato adeguatamente dal film che mette invece in evidenza il tentativo di Berlinguer di sganciarsi dalla sudditanza da Mosca, per lanciare l’idea di un eurocomunismo che dopo il delitto Moro si rivelò davvero una ”grande illusione”. Berlinguer cercò  di ritrovare un ruolo politico ponendo la “questione morale” e la superiorità dei comunisti. La corruzione certo esisteva, ma la superiorità non era così sicura: a Torino la Giunta Novelli cadde proprio per uno scandalo. Ma non fu solo Torino a vedere che il PCI aveva anche lui  delle mele marce.
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Il film trascura questi elementi di storia, ma soprattutto trascura, anzi quasi ignora gli anni che vanno dal 1979 alla morte di Berlinguer del 1984 che rivelarono la pochezza politica del PCI che andò ad impegolarsi in un referendum sulla scala mobile  che perse in modo clamoroso e fu invece vinto da Craxi nel 1985. L’eurocomunismo che uno storico come Salvadori (dimostrando assoluta mancanza di senso storico) vide come il punto di arrivo della storia contemporanea, fu una utopia velleitaria che non colse come il comunismo di per sé fosse fallito dappertutto. Il crollo del Muro di Berlino del 1989 dimostrò quello che i comunisti Italiani non capirono forse neppure dopo che i calcinacci del muro colpirono il loro partito ,obbligandoli a cambiare nome alla ”ditta“.
Il film salta dalla morte di Moro alla morte stoica di Berlinguer, senza prendere in considerazione che dopo il fallimento del compromesso storico non c’erano più prospettive politiche per il PCI che trovò  non a caso in un uomo politico molto grigio come Natta l’erede di Berlinguer. Le masse ai suoi funerali con in testa il presidente Pertini che avrebbe dovuto astenersi da certe dichiarazioni, conclusero la storia del pugno chiuso e delle lacrime in piazza, ripetendo un film già visto nel 1964 per i funerali di Togliatti. Il film di Segre non ebbe successo nel 2024 nelle sale cinematografiche ,ma anche sotto il profilo storico- politico è cosa di poco conto.

Sfruttamento lavorativo, Calderoni e Rossi (PD): “Piemonte sulle spalle dei territori”

“Servono certezze e risorse strutturali”

Durante la riunione  della Commissione Legalità del Consiglio Regionale presieduta da Domenico Rossi, il Consigliere regionale del Partito Democratico Mauro Calderoni è intervenuto sul tema dello sfruttamento lavorativocon particolare riferimento alla condizione dei lavoratori stagionali stranieri impiegati nel settore agricolo piemontese.

«Dalla relazione puntuale e dettagliata dei funzionari regionali e di Ires Piemonte – ha dichiarato Calderoni – è emerso chiaramente che, anche nella nostra regione, il fenomeno dello sfruttamento è pervasivo. Le risposte messe in campo, pur generose, sono spesso costruite artigianalmente, frutto di progettualità eterogenee che non nascono con l’obiettivo specifico del contrasto allo sfruttamento, ma che vengono adattate per rispondere alle conseguenti emergenze sociali e che non hanno garanzia di continuità, non sono strutturali».

«Nonostante il presidente Cirio in più occasioni abbia parlato di un “modello Piemonte” – ha aggiunto Rossi – in realtà siamo di fronte a una buona pratica costruita sulle spalle di soggetti di buona volontà e su quelle di comuni e terzo settore. Sarebbe utile lavorare per creare davvero un sistema strutturato, ma per farlo servono risorse dedicate e la volontà di uscire dall’ambiguità distinguendo il tema del lavoro dalla questione ben più ampia e complessa dei flussi migratori».

Calderoni ha quindi posto due domande all’assessore e al Presidente della Regione:

  1. Quali garanzie finanziarie ci sono per il futuro delle buone praticheoggi attive in Piemonte?

    2.        Il Presidente Cirio, se davvero considera queste sperimentazioni un modello, intende proporle al Governo come standard minimo di ospitalità temporanea per i lavoratori stagionali stranieri?

    «Non possiamo più affidarci solo alla generosità dei territori. Se il Piemonte vuole essere un modello, servono risorse certe, norme chiare e un’assunzione di responsabilità politica a tutti i livelli» hanno concluso Calderoni Rossi.

Ozegna: l’80% per “Trasparenza e Futuro – Pozzo Sindaco”

Bartoli il più votato tra tutti i candidati

Riceviamo e pubblichiamo l’intervento del Consigliere regionale già sindaco di Ozegna

Con il voto del 25 e 26 maggio, Ozegna ha scelto con forza, chiarezza e maturità.
L’80% dei consensi ottenuto dalla lista Trasparenza e Futuro – Pozzo Sindaco non è soltanto un risultato elettorale: è un messaggio inequivocabile, una dimostrazione collettiva di fiducia, coerenza e adesione a un progetto che ha saputo parlare con i fatti.

I cittadini hanno voluto premiare la serietà, la continuità e il lavoro svolto negli anni, affidando la guida del paese a Federico Pozzo, già vicesindaco per due mandati, oggi nuovo Sindaco eletto.

È una vittoria corale, ma anche un’affermazione netta di metodo: nessun proclama, nessuna illusione. Solo presenza costante, impegno quotidiano, ascolto autentico e proposte costruite sulla realtà.

Essere stato il candidato più votato tra tutti rappresenta per me un onore profondo e una responsabilità rinnovata, che affronto con gratitudine e rispetto.

Ringrazio ogni cittadino per la fiducia accordata. E rivolgo un pensiero sincero anche a chi ha scelto strade diverse: da oggi siamo tutti al servizio di Ozegna, senza distinzioni.

In qualità di Consigliere Regionale e Consigliere Comunale eletto, continuerò a mettermi al servizio della nostra comunità, in stretta sinergia con il nuovo Sindaco e con tutta la squadra, per costruire insieme il futuro che Ozegna merita.

Sergio Bartoli
Consigliere Regionale del Piemonte
Consigliere Comunale eletto – Lista “Trasparenza e Futuro – Pozzo Sindaco”

Perché Torino va male nella classifica della Qualità della vita

Fortissima delusione per gli innamorati  di Torino nel leggere la graduatoria sul Benessere di bimbi, giovani e anziani nelle Provincie  presentata al Festival della Economia di Trento. Solo 47a per gli Anziani, addirittura 90a per i Giovani, 51a per i Servizi alla infanzia. Come fanno i cattolici impegnati nel sociale a continuare ad appoggiare chi da questi risultati deludenti?
Non so dove vivano i commentatori paludati che scrivono sulla prima pagina dei quotidiani e che in TV attaccano il Governo. Dopo 32 anni di Sindaci che da oltre dieci anni sono Presidenti di provincia cosiddetti progressisti che parlano tanto di diritti i risultati sono pessimi. E qualcuno prepara una lista cosiddetta civica per aiutare l’attuale Sindaco a rivincere alle prossime elezioni. Sarà una lista formata e molto pubblicizzata per far rivincere il Sistema Torino anche se i suoi fondatori nel frattempo sono un po’ invecchiati.
Questo capita a chi guarda solo al Centro della Città e non si accorge che nella metà della Città che sta male si sta davvero male e così oggi per vedere la posizione di Torino nelle varie classifiche nazionali bisogna partire dalla metà in giù. Se il Medico non accerta la malattia è difficile che parta la cura. Se Torino non mette sul piatto le analisi vere sul suo stato di salute qualcuno continuerà a parlare delle magnifiche sorti progressive e magari i pochi votanti del centro gli consentiranno di vincere alle elezioni. La Città reale sta peggio di prima e così la festa per la sistemazione di via Po… stride al confronto con il Sindaco Peyron che negli anni 60  inaugurava Italia 61, il Palazzo Nervi e Torino Esposizioni , così nel 65 si inaugurava il traforo del  Bianco mentre oggi abbiamo il sottopasso di corso Giambone chiuso a metà da tre anni.  Mentre in Barriera, a Aurora o in Vanchiglia la sicurezza e il lavoro sono un optional.
Mino GIACHINO

Il PD nelle sabbie mobili dell’alleanza coi 5 Stelle, il caso Torino 2027

 

In vista delle elezioni comunali del 2027, a Torino il Partito Democratico si ritrova di nuovo a navigare in acque torbide, stretto tra l’esigenza di costruire un’alleanza larga e la crescente difficoltà nel gestire il rapporto con il Movimento 5 Stelle. L’esperienza dell’ultimo mandato, segnata da una convivenza spesso tesa in Consiglio comunale e da compromessi poco comprensibili agli occhi dei cittadini, sembra aver lasciato più ombre che luci.

Il problema non è solo politico, ma identitario. A Torino, storica roccaforte del centrosinistra, il PD ha progressivamente perso centralità, incapace di proporre una visione riconoscibile della città. Invece di rilanciare il proprio profilo, ha inseguito logiche di alleanza spesso percepite come meri accordi di vertice, poco radicati nel territorio e ancor meno nel tessuto civico torinese. Il risultato? Un elettorato disorientato, una base militante demotivata e un crescente spazio per liste civiche alternative.

Il Movimento 5 Stelle, da parte sua, continua a muoversi in modo ambivalente: partecipa al gioco delle alleanze ma mantiene un atteggiamento da opposizione interna, criticando le scelte dell’amministrazione quando non ne è protagonista, alimentando confusione tra gli elettori.

Nel frattempo, sul territorio iniziano a emergere nuove realtà civiche, spesso guidate da figure radicate nel tessuto sociale, che parlano con maggiore chiarezza di temi concreti: mobilità sostenibile, casa, inclusione, tutela degli animali, politiche giovanili. Realtà che intercettano il malcontento di una cittadinanza stanca delle solite logiche di partito e desiderosa di partecipazione autentica.

La vera sfida per il PD torinese, dunque, non è solo quella di vincere le elezioni, ma di decidere chi vuole essere: un partito che si appiattisce su alleanze tattiche, o un soggetto politico capace di ricostruire una visione di città e aggregare forze civiche vere, non solo cartelli elettorali. Continuare a restare nelle sabbie mobili dell’ambiguità rischia di costare caro, non solo in termini elettorali, ma di credibilità.

ENZO GRASSANO

Giachino: “Una petizione per rilanciare Barriera di Milano”

Per rilanciare Torino occorre rilanciare le periferie dimenticate e impoverite come Barriera di Milano , Aurora, Mirafiori etc.etc. Mino GIACHINO che nel 2018 lanciò una petizione su change.org SITAV che secondo gli organi di polizia servì a portare in piazza Castello il  10 novembre 2018 decine di migliaia di persone , vuole ripetere in piccolo la stessa operazione per riportare la attenzione del Sindaco e delle Autorità politiche ed economiche su Barriera di Milano un quartiere che negli ultimi trent’anni è stato abbandonato dalle amministrazioni comunali e dove non passa giorno che vi siano liti, scontri, furti, rapine. Avvenimenti che non hanno risparmiato neanche le Parrocchie, ricordiamo quando a dicembre 2021 venne aggredito il Parroco della Madonna della Pace. GIACHINO però ed è il primo a farlo sostiene che Barriera non ha solo bisogno di più sicurezza ma ha bisogno che il Comune vi porti qualche iniziativa economica, come il nuovo Centro  per la Intelligenza Artificiale che il Governo Meloni ha attribuito a Torino con una dote economica. Il Centro per la IA darebbe immediatamente un’altra immagine a Barriera. Una immagine di futuro , di lavoro per giovani universitari , uno sbocco di lavoro importante, senza dimenticare le ricadute economiche nei bar, ristoranti e negozi della zona.
“La Petizione cui si può aderire facilmente sta già arrivando a cento firme me credo che se tutt’a Barriera la farà propria porterà il Comune a non fare solo promesse ma cose concrete”, commenta Giachino.

PETIZIONE su change.org

https://www.change.org/p/restituiamo-futuro-e-dignit%C3%A0-a-barriera-di-milano?recruiter=882862789&recruited_by_id=cb5e1b30-7198-11e8-85ff-79df81741f82&utm_source=share_petition&utm_campaign=starter_onboarding_share_personal&utm_medium=copylink&fbclid=IwQ0xDSwKhC1RleHRuA2FlbQIxMQABHqQjBmftY7Jg_9VdSZEW0eDhue9rC2fGMYw4LMzdzzcxeXg4gpacDTNM2YYx_aem_k9WHkZTqlyGJlQoqe1hMxw

Inviato da iPad di Bartolomeo

Torna il vecchio Pci?

LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo

La storia non torna mai uguale a se stessa. Quasi mai, però. A volte, inaspettatamente, ne
ritornano le sembianze culturali. E anche il profilo politico. È il caso, nello specifico, del ritorno del
vecchio e glorioso Pci. Certo, non esistono più la falce e il martello, il rapporto organico e
scientifico con l’Unione Sovietica com’è stato per l’intera prima repubblica, non c’è più Berlinguer
e il centralismo democratico. Eppure, al di là dello scorrere inevitabile del tempo e la
trasformazione profonda degli strumenti politici ed organizzativi, si ripropone – in modo quasi
scientifico e dogmatico – lo stesso blocco sociale con le stesse percentuali elettorali. Pare un
paradosso, eppure è così. E l’alleanza secca tra le tre sinistre italiane – quella radicale e
massimalista della Schlein, quella populista e demagogica dei 5 stelle di Conte e quella estremista
ed ideologica del trio Fratoianni/Bonelli/Salis – coordinati dall’ormai partito della Cgil di Landini
ripropongono, mutatis mutandis, il peso, il ruolo, la mission e il consenso del vecchio Pci. Un
blocco sociale, politico, culturale e forse anche etico molto unito e compatto. Appunto, un blocco
sufficientemente granitico che, ieri come oggi, è largamente minoritario nel paese ma competitivo
sul terreno politico perchè unito da una cultura comune e da una precisa visione della politica e
della società. È del tutto evidente, ma lo ricordo solo per ragioni di cronaca, che tutto ciò che è
riconducibile al Centro, alla cultura centrista, alla ‘politica di centro’ e ad una cultura di governo
centrista sono del tutti esterni ed estranei a quel blocco. E la conferma quotidiana arriva, per fare
un solo esempio, dal comportamento di Renzi che è costretto ad insultare un giorno sì e l’altro
pure il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni per cercare di accreditarsi presso il vertice
dell’alleanza di sinistra e progressista. Ma, al di là di questa banale considerazione, è del tutto
ovvio e scontato che da quelle parti la cultura politica di centro non condiziona affatto la
costruzione del progetto complessivo di quella coalizione. Oltre alla vicenda referendaria che
stiamo vivendo in queste settimane, ne è prova, in modo persin plateale, il ruolo dei cosiddetti
riformisti prevalentemente di matrice cattolica all’interno del Pd della Schlein. Un ruolo simile, anzi
uguale, a quello esercitato dagli “indipendenti cattolici eletti nelle liste del Pci” negli anni ‘70 e ‘80.
Dove il peso politico è praticamente nullo se non per confermare che il partito, o la coalizione – il
che non cambia la natura e nè il profilo – è plurale e quindi deve contenere anche i centristi. Intesi
come una sorta di “quote panda”. Ieri nel Pci e oggi nel Pd.
Ma, al di là ancora del ruolo dei centristi, il dato politico di fondo che non si può non rilevare è che
è rinato, in una stagione del tutto post ideologica e a tratti anche post politico, un vecchio blocco.
Un blocco che si trasforma in alleanza e poi in coalizione. Auspicabilmente di governo. Un dato,
comunque sia, è certo. Da un lato abbiamo il neo Pci – cioè il blocco della nuova sinistra unita – e,
dall’altro, una coalizione che probabilmente è destinata ancora a cambiare in corso d’opera ma
che è semplicemente, e politicamente, alternativa alla sinistra ideologica, classista, populista,
estremista e tardo sindacale.
Ecco perchè, per tornare all’inizio di questa riflessione, a volte la storia si ripete. In forme diverse e
molto più articolate, come ovvio, ma sempre con il medesimo obiettivo politico e culturale. E forse
è anche un bene che, grazie a chi guida queste sinistre, finalmente abbiamo un quadro politico
molto più chiaro e trasparente. Anche in vista delle prossime elezioni politiche nazionali.

Sanità, O. Napoli: “Il DG Schael dove troverà le risorse?”

In questi giorni emergono dubbi e perplessità in merito alla gestione della spesa sanitaria in Piemonte, alla luce di decisioni contrastanti tra le direttive di Azienda Zero e le scelte gestionali di Città della Salute. Da un lato, il Direttore Generale di Azienda Zero, Dott. Sottile, ha richiesto a tutte le AziendeSanitarie Locali e Ospedaliere piemontesi di rivedere i bilanci previsionali, ribadendo il vincoloinderogabile del pareggio di bilancio e l’obbligo di contenere la spesa entro limiti stringenti.
Dall’altro, il Direttore Generale della Città della Salute, Dott. Schael, ha disposto il blocco delle
visite in “intramoenia allargata”, imponendo che tali attività siano svolte esclusivamente all’interno delle strutture della Città della Salute.
Una scelta che desta forti preoccupazioni: la decisione comporterà un inevitabile incremento dei costi di gestione, tra potenziamento di servizi amministrativi e sanitari, adeguamento logistico e spese operative (attrezzature, materiali sanitari, smaltimento rifiuti speciali, utenze e manutenzione).
Il tutto senza un corrispondente aumento delle entrate, poiché l’attuale regime “allargato” consente alla struttura pubblica di ricevere una percentuale sulle prestazioni erogate dai medici, senza sostenerne direttamente i costi. La domanda sorge spontanea: come intende il DG Schael coprire i maggiori oneri derivanti da
questa scelta? Senza adeguati investimenti, a farne le spese sarà l’utenza, già gravata da lunghe liste di attesa, che rischia di essere costretta a rivolgersi alla sanità privata.
Non si può escludere che dietro questa manovra si nasconda una strategia per spingere i medici verso il regime di extramoenia – svolgendo cioè attività libero-professionale al di fuori delle strutture pubbliche – con l’obiettivo implicito di ridurre la spesa sanitaria pubblica, ma con gravi ricadute sul servizio e sul personale sanitario.
Una scelta, questa, che solleva interrogativi sulla reale sostenibilità economica e funzionale del
sistema sanitario piemontese, oltre che sul rispetto del ruolo dei professionisti e del diritto dei
cittadini a un’assistenza efficiente e accessibile.
Così Osvaldo Napoli, della segreteria nazionale di Azione e vice presidente Anci