LIFESTYLE- Pagina 52

“Senti”… e lasciati guidare dai sensi

Una domenica trascorsa a “Casa Lajolo” per una curiosa “passeggiata sensoriale” all’interno del magnifico “giardino all’italiana”

Domenica 27 luglio, ore 16

Piossasco (Torino)

Alberi secolari, come il cedro e il pino, muretti e aiuole, il piazzale in ghiaia con la collezione di agrumi in vasi, le sculture in bosso, il boschetto all’inglese delimitato da sette “Taxus baccata” (pianta definita anche “albero della morte”, per l’alta tossicità di tutte le sue componenti, eccezion fatta per gli “arilli”, la parte carnosa che circonda il seme, ottimo e innocuo pasto per gli uccelli)  e poi, più in giù, ulivi e alberi da frutto, l’“orto-giardino” e il frutteto. Un vero “tesoro”, frutto della natura e della cura secolare dell’uomo. Parliamo dello storico “Giardino all’italiana”, articolato su tre piani, della settecentesca “Casa Lajolo”, villa di campagna sita nel borgo di San Vito a Piossasco (Torino), ereditata dai Conti Lajolo di Cossano, antica famiglia di origine astigiana, dai cugini Ambrosio, Conti di Chialamberto. Luogo stupendo che invita alle visite, tanto più in occasione delle molte iniziative ideate e promosse in loco dall’omonima “Fondazione”, nata nel 2016.

La stessa che, per domenica prossima 27 luglio, alle 16, con replica domenica 28 settembre alla stessa ora, organizza “Senti”, passeggiata sensoriale che offre un modo nuovo, curioso e più profondo per esplorare il “Giardino” della dimora storica. “Questo percorso di visita è stato ideato – sottolineano gli organizzatori – per permettere ai partecipanti di scoprire e vivere la bellezza dello spazio verde ‘con altri occhi’, risvegliando i propri sensi e immergendosi in un ambiente naturale accogliente e ricco di stimoli”.

Tecnicamente, detto in soldoni, che s’avrà dunque da fare?

La risposta: “Si cammina bendati, tra suoni rilassanti, scoprendo piante attraverso il tatto, inebriandosi di profumi inattesi e assaporando gusti sorprendenti: un momento di benessere, un’opportunità per riappropriarsi del piacere di un’esplorazione lenta, attenta e paziente, lontano dalla frenesia e dal chiasso della vita quotidiana”.

Aspetto fondamentale e di lodevole impronta etico-sociale dell’iniziativa è la collaborazione da tempo consolidata con l’“Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Torino”. Collaborazione che mira a creare un percorso inclusivo e accogliente per tutti. I “volontari” dell’Associazione accompagneranno i visitatori, guidandoli alla scoperta di consistenze e profumi. Condivideranno, con la loro sensibilità e il proprio vissuto, come sia possibile conoscere e riconoscere un luogo senza l’ausilio della vista, affidandosi a sensi diversi e all’immaginazione.

Le passeggiate sono aperte a tutti, vedenti e non vedenti. Chi non vuole avere gli occhi bendati, può partecipare senza “copri occhi”. Ogni percorso avrà una durata di circa un’ora e mezza.

Il costo di partecipazione è di 10 euro a persona.

Iscrizione obbligatoria https://www.casalajolo.it/prenota/

Per ulteriori info: “Casa Lajolo”, via San Vito 23, Piossasco (Torino); tel. 333/3270586 o www.casalajolo.it

g.m.

Nelle foto: “Casa Lajolo” e parte del “Giardino; “Senti” immagini di repertorio

In “Valle Grana” a osservar le stelle… e a ricordare la buona Margherita

Nell’ambito del Progetto “Valle Grana Cultural Village”, osservazione astronomica a Rocca Stella e video-documentario su Margherita Molinengo

Sabato 26 e domenica 27 luglio

Monterosso Grana (Cuneo)

Per il fine settimana, due appuntamenti piacevoli, il secondo non privo di una manciata di commovente nostalgia, nell’“enclave linguistico-provenzale” della cuneese Valle Grana, patria del “Castelmagno”, fra la Valle Maira e la Valle Stura di Demonte. Entrambi inseriti nell’ambito del Progetto “Valle Grana Cultural Village”, promosso dai Comuni di “Monterosso Grana” e di “Pradleves”(finanziato tramite fondi “NextGenerationEU” e gestito dal “Ministero della Cultura” all’interno del “PNRR”), i due eventi si terranno sabato 26 e domenica 27 luglio.

Il primo, in programma per sabato, con inizioalle 22, prevede la possibilità di partecipare ad un’“osservazione astronomica” organizzata dall’Associazione culturale, di divulgazione scientifica, “Sideralis – Officina delle Stelle”, con sede a Frazione Cavaliggi di Arlotto (Cuneo) . L’osservazione si svolgerà a Rocca Stella (“Rocho de l’Estelo”) sito da cui è possibile godere nel miglior modo possibile del cielo buio della Valle Grana. Per informazioni: 324/6214970.

Domenica, sempre alle 21, nel contesto della “Festa patronale di San Giacomo”, al “Bourgat” di Monterosso Grana sarà possibile assistere alla proiezione del video-documentario “Margherito (‘occitano’ per ‘Margherita’) – Testimonianze degli amici”, realizzato dall’Associazione “La Cevitou – Ecomuseo Terra del Castelmagno”, con la regia di Simone Borrasi e Mattia Gaido. La proiezione sarà preceduta da una passeggiata guidata fino alla “Borgata del Colletto di Monterosso” con ritrovo alle 20 presso il Comune di Monterosso Grana. La partenza per il rientro a Monterosso è fissata alle 22,30, al termine del video-documentario.

L’osservazione astronomica concluderà l’edizione 2025 di “La draio de l’estelo / Il cammino della stella”, giornata di “land art”, cultura e natura promossa da “Coumboscuro – Centre Prouvençal”. La giornata avrà inizio alle 14,30 con una passeggiata fra boschi e borgate animata da esposizioni e spettacoli di artisti, poeti, musicisti e attori; alle 19“merenda” e alle 21 la proiezione del film “Ilmurran Maasai in the Alps”, regia di Sandro Bozzolo, realizzato in completa autoproduzione dall’Associazione Culturale cuneese “Geronimo Carbonò” e storia di una giovane ragazza Maasai che, nell’estate del 2014, raggiunge convive e lavora per un’intera stagione d’alpeggio con un’anziana “bergera”(pastora di pecore) sugli alti alpeggi delle Alpi Marittime. Storia di convivenza apparentemente impossibile trasformata dai ritmi della natura e dalle comuni regole che per entrambe si rincorrono su antiche “ancestrali” strade, in rapporto di solida complicità e forte “sorellanza”. E, dopo il film, una volta scesa la notte, gli esperti dell’Associazione “Sideralis”proporranno l’“osservazione guidata del cielo”. Ai partecipanti saranno forniti strumenti e attrezzature necessari per vivere al meglio l’esperienza.

Un velo di commozione susciterà, domenica 27, sempre alle 21, la proiezione di “Margherito – Testimonianze degli amici”, documentario in cui si sono raccolte interviste alle persone che hanno conosciuto Margherita Molinengo, straordinaria abitante della Valle Grana. Spiega Barbara Barberis, coordinatrice dell’“Ecomuseo Terra del Castelmagno”: “Margherita (1906 – 2000), donna vissuta nella piccola borgata di ‘Colletto di Monterosso Grana’, ha lasciato un’impronta molto forte in chi l’ha incontrata, sostenuta e ascoltata, nonostante il livello molto basso di istruzione e una vita trascorsa in solitudine, lontana dal ‘mondo’. Attraverso racconti e canti, Margherita ha condiviso la bellezza delle cose semplici e l’importanza delle presenze ‘apparentemente inutili’; in particolare, era molto attenta al cielo buio della Valle Grana e alla ‘sostenibilità ambientale’ che ha testimoniato attraverso la propria vita”. La sua figura è già stata protagonista dello spettacolo “Margherito – C’è tempo per tornare a casa” da un’idea di Enrico Liffredo e ispirato dalla pubblicazione de “Il mondo di Margherita” (vol. I e II) di Renato Lombardo.

Le iniziative sono tutte a ingresso libero e gratuito.

g.m.

Nelle foto: Margherita Molinengo e una veduta della Valle Grana, sopra “Borgata Frise”

Arriva la Seconda edizione della  Festa della birra di montagna 

L’appuntamento è dal 24 al 27 luglio a Balme con cibo, musica, tornei sportivi, attività, visite allo stabilimento produttivo e, ovviamente, birra a fiumi.

A un anno dall’inaugurazione della Birreria, il Birrificio Pian della Mussa, uno dei più alti d’Italia (si trova a 1432 metri slm), torna a festeggiare celebrando la seconda edizione della Festa della birra di Montagna con quattro giorni di cibo, musica, tornei sportivi, tanta voglia di stare insieme e, ovviamente, birra a fiumi.
Dopo il grandissimo successo dell’edizione 2024, la Festa torna con un programma ampliato e ancora più divertente, pensato per un pubblico trasversale fatto di giovani, famiglie e amanti del buon cibo e del buon bere.

 

L’appuntamento è dal 24 al 27 luglio a Balme, paesino delle valli di Lanzo ai piedi del Pian della Mussa dove eccellenza, rispetto della natura, tecnologia e amore per il proprio lavoro si incontrano per produrre una birra biologica fatta con l’acqua di montagna, attingendo da una sorgente dedicata (caso unico in Italia) e utilizzandola senza che venga in alcun modo trattata. Qui la famiglia Brero, con Alessio, AD del Pian della Mussa e sua moglie Elisa, responsabile marketing e amministrazione, porta avanti il progetto iniziato diciassette anni fa quando Michele Brero decise di acquisire lo stabilimento del Pian della Mussa, per riscattare il fallimento e riportarlo all’antico splendore. Da allora, l’acqua di questi luoghi è tornata ad essere un’eccellenza produttiva, seguita dalla birra biologica e dal coraggioso progetto della birreria, inaugurata un anno fa come luogo di convivialità e condivisione.

 

E proprio la birreria sarà al centro di un programma che riempirà di momenti, di buon cibo e di ottima birra un lungo weekend estivo, da trascorrere al fresco abbracciati dalle montagne.
Per l’occasione, la birreria proporrà uno speciale menu delle feste, fatto di taglieri, stuzzichini fritti, stinco alla birra, porchetta e formaggi. La proposta sarà affiancata da quella di un gruppo di food truck d’eccellenza, che stazioneranno nel piazzale antistante la birreria per garantire una diversità di scelta al pubblico della Festa. E poi, ovviamente, musica e intrattenimento fino a tarda notte.

Giovedì 24 si inizia alle 19 in birreria con la cena (prenotazione obbligatoria per chi vuole sedersi al tavolo), per poi scatenarsi con la musica dei Back to Vinyl, un dj set con vinili dedicato ai grandi classici degli anni Ottanta e Novanta.

Si continua poi venerdì 25 con il doppio appuntamento gastronomico (pranzo e cena) in birreria tra degustazione di birre e proposte culinarie a tema. Durante la giornata si potranno prenotare in loco le visite guidate in azienda (al mattino dalle 10 alle 12 e al pomeriggio dalle 14 alle 18), per approfondire la conoscenza di una realtà davvero unica.
Per la cena ecco arrivare i food truck, che affiancheranno il menu della birreria: Emporio Vegetale, realtà torinese di ottime soluzioni vegetali pret à Manger, che arriverà a Balme con la sua proposta stagionale, fresca e veg di focacce farcite con verdure e preparazioni golose, oltre a un’offerta di dolci al cucchiaio; poi RockBurger, con la sua proposta di panini dalle note Rock e le proposte orientali di Donburi House.

Per il dolce (o per uno spuntino goloso) ci sarà anche il carrettino della Piccola Gelateria di Montagna L’Ape Drola, impresa locale di Cantoira, produttrice di miele e prodotti della terra delle Valli di Lanzo.

 

Durante la serata ci sarà anche la possibilità di partecipare a una camminata per la Val Servin (con un itinerario adatto a tutti i camminatori, di qualsiasi esperienza – durata 1 h / 1.30 h), con visita al museo delle guide alpine in notturna. Per gli amanti della birra più sedentari e meno esplorativi, concerto alle 20.30.

Sabato 26 sempre disponibile l’opzione del pranzo e cena in birreria con prenotazione, oppure la proposta di Rock burger, Emporio Vegetale e Donburi House.

Oltre alle visite guidate in azienda, dalle 10 alle 16 ci sarà un bel momento di festa e di gioco, con il Circo Wow che proporrà attività per il pubblico di tutte le età raccontando e facendo provare i giochi di una volta (accesso libero e gratuito).

Alle 21 ancora musica con il concerto country e Rock & Roll dei Love Sick Music e poi dalle 23 dj set.

Domenica 27 la Festa prosegue già dalla colazione, con la performance di voce e arpa di Cecilia harp live che si terrà alle 10.30 nel giardino della birreria. Si continua poi per tutto il giorno con la proposta gastronomica, le visite in azienda e con l’intrattenimento del Circo Wow, a cui si aggiunge dalle 11 alle 16 la possibilità per i più piccoli di fare una cavalcata in sella a un pony. Il concerto dei Beatwins, cover band dei Beatles, accompagnerà le attività del pomeriggio, per chiudere in bellezza quattro giorni di grande festa.

 

Tra arte e moda: la bellezza come atto quotidiano

Nel cuore della sua boutique, in corso Re Umberto 17 a Torino, Laura Maria Tronnolone non propone semplicemente abiti: propone visioni.

Pittrice raffinata e imprenditrice creativa, da più di 35 anni, ha dato vita ad un progetto che fonde due linguaggi spesso tenuti separati – quello della moda e quello dell’arte figurativa – in un’esperienza unica, sensibile e profondamente estetica. Le sue tele vivono tra le pareti del negozio, accanto ai capi selezionati o reinterpretati. L’una non è sfondo dell’altra, si guardano, si parlano, si completano. In questa intervista, Laura ci accompagna dentro il suo mondo fatto di pigmenti, stoffe e significati, restituendo un’idea di bellezza che non è solo visiva, ma anche interiore e quotidiana. Identità artistica

 

1. Come definirebbe la sua identità artistica?

La mia identità artistica affonda le radici in un dialogo costante tra l’interiorità e la materia viva del mondo. È nell’incontro sottile tra introspezione e sostanza che prende forma il mio gesto pittorico, come un respiro che si posa sulla tela. Attraverso la pittura a olio, indago le pieghe più silenziose dell’animo umano, traduco emozioni sospese nel tempo, frammenti impercettibili che sfuggono allo sguardo distratto ma che abitano profondamente l’invisibile. Ogni pennellata è un atto di ascolto, una carezza data al vuoto, alla fragilità, alla memoria che torna sotto forma di luce o di ombra. I miei quadri non gridano, ma sussurrano: raccontano silenzi che parlano più di mille parole, attese che si cristallizzano nei margini, tra ciò che è stato e ciò che ancora non c’è.

 

2. Quali temi o emozioni cerca di esplorare attraverso la pittura?

Attraverso la pittura cerco di esplorare un paesaggio emotivo intimo e stratificato, fatto di sospensioni, malinconie leggere, desideri inespressi e memorie che riaffiorano come nebbie sottili. Mi interessano soprattutto le emozioni incerte, quelle che abitano i confini — tra presenza e assenza, tra luce e ombra, tra ciò che è stato e ciò che forse non sarà mai. La fragilità umana, la vulnerabilità dei sentimenti, la bellezza imperfetta del quotidiano — sono tutti elementi che si intrecciano nel mio lavoro. Ogni tela è un piccolo teatro dell’intimità, un frammento di storia personale che diventa universale proprio perché sincero. Dipingere per me è un modo per abitare le emozioni, non solo rappresentarle — viverle attraverso il tempo lento della creazione.

 

3. Che ruolo hanno per lei la bellezza e l’estetica nel suo lavoro

artistico?

La bellezza, per me, è silenzio e verità. Non inseguo la perfezione, ma cerco l’equilibrio, tra ciò che si mostra e ciò che si intuisce. La vera bellezza è semplicemente la consapevolezza di essere presenti, qui ed ora. L’estetica non è ornamento. Più importante è il corpo che deve dialogare con la luce, in cui è lo spazio  a piegarsi alla sensibilità di uno sguardo. Come nei quadri, ogni forma ha un respiro, ogni vuoto una possibilità. C’è eleganza nell’essenziale, potenza nella misura. Il superfluo distrae; la semplicità, quando è frutto di coscienza e stile, rivela ciò che conta davvero. La bellezza autentica non si impone; arriva leggera come un profumo che rimane sulla pelle anche quando è svanito, perché lo si ricorda.

 

4. Quali influenza hanno plasmato il suo stile pittorico? C’è un artista,

un movimento o un’esperienza decisiva?

La mia pittura nasce dall’incontro tra corpo e silenzio. Mi lascio guidare dal chiaroscuro, da quella luce caravaggesca che incide la carne come un bisturi e scolpisce il gesto in un tempo sospeso. Il rosso è la mia ferita sacra: filo conduttore, vincolo, passione, dolore. Lo uso come una scrittura emotiva, un segno vivo che attraversa i corpi e li lega. Amo il femminile come tensione, non come ornamento. Le mie donne non cercano lo sguardo: esistono, resistono, si stringono, si svestono, si liberano. In questo sento vicina Artemisia Gentileschi, la sua forza muta, la sua capacità di abitare la vulnerabilità.

 

5. Che rapporto ha con il colore, con la materia pittorica?

Il rosso è l’unico colore a cui concedo voce. Su una tela dove tutto tace in bianco e nero, lui grida — sottile, necessario. Non è mai decorazione, ma tensione. Il rosso compare come un atto deliberato, un’urgenza. Racconta ciò che il corpo non dice: il desiderio, la costrizione, l’intimità, la perdita. È dolore, ma anche libertà. In un mondo visivo che rinuncia al superfluo, il rosso è ciò che resta. La presenza che non si può ignorare. Nel mio lavoro, il rosso non colora: rivela. È il luogo dove la tensione estetica incontra la materia emotiva. È gesto pittorico e narrazione interiore. Il mio rosso non è solo un colore: è un linguaggio, un grido sommesso, una verità che non ha paura di mostrarsi.

Il dialogo tra arte e moda

6. Quando ha iniziato a sentire il desiderio di unire arte e moda?

È nato in modo istintivo, quasi necessario. Per me, la moda è sempre stata un’estensione dell’identità visiva, esattamente come la pittura. Entrambe raccontano chi siamo, attraverso forme, colori e abiti. Ho sentito il bisogno di unire queste due dimensioni intime della mia creatività, dando vita a un luogo in cui tessuto, bellezza e gesto artistico potessero dialogare armoniosamente. Così è nata la boutique: non un semplice negozio, ma il prolungamento naturale del mio atelier, uno spazio sensibile in cui ogni capo diventa opera, e ogni scelta estetica, un frammento del mio linguaggio personale.

 

7. Come si contaminano i due linguaggi nel suo progetto?

Non amo la parola “contaminano”. Preferisco pensare che arte e moda si intreccino, si rispecchino. Nella mia art boutique parlano con la stessa voce: attraverso il dettaglio, la manualità, la ricerca del bello. Ogni capo e ogni quadro condividono un’estetica intima, femminile e autentica. È un dialogo, non una fusione.

8. Cosa significa per lei indossare l’arte?
Indossare l’arte, per me, significa scegliere di abitare la bellezza con consapevolezza. Non è questione di apparire, ma di essere. L’arte, come l’abito, non serve a decorare una donna: serve a rivelarla. Quando una donna indossa qualcosa che parla la sua stessa lingua estetica non si traveste, si dichiara. Come diceva Chanel, “la moda passa, lo stile resta” — e lo stile, quando nasce dall’arte, diventa una seconda pelle. È un’estensione dell’anima, una pittura invisibile addosso. Ogni capo è un quadro da portare: cucito con silenzio e memoria.

 

 

9. In che modo le sue opere influenzano la scelta dei capi o dell’allestimento nella boutique?

Le mie opere non decorano semplicemente lo spazio: lo abitano. Sono loro a tracciare il ritmo emotivo della boutique, come stagioni interiori che guidano ogni scelta estetica. I colori delle tele — a volte bruciati come un autunno che non vuole finire, altre volte vividi come una primavera improvvisa — diventano la bussola con cui scelgo i tessuti, le sfumature, i dettagli. I quadri non sono spettatori silenziosi: dialogano con gli abiti, li completano. Ogni angolo della boutique è pensato per raccontare un'emozione precisa, per invitare chi entra a perdersi in un’atmosfera che non si guarda soltanto, ma si sente — sulla pelle, nel respiro, nel battito.

 

10. Ritiene che l’arte possa restituire profondità al mondo della moda? E la moda può rendere l’arte più accessibile?

L’arte e la moda sono due linguaggi della stessa urgenza espressiva. L’arte restituisce profondità alla moda perché le ricorda la sua anima: quella che vibra nei gesti deigrandi couturier. Penso a nomi come Alexander McQueen, Rei Kawakubo, Elsa Schiaparelli: ognuno ha scolpito emozioni nell’abito, trasformando il corpo in una

tela viva. Allo stesso tempo, la moda rende l’arte più vicina. Permette all’arte di uscire dai musei e camminare per strada, di diventare esperienza quotidiana

 

11. Come è nata l’idea di fondere boutique e galleria d’arte?

L’idea è nata in modo quasi inevitabile: sono una pittrice, e dipingere è sempre stato il mio modo di stare al mondo. Ma allo stesso tempo ho sempre amato il vestire come forma di espressione, come estensione quotidiana di ciò che sento e creo. A un certo punto, i due mondi hanno smesso di essere separati. Così è nata la mia art boutique: non come un progetto commerciale, ma come una necessità artistica. Un luogo dove l’arte si indossa e la moda si contempla. Dove chi entra possa non solo acquistare, ma attraversare un’esperienza sensibile.

 

12. Che tipo di esperienza vuole far vivere ai clienti che entrano nel suo

negozio?

Voglio che chi entra nella mia boutique senta subito di essere altrove — non in un semplice spazio commerciale, ma in un luogo dell’anima. Desidero offrire un’esperienza sensoriale e intima, dove ogni abito, ogni quadro, ogni dettaglio racconti qualcosa, risvegli l’anima. Voglio che le persone si fermino, si ascoltino, si lascino attraversare dalle emozioni, dalle vibrazioni. Che si sentano accolte, viste, ispirate. È un invito a vestirsi non solo per apparire, ma per abitarsi.

13. Cosa distingue la sua boutique da uno spazio espositivo tradizionale o da un negozio convenzionale?

La mia boutique non è una galleria tradizionale, né un negozio convenzionale — perché non voglio né la freddezza asettica delle prime, né la frenesia impersonale dei secondi. Qui il tempo rallenta, lo spazio si respira, e ogni cosa è pensata per accogliere. Non ci sono vetrine da attraversare in fretta né opere da guardare in silenzio con le mani dietro la schiena. C’è piuttosto un’atmosfera calda, intima, quasi domestica, dove l’arte e la moda si fondono in un linguaggio emotivo.

 

14. Quanto conta il rapporto diretto con il pubblico in questo progetto?

So che può sembrare una frase fatta, ma per me il rapporto con il pubblico è tutto. Questo progetto esiste proprio per creare connessioni vere, per accorciare le distanze tra chi crea e chi attraversa la creazione. Non mi interessa un pubblico che guarda da lontano o acquista distrattamente: desidero incontri reali, sguardi che si fermano, parole che lasciano tracce. Per me l’arte e la moda sono strumenti di relazione, e ogni visita, ogni scambio, è parte integrante del processo creativo. Senza quel contatto umano, tutto il resto perde senso.

 

15. C’è una narrazione estetica dietro ogni collezione o allestimento?

Sì, sempre. Ogni collezione e allestimento nasce da un’emozione precisa, da una storia interiore che prende forma tra tela e tessuto. Nulla è casuale: ogni dettaglio è parte di una narrazione sensibile, visiva e tattile.

16. Qual è il messaggio più profondo che vuole trasmettere con il

progetto?

L’arte non morirà mai e la moda — quella vera, che nasce dal sentire — continuerà a vivere, a trasformarsi, a resistere. Questo progetto è un atto d’amore verso ciò che dura: l’emozione, la bellezza e l’identità.

 

17. Che ruolo ha la creatività nella sua vita quotidiana?

La creatività è il mio respiro quotidiano, il filo invisibile che dà senso a tutto ciò che faccio. Non è solo un’attitudine o un talento, è ciò che sono, la mia essenza viva che si manifesta in ogni gesto, in ogni scelta. Per esempio quando dipingo, quando scelgo i tessuti o allestisco uno spazio, non sto semplicemente lavorando: sto dando voce a una parte di me che non può tacere. Ogni giorno è un’opportunità per creare, per reinventare, per scoprire nuove sfumature di me stessa e degli altri.

 

18. Secondo lei, oggi c’è bisogno di bellezza? E come si coltiva?

Dire che oggi ci sia “bisogno” di bellezza presupporrebbe che la bellezza sia sparita, e questo sarebbe un errore. La bellezza non è un concetto fisso, matematico, definito

una volta per tutte: è un flusso in continuo mutamento, una katharsis che si trasforma con il tempo, con le emozioni, con le persone. Non dobbiamo inseguire una bellezza immutabile, ma coltivare la capacità di riconoscerla e accoglierla in tutte le sue forme, anche quelle inaspettate o “imperfette”.

 

19. Qual è per lei il vero valore dell’arte visuale “fuori dai musei”?

Il vero valore dell’arte visuale “fuori dai musei” sta nella sua capacità di incontrare le persone nella vita reale, di uscire dall’astrattezza e freddezza delle sale espositive per diventare parte concreta del quotidiano. Quando l’arte si fa accessibile, si fa dialogo, si trasforma in esperienza condivisa, arricchisce chi la vive e chi la crea. Fuori dai musei, l’arte perde la sua aura intoccabile per diventare viva, pulsante, capace di trasformare gli spazi e le emozioni, di parlare a chiunque senza barriere. È lì che l’arte si fa davvero democratica e potente.

20. Come immagina l’evoluzione futura di questo progetto? C’è qualcosa che sogna ancora di realizzare?

Immagino questo progetto come un organismo vivo, in continua evoluzione, capace di aprirsi sempre a nuove forme di espressione e di relazione. Sogno di ampliare gli orizzonti, magari integrando performance, workshop o collaborazioni con altri artisti e couturier, per trasformare la art boutique in un vero laboratorio di emozioni condivise. Vorrei che diventasse un luogo di incontro e di scambio. E sogno anche che questo spazio diventi un esempio, un faro per chi, come me, crede nel magnifico connubio tra arte e moda — un invito a scoprire quanto possa essere potente e trasformativa questa unione.

Il ragioniere di Baveno

/

“Ragioniere, buongiorno. Anche oggi, il solito?”. Così lo salutava ogni mattina, dal lunedì al sabato, il signor Alfredo. All’anagrafe Alfredo Tichetti, di professione bigliettaio addetto allo scalo della Navigazione Lago Maggiore, in servizio all’imbarcadero di Baveno.

E il “solito” non era una consumazione al bar ma semplicemente il biglietto del battello che da Baveno lo portava in giro per il lago. A volte verso Intra dove, dopo gli scali all’Isola Madre, a Pallanza e a  Villa Taranto ( ma solo d’estate), aveva a disposizione un quarto d’ora scarso per imbarcarsi sul traghetto che faceva la spola con Laveno, sulla sponda lombarda del Verbano. A volte verso le isole Pescatori e Bella, Stresa, Santa Caterina del Sasso e la parte bassa del Maggiore, verso Angera e Arona. Il ragioniere era Teobaldo Lucciconi di anni sessantasei, celibe. Per quelli che lo conoscevano era semplicemente “il ragioniere”, tant’è che il suo nome non lo usava più nessuno e, se non fosse scritto sui registri del municipio, avrebbe potuto anche pensare di cancellarlo. Lucciconi era stato ragioniere contabile, impiegato alla filiale bavenese della Banca d’Intra al n. 5 di corso Giuseppe Garibaldi, a pochi passi dal piazzale dell’imbarcadero e dei moli d’attracco dei battelli e dei motoscafi. Aveva passato più di trent’anni dietro a quello sportello, intento a contare i soldi degli altri, a darne e riceverne. In tutto quel tempo gli sono passati davanti agli occhi i fatti privati e pubblici, le gioie e le tristezze di diverse generazioni. Altro che il confessionale del prete, su alla parrocchiale! Era in banca che ci si scambiava un saluto e si ricevevano confidenze, dovendo anche dare – se richiesto – qualche utile consiglio. Ma giunto al tempo della pensione, non ci pensò un minuto di troppo. Si levò le mezze maniche e, sempre con garbo (il che non guasta mai), salutò tutti e se ne andò senza rimorsi. Non che stesse male, anzi: aveva degli amici sinceri lì, e in fondo era stata la sua famiglia per tanto tempo. Vivendo da solo si era affezionato a quell’ambiente ma, come in tutte le cose, cercava di non vivere di ricordi e malinconie. Così aveva pensato che, dopo tanti anni passati tra casa e ufficio, ufficio e casa, era venuto il momento di prendere un poco d’aria fresca, guardandosi intorno. E sul lago di cose da vedere ce n’erano davvero tante. Così, a volte a piedi e altre utilizzando i mezzi pubblici (dal treno alla corriera passando, ovviamente, dal battello), iniziò a girare i paesi del lago su entrambe le sponde, la piemontese e la lombarda senza tralasciare la parte più a nord, in territorio elvetico, dedicandosi a frequentare le amicizie e a ripercorrere, con la memoria, le tante storie dei tipi originali con cui ha avuto a che fare. E vi possiamo assicurare che sono tanti che nemmeno vi immaginate. Ma soprattutto ebbe occasione e tempo per riscorire Baveno e le sue frazioni. ” Ma guarda tu”, pensava “E chi l’avrebbe mai detto che vivevo in un posto così bello e non ci avevo quasi mai fatto caso”. Era una delle sue riflessioni ricorrenti da quando era andato in pensione. Per tanti, troppi anni era stato “preso” dal lavoro e non alzava quasi mai lo sguardo sopra lo sportello. Arrivava in banca al mattino presto, portandosi da casa la “schisceta”. Eh, sì. Voi come la chiamate? Baracchino, pietanziera, gamelin, gavetta, gamella? Da noi quella pentolina di metallo a strati, con un coperchio ben chiuso per evitare perdite, indispensabile per scaldare su un termosifone un poco di pasta avanzata del giorno prima, una minestra di verdura o una fetta di carne, era la schisceta. Del resto da single, come si usa dire al giorno d’oggi, cosa andava a casa a fare? Non aveva nessuno ad aspettarlo o che cucinasse per lui e allora gli avanzi della sera prima erano più che sufficienti per mettere insieme un pasto economico da consumare sul posto di lavoro. Usciva di casa che era buio e ritornava a sera inoltrata perché spesso si fermava a dare una mano al direttore nel disbrigo dei conti e delle chiusure di cassa. Eh, un tempo non si guardava mica l’orologio. Prima il lavoro, poi il lavoro e poi ancora la famiglia. E lui che era praticamente tutta la sua famiglia quando andava a casa si fermava qualche minuto ad accarezzare il gatto della signora Maria, la vecchia lavandaia che abitava in cima a quel rione che chiamavano “il baeton”. Si faceva accarezzare perché gli dava sempre qualche pelle di salame, crosta di formaggio e cotiche avanzate. Il Tigre (si chiamava così per il pelo rosso striato di grigio e non certo per il carattere intraprendente visto che stava sempre sdraiato al sole, sullo zerbino di casa, a ronfare) manifestava la sua riconoscenza sfregandosi alle gambe con un sonoro ron-ron. Le giornate del ragioniere scorrevano così, senza troppe emozioni e senza andar di fretta. Poteva permetterselo, facendo una vita tanto regolare da far invidia a un orologiaio svizzero. Ogni giorno gli capitava di veder gente correre qua e là, sempre indaffarata, quasi avessero addosso tutti l’argento vivo. E lui? Niente. Si era guadagnato il diritto alla flemma. Gli capitava, come accade a tutti, qualche episodio dove la frenesia prendeva il sopravvento e bisognava darsi da fare ma erano, per fortuna, momenti piuttosto rari. Così, pur non mancando ai suoi doveri, cercava di tenere un passo che fosse, come dire, il più lento e ragionato possibile. E, bene o male, ci riusciva. Al Circolo Operaio bavenese ci andava soprattutto il lunedì mattina, giorno di mercato, dopo aver bighellonato tra le bancarelle. Gli piaceva quel brulicare di persone che chiacchieravano e contrattavano le merci esposte con un vociare che metteva allegria. Quando c’erano i turisti, dalla tarda primavera alla fine dell’estate, era una vera e propria babele di lingue. Sarà stato perché pativa la solitudine o perché gli piaceva iniziare una nuova settimana con un poco di movimento dopo l’ozio domenicale, ma far due passi al mercato era proprio divertente. Non che ci andasse per comprare qualcosa. Gli capitava raramente e solo per alcuni capi di vestiario. Per i generi alimentari andava in uno dei due piccoli supermercati.

Anzi, per non far torto a nessuno, stava ben attento a fare la spesa sia in uno che nell’altro. Così, pensava, nessuno ne avrà a male. Tanto più che al giorno d’oggi i prezzi sono più o meno uguali e anche la qualità non si discosta di molto. Ma, compere a parte, il mercato lo metteva di buon umore. Confessava che rimpiangeva quando era in centro, occupando la piazzetta tra le scuole elementari, il retro del municipio e pure la via principale che costeggiava la scalinata della chiesa. In seguito, per non intralciare il traffico e agevolare la viabilità, venne spostato sul viale del ponte che attraversava il torrente Selvaspessa tra Baveno e Oltrefiume, piò meno all’altezza del punto dove in passato c’era la vecchia passerella. Era sì più funzionale al traffico ma anche più decentrato e, quindi, un po’ più scomodo. Comunque, ora che era in pensione, quella passeggiata era piacevole e, terminato il giro verso le dieci e mezza, si avviava pigramente alla volta del Circolo. Passava sotto il ponte della ferrovia, svoltando a destra sul viale alberato e scendeva a fianco della stazione ferroviaria proprio davanti all’entrata dell’imponente Casa del Popolo. Fuori, nella bella stagione, c’era sempre qualcuno che si sfidava sui campi da bocce, mentre gli altri avventori si dividevano tra coloro che sbirciavano la partita, leggevano il giornale commentando i fatti del paese o si lasciavano prendere la mano dal turbinio delle carte da ramino o da scopa. E lui, il ragioniere, dopo aver chiesto un bicchiere di spuma o, più raramente, una cedrata, rispondeva di buon grado ai quesiti di natura finanziaria che gli venivano posti. Del resto, come gli aveva detto il cavalier Borloni dandogli una pacca sulla schiena, anche se a riposo “si è sempre ragionieri, no?”.

Marco Travaglini

Le vostre foto, Torino stile Liberty

//

La lettrice Alessandra Macario ci invia una foto dell’interno di Via Susa 33 a Torino.

‘Il cortile del Palazzo Ansaldi, situato in via Susa, è stato progettato dal Carrera all’inizio del ‘900 in un suggestivo ed elegante stile liberty. Sullo sfondo, la splendida Torre Westminster.’

Quanto conta l’estetica per i torinesi?

Scopri –To. Alla scoperta di Torino

“Mens sana in corpore sano” famosa locuzione latina che nel tempo è stata spesso ripresa da molti autori per spiegare quanto fosse importante il connubio mente corpo.
Spesso si pensa che la parte estetica sia effimera e che coloro che danno troppo seguito a questa parte abbiano poca sostanza. Le ricerche scientifiche però smentiscono queste dicerie, la parte estetica diventa fondamentale quasi quanto la parte interiore perché “l’abito fa il monaco”. La nostra cura, il nostro modo di vestirci viene trasmesso al nostro interlocutore che giudicherà le nostre parole anche in base a come siamo vestiti o acconciati. Per esempio se siamo vestiti di “rosso” faremo accelerare il battito cardiaco della persona con cui parliamo che deciderà se tradurre quell’aumento come eccitazione o agitazione. Il “nero” invece trasmette lusso, sicurezza e in alcuni casi chiusura, il “verde” aiuta a concentrarsi ecc..
I colori non solo trasmettono agli altri qualcosa ma anche a noi stessi che li indossiamo, questa teoria si chiama “embodied cognition” ecco che se ci sentiamo particolarmente giù di morale sarà utile contrastarlo vestendoci come ci vestiremmo se ci sentissimo alla grande, il vestito ci aiuta ad incarnare ciò che vorremmo essere.
Numerosi sono i lavoratori delle boutiques torinesi che conoscono bene l’uso psicologico dei colori e l’armocromia e riescono a consigliare ai loro clienti sempre le cose migliori da indossare a seconda dell’evento.
Ma come ci si veste a Torino ad un evento? Di solito i torinesi tendono ad essere molto sobri e sempre eleganti in tutti i contesti. Tutti noi abbiamo delle aspettative su come si vestiranno gli altri in determinati contesti, per esempio in una gioielleria o durante una riunione di un’importante azienda ci aspettiamo che chi ne fa parte sia vestito elegante e non in tuta o se dovessimo immaginare un personal trainer al contrario lo immagineremo vestito da sportivo. Questo fa si che anche gli altri abbiano delle aspettative su come noi saremo vestiti in un determinato contesto, sta a noi scegliere se confermare quell’aspettativa, (cosa consigliata secondo gli psicologi per fare un’ottima impressione), o decidere se sconvolgere la nostra platea con abiti fuori luogo. I torinesi secondo le interviste confermano di avere spesso delle aspettative ben definite dall’analisi di come di presentano gli altri rilevando strane le persone che rompono determinati schemi facendosi a monte delle idee negative solo dal loro abbigliamento per poi a volte, col trascorrere del tempo, rendersi conto dell’errore cognitivo commesso.
Andare ad un colloquio per un’azienda di occhiali per esempio è molto diverso da andare ad un provino per una parte da attore, nel primo caso la scienza dice che tenderanno ad essere scelte maggiormente le persone dall’aspetto curato e che dia l’idea di precisione e puntualità, mentre nel secondo caso si tenderà a scegliere i candidati dall’aria più artistica, meno formali, dall’aspetto semplice e meno curato.
E’ quindi fondamentale saper prendersi cura anche della nostra parte estetica perché è il nostro biglietto da visita e se sappiamo come gestirla otterremo sicuramente risultati positivi.
Numerosi parrucchieri della città sabauda confermano che spesso molte donne, ma anche uomini, non hanno sicurezza in loro stessi per il loro aspetto e che anche solo un taglio o un colore di capelli o delle exthension possono far sentire il cliente  più attraente e di conseguenza più sicuro di se stesso. Alcuni riescono addirittura a raggiungere i propri obiettivi solo nel momento in cui si sentono più belli, più  sicuri e si amano di più.
Anche i numerosi negozi di estetica del centro di Torino affermano che molte persone si prendono cura di se stessi solo quando stanno male e da lì si rendono conto quanto sia importante farlo già in anticipo perché il proprio corpo è il contenitore della nostra mente e l’uno non può esserci senza l’altro. Proprio per questo sfatiamo il mito delle “bionde stupide” nato purtroppo per gioco da alcuni film celebri degli anni novanta, o da alcune serie televisive, la bellezza esteriore può e deve andare in connubio con quella interiore quindi la parola d’ordine è … “Mens sana in corpore sano e curato”.
NOEMI GARIANO

L’importanza di essere consapevoli dei valori che ci guidano

/

SECONDA PARTE
Ognuno di noi, quindi, ha i suoi valori e la propria scala di valori. Nella fotografia che accompagna questo post i lettori de Il Torinese potranno scorrere un elenco di oltre un centinaio di valori. La lista non è esaustiva, ma potremmo aggiungerci altri valori non ricompresi e per qualcuno importanti.

In ogni caso l’elenco potrà essere utile per meglio comprendere alcuni valori che sono importanti per ogni lettore, e magari anche per stilare un elenco personale e un ordine di priorità e di importanza dei valori che per ognuno sono fondamentali.

Ma perché è così importante conoscere i valori che ci guidano? Beh, esattamente perché essi ci guidano, o così dovrebbe essere. L’importanza di pensare e agire in coerenza con ciò che per noi è importante è enorme. Soltanto quando la nostra esistenza segue i princìpi per noi essenziali possiamo dire stare davvero bene.

Se al contrario la nostra vita si svolge in modo difforme dai nostri valori guida, vuoi per ragioni esterne a noi e indipendenti da noi o per motivi che hanno più a che fare con un nostro disordine interiore, ecco che la nostra esistenza e i nostri comportamenti diventano confusi, contraddittori, incoerenti e fonte di disagio e sofferenza.

Il primo fondamentale passo quindi, è di essere consapevoli dell’importanza di avere e conoscere i nostri valori guida, ai quali appellarci per qualsiasi nostra decisione e azione. Quante volte abbiamo percepito un malessere interiore e abbiamo poi scoperto che esso derivava dal fatto che stavamo facendo qualcosa che andava, molto o poco, contro i nostri principi?

I nostri valori, poi, fanno ogni giorno i conti con i nostri bisogni (di sicurezza, di appartenenza, di stima, ecc.) e da questi sono condizionati. E’ da una armoniosa relazione tra valori e bisogni che ognuno di noi può o meno definire un percorso esistenziale che sia quanto più possibile sereno e proficuo.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it
Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”.

(Fine della seconda parte)

Potete trovare questi e altri argomenti dello stesso autore legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

Omegna, torna San Vito 2025 ed è subito Festa!

 

Grandi novità per l’Edizione di agosto con un programma multitasking che si preannuncia ricco di opportunità e attrazioni. Gli organizzatori: “Obiettivo innovare restando fedeli alla tradizione”.

Torna ‘San Vito 2025’. Quest’anno il calendario segna l’edizione numero 122 per uno degli eventi più antichi del Piemonte e in Italia, nonché altrettanto partecipati in grado di richiamare flussi turistici da ogni parte d’Italia e dall’estero.

La kermesse, di certo la più nota e rinomata per chi ama i laghi d’Orta, Maggiore e di Mergozzo, straordinaria e unica porzione geografica piemontese apprezzata in tutta Europa, andrà in scena come di consueto a Omegna, in provincia di Verbania, terra natia del celebre scrittore e poeta Gianni Rodari, da Venerdì 22 Agosto a Lunedì 1° Settembre, tradizionale ricorrenza di San Vitino.

Moltissime le novità in programma, con il ritorno delle tradizioni più emozionanti quali l’eccezionale e coinvolgente spettacolo piromusicale protagonista con un doppio appuntamento la sera delle domeniche 24 e 31 agosto. E con loro, in settimana ad arricchire una scaletta di tutto rispetto, una scelta musicale rivolta a grandi e giovani con artisti di primo piano della scena contemporanea dai repertori conosciuti e capaci di accontentare ogni tipo di pubblico. Insieme ai celebri ‘Salotti Diderot’ per fare il punto a metà tra storia e attualità con firme importanti del panorama letterario locale e nazionale.

A dare il via ai festeggiamenti, la sera di Venerdì 22 Agosto, il grande concerto bandistico della ‘Nuova Filarmonica Omegnese’ giunta al 40° della sua fondazione, per proseguire la sera di Sabato 30 con la partecipatissima Processione di San Vito animata dal Parroco Don Gianmario Lanfranchini che reca in sé la secolare e suggestiva benedizione del Lago D’Orta e delle imbarcazioni: una tradizione che prosegue dal lontano 1611 e che vedrà come di consueto la partecipazione del Vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla. Spazio anche alla musica classica con ‘I Concerti di Santa Marta’, tre appuntamenti serali in Collegiata.

Come sempre, spazio anche alle eccellenze agroalimentari delle diverse regioni italiane e ai mercatini artigianali e con oggetti di antiquariato e modernariato che animeranno con una proposta ricca, variegata e allettante il lungolago omegnese per l’intera durata dei festeggiamenti.

Mercoledì 27 sera, invece, ritorna presso il ‘Forum’ l’appuntamento con i cosiddetti ‘Fuochini’, ovvero i fuochi d’artificio a misura di bambino, che grande consenso riscuotono al pari dei grandi. Un’iniziativa che rientra nel cosiddetto programma ‘San Vito Bimbi’ rivolta ai più piccoli.

Motore e pilastro portante della manifestazione è il consolidato e altrettanto grandioso ‘Banco di Beneficenza’, allestito fronte lago e in grado di dispensare, unico nel suo genere in Italia, premi per un valore di decine di migliaia di euro suddivisi abitualmente fra autovetture, ciclomotori, elettrodomestici, beni di lusso, tecnologia e informatica. Senza dimenticare ‘La Cittadella del Gusto’, area destinata alle associazioni agroalimentari del territorio intente nella proposizione di specialità zonali.

In attesa dell’arrivo del programma completo delle proposte di ‘San Vito 2025’, per Matteo Pino, Presidente del ‘Comitato Festeggiamenti’, “Proseguiamo con vigore nel cammino di rilancio e rinnovo, pur nel rispetto e nella continuità della tradizione della nostra Festa. Il post Covid ha visto un importante e significativo investimento finalizzato al ritorno all’origine con la reintroduzione dei magnifici fuochi artificiali suddivisi nuovamente su due domeniche, per un totale di oltre 50mila presenze registrate solo in quelle specifiche giornate. L’obiettivo è incrementare la visibilità di un evento multipotenziale e multidisciplinare in grado di rappresentare un’alternativa valida di soggiorno turistico di fine agosto per amplissime e diverse fasce di pubblico”.

Mentre per Valentino Valentini, Presidente dell’Associazione ‘Un secolo di San Vito’, “L’appuntamento con la Festa patronale omegnese punta a diversificare il target massimizzando la capacità attrattiva del territorio. Una kermesse che parla agli amanti della musica, dell’arte, della buona cucina, della tradizione, della cultura, della fede, dell’intrattenimento tutti vissuti su una terrazza naturale affacciata su un lago di grande suggestione quale quello d’Orta, che in Omegna ha una delle sue punte più note e stimate. Con l’intento di rinnovarsi restando fedeli a sé stessi, in un’ottica di avvicinamento e coinvolgimento progressivo di un maggior numero di giovani chiamati a partecipare attivamente anche in prima persona, oltre che alla fruizione, alla costruzione della nostra grande kermesse”.

Maggiori informazioni sul sito www.sanvito-omegna.it.