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CAPRICORNO
DENARO E LAVORO. Periodo favorevole a studi, viaggi, concorsi e attività legate a commercio e comunicazione. Rischio di uscite impreviste o spese pazze. Amministrate con saggezza i vostri risparmi evitando di credere ciecamente nei troppi consigli altrui.
AMORE E ARMONIA. Alcuni Pianeti amici indicano che è arrivato il tempo per l’amore. Approfittatene per premiare la vostra lunga astinenza affettiva e per allontanare, pacificamente, chi non….merita più.
BENESSERE E SALUTE. Un eccessivo carico d’impegni e responsabilità tende a risucchiare energie e buonumore. Non fatene un dramma…passerà!

ACQUARIO
DENARO E LAVORO. Fate ciò che più vi convince anche a rischio di provocare qualche malumore con chi collabora con voi. Ora che una dirompente congiuntura astrale entra nel vostro segno, potrete sbaragliare qualunque ostacolo si ponga tra voi e gli obiettivi a cui puntate.
AMORE E ARMONIA. Recentemente avete preso alcune decisioni irrevocabili….che probabilmente saranno ridiscusse.
BENESSERE E SALUTE. Anche nell’ambito familiare rimproverate troppo chi non la pensa come voi. Non lasciatevi sopraffare dallo stress e dal nervosismo.

PESCI
DENARO E LAVORO. Nessun vero scossone in vista. Sia nel lavoro che negli studi è venuto il momento di premere sull’acceleratore per testare i traguardi che potete raggiungere. L’intraprendenza e l’impegno alla fine saranno premiati.
AMORE E ARMONIA. Per chi è solo si profilano intriganti e seducenti flirt con persone straniere o lontane.
BENESSERE E SALUTE. Esuberanti, lucidi, decisi e grintosi ma state premendo troppo sull’acceleratore e, una congiuntura di opposizione, all’improvviso rimette molte cose in discussione.

ARIETE
DENARO E LAVORO. Siete partiti con la carica giusta per realizzare un progetto che può spalancare nuovi orizzonti ma adesso state attraversando un rallentamento transitorio che vi dà molto fastidio. Non lasciatevi spaventare dalle difficoltà ma date il giusto peso ai possibili investimenti economici che vi vengono proposti.
AMORE E ARMONIA. Periodo con momenti di relax e incontri interessanti magari con vecchi amici o conoscenti …trascurati. Possibilità di ardenti passioni e innamoramenti improvvisi, attenti ai “colpi di fulmine”.
BENESSERE E SALUTE. Non esitate a ricorrere all’aiuto medico, qualora la situazione dovesse degenerare. Assumete tanta vitamina C.

TORO
DENARO E LAVORO. Soprattutto di questi tempi bisogna valutare con la “testa” prima di agire. Purtroppo i colleghi hanno idee diverse ed è molto difficile trovare una linea d’azione comune e collaborativa. Non soggiacete inerti alle influenze esterne!
AMORE E ARMONIA. Quello che può essere all’inizio, un meraviglioso incontro, potrebbe complicarsi in breve tempo, e tramutarsi in una “love story” piena di insidie e brutte sorprese.
BENESSERE E SALUTE. Se non reagirete allo stress potreste ammalarvi o cadere in depressione e perdere la gioia di vivere. Concedetevi, insieme con i vostri cari, un pausa tonificante e rigenerante.

GEMELLI
DENARO E LAVORO. Finalmente alcuni investimenti diventano fruttuosi nonostante una dispettosa quadratura astrale che tende a svuotarvi le tasche. Evitate di fare il passo più lungo della gamba e non cedete alle troppe tentazioni che vi vengono sottoposte.
AMORE E ARMONIA. Ci sono litigi che portano il rapporto su un piano più alto, per ritrovare la giusta dimensione conviene affidarsi al partner o alla persona amata.
BENESSERE E SALUTE. Sappiate percepire i messaggi del vostro corpo e capirete finalmente cosa è opportuno fare, quando dovete riposarvi e come dovete alimentarvi.
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CANCRO
DENARO E LAVORO. L’intraprendenza potrebbe essere premiata ma, compiacere a tutti, soprattutto ai colleghi di lavoro, non è facile e la gelosia altrui può ingarbugliare le cose. Alcune persone che credevate amici in realtà vi creano solo fastidi e vi allontanano dalla reale concretezza.
AMORE E ARMONIA. Percezioni intense e volontà di cambiamenti, il desiderio di rinnovamento contrasta con la voglia di dolcezza e stabilità affettiva.
BENESSERE E SALUTE. Attraversate un periodo di forma molto positivo. Vi sentite equilibrati, leggeri, vitali e finalmente sicuri di voi.

LEONE
DENARO E LAVORO. Aria frizzante e tanta voglia di libertà e di cambiamento. Un’idea brillante che vi è venuta va valutata con la dovuta attenzione, potrebbe condurvi al cambiamento tanto desiderato. Ribellatevi alle imposizioni che vi vengono “suggerite” da qualcuno che non fa assolutamente i vostri interessi.
AMORE E ARMONIA. Momento di contrasti nella coppia però in famiglia le cose vanno decisamente meglio.
BENESSERE E SALUTE. Per mantenere l’entusiasmo attuale e la voglia di osare, limitate gli alimenti proteici a favore di frutta e verdura e mantenete una regolare attività sportiva.

VERGINE
DENARO E LAVORO. Periodo eccellente per viaggiare, studiare, espandere il vostro raggio d’azione ma dal lato finanziario si prospetta un periodo opaco seppur con qualche novità positiva, forse una piccola vincita o un’entrata non preventivata.
AMORE E ARMONIA. I rapporti di amore e di amicizia che poggiano su basi stabili troveranno nuovi slanci. Non sarà così per le unioni vacillanti. Il partner vi chiede pazienza e come al solito, lo ascolterete.
BENESSERE E SALUTE. L’essere umano è una macchina che deve essere ben “curata” per farla funzionare bene ed a lungo. Integrate la dieta con oli naturali, noci, mandorle e lievito di birra, fonte di vitamine e preziosi oligoelementi.

BILANCIA
DENARO E LAVORO. Finalmente potrete levarvi qualche sfizio, sempre rimandato, grazie all’apertura di un nuovo canale di guadagno. Un buon affare è nell’aria, non fatevelo sfuggire ma non fidatevi troppo di chi avete intorno, meglio fare da soli.
AMORE E ARMONIA. I rapporti di amore e di amicizia che poggiano su basi stabili troveranno nuovi slanci. Non sarà così per le unioni vacillanti.
BENESSERE E SALUTE. Bisogna aver cura del nostro corpo e ricordarsi che è l’unico posto in cui possiamo e dobbiamo ….vivere!

SCORPIONE
DENARO E LAVORO. Fidatevi: le uscite impreviste non vi prosciugheranno il salvadanaio al contrario, vi faranno apprezzare maggiormente da amici e parenti. Guardatevi attorno, ci sono occasioni molto allettanti a portata di mano ma è il caso di avere prudenza e rimandare un investimento di rilievo.
AMORE E ARMONIA. Il partner vi chiede pazienza e come al solito, lo ascolterete.
BENESSERE E SALUTE. La forma fisica si riflette su quella psichica, con il rischio di “contagiare”, chi vi circonda.

SAGITTARIO
DENARO E LAVORO. Assumetevi le giuste responsabilità e tagliate i rami secchi per puntare in alto. Se avrete grinta e tenacia ce la farete. Scegliete la strada della collaborazione e della complicità! Potete assumere un rischio ponderato e ben valutato.
AMORE E ARMONIA. Toglietevi di torno senza indugio, alcuni parenti o presunti amici, troppo impiccioni.
BENESSERE E SALUTE. Il ciel vi ha dato un periodo…beato! Finalmente potrete godervi la vita concedendovi piccoli e grandi eccessi di varia natura: sport, svaghi stravaganti, dolci da capogiro ma, non tirate troppo la corda, per quanto robusta potrebbe, alla lunga, anche…rompersi!


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Ecco l’indirizzo:
Business e lo show è realizzato con la direzione artistica di Samuel, che presenta in anteprima nazionale alcuni pezzi dell’album solista che proporrà al Festival di Sanremo. nelle immagini l’allestimento del palcoscenico.
Torna a Torino la degustazione dedicata al concorso letterario. Serata di presentazione e degustazione
erano state distribuite delle generose pennellate di bianco che, a poco a poco, avevano coperto tutto: tetti, strade, alberi. Dapprima erano piccoli aghi di ghiaccio, portati dal vento di tramontana che scendeva dalle vette del Gridone; poi, col passare delle ore, le pennellate si erano fatte più robuste, con fiocchi larghi che scendevano mollemente con parabole verticali. Era l’antivigilia di Natale, il 23 dicembre. E il grande abete nella piazza del municipio pareva, nel chiaroscuro di quella mattina, una sentinella ghiacciata sull’attenti. Anselmo, la guardia forestale, era tra i pochi ardimentosi che eran già svegli. Con gli occhi pieni di sonno, dopo aver ciondolato attorno al tavolo della cucina, si stava scaldando le mani stringendole attorno al bricco fumante del caffè. Ahi, se scottava!… Già si era vestito, infilandosi – uno sopra l’altro – due paia di pantaloni ed altrettanti maglioni di lana. Bastava uno sguardo dalla finestra per immaginare quel freddo cane che congelava all’istante il vapore del fiato. Doveva andare fino a Santa Maria Maggiore, il nostro Anselmo. Doveva andarci con il suo motocarro e non ne aveva gran voglia. Ma il dovere è dovere: e laggiù, al magazzino della Forestale, erano arrivati la sera prima gli alberelli di Natale. Li avevano mandati, come tutti gli anni, con la ferrovia vigezzina, (la stessa che gli svizzeri chiamavano “centovallina”).Una strada ferrata lunga 52 chilometri che collegava Domodossola con Locarno, passando su 83 ponti e infilandosi in 31 gallerie. La ferrovia, ogni anno, soprattutto d’inverno, era la via più sicura, evitando le strade ghiacciate.
Insieme, con aria da investigatore il Maresciallo, con le mani tra i capelli il disperato Anselmo, fecero un giro tutt’attorno al motocarro e… videro delle tracce. Erano tante. Tante piccole orme lasciate da piccoli stivali. Erano fitte, ben segnate nella neve, chiaramente visibili. Alcune leggere, altre più nette, come se le avessero lasciate corpi di diverso peso. O forse qualcuno, o qualcosa, che portava un peso, dei pesi. “I miei alberi: ecco che cosa mi hanno fregato, quei banditi. I miei alberelli…”, disse, quasi piangendo, il povero Anselmo. “Certo. La traccia è chiara. Hanno davvero rubato gli alberi”, pronunciò pensoso, il Maresciallo. E non aggiunse altro, incrociando lo sguardo severo di Anselmo che non potè trattenersi dal mugugnare..”Bella scoperta. Va là che c’è arrivato anche lui. Intanto quelli mi hanno fregato gli alberi”. “Ho capito, ho capito” gli rispose il Maresciallo, “non sono mica tonto. Ma chi sarà stato? Guarda un po’ questi segni”. E indicò le orme che continuavano per decine di metri. Incolonnate, disciplinate. Le seguirono con lo sguardo. Andavano via dritte, verso il bosco, all’imbocco del sentiero che saliva in Val Loana. Il caso era strano. Chi mai aveva potuto compiere il furto? E quelle tracce misteriose? Sembravano piedi di bambini. Ma era una pazzia solo pensarlo. Bambini così piccoli, di quattro – cinque anni che, in fila indiana, si dirigevano verso il bosco portandosi a spalla degli alberelli che pesavano quasi il doppio di loro? Suvvia, non era logico. L’unica cosa da fare era seguire quelle impronte. I pensieri del Maresciallo erano in sintonia perfetta con quelli di Anselmo e, senza scambiarsi una parola, limitandosi a pochi cenni, decisero di battere quella pista. Del resto gli alberelli dovevano essere ritrovati, ad ogni costo: chi poteva immaginare un Natale senza gli alberi addobbati di ghirlande e lucenti di palline di vetro colorato? I due si misero a camminare di buona lena. Come segugi tenevano gli occhi fissi verso il basso, scrutando la neve calpestata. Cammina, cammina giunsero alle ultime case. Più avanti c’erano i boschi. Dopo una sosta di pochi minuti, tanto per riprendere il fiato, si avviarono sul sentiero che saliva sul fianco della montagna. Un paio d’ore dopo erano all’alpeggio di Severino, il guardiaboschi di Scaredi che viveva lassù tutto l’anno. Ma quel giorno non c’era (seppero in seguito che era sceso fino a Malesco per far compere alla Cooperativa…).Da quel terrazzo naturale, guardando in basso, potevano scorgere le case nella piana. Piccole chiazze scure in un mare bianco. Il freddo si faceva sentire con morsi sempre più decisi. I giacconi, già ruvidi per loro conto, erano diventati ancor più legnosi. Dalle bocche uscivano nuvole di fiato.
era proprio una vena d’oro). In quel caleidoscopio naturale i folletti avevano costruito, con pazienza, il loro povero ma funzionale arredamento. Lettini di faggio, piccoli sgabelli di legno d’abete, un grande – per quelle dimensioni – tavolo di larice intarsiato. Era lì che Zippo e Zappo, figli di Maggiociondolo, erano nati e cresciuti, insieme agli altri folletti. La loro era una vita felice. Padroni dei boschi, erano cresciuti, come si usa dire qualche volta anche nel mondo degli uomini, “all’aria aperta“. Avevano imparato a conoscere le erbe e le loro proprietà. Si erano costruiti da soli e con pazienza i primi giochi di legno e già da piccolissimi, quand’erano alti non più di venti centimetri (i folletti, durante la loro vita non diventavano mai più alti di una volta e mezza la statura di quando erano nati),si erano procurati da soli il cibo: radici, bacche, piccoli funghi, frutti selvatici del sottobosco. I folletti, per chi non lo sapesse, sono vegetariani. Quando Zippo e Zappo raggiunsero la maggior età che, tra i folletti, consiste nell’avere circa 450 anni, Maggiociondolo regalò loro la sua borsa di cuoio nero. Non che fosse qualcosa di particolarmente prezioso, a ben guardarla. Anzi, era proprio una comunissima borsa a tracolla di cuoio. Ma tra i folletti aveva un significato speciale: era il segno di distinzione della più antica famiglia, quella dei Loanini, che abitavano quelle terre da più di cinque millenni. Possederla non significava esercitare qualche forma di potere sugli altri. Anzi, l’intera comunità di folletti della Val Loana viveva di comune accordo, in perfetta uguaglianza e ciò che era degli uni lo era anche degli altri. Insomma: erano uniti e felici. E questa era la ricchezza più evidente di cui potevano disporre. Nel corso della loro lunghissima vita, Zippo e Zappo con tutti i loro amici avevano percorso in lungo e in largo tutto il corridoio della Val Vigezzo, arrampicandosi sulle montagne e ridiscendendole mille e mille volte ancora. In quell’ambiente si trovavano a loro agio.
sotto? C’è un topo quercino”, gli rispondeva Zippo, indicando il simpaticissimo roditore notturno dalla coda che terminava con un ciuffo bianco. Andavano avanti così per ore. Era un mondo davvero speciale. A tarda sera la luna era già alta nel cielo. Bianca, color del latte, illuminava la foresta. Gli animali si preparavano per la notte. Il ghiro, tutto indaffarato alle prese con una nocciola da aprire con i suoi denti aguzzi, non si accorgeva che più in là, sporgendo la testa da un cespuglio, era spiato dalla lepre variabile: una vera signora, rapida e aggraziata nei suoi movimenti, con un’aria timida anche se c’era chi la giudicava un po’ snob per la sua abitudine a cambiar colore della pelliccia durante i mesi d’inverno. E il tasso? Dov’era il tasso?
c’erano delle grandi fascine di rami di larice. Tarcisio, Anselmo e Augusto si guardarono in faccia: questa era nuova! Quelle fascine il giorno prima non c’erano e adesso, eccole là, nel bel mezzo del girotondo degli abeti. Questa volta, dopo aver confabulato tra loro, decisero di rimanere ai margini della radura, nascosti dietro agli alberi. Se qualcuno si fosse avvicinato, da lì l’avrebbero visto senza farsi a loro volta vedere e, forse, avrebbero finalmente trovato risposta al mistero. Per non stancarsi inutilmente decisero dei turni di vedetta che però, un po’ per euforia, un po’ per paura di lasciarsi sfuggire qualcosa, non rispettarono. Sei occhi guardavano senza posa verso il circolo degli abeti e l’albero cavo, avanti e indietro,su e giù. Scorrevano, intanto,le ore. Verso sera, al primo calar del buio, dal vecchio albero spuntò una figurina. Ci mancò poco che ad Anselmo non prendesse un colpo. Stava per lanciare un grido. E l’avrebbe fatto se non fosse stato per la prontezza di riflessi del maresciallo che, con uno scatto, gli tappò la bocca con la mano.
dalle emozioni, si erano appisolati dopo essersi avvolti ben bene nei loro cappotti. Il ballo, intanto, proseguiva con ritmi vertiginosi. Una volta preso l’abbrivio era un crescendo di salti, capriole, girotondi. I folletti saltavano come grilli e cantavano con tanta foga che la loro voce saliva dritta fino in cielo. Le chiome scure degli abeti, mosse da una leggera brezza, parevano voler fare il solletico alle stelle. Il gran fuoco, con le sue lunghe lingue rosse e arancio, aveva man mano lasciato il posto ad una brace purpurea. Quanto tempo passò? Un’ora, forse due, magari solo poche decine di minuti. Sta di fatto che, quando Anselmo e Tarcisio si destarono dal loro torpore era ancora notte. Una luna lattea inondava la foresta di vivida luce. Nella radura regnava il silenzio. Si udiva solo il respiro pesante di Augusto che venne svegliato con una brusca scrollata dal suo Maresciallo. Nel mezzo del cerchio il fuoco era spento. Degli omini non c’era traccia. Spariti, quasi si fossero dissolti nell’aria. La neve, tutt’attorno al falò e nei pressi dell’albero cavo, era intatta. Bella, bianca, compatta. Senz’ombra d’impronta. Tarcisio si stropicciò gli occhi; Augusto tremava dal freddo che gli era entrato nelle ossa; Anselmo non capiva più niente. Eppure non avevano sognato, non potevano aver fatto tutti e tre lo stesso sogno. Sgranchendosi le gambe con un robusto massaggio, si alzarono in piedi e, dopo aver lanciato un’ultima occhiata agli alberelli, presero la via del ritorno. S’incamminarono verso il paese, scendendo dal sentiero del monte tra gli alberi carichi di neve. Nei pressi delle prime case del paese, incontrando Giuanon e Calisna, entrambi reduci da una nottata di bisbocce, non si fecero ripetere due volte l’invito a bere “una volta in compagnia”. Ma anche davanti al vino, così come durante il viaggio, nessuno fece parola di quanto avevano visto. E nemmeno gli altri manifestarono particolare curiosità e non fecero domande sul perché e il percome di quell’incontro mattiniero. Anselmo, fra sé e sé, pensò: “se dicessi cos’ho visto, chi mi crederebbe? Nessuno. Mi prenderebbero per matto. Anzi: ci prenderebbero per tre matti…”. Tanto valeva, a quel punto, tenersela per loro questa storia. Svuotati i bicchieri e salutata la compagnia, tornarono a casa, ognuno per la sua strada. L’orologio del campanile segnava le 7,30 del 25 dicembre. La mattina di Natale. Nella notte la Signora della Laurasca aveva sorriso.
In giorni come questi, era ben grama la vita del pescatore . Ma non c’era tanto da sfogliar verze: bisognava pescare se si voleva mangiare, e bon! Il freddo m’induceva il pensiero di casa, del camino acceso e della tavola dove m’aspettava un bel piatto di fumante minestra. Mi tornava in mente anche il banco del pulentatt , al mercato di Omegna. Si piazzava ogni giovedì in piazza Salera e vendeva la polenta tagliata a larghe fette, insieme al fritto di lago. Roba piccola, croccante, bella calda, che si scioglieva in bocca. A finire infarinate e fritte nell’olio bollente erano le alborelle. La polenta era il sostituto del pane e mi piaceva quando aveva una bella consistenza e si tagliava bene a fette. Pulenta dura la fa i bun bucun ( polenta dura fa i bocconi buoni). Diceva così mio padre quando riscaldavamo la polenta il giorno dopo e quello dopo ancora. Più il freddo mi mordeva i vestiti e più mi rifugiavo nel tepore dei ricordi per trovare conforto. Dalla memoria emergeva potente e imperativa la visione di quella polenta calda e dorata. Che buona, la polenta cumudada ! Bella soda, sminuzzata in una terrina, mettendo tra uno strado e l’altro, accomodandoli, burro fuso e formaggio, prima di passarla al forno. E quella arrostita ? Era un piatto semplicissimo e gustoso: la polenta avanzata, tagliata a fette sottili, viene fatta friggere nel burro, accompagnandola con qualche fetta di salame o con cipolle e altre verdure che nell’orto seguivano l’andare delle stagioni. Della polenta vuncia conservavo il ricordo di mia madre che la rovesciava dal paiolo di rame in una teglia, alternandola a strati di toma tagliata a fette sottili e il burro insaporito con spicchi d’aglio e foglioline di erba salvia. Ne immaginavo la crosta dorata e l’intenso profumo del formaggio fuso.
Alla sera, prima di andare a letto, davanti al camino acceso, non mancava una scodella di latte caldo nel quale intingere una fetta di polenta. Quei pensieri, pur belli, non mi scaldavano e continuavo a rabbrividire al contatto con l’aria brusca che veniva giù dai contrafforti del Mottarone. Forse era giunto il momento di fare una pausa, tirando in secca la barca per qualche giorno, fin dopo le feste. D’altronde mancava poco più di una settimana a Natale e anche i pesci si vedeva che pativano quel freddo, restandosene rintanati sul fondo. Quantunque fossi testardo come un mulo, i risultati dei miei sforzi non davano un granché di soddisfazione. Negli ultimi giorni avevo tirato in secco quattro carpe di media taglia, pescate a bordo riva dalle parti di Pettenasco, nei pressi della foce del Pescone, una mezza dozzina di tinche e un certo numero di persici. Avevo battuto palmo a palmo le rive dove si immettevano a lago le acque del Pellino e della Fiumetta, con scarsa fortuna. Nella bella stagione, i canneti e le insenature nei pressi dei due torrenti offrivano riparo a moltissimi pesci. Non di rado capitava di assistere alle cacciate dei lucci, con le piccole alborelle schizzar fuori dall’acqua con salti acrobatici mentre s’avvicinava l’ombra bruno-verde del più crudele predatore del lago. Quest’inverno, invece, non abboccava un bel niente. Nemmeno qui, al largo della Curva dei Persici, dove la corrente è più debole e la lenza della tirlindana, ben zavorrata dai piombi, scende giù fino a solleticare le alghe del fondo. Il pesce lo portavo dal Brembati, che aveva un negozio di alimentari in un angolo di piazza Motta, nel centro di Orta. Era un omone gioviale, di buon carattere e d’ottimo appetito. Del pescato, in base alla qualità e alla quantità, ne metteva in vendita una parte e si teneva per la sua tavola il resto. Era golosissimo dei filetti di persico e non nascondeva la sua passione per tinche e carpe in umido, con i piselli e la pucia dove intingere i bocconi del pane. Nella bella stagione , tutti i venerdì, esponeva fuori dal negozio delle cassette colme di ghiaccio tritato dove le prede più belle venivano offerte ai clienti. L’iniziativa del Brembati venne copiata dagli altri venditori di pollame, formaggio, frutta e verdura che, a loro volta, sistemavano dei bancali davanti agli usci dei negozi, proponendo la merce.
S’improvvisava così, alla buona, un mercato all’aperto che in breve contagiò anche gli altri paesi del lago. A Pettenasco, Omegna, Pella, ovunque ci fosse un attracco del battello e girasse un po’ di gente, c’era chi metteva in mostra borse, scampoli di stoffa, scarpe, chincaglierie, ombrelli, sementi, granaglie, attrezzi agricoli e da pesca, e perfino chi improvvisava biblioteche ambulanti proponendo alla lettura libri vecchi e consumati dall’uso. Un fatto era certo: per garantire al Brembati la materia prima bisognava pescare anche se faceva freddo e tirava vento. Intanto, si era messo a nevicare. Avendo una commissione da fare, iniziai a vogare di buona lena, attraccando una mezz’ora dopo al molo dell’isola di San Giulio. L’orologio segnava dieci minuti a mezzogiorno ma la fitta nevicata rendeva cupo e gelatinoso il cielo. La luce fioca dei lampioni, accesi anzitempo, illuminava i larghi fiocchi di neve. L’atmosfera era quasi irreale. L’isola era avvolta da un silenzio d’ovatta. A malapena s’avvertiva lo sciabordio delle onde che accarezzavano il ventre delle rare imbarcazioni ormeggiate. Una catenella, sbattendo sulla chiglia del natante più grande – una snella lancia di lago – produceva un suono molto simile allo scampanellio che s’udiva durante la messa. Aldilà dei lampioni, nella viuzza stretta che percorreva come un cerchio l’intera isola, iniziava a far buio. I piccoli balconi sporgenti di pietra offrivano un esile riparo dalla nevicata. Oltre il muretto di sassi del molo l’acqua scura rifletteva a malapena quelle povere luci.
Persino l’aria rabbrividiva sull’isola. Gli alberi, che poco prima sembravano scheletri scuri, si stavano imbiancando. Stessa sorte per le barche tirate in secca che negli attracchi in fondo alle strette discese a lago. Intirizzito, tirai su il bavero del giaccone. Ero andato sull’isola per fare un piacere al dottor Bompigli che, data l’età e gli acciacchi, non se la sentiva più di uscire da casa nella brutta stagione. Il compito che mi era stato assegnato consisteva nella consegna alle suore di clausura del monastero “Mater Ecclesiae”delle medicine che il dottore aveva per loro confezionato in collaborazione con il farmacista Ludovico Luppoli. Il vecchio seminario , sorto a metà del milleottocento sulle rovine del castello, aveva lasciato il posto al monastero delle Benedettine. Insieme alla Basilica di San Giulio era l’edificio più imponente dell’isola. Le suore, nella loro vita claustrale, applicavano la regola di San Benedetto ispirata alla preghiera, al lavoro, all’obbedienza, alla povertà e all’umiltà. Ero affascinato da come loro giornata fosse scandita in modo preciso, seguendo la regola del “Ti ho lodato sette volte al giorno“. Un numero sacro, quel sette, che ricordava i momenti di preghiera che scandivano le giornate nel monastero: Lodi, Prima, Terza, Sesta, Nona, Vespro e Compieta.
s’incarica di ricordare l’ora del pranzo, con la lettura delle Sante Scritture. Dopo il pranzo e la ricreazione comune, le monache ritornavano al loro lavoro. La campana della cena riuniva di nuovo la comunità monastica per un pasto rapido e frugale. Quindi il monastero si immergeva nel silenzio: era l’ora di
appelle affrescate che ospitavano altrettanti gruppi statuari di grandezza naturale in terracotta che illustravano la vita di San Francesco d’Assisi. Era un luogo di straordinaria bellezza, adatto per chi voleva riflettere e pregare. Da lì di dominava Orta e gran parte del lago, compresa l’isola di San Giulio. Ogni quindici giorni, in barca, a turno, uno dei frati si recava al Monastero dell’isola per ritirare le candele di cera ed i paramenti sacri confezionati dalle Benedettine. Nell’occasione, portava dei viveri alle sorelle. Quel giorno toccava a lui ma , forse, avrebbe fatto meglio a rinviare quel viaggio. Il cielo scuro, già dopo l’alba, non prometteva nulla di buono. Quella torbida nuvolaglia che il vento stava accumulando annunciava freddo e neve. Confidando in un miglioramento, dopo le preghiere mattutine, s’avvio di buon passo verso Orta, imboccando la discesa che conduceva in paese e, sciolto l’ormeggio della piccola barca a remi, iniziò il suo viaggio. Vogava con un ritmo cadenzato, metodico. Giunto all’isola, caricata la barca con le due cassette di candele e la borsa dei paramenti rammendati, si fermò per il pranzo dal signor Ceravoli, un restauratore che aveva una casa sull’isola e d’abitudine vi passava le feste di fine anno. Il Ceravoli aveva contribuito ai lavori di restauro della quattordicesima cappella, l’ultima che venne completata verso la metà del 1700, con le cinquantadue statue raffiguranti San Francesco davanti al Sultano d’Egitto. Augusto Ceravoli non era solo un abile restauratore d’opere d’arte: si distingueva anche per la passione culinaria, ben rappresentata dal ventre prominente e dal colorito rubizzo.
Un bel bicchiere di vin brulé all’Osteria del Gino, rinfrancò entrambi. Il francescano, rifiutando la mia offerta d’accompagnarlo fino al convento ( “Signor Luciano, non sia mai. Stia tranquillo e vada a casa dai suoi che ha già fatto tantissimo per me. Non so davvero come ringraziarla”), s’avvio verso il convento con passo svelto. Io, m’incamminai verso casa. Orta era bianca di neve e dal cielo ne continuava a scendere tanta. Era passata appena una settimana da quel pomeriggio di neve e vento nel corso del quale era avvenuto il salvataggio di Frà Gioacchino. Alessandro, mio figlio, volle essere accompagnato a vedere il presepe al Sacro Monte. Era la sera della vigilia. I frati si apprestavano a celebrare la messa di mezzanotte nella Chiesa di San Nicolao. Salendo verso il Sacro Monte, che occupava tutto il promontorio sopra Orta, quasi fosse una protezione che dall’alto abbracciava il borgo, s’avvertiva l’aria di neve. La mattina di Natale, quasi certamente, ci saremmo svegliati con il paese imbiancato. Non attendeva una sorpresa che, francamente, non m’aspettavo. Il presepe, grande ed animato, aveva nel bel mezzo un laghetto, ricavato dalla superficie di uno specchio, sul quale galleggiava una lancia da lago con un uomo intento nella pesca. Sulla fiancata della barca, vicino alla prua, si leggeva un nome: “Berta”. La mia barca. E il pescatore ero io. Frà Gioacchino mi aveva fatto, a modo suo, il regalo più bello che avessi mai ricevuto.
Il Comune di Torino, per gli appassionati di sport invernali, nell’elenco che segue, indica alcuni indirizzi utili, con orari e numeri di telefono degli
Il prossimo 31 dicembre verrà trasmesso per l’ultima volta dalla sede Rai di Torino il Segnale orario Rai
trasmissioni digitali, che possono avere ritardi anche di alcuni secondi, il segnale SRC radiotrasmesso non è più idoneo a garantire un’accurata misurazione del tempo. Finisce così una collaborazione iniziata circa 70 anni fa. Infatti il Segnale orario Rai Codificato è del 1979, ma risale al 1945 la prima generazione di segnali di tempo per l’emittente radiotelevisiva nazionale.