LIFESTYLE- Pagina 354

Le scorze d’arancia e il camion di latta rossa e blu

Ricordi e profumi del Natale di una volta 

Natale 1964 Le scorze di mandarino e d’arancia, scaldandosi sui cerchi della stufa a legna, riempivano l’aria della cucina con il loro aroma. Le metteva mia madre, per “fare Natale”. Sosteneva che quel profumo d’agrumi bruciati portava con sé l’atmosfera delle feste di fine anno

 

 Poco importava se il calendario segnava ancora i giorni della luna di novembre, quella del sogno e del riposo, mancando più o meno quattro settimane al venticinque dicembre. Erano i giorni in cui si avviava l’Avvento. Un mese d’attesa, una lunga preparazione scandita dal conto alla rovescia che ci avrebbe accompagnati verso la festa più bella dell’anno. Nella vecchia casa che un tempo aveva ospitato i magazzini del cotonificio, non ci voleva molto a percepire il cambio di stagione. Lo sentivamo sulla pelle! In cucina la stufa divorava la legna ma nelle stanze fredde il mercurio nel termometro rabbrividiva con noi. Il freddo, oltre che sentirlo, si “vedeva. Bastava un rapido sguardo al colore del volto quando, io e mio fratello, ci svegliavamo al mattino. Metà roseo e metà bianco,metà tiepido e metà infreddolito. Era quella l’unica parte del corpo che non infilavamo sotto le coperte e quale delle due metà fosse l’una o l’altra, dipendeva da come si appoggiava la testa sul cuscino, addormentandoci alla sera. La nostra dimora, essendo un ex-fabbrica, sul piano del riscaldamento lasciava molto a desiderare. Ma i disagi non finivano lì. L’impianto elettrico risaliva alla destinazione industriale dello stabile e la tensione disponibile nelle prese di casa misurava 160 volt. Le lampadine si trovavano ancora in commercio (sempre più rare) ma per il frigorifero occorreva un piccolo e pesantissimo trasformatore per commutarla nei più idonei e “moderni” 220 volt (in seguito comprammo anche la Tv e i trasformatori diventarono due).  Anche il rifornimento d’acqua potabile era un bel problema.

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Quella che usciva dal rubinetto proveniva dalla canalizzazione che captava direttamente dal fiume, trasformandosi – quando pioveva – in un liquido color della terra. Per lo sciacquone del gabinetto poteva andar bene ( tra l’altro non era in casa, comodo: era stato ricavato sotto la scala che portava al locale del lavatoio, all’esterno) e pure anche il bagno, rito che veniva compiuto riempiendo il mastello di zinco dopo aver fatto bollire l’acqua sul fuoco della stufa. Per quella  potabile c’erano i fiaschi da riempire alla fontana pubblica, non troppo lontana ma nemmeno tanto vicina a casa. Come spesso capitava, in barba al calendario, il passaggio dall’autunno all’inverno era repentino. L’aria fredda, cavalcando i venti che scendevano dal Mottarone, dallo Zughero e dal Camoscio, scrollava via le ultime foglie secche dagli alberi, lasciando i tronchi spogli a rabbrividire nei prati e sui viali. Solo il bosco di castagni e querce, le faggete e le macchie di robinie opponevano una testarda resistenza che, con il passare dei giorni, diventata sempre meno convinta. Quell’ostinata riluttanza a liberarsi della propria chioma in breve si esauriva e anche gli alberi del bosco, malvolentieri, erano costretti a cedere il passo all’inverno che bussava alla porta, lasciando a terra un soffice tappeto di foglie che rifletteva tutte le sfumature del giallo e del marrone. A scuola si andava a piedi, imbacuccati. Un paio di chilometri scarsi tra andata e ritorno, attraversando il paese fino al vecchio edificio bianco-verde delle scuole elementari (non ho mai capito per quale ragione estetica il colore dell’intonaco è restato sempre quello nel tempo, mah..)

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Più avanti, duecento metri oltre le scuole, c’era ( e c’è tutt’ora) il Selvaspessa, il nostro “fiume” (anche se il demanio idrico lo cataloga torrente), attraversato dalla vecchia e malmessa passerella di ferro e legno che divideva l’abitato di Baveno dalla sua più popolosa frazione. Quello sì che era un altro mondo. Rappresentava il luogo dell’avventura, della fantasia, dei giochi per tutti e in tutte le stagioni. D’inverno la parte bassa del Selvaspessa si prosciugava e il gelo solidificava l’aria umida in leggerissime e fragili lastre di ghiaccio tra un sasso e l’altro.Bastava lanciare una piccola pietra per incrinarle o frantumarle in mille pezzi. Ma i giochi sul fiume erano un frutto proibito per noi “reclute”. Questione d’età e d’autonomia. Solo i più “vecchi” tra noi ragazzi, quelli che avevano raggiunto il limite del primo ciclo scolastico e che – a dieci anni o giù di lì- erano pronti per “avviarsi” alle medie, avevano accesso alle meraviglie di quel luogo misterioso. Per quelli che come me frequentavano le prime classi, c’era l’obbligo dell’immediato rientro a casa quando, al termine della mattinata, lo squillo della campanella chiudeva le lezioni. Con la cartella di cuoio a tracolla o in spalla – salutata la maestra Pedrelli e i bidelli- uscivano dall’aula, imboccando di corsa il cancello della scuola. Un breve saluto, la promessa di rivedersi l’indomani e via, ognuno per la propria strada. Siamo cresciuti così, in quei primi anni ‘60. Con la giusta attenzione a libri e quaderni e la voglia di giocare che si ha a quell’età. I nostri erano giochi poveri, dove a far la differenza – non costando nulla – la faceva la fantasia, arricchendoli e rinnovandoli al punto d’apparire sempre nuovi e differenti nonostante fossero il più delle volte gli stessi.

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A quell’epoca non c’erano pistole laser, playstation, videogame o altre diavolerie elettroniche. Men che meno i computer. I giochi s’andava raramente a comprarli nei negozi. Un po’ perché di soldi ce n’erano pochi, un po’ perché non c’erano nemmeno i negozi. I giochi ce li costruivamo da soli. Usando legnetti, elastici, un gessetto colorato, un vecchio cerchione arrugginito di bicicletta, un fazzoletto, il cono di cartone di una rocca del filato e un po’ d’abilità comparivano la lippa, una fionda, il campo tracciato per i quattro cantoni o la pista per i tappi, il gioco del cerchio, ruba bandiera o moscacieca, una cerbottana. Era meglio essere in “banda”, in compagnia, ma ci si poteva divertire anche da soli. In questi casi  d’immaginazione ce ne voleva davvero tanta. Ricordo, ad esempio, le lunghe discussioni con la mia immagine riflessa nel vecchio frigorifero Ignis. In testa portavo una bustina militare di mio padre, sulle spalle uno zainetto grigioverde ereditato da chissachì e tra le mani uno “sciopp da legn”, un fucile di legno artigianale. A quell’epoca sottostavo agli ordini del “sergente”, la cui immagine rispondeva immediatamente al mio saluto militare, imitando ogni mio gesto nel mettermi sull’attenti davanti alla porta lucida del frigo. Non avendo il dono della parola toccava a me, improvvisandomi ventriloquo, dare una voce al “sergente” che, come tutti i sergenti che si rispettano, l’aveva un po’ roca e un tantino autoritaria. Solo più tardi l’artigianale sciopp fu sostituito con il fucilino ad aria con il tappo di sughero tenuto dallo spago. Un’arma straordinaria, tecnologicamente avanzata per quell’epoca, che faceva risuonare nell’aria il suo minaccioso e secco “plop!”. 

 

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I più fortunati possedevano i bastoncini di legno dello Shangai, gli aerei di carta dei formaggini Galbani, la mucca Carolina o la Susanna “tutta-panna” gonfiabile che si otteneva con i punti dell’Invernizzi, le palline clic-clac, il gioco dell’Oca o del Monopoli (per i più grandi che cominciavano a capire il senso e il valore del denaro), il traforo, il Meccano o il trenino elettrico della Lima. Alcuni amici possedevano i soldatini prodotti dalla Nardi, belli e colorati, di plastica e con le parti del corpo staccabili: le Giubbe Rosse a cavallo, con le divise fiammanti e quegli strani copricapo, gli antichi romani e i barbari, gli indiani e i cowboy, i nordisti e i sudisti impegnati a combattersi in un’infinita guerra civile con le loro divise blu e grigie. Io, schioppo di legno a parte, non possedevo altro che la mia fantasia. E, a onor del vero, un asino rosso di plastica, ricordo dell’infanzia, comprato da mia madre alla festa del santuario del Boden, che faceva compagnia a un Calimero di celluloide. A esser sinceri c’era stato qualcos’altro: la bambola “Caterina”. Mi era stata donata da una bambina, vicina di casa e compagna di giochi, e io – pur essendo un maschietto, forse per affetto o per curiosità – le detti da mangiare. Nella piccola bocca aperta della bambola, per qualche settimana, infilai qualche chicco di riso, un po’ di minestra, dell’acqua, delle briciole di pane. La povera Caterina non gradì molto le mie cure poiché, di lì a poco, con mio grande stupore e rammarico, iniziò a emanare uno sgradevole odore. Il cibo, fermentandole nel ventre di gomma, la fece marcire. Così, strappandomi qualche lacrima, fusoppressa. Peccato, se quella bimba mi avesse regalato una bambola di quelle magre, quasi anoressiche e dalle labbra strette e chiuse come le Barbie (che proprio in quel 1964, sbarcò in Italia provenendo dall’America), forse l’avrei conservata. Il mondo dei balocchi era racchiuso nella vetrina del negozio della signora Alfonsina. Guardare attraverso quell’esile barriera di vetro equivaleva ad affacciarsi su di una realtà fantastica. In quel piccolo negozio si comprava di tutto: dal sale ai tabacchi, dalle riviste piene di foto ai quotidiani che sfogliandoli annerivano le dita d’inchiostro, dalle mollette colorate per il bucato ai lumini bianchi e rossi per il cimitero. Ma noi, in prossimità del Natale, eravamo attratti da quelle luci colorate e intermittenti, capaci di rendere ancora più straordinaria la piccola parata dei giocattoli esposti al centro della vetrina. Nulla a che vedere con quelle più ricche e ben fornite dei negozi di giocattoli di Intra, Pallanza o Stresa. Già a Baveno, in piazza del municipio, si trovava di meglio. Però, nella vetrina della signora Alfonsina, c’era quel tanto che bastava a farci rimanere con il naso incollato al vetro e la bocca aperta. Spiccavano le racchette da ping-pong dell’Arco Falc, rivestite di sughero, con cui giocare sul tavolo da cucina – quand’era sgombro- immaginando la stessa superficie simile del verde e scolorito tennis da tavolo che c’era nella sala dell’oratorio. C’era l’aquilone Air-Jet della Quercetti (la stessa ditta che produceva i chiodini colorati di gomma per comporre mosaici): bastava gonfiarlo – come ci aveva fatto vedere Luca, fortunato possessore di una copia – e diventava come una grande supposta bianco-rossa con le alette blu, quasi impossibile da governare perché andava di qua e di là in preda a un delirio di traiettorie anarchiche. C’erano i trasferelli, la cera Pongo, gli aerei di balsa con l’elastico che ti dovevi costruire da solo e che stavano in aria quei pochi secondi che separavano il lancio dallo schianto al suolo, pistole e fucili di plastica o metallo brunito, dal calcio di legno. M’incuriosiva la pistola di latta nera (che in seguito mi fu regalata): aveva le munizioni stese su dei rotolini di carta rossa che riproducevano lo stesso rumore delle nocciole schiacciate, lasciando nell’aria un odore acre e sgradevole. E come non citare il caleidoscopio, le trottole di legno e quelle di latta ( “di tolla”) a pressione, i pentolini e le bambole, i pastelli a cera e il missile Mach-X, quello che si lanciava con l’elastico tenendolo fermo con i piedi e una volta giunto in aria apriva il paracadute. Ero terribilmente attratto da quel razzo ma, tempo dopo, avendone ottenuto un esemplare,  restai deluso da quel vettore: per salire, saliva ma il più delle volte precipitava (appunto, come un missile..) a terra, schiantandosi al suolo e solo allora, beffardamente, il paracadute rotolava mollemente fuori.

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Il sogno proibito per noi maschi era l’autopista elettrica della Polistil che si vendeva nelle due versioni a circuito ovale e a forma di otto, con le due o le quattro corsie per le auto in corsa. Si sentiva parlare, a quell’epoca,  delle sfide tra le Lotus e le Ferrari e gli eroi delle quattro ruote erano Stirling Moss  e Graham Hill, Jim Clarck (l’asso della Lotus)  e i ferraristi John Surtees, Wolfgang Von Trips e Giancarlo Baghetti che guidavano le rosse monoposto del Cavallino rampante di Maranello. Quell’autopista, che dalle pagine di Topolino veniva propostada una bellissima Paola Pitagora, rappresentava l’oggetto del desiderio numero uno. Desiderio, con molto rammarico, destinato a rimanere tale. Alfio invece era fortunato. I suoi genitori e gli zii gli compravano le figurine dei calciatori. Un “di più” che la mia famiglia non mi consentiva di avere.  Solo mia nonna materna, che mi voleva un bene dell’anima, risparmiando come e quanto poteva, mi dava qualche soldo di mancia che investivo nei fumetti con le avventure di Topolino e Paperino, Tiramolla, Cucciolo e Beppe, il lupo Pugacioff e Cocco Bill, il cowboy che beveva solo camomilla. E, quando si poteva disporre di qualcosa in più, la scelta cadeva sulle bustine di figurine da dieci lire. Nulla di paragonabile a quanto aveva Alfio ma non mi sono mai lamentato. Nel primo album dei calciatori della Panini ogni squadra di serie A era raffigurata con quattordici giocatori e in molti casi si vedeva che le figurine non erano altro che fotografie in bianco e nero colorate a mano. Nelle ultime pagine dell’album (che in copertina raffigurava Nils Liedholm, il forte attaccante svedese del Milan) c’era un’intera sezione dedicata al grande Torino, la squadra che dominò i campionati dal 1942 al 1949 e che perì il 4 maggio di quell’anno nel disastro aereo di Superga. Il mito, a pochi anni dalla tragedia, era fortissimo. La formazione la sapevamo anche noi piccoli a memoria, quasi fosse uno scioglilingua, a prescindere dal tifo: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar,Rigamonti,Castigliano,Menti,Loik,Gabetto,Mazzola,Ossola.Quelle immagini rappresentavano le gesta sportive degli eroi del pallone, alimentando i nostri sogni di carta. Nel primo anno delle elementari il Milan di Nereo Rocco si aggiudicò, nello stadio londinese di Wembley,  la prima coppa dei Campioni per una squadra italiana. I diavoli rossoneri sconfissero il Benefica di Eusebio (che segnò la rete dei lusitani) per 2-1, grazie a una doppietta di José Altafini. Poi vennero gli anni della grande Inter di Helenio Herrera mentre era una realtà di grande spessore la Juventus di Charles e Sivori. Con le figurine si giocava, componendo squadre immaginarie, vincendole o perdendole a sopra, a lungo, a chi le lanciava più lontano. Ricordo quelle di Dennis Law, che giocava nel Torino con Gigi Meroni, la farfalla granata, dei bolognesi Haller, Janich, Fogli e Pascutti (che era un po’ pelato e ci ha lasciati – con l’altro felsineo, Marino Perani – quest’anno), di Enrico Albertosi con la maglia da portiere della Fiorentina, degli juventini Stacchini, Salvadore, Del Sol, Castano e Anzolin, di Amarildo con i colori del Mantova e di Gianni Rivera, prima con i grigi dell’Alessandria e poi con il Milan, per tutta la carriera. Mi ricordo Carlo Dell’Omodarme, ala della Spal e della Juve. Non lo vidi mai giocare. Lo rammento con una faccia seria e sofferente, ritratto a busto interno nella sua figurina con la maglia a righe verticali bianco-celesti della squadra di Ferrara. La Spal, appunto. Mi sembrava un calciatore tosto, affidabile. Trasmetteva, in qualche modo, la certezza che avrebbe fatto fino in fondo il suo dovere. Del resto il cognome lo garantiva.

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Un vecchio zio di madre, Edoardo, tipografo di Milano, mi portava in dono gli album colorati con le fiabe di Esopo e La Fontaine. Era un personaggio, lo zio “Eduard”. Non tanto alto, ben vestito, portava un cappello a tesa larga e una cravatta stretta e nera. Era un vecchio anarchico dai modi gentili e miti. Mi portò anche un libricino, dicendomi “ l’ha scritto uno che non la pensa come me, ma vale la pena leggerlo perché è scritto bene”. Io non ero in grado di capire il significato di quel “ non la pensa come me” e mi lasciai incuriosire dal fatto che era “scritto bene”.  Iniziava così: “ La mattina del 24 dicembre 1914, un piccolo gruppo di persone saliva su per la strada del Gran San Bernardo. Quelle persone erano il signor Michele Rasi, bell’uomo forte e robusto, di una quarantina d’anni, la signora Ebrica sua moglie e suo figlio Giacomino, un ragazzetto di dieci anni, bruno, tozzo, coraggioso camminatore”. Mi piacque molto “Il piccolo alpino” di Salvator Gotta. L’edizione era la prima, già allora vecchia, del 1926. Il libro, pur essendo usato, era ben conservato. Lo zio l’aveva acquistato su una bancarella alla fiera degli “Oh, Bei Oh, Bei” che si svolgeva nei giorni dell’Immacolata nelle vie attorno alla Basilica di Sant’Ambrogio. Era lì, dove risuonava quell’esclamazione (oh bei, oh bei ! che belli, che belli!) che tradizionalmente si compravano i regali di Natale a Milano. Le bancarelle vendevano dolci e delle sleppe di torrone da far paura, che poi venivavo tagliate in tanti pezzi più piccoli. Gli ambulanti offrivano giochi, berrette e sciarpe, cianfrusaglie di ogni tipo.

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Lo zio Edoardo raccontava – non a me, troppo piccino – che i ragazzi erano soliti comprare le mele da regalare alle proprie fidanzate come pegno di perenne amore. Il libro l’aveva trovato da un suo amico che vendeva copie usate di libri in un banchetto d’angolo. Per questa ragione, ho sempre pensato, che quel libricino fosse ancor più prezioso: non solo perché era un regalo ma perché la sua lettura, nel tempo, era stata condivisa con altri. Lo tenevo come un oracolo. Era tra i miei primi libri, in quegli anni senza dubbio il più amato. Le avventure di quel ragazzo capitato tra gli alpini aostani impegnati sul Carso durante la guerra ’15-’18 suscitavano una grande emozione. In seguito arrivarono anche Il giornalino di Giamburrasca di Vamba, Pel di carota, il libro Cuore di De Amicis (mi ero preso in simpatia la piccola vedetta lombarda), quelli fantastici di Giulio Verne e la scoperta di Salgari, nelle edizioni torinesi cartonate di Viglongo. Ma quella de Il piccolo alpino era una storia che si era guadagnata un posto nel cuore e per questo non ringraziai mai abbastanza lo zio Edoardo, soprattutto per lo sforzo che aveva compiuto nel regalarmi il libro più bello di quel signore che, tra le altre opere, aveva composto una canzone come Giovinezza che, non è difficile immaginarlo, allo zio faceva venire i nervi. Si avvicinava intanto il fatidico giorno e cresceva l’attesa. Ricordo uno dei primi regali: un autocarro con rimorchio di legno che mio padre mi costruì con le sue mani. La forma era un po’ grezza, non livellata, piuttosto artigianale ma forse per questo ancora più bella. Ero orgoglioso di quel mio camion. Il cassone del rimorchio era capiente e si riempiva bene con ghiaia e sassolini. Le ruote, pur non essendo perfettamente circolari, giravano che era un piacere. Con i pastelli a cera l’avevo colorato di un bel rosso carico, intenso. Non del tutto perfetto perché le impurità del legno e la mia scarsa manualità non consentirono una colorazione uniforme. Non era però un problema. Sul camion volevo caricare anche il mio cane, Dick. Quando mio padre lo portò a casa, fu una sorpresa. L’aveva nascosto sotto la giacca e mi spaventai non poco nel vedere quella testolina bianconera che faceva capolino. Era un batuffolo di bastardino che campò più di vent’anni, crescendomi accanto. Anche lui guardava il camion, curioso ma diffidente. Gli girava attorno, lo annusava. Io volevo caricarcelo su, lui scappava e guaiva. Non c’era verso di convincerlo. Preferiva muoversi sulle sue zampe piuttosto che salire su quel trabiccolo. A quel tempo le finanze di casa erano decisamente magre. Mio padre faceva anche due turni consecutivi al lavoro. Partiva all’alba con la bicicletta e pedalava da Oltrefiume fino al confine tra Feriolo e Fondotoce, poco oltre la cascina Garlanda, dove faceva il segantino. Non c’erano stagioni o giornate brutte o belle: piovesse, nevicasse, tirasse vento o si soffocasse per l’afa, gli toccava andare. Il suo lavoro consisteva nel tagliare le lastre di marmo e granito. Era piuttosto duro e rischioso per la salute, con tutta quella polvere e la silicosi sempre in agguato. Mia madre, invece, badava alla casa. S’ingegnava a far quadrare i conti del bilancio familiare. Compito tutt’altro che agevole, al quale dedicava il meglio di sé.

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Nonostante ciò, io e mio fratello – nato da poco – eravamo tenuti come due bijoux. Puliti da capo a piedi, vestiti sobriamente ma con dignità. Educati al rispetto dei genitori, dei nonni e dei vicini. Quel Natale del 1964, a dispetto della buona volontà, si annunciava povero di doni. Forse qualche mandarino, un pugno di arachidi, magari un torrone e qualche caramella di zucchero. In fondo, grazie allo zio Edoardo, avevo avuto qualcosa e poteva anche bastare. Mia madre era piuttosto rassegnata quando accadde un piccolo miracolo. Stava andando a far la spesa dal Tabaccaio, dove avrebbe fatto scorta di sale grosso e fine, quando – per terra, poco prima della curva a fianco del prato cintato da un muretto che formava un triangolo geometrico, scorse un biglietto da mille lire. Non credo che la vista del volto di Giuseppe Verdi le avesse mai fatto tanto piacere quanto in quell’occasione. Si guardò in giro. Non c’era anima viva. Si chinò rapidamente e arpionò il biglietto, infilandoselo in tasca. Me la immagino, rossa in volto e tutta agitata. Dopo qualche passo si fermò a guardare quel tesoro e preso coraggio si avvio di buon passo dal signor Martini, il macellaio, per trasformare quell’inaspettata fortuna in un certo numero di fette di lonza di maiale. Dopo il macellaio fu la volta del negozio di alimentari per un etto di formaggio e di prosciutto cotto. Lasciata alle spalle la drogheria, calcolò rapidamente quanto rimaneva delle mille lire e si accorse che erano 280 lire. Quella fu la somma che spese dalla signora Alfonsina per il sale e per un camioncino di latta rossa e blu. Era il mio regalo per Natale. Quando vidi l’inaspettato dono sotto il piccolo abete addobbato con una dozzina scarsa di palline colorate, pensai che Gesù Bambino fosse stato molto generoso. Non credevo ai miei occhi: era un camioncino bello e colorato, con nere e lucenti ruote di gomma. Sull’abitacolo erano disegnate le porte e il rosso del cassone contrastava con il blu cobalto dell’intera struttura. Era il più bel camion di latta che avessi mai visto. Tanto bello e sfolgorante che a un certo momento non lo vidi più. Era sparito! Mi sembrava d’averlo sognato, anche se ero certo di averlo tenuto tra le mani, girandolo e rigirandolo sotto e sopra. Mia madre mi consolò, giocando con me, la nonna e la zia Annetta al gioco dell’Oca. Tiravo il dado, seguivo il percorso dell’oca di legno sulle caselle ma non dimenticai quel camioncino. Era successo qualcosa che non riuscivo ancora a capire. Fuori nevicava che era un piacere e nei giorni successivi mi divertii con i pupazzi e le palle di neve. Venne poi la notte della Befana. Nella calza appesa vicino al camino, che era sempre spento, trovai due mandarini, delle castagne secche, un cioccolato, un paio di rotolini di liquerizia e…un camioncino di latta rossa e blu. Non ricordo un ritorno tanto gradito quanto quello.

 

Il Peso del Natale

di Davide Berardi *

 

Nel momento adiacente alle festività natalizie, purtroppo, in molti si sentono quasi appesantiti dalla sensazione del “dover essere gioiosi”, da quel sentirsi contenti ad ogni costo che va a sfociare in uno stato d’animo non autentico, paradossalmente quasi “infelice” da sopportare. Si percepisce nel nostro spirito una sorta di agitazione interna rispetto allo stereotipo del “felicità cercasi”, dovuta in parte ad un’attenzione esasperata verso il regalo di Natale e, dall’altra, da un’ostentata enfasi raccontata dalle nostre relazioni sociali. Da un punto di vista psicologico ed emotivo praticamente siamo proprio noi a metterci sotto pressione da soli; infatti non è la festa in sé e per sé, ma tutti i molteplici posizionamenti simbolici che le attribuiamo ad invadere e destabilizzare il nostro “io”. Oramai c’è una così ferrea abitudine nel commercializzare talmente tanto un evento da renderlo quasi impossibile da soddisfare. Questo comporta l’insorgere di uno stress emotivo e cognitivo rilevante, che nasce proprio dall’ideale che ci siamo imposti di raggiungere rispetto a quello che, invece, realmente potremmo fare per goderci una ricorrenza. Tutto ciò al punto tale da far vivere l’evento come un processo emotivamente faticoso e affettivamente quasi “scomodo”. Proprio per questo motivo sarebbe molto utile rifiutare qualsiasi schematizzazione del Natale dettata da imposizioni sociali o virtuali, abbassando le aspettative e mantenendosi impegnati e protagonisti in ciò che più ci appassiona, riducendo così di molto la propria influenzabilità individuale. Se siamo attivi in un’intenzione restiamo lucidi ed emotivamente concentrati, cosicché qualsiasi tipo di influenza esterna avrà maggiore difficoltà nell’attecchire dentro di noi. E’ importante, dunque, non farsi sommergere da ritmi imposti, spesso devastanti, che pervadono queste festività. Il Natale è nostro, non dei regali. Dona un abbraccio di almeno mezz’ora.

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A Natale stupisci. Siamo ormai abituati a scambiare, a commercializzare, seguendo una logica algebrica di compensazione materiale, a quantificare quanto ci vogliamo bene. Purtroppo non basta. La nostra mente si abitua agli oggetti molto velocemente ed oggi di oggetti ne è pieno il mondo. A volte sembra quasi inutile passare ore a scervellarsi sul cosa regalare a chi. Sbalordire, vogliamo sorprendere e meravigliare. Sfortunatamente è impossibile che l’effetto immaginato e voluto col nostro gesto duri così a lungo da regalarci una reazione compensatoria e soddisfacente a ripagare il tempo speso nella ricerca del regalo perfetto. Dunque cosa fare..arrendersi? No, bensì variare, adattarsi, modificare quel senso attribuito alla festa, alla ricorrenza, perché di tradizione si tratta, e non di gara all’ultima emozione o effetto speciale. Provare a riportare tutto al “quasi niente” per ridare valore e capacità apprezzante anche al minimo gesto, purché verso l’altro a cui vogliamo bene. E come? Raccontando complimenti sinceri, regalando baci e abbracci duraturi, prese per mano, libri, oggetti fatti a mano donando la nostra creatività di cuore. Tutto ciò non è obbligatorio, ma aiuta a ridurre le tensioni di Natale, aiuta a sostenere quel lieve sentore di abbassamento umorale, che fa scivolare via via il sorriso dal nostro volto e dai nostri occhi guardando il calendario e facendo salire l’acido gastrico lungo il canale dello stomaco. Si attenua quell’angoscia che, se in alcuni casi è sana poiché il periodo delle feste natalizie malauguratamente può essere anche legato a momenti spiacevoli e terribili della nostra vita, in altri casi, è data dalla sconsiderata pressione sociale che mettiamo noi stessi in tutto quello che facciamo. Alzando l’asticella della produzione di “effetti speciali” per “affetti virtuali” ad un limite non raggiungibile produciamo nei nostri pensieri infinita frustrazione, che può sfociare in rabbia, delusione o malumore per tutta la durata della ricorrenza. La vita reale è ben lontana dal prodotto pre-confezionato che ci propinano gli spot natalizi fatti da famiglie perfette, sedute intorno ad una tavola, schematicamente sorridenti.

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La vita reale è fatta di confronti, tensioni, genitori separati, assenze ingiustificabili e mancanze squarcianti, solitudini e difficoltà economiche. Dunque il confronto tra la nostra cruda quotidianità e una cartolina natalizia prestampata, nella maggior parte dei casi, non può che far emergere dentro di noi un senso di inadeguatezza lontano anni luce da quella magica “costruita” atmosfera raccontata intorno a noi. Al punto tale da sfociare in un’insofferenza da “panettone e pandoro”. Momenti questi in cui si corre il forte rischio di cadere nel pentolone dei “se” e dei “ma’. Questo accade perché siamo abituati a tirare le conclusioni quando si chiude un periodo, c’è una celebrazione o finisce temporalmente un attimo della nostra vita. Nelle commemorazioni tradizionalmente forti come il Natale e la fine dell’anno capita molto spesso di darsi i voti. Fin da piccoli ci viene raccontato che facendo il bravo otterrai il regalo da Babbo Natale, la Befana non ti porterà il carbone e, dunque, anche da adulti continuiamo ad essere lì a chiederci se siamo stati bravi veramente e ad interrogarci su come sia stato il bilancio dell’anno passato. Iniziamo la “sagra” del voto ma rispetto a cosa? Dipende sempre dai parametri che ci diamo da rispettare. Dobbiamo provare ad essere meno severi con noi stessi e a non fare paragoni con gli altri e con quello che ci viene raccontato rispetto al “socialmente desiderabile”. Dovremmo essere più liberi. Se siamo capaci di essere più liberi e lontani dagli schemi imposti potremmo aprire una possibilità di riuscire a sentire meno il peso ineluttabile delle feste da calendario. Liberarsi dai voti, dai sensi di colpa, dai bilanci e lanciarsi negli abbracci, prima verso noi stessi, poi verso l’altro lontano dai mi piace, dai “like virtuali” e dalle condivisioni ossessive del miglior “selfie” occasionale. La vita non è un teatro di posa, non è un set fotografico dove cerchi la luce migliore per sembrare più alto o più magro. La vita è una scia di sensazioni che si trasformano in emozioni che, se coltivate, a loro volta sfociano in sentimenti. Per tutto questo serve il contatto, la presenza, non basta un messaggio vocale. Bisogna imparare a distinguere le priorità nelle “persone” e nelle “azioni” le quali, ridotte di quantità e rese uniche, alla portata affettiva di noi esseri umani acquisterebbero più valore in quanto rare, uscendo dalla logica dell’”oggetto” per essere felice. Non siamo macchine in grado di coltivare più contatti di quanti il nostro cuore possa seguire effettivamente. Se questo avvenisse, potremmo evitare la dipendenza emotiva dal bisogno di acclamazione virtuale di persone che neanche conosciamo, poiché basterebbero quei minimi abbracci intimi di quelle poche persone che frequentiamo realmente per farci sentire meglio. Ciò spegnerebbe la famosa malinconia natalizia, la relativa tristezza delle feste di Natale dove tutti siamo più buoni e la faticosa melassa dei sorrisi di circostanza che, spesso, scandiscono tutto il perdurare dell’evento natalizio. Meno contatti, ma più veri, più abbracci e più intensi, meno condivisioni e più presenza, meno selfie e più realtà.

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* Dott. Davide Berardi, Psicologo – Psicoterapeuta

Psicologo, Psicoterapeuta ad Indirizzo Relazionale Sistemico, Docente Corsi di Accompagnamento al parto, Psicologo della riabilitazione e del sostegno nella terapia individuale e familiare, Terapeuta del coraggio emotivo.

davide_berardi_78@yahoo.it      

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Stille Nacht: la storia della “notte silenziosa, notte Santa”

natale albero madamaLa prima esecuzione pubblica avvenne nella notte della vigilia di Natale del  1818 durante la Messa nella chiesa di San Nicola di Oberndorf, vicino a  Salisburgo

Era la mattina del 24 dicembre 1818 quando il reverendo Joseph Mohr , allora assistente parrocchiale presso la località di Mariapfarr nel Lungau (località del Salisburghese, in Austria), bussò alla porta di Franz Xaver Gruber, insegnante ad Arnsdorf ed organista ad Oberndorf. Il parroco , che da bambino era vissuto di elemosine,  era giunto nel Salisburghese dalla Baviera, per sfuggire alle guerre napoleoniche, alle macerie e alla miseria. La ragione della visita era dovuta ad una richiesta: musicare un brano da lui scritto per due voci soliste, coro e chitarra. Le parole del testo, intitolato Stille Nacht , ovvero notte silenziosa, erano state scritte dal reverendo già un paio d’anni prima ma occorreva musicarlo. Non sono noti, almeno ufficialmente, i motivi che spinsero Mohr  a fare tale richiesta ma un racconto tradizionale riporta che ciò sarebbe avvenuto in quanto l’organo della chiesa di San Nicola era guasto poiché il mantice era stato rosicchiato dai topi e la riparazione era impossibile in tempi brevi ( e questo spiegherebbe il ricorso alla chitarra). Comunque Gruber non si fece pregare, componendo il brano di getto. Terminato il lavoro, fece vedere la partitura a Mohr che l’approvò . La prima esecuzione pubblica avvenne nella notte dello stesso giorno, la vigilia di Natale del  1818 durante la Messa nella chiesa di San Nicola di Oberndorf, vicino a  Salisburgo, ed il brano venne eseguito dai suoi due autori con Mohr che cantava la parte del tenore ed accompagnava con la chitarra Gruber che intonava la parte del basso. Così, la più celebre melodia di Natale –  “Stille Nacht, heilige Nacht”, notte silenziosa, notte santa – ,  cantata i centinaia di lingue – “Astro del ciel” in italiano, “Silent night” in inglese – nacque quasi per caso. A Oberndorf si può visitare oggi la cappella di “Stille Nacht”, sorta sul luogo dove nel 1817 si trovava la chiesa di San Nicola (distrutta da una piena della Salzach), e un piccolo museo dedicato alla canzone e ai suoi autori. Ogni anno, nella vigilia di Capodanno, in omaggio a Josef Mohr e a Franz Xaver Gruber, la melodia di “Stille Nacht” viene riproposta nel duomo di Salisburgo, dopo il “Te Deum”, così come era stata eseguita la prima volta a Oberndorf. Le luci della cattedrale si attenuano e nella penombra si odono le note di una chitarra, che suona da un alto pulpito affacciato sul transetto. Subito dopo, dal pulpito di fronte, una voce solista canta la prima strofa. Poi le note della chitarra continuano ad alternarsi alla voce solista nelle strofe successive, finché dal fondo della navata si unisce il coro intero. Difficile descrivere la commozione di chi, in chiesa, ascolta ammutolito quella musica. Rimane una curiosità, da svelare. Non tutti sanno che la versione italiana, dal titolo “Astro del ciel“, diventata popolare anche a livello internazionale, non è una traduzione del testo tedesco bensì un testo originale scritto nel secolo scorso dal sacerdote bergamasco Angelo Meli e pubblicata nel 1937 delle Edizioni Carrara di Bergamo.

Marco Travaglini

Lindy hop. Il ballo swing senza tempo che fa impazzire i torinesi

Negli ultimi anni si è assistito ad una vera e propria riscoperta dello swing e del lindy hop in tutto il mondo. Quando sembrava ormai essere irrimediabilmente tramontato il ballo di coppia, eccolo a far di nuovo irruzione come principale forma di intrattenimento nel fine settimana e quale modo migliore per incontrarsi. Il merito va sicuramente a questo revival dei balli swing, lindy hop in testa, che resistono al tempo e alle mode. Di origine afroamericana, il lindy hop nacque alla fine degli anni Venti al Savoy Ballroom di Harlem a New York. Dalla comunità nera si espanse poi al resto della società diventando il primo fenomeno di ampia portata di integrazione culturale tra bianchi e neri. Oggi le comunità di lindy hoppers che scelgono luoghi precisi in città dove incontrarsi ogni settimana, le scuole e i festival periodici in cui vengono presentati workshop e ospiti internazionali sembrano crescere e consolidarsi di anno in anno e a dismisura. Una delle cose che sorprende di questo ballo è la socialità. Nelle serate di social dance si balla liberamente con partners diversi senza seguire coreografie predefinite, ma improvvisando guidati dalla musica e dalla sintonia spontanea che si instaura tra i ballerini. Normalmente si è abituati a considerare il ballo di coppia frutto di uno studio accurato di coreografie prestabilite in vista di esibizioni o gare, basti pensare al programma “Ballando con le stelle”. L’improvvisazione di questo ballo invece, tutto giocato sull’abbandono alla musica e al partner, è qualcosa di unico ed è ciò che entusiasma tutti coloro che condividono questa passione. L’euforia collettiva che si sprigiona durante una jam session e l’immediatezza della musica dal vivo che accompagna gli scatenati balli contribuiscono ad alimentare il desiderio di far parte di una comunità che sembra espandersi continuamente. Durante la settimana sono tante le serate dedicate ai balli social, occasioni imperdibili per chi vuole mettere a frutto i passi imparati a lezione e per ballare con persone diverse. Due sono i ruoli nella coppia: il leader, colui che guida improvvisando e la follower che segue il leader interpretando. Ma si suol dire che a ballare si è sempre in tre: il leader, la follower e la musica.

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Abbiamo incontrato Chiara Silvestro, ballerina e insegnante tra le più brave della scena swing torinese e fondatrice della scuola Feel Good Swing, per catturare la magia di questo ballo e capire le ragioni di questo successo.

 

Quando è iniziato il revival dei balli swing a Torino? Chiara, per quali vie sei approdata al lindy hop e da quanti anni insegni?

 

Ho tenuto le prime lezioni di charleston e jazz roots nell’estate del 2009. Si tratta di balli swing, come il lindy hop, ma a differenza del lindy sono danzati singolarmente. Sono stati la mia prima grande passione, ma anche una scelta abbastanza obbligata nel momento in cui a Torino non esisteva ancora una scena swing e non conoscevo nessuno che ballasse lindy hop! Dopo moltissimi anni di danza modern jazz e contemporanea ero approdata ai balli swing perché, appassionata di musica nera d’annata, avevo scoperto che in Europa esistevano diversi festival dedicati e avevo iniziato a frequentarli. Pian piano le cose a Torino sono cambiate e di sicuro un grosso aiuto è arrivato dal Jazz Club che ha iniziato a organizzare serate dedicate alla musica swing e alla social dance nell’inverno 2011. In tutti questi anni ho sempre continuato a insegnare e ho visto la scena swing crescere e trasformarsi e la città rispondere in maniera entusiasta. Oggi si può ballare più o meno ogni sera a Torino! Dopo varie esperienze e collaborazioni ho infine fondato la scuola Feel Good Swing assieme al mio compagno di ballo e di vita Alessandro Rossi. Man mano la squadra si è allargata e siamo molto contenti del percorso fatto fin qui e dell’atmosfera rilassata e inclusiva che si respira in Feel Good Swing. D’altronde abbiamo scelto questo nome proprio perché secondo noi la cosa più bella e importante da trasmettere attraverso i balli swing è la voglia di divertirsi, di stare assieme e di stare bene!

 

 

Una delle cose che colpisce dell’ambiente swing è l’aspetto sociale, la comunità che si crea intorno e la straordinaria varietà di persone attratta dalla musica e dal ballo. Un fenomeno che sembra essere un po’ in controtendenza visti i tempi dominati per lo più da relazioni alimentate sui social network. Quali tipologie di persone si iscrivono ai corsi?

 

Il balli swing hanno un pubblico estremamente trasversale: si passa dallo studente universitario, al professionista, dall’appassionato di musica jazz a chi la musica jazz non l’ha mai ascoltata prima. Di sicuro alla base dello strepitoso successo di questo ballo sta proprio l’inclusività e la socialità che è in grado di generare.   Oltre ai corsi, sia durante la settimana che durante i fine settimana, ci sono moltissime occasioni di ballo e la gente sa che andando alle serate social incontrerà persone che già conosce e avrà occasione di fare nuove amicizie con cui condividere un interesse comune. Questo aspetto aggregante di sicuro è in controtendenza rispetto alla solitudine dei nostri tempi. Ballare assieme presuppone un contatto diretto e fisico che non ha niente a che vedere con le chat sui social! Forse è anche una sana reazione a un modo di vivere in cui viene a mancare il senso di comunità. Così è naturale comprendere come la socialità offerta dal mondo swing venga apprezzata e sostenuta dalle persone.

 

E per chi volesse cimentarsi nel lindy hop? Bisogna avere esperienze pregresse o ci si può “buttare” anche senza esperienze di ballo?

 

Esistono campioni del mondo di lindy hop che raggiungono dei livelli di qualità e raffinatezza del ballo altissimi. Detto ciò il lindy è nato come ballo di strada e come ballo sociale, quindi può essere imparato e goduto anche da totali principianti! A gennaio partono due corsi proprio dedicati ai principianti tenuti da me e Alessandro. Tutti i curiosi possono partecipare alle lezioni di prova che saranno giovedì 11 e sabato 13 gennaio. Tutte le informazioni si trovano sul nostro sito www.feelgoodswing.com, ma gli interessati ci possono anche contattare via email (info@feelgoodswing.com) o sulla nostra pagina facebook (www.facebook.com/feelgoodswing/). Venite e capirete le ragioni di tanto successo!

 

Giuliana Prestipno

La finestra sul cortile

La geografia della bellezza 

sono molto contenta questa settimana di affrontare il tema della cosmetologia ed erboristeria. Io sono una grande appassionata di erboristeria, fitoterapia e naturalmente di cosmetici soprattutto quelli naturali. Mi piace fare i cosmetici da me, diciamo che è il mio hobby preferito, mi diletto a sperimentare sempre nuove ricette di bellezza e quindi faccio continuamente ricerche, una volta andavo in biblioteca e prendevo appunti, adesso naturalmente c’è il web! È grazie ad internet che anni fa ho conosciuto una cosmetologa bravissima che ho cominciato a seguire assiduamente ed oggi posso finalmente scrivere di lei, della dottoressa Barbara Bertoli. Barbara Bertoli, torinese, è una farmacista, cosmetologa specializzata in Scienza e tecnologia dei prodotti cosmetici. In venti anni di collaborazione con aziende cosmetiche e farmaceutiche internazionali ha maturato una profonda conoscenza del cosmetico e della pelle. Si occupa costantemente di ricerca e divulgazione, per diffondere un nuovo paradigma della cosmetica e, proprio per questo il suo impegno è esteso e continuo.  Barbara Bertoli è una viaggiatrice curiosa che ama immergersi nelle culture locali per cercare all’origine l’incredibile biodiversità che la natura ci offre. Luoghi in cui l’uso tradizionale delle piante, dei fiori e delle essenze più pure e incontaminate dalla chimica, diventa fonte d’ispirazione per elaborare un nuovo concetto di bellezza e di consapevolezza cosmetica, più completo ed evoluto. Nel 2015 è uscito il suo libro “La geografia della bellezza”, che io personalmente ho letto 2 volte e mi è piaciuto tantissimo, un giro del mondo attraverso i continenti e attraverso i rituali di bellezza dei popoli passando dalle proprietà dell’olivo utilizzato in Grecia, al rosmarino e mandorle dell’Italia, dal miele impiegato in Egitto alla vaniglia del  Madagascar. E poi gli oli essenziali utilizzati in Oriente e il bagno onsen giapponese, arrivando poi nella moderna America. Il tutto corredato da ricette di bellezza facilmente replicabili, ma non voglio svelare tutti i Paesi trattati nel libro e dei popoli protagonisti, i cui  preziosi consigli costituiscono un vero patrimonio da tramandare e divulgare. Oltre ad aver scritto il libro “Geografia della Bellezza” edizioni Ultra di Castelvecchi, ha scritto su cosmpolitan.it e alfemminile.com, è beauty writer per importanti portali web collaborando con chi ama la natura nella sua forma cosmetica come Egocentrica di Tessa Gelisio. La dottoressa Bertoli è intervenuta in programmi di RAI UNO come esperta cosmetologa, ed è titolare del corso “Bellezza, benessere e cura della pelle” presso l’Università Popolare di Torino (ente di formazione riconosciuta dal MIUR) e di corsi di cosmetologia presso accreditate scuole di estetica e make up. 

 

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MELISSA e i suoi 65 passi dalla Mole

Se penso ad un posto che mi fa stare bene è di solito un’erboristeria. Ho scoperto Melissa su internet perché è rivenditore di molti marchi che avevo sempre acquistato online. Perciò la prima volta che mi sono recata da Melissa Erboristeria ero in missione approvvigionamento e mi ero equipaggiata di una lunga lista di prodotti da provare ed acquistare… Avevo letto che era a 65 passi dalla Mole e infatti dopo aver attraversato quella che è stata la mia zona universitaria, mi sono ritrovata non in un semplice negozio, ma in una sorta di salotto incantevole ed accogliente! Vanta una fornitura di prodotti infinita, ci si puo’ trovare davvero qualsiasi cosa ed ovviamente è tutto rigorosamente naturale e/o bio. È davvero un luogo speciale, l’arredamento e’ accuratamente vintage, nulla è lasciato al caso, ogni dettaglio è curato nei minimi particolari, carta da parati vintage, credenze colme di barattoli con infusi, aromi speziati, profumi di una volta, insomma una miscellanea di sensazioni olfattive che riportano ai ricordi.  Girovagare tra gli scaffali e trovarci di tutto: tisane, caramelle, cioccolato, libri, profumi, scatole, fotografie, trucchi, sali da bagno e tanto altro ancora. Questo è il segreto del successo di questa bottega. Un angolo fatto di dettagli, di piccole cure, di particolari dove anche solo un sacchettino di caramelle alla rosa può letteralmente addolcire la giornata.

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Il Presepe Meccanico 2017 dell’oratorio Michele Rua

Disposto su un ‘area di 35 mq, il Presepe meccanico si ispira fedelmente alla Palestina del tempo di Gesù e ai personaggi tipici dell’epoca. Si possono vedere castelli, torri, grotte, torrenti ed il mulino accompagnati da artigiani all’opera, contadini, animali da cortile, il tutto inserito in uno splendido ambiente da ammirare. I visitatori possono osservare il vasaio, la filatrice e il pastorello che attorniano la grotta della Natività insieme alla presenza di tutte le altre figure e l’accampamento romano, tutti realizzati nei minimi dettagli che creano un’atmosfera affascinante. È sicuramente un’opera unica nel suo genere, l’allestimento è curato con estrema attenzione e non è solo la meccanica che rende unico il Presepe, ma anche la fantasia dei realizzatori che riescono a strabiliare il visitatore. Quest’anno ad accogliere il visitatore si aggiungono figure di pastori (ad altezza d’uomo) che lo accompagnano verso la meta. Per rendere più belle le figure esterne al presepe quest’anno si sono aggiunti i tre re Magi a grandezza naturale. Inoltre hanno realizzato la Natività, sempre a grandezza d’uomo che verrà collocata in chiesa. La creazione del Presepe meccanico dell’oratorio Michele Rua è frutto di un’idea nata anni fa da alcuni salesiani cooperatori. L’associazione salesiani cooperatori è un’associazione creata e ardentemente voluta da Don Giovanni bosco.  Il Presepe meccanico ed il Laboratorio uomini del Michele Rua di Torino non è nato solo per stupire, ma è l’occasione per ritrovarsi in famiglia o con amici, un momento di incontro e di condivisione.

Periodo:8 dicembre 2017- 14 gennaio 2018

Orario: giorni festivi 9:00-12:30  15:30-19:00 giorni feriali 15:30-19:00

Dove: via Paisiello 44 TORINO 

INGRESSO GRATUITO 

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Sabina Carboni

Oroscopo di Platone dal 20 al 26 dicembre

CAPRICORNO

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DENARO E LAVORO. In questo periodo vi sentite equilibrati, tolleranti e pieni d’inventiva: anche il lavoro ne trarrà vantaggio. Sebbene non ci siano grosse novità in vista, tutto subisce un’accelerazione e, chi collabora con voi, potrà vedere buoni risultati.

AMORE E ARMONIA. Stelle eccellenti vi consentono di prendere in mano e con successo la vostra vita. Possibili incontri al top, ritroverete il piacere di essere corteggiati.

BENESSERE E SALUTE. Tendete ad essere inquieti, iperattivi e contraddittori, di certo non vi annoiate, ma fareste meglio a chiarirvi le idee. Provateci con i fiori di Bach.


ACQUARIO

DENARO E LAVORO. 
Un po’ di diffidenza non guasta anche se parrebbe tutto girare nel verso giusto. A volte, avete delle idee veramente geniali che possono generare qualche “colpo di fortuna”, date il massimo e siate ottimisti.

AMORE E ARMONIA. Vi piace essere corteggiati senza sentirvi intrappolati. Possibile accesa passione, per nuovi amori.

BENESSERE E SALUTE. I pensieri per un famigliare o un conoscente sono veramente pesanti. Comunque non vi manca la forza e la voglia di protezione.


PESCI

DENARO E LAVORO. Qualcuno cercherà di mettervi i bastoni tra le ruote in maniera subdola, siate accorti anche se si tratta di persona conosciuta. Più che delle belle parole conviene fidarsi degli atti, sono i soli che non mentono mai.

AMORE E ARMONIA. Le stelle sono nella posizione giusta, potreste avere l’incontro desiderato, quando meno ve lo aspettate. La persona amata vi vizia e vi ascolta.

BENESSERE E SALUTE. Tutto procede bene nonostante vi stiate fissando sull’unico “neo” attualmente presente. Non dateci troppo peso!


ARIETE

DENARO E LAVORO. Se riuscirete a trovare la soluzione ad un progetto che si è da tempo ormai ingarbugliato, potreste superare indenni l’attuale congiuntura non particolarmente favorevole.

AMORE E ARMONIA. Un rapporto metterà le radici se saprete essere complici. Cupido si ricorderà di voi. Grande fascino e relazioni particolarmente appassionate.

BENESSERE E SALUTE. Per poter ammirare il tingersi di rosa dell’alba, dovete far andar via il cattivo umore. Tenete duro ed aiutatevi. Un fine settimana tutto per voi potrebbe agevolare a ricaricare le batterie quasi spente.


TORO

DENARO E LAVORO. Si è concluso un ciclo piuttosto pesante. Qualche dissenso con i collaboratori od i colleghi. Proseguite seguendo gli obiettivi prefissati ma senza esagerare. La prudenza è d’obbligo.

AMORE E ARMONIA. Tenete aperte le porte del vostro cuore. Periodo buono per la ricerca e gli affetti, coltivate i vostri sogni e date libero sfogo alla profondità dei sentimenti.

BENESSERE E SALUTE. Curatevi e regalatevi una vacanza. Ottimo umore, non vi pesano neppure le seccature.


GEMELLI

DENARO E LAVORO. Avete progetti e desideri da realizzare che, al momento, sono urgenti. Anche se all’apparenza le decisioni improvvise sono difficili….in realtà non è così e, in caso di “sconfitta”, bisogna saperla accettare e passare subito ad altro.

AMORE E ARMONIA. I repentini cambiamenti e sbalzi climatici possono procurarvi qualche piccolo problema stagionale, ricordatevi che prevenire è meglio che curare.

BENESSERE E SALUTE. State sprecando troppe energie che, se male incanalate, portano all’aggressività. Dovete imparare con la respirazione a convogliare l’energia, per poterla usare nel momento giusto.

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CANCRO

DENARO E LAVORO. Dovrete affrontare e combattere alcuni contrattempi che, una volta superati, vi apriranno nuovi orizzonti molto interessanti, ricchi di opportunità, e sarà un nuovo inizio molto positivo. Un incarico diverso dal solito vi porterà lontano.

AMORE E ARMONIA. A volte tacere richiede una forza di volontà disumana, si tace quando le parole che salgono alla lingua ferirebbero a morte il destinatario, si tace contando fino a cento, per recuperare il controllo ma a volte, si sceglie di tacere …per amore.

BENESSERE E SALUTE. No alle nevrosi, alla follia, al delirio dell’artificio fine a sé stesso, alla fretta, alla frenesia, alla cattiveria ma siete anche stufi di ascoltare prediche che non meritate.


LEONE

DENARO E LAVORO. Un’eccessiva sicurezza potrebbe indurvi a un minor impegno, cercate invece di approfittare delle occasioni che si presenteranno. Fortuna nel lavoro indipendente, novità e viaggi per i più giovani.

AMORE E ARMONIA. Le Stelle agevolano l’amore, non ci sono più le idee deliranti e spaventose che vi illuminavano dolorosamente sul fatto che non eravate gli unici padroni a casa vostra. Ora dentro l’animo e lo spirito ci siete solo voi, avete sloggiato il fantasma che vi tormentava.

BENESSERE E SALUTE. Il vostro è vero buon senso, nella coscienza consapevole che disponete di sensi più che buoni, svegli, attivi, funzionali, sensibili, capaci di assaporare e gustare, di creare un’appagante sintonia col mondo che vi circonda.


VERGINE

DENARO E LAVORO. Chi è sopra di voi e dirige il vostro operato è un supporto prezioso e una guida sicura, ma il tempo lo trascorre con colleghi poco efficaci. Rischiare va bene, purché non facciate il passo più lungo della gamba.

AMORE E ARMONIA. Nel dare forma alla nostra vita, siamo la stecca da biliardo, il giocatore o la palla? Siamo noi a giocare, o è con noi che si gioca? La realtà è più semplice e gestibile dei nostri sogni.

BENESSERE E SALUTE. Se la strada davanti a voi è interrotta, bisogna trovarne un’altra; se il viaggio è breve, il ritardo sarà notevole, mentre se il viaggio è lungo probabilmente non farà alcuna differenza, e potrete vedere posti nuovi.


BILANCIA

DENARO E LAVORO. Sarà utile un’approfondita revisione dei conti per stanziare un budget da investire per un ampliamento della vostra attività. Gli inconvenienti occorsi quindi, potranno risultare fastidiosi per un periodo limitato, ma vi offriranno ottime opportunità a lungo termine.

AMORE E ARMONIA. Tra non molto i movimenti astrali vi favoriranno maggiormente per cui l’entusiasmo e la passione, avranno il sopravvento su incomprensioni e litigi.

BENESSERE E SALUTE. Tenete gli occhi aperti, non ci è dato di scegliere la cornice del nostro destino, ma ciò che vi mettiamo dentro…è nostro. Concedetevi pure qualche piccolo lusso, alla faccia di chi vi vuole male.


SCORPIONE

DENARO E LAVORO. Siete produttivi come non mai, eppure vi piacerebbe fare qualcosa di più stimolante. È il momento di fare progetti a lungo termine e di chiedere finanziamenti o promozioni. Il lavoro di gruppo sarà fluido e redditizio, possibili proficui contatti con l’estero e stimoli nuovi da affrontare con creatività. Fase di rassicurante stabilità, proprio come piace a voi.

AMORE E ARMONIA. Gli astri vi stimolano alla ricerca della novità in tutti i campi, nell’amore sarete in caccia di nuove esperienze.

BENESSERE E SALUTE. Saprete difendervi dagli attacchi e dalle cattive influenze di un astro malevolo con lucidità, buonumore e tempismo, riuscendo persino a volgere la situazione a vostro favore.


SAGITTARIO

DENARO E LAVORO. Molto efficaci nelle questioni pratiche, vi siete creati la fama di essere dei veri panzer ma il miglior risultato si ottiene quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé e per il gruppo…si tratta di dinamiche dominanti!

AMORE E ARMONIA. State attenti a non infilarvi in una situazione o in una relazione, tanto intrigante quanto contorta, rammentate che l’amore costruito sulla bellezza muore presto, proprio come la bellezza.

BENESSERE E SALUTE. Piccoli suggerimenti pratici risolvono molti acciacchi. Se possibile regalatevi un breve viaggio e considerate l’antico consiglio dei nostri avi: è richiesto per il rilassamento della mente che si faccia uso, di tanto in tanto, di propositi scherzosi e di battute.

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Xmas Comics chiude con 17.500 visitatori

 

La quarta edizione di Xmas Comics&Games chiude con 17.500 visitatori, contro i 17.300 del 2016. Una grande festa che ha visto il Padiglione 3 di Lingotto Fiere animarsi con migliaia di cosplayer e stand con fumetti e manga, gadget, oggetti da collezione, accessori e costumi

 

Gli ospiti

Successo di pubblico per gli autori ospiti, che si sono esibiti nei classici sketch – disegni live personalizzati – e firmato albi per gli appassionati. Tra gli ospiti più apprezzati, Don Alemanno e Boban Pesov con il loro Naziveganheidi firmato a 4 mani; Paolo Barbieri, uno degli illustratori italiani di maggior successo;Riccardo Nunziati, fumettista toscano disegnatore di Diabolik; bene anche gliautori di Cronaca di Topolinia, casa editrice torinese che ha ospitato al suo stand Elena Ominetti, Lorenzo Balocco, Luciano Costarelli, Elena Nastasi “Selenike”, Gianluca Proto e Patrick Schiesaro.

In area games il pubblico è stato intrattenuto dagli ospiti Luigi “Bigio” Cecchi e Andrea Pisani – comico, cabarettista, cantante, componente del duo PanPers. Bigio e Pisani hanno sfidato i visitatori del Lingotto a emozionanti partite a Drizzit, il celebre gioco di carte, e ZIUQ, il quiz al contrario.

 

Sold out l’area youtuber

È stata letteralmente presa d’assalto dai giovanissimi l’area youtuber, dove per due giorni si sono alternati sul palco alcune delle più celebri star del web, come i Mates – St3pny, Anima, SurrealPower e Vegas – Lasabrigamer, i Kerency – ErenBlaze, KeNoiaChannel e Marcy.

Hanno fatto il loro debutto a Xmas Comics I 2 Bomber del Freestyle, nome d’arte dei due torinesi Davide Iannetti e Yuri Zappatore, due professionisti del calcio freestyle, diventati beniamini di molti ragazzi a colpi di trick su Youtube.

 

 

Oltre 160 partecipanti alla sfilate Cosplayer.

Grandi protagonisti della festa a Lingotto Fiere sono stati i cosplayer, che per due giorni si sono alternati sul palco con esibizioni, sfilate competitive, karaoke e momenti di animazione grazie all’attività incessante dei ragazzi della Cospa Family, di cui fa parte anche Massimo Barbera, campione mondiale di Cosplay nel 2013 in Giappone.

Sono stati oltre 160 i partecipanti della sfilata competitiva di domenica 17,che ha decretato il cosplay testimonial dell’edizione 2018 di Torino Comics, quando le competizioni saranno inserite all’interno di un prestigioso circuito internazionale.

 

Videogames: ecco i vincitori del Torneo ESL Italian Championship

Xmas Comics & Games è stato il teatro di scena delle finali di League of Legends e di Rainbow Six: Siege dell’ESL Italia Championship, il campionato italiano targato ESL organizzato da ProGaming Italia in collaborazione con Asus ed Intel, a chiusura della stagione invernale iniziata il 10 ottobre.

Sabato 16 le finali di League of Legends hanno visto sfidarsi il Team Forge e gli Outplayed. Come da pronostico, la vittoria è andata al Team Forge, che ha sconfitto gli avversari con un netto 3 a 0
Domenica 17 dicembre è stata la volta della finale di Rainbow Six: Siege, lo sparatutto tattico di Ubisoft. 
Il titolo di campione è stato vinto da EnD Gaming, che ha sconfitto in finale il team IGP – Chimera

Un cucciolo sotto l’albero

Immaginare la faccia felice del proprio bimbo che la mattina di Natale, si alza e trova un cucciolo proprio come aveva tanto chiesto, potrebbe farvi prendere dall’emozione e, in un impeto di euforia, lasciarvi convincere. Un cucciolo per casa porta sicuramente gioia immensa, ma il cane non è un giocattolo, considerate seriamente l’idea, solo essendo ben consapevoli che nel momento stesso in cui TUTTI decidete di avere nella vostra famiglia un qualunque animale ci si sta prendendo un impegno molto serio per il resto della sua vita. Quando si prende un cucciolo, che non deve avere mai meno di due mesi, non si può non tener conto che potrà sporcare in casa (fino a quando non avrà il controllo degli sfinteri, esattamente come i nostri bambini, solo che loro ci mettono molto meno), piangere se lasciato solo (bisogna abituarlo gradualmente, soprattutto se lo portate a casa quando siete in ferie, ricordate che poi dovrete tornare a lavorare), mordere qualunque cosa (è con la bocca che il cane impara a conoscere il mondo), che andrà educato (con delle regole e col gioco), dovrà uscire spesso (in qualsiasi condizione meteo), ed essere sottoposto ad una serie di controlli dal veterinario. Oltre a tutto ciò e bene non dimenticare che il cucciolo diventerà presto adolescente e poi adulto, e che oltre all’impegno temporale c’è anche quello economico. E’ fondamentale soprattutto che gli adulti sappiano che la stragrande maggioranza dell’impegno toccherà a loro, anche se è corretto responsabilizzare i bimbi. Pensare che siano i figli a prendersi cura del cucciolo, sarebbe come pensare di mandare il proprio bimbo all’asilo con la maestra che ha più o meno la sua età e che lo educa secondo la sua esperienza e le sue regole..lascio immaginare a voi.

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Non da ultimo, è basilare l’importanza della scelta del tipo di cane. Non abbiate remore, rivolgetevi a qualcuno di fidato nel settore cinofilo, da un volontario esperto di canile e, se proprio siete tutti convinti, non scegliete mai in base all’aspetto fisico o alla moda del momento. Il mio consiglio è di non comprare assolutamente cani che arrivano dall’estero, su internet o da negozi che li “svendono”, l’allevamento è una cosa seria e il rischio è, oltre quello di aumentare il mercato nero della compravendita dei cuccioli, che i piccoli potrebbero avere gravi problemi di salute e/o che non avendo potuto fare delle esperienze fondamentali in un momento di crescita per loro molto delicato, potrebbero avere dei problemi comportamentali in seguito, non per colpa loro, ovviamente. In qualunque momento dell’anno, ma soprattutto in questo, fate in modo che sia una scelta veramente consapevole, solo così si   evita al cane un “rispedito al mittente”, ovvero un abbandono che per loro è quanto di più traumatico possa accadere. Il cane è pronto per stravolgervi la vita in ogni senso, siate dunque responsabili, solo così potrete godere appieno della vita meravigliosa con un amico a 4 zampe!

 

 

Francesca Mezzapesa

Educatrice cinofila – Istruttrice Rally Obedience

fran.mezzapesa@gmail.com

Ultimo giorno di Xmas Comics

 
Attesa per i Mates in area youtuber
Si chiude domenica 17 dicembre la quarta edizione di Xmas Comics&Games, la festa natalizia che anima il Padiglione 3 di Lingotto fiere, con migliaia di Cosplayer e stand con fumetti e manga, gadget, oggetti da collezione, accessori e costumi.

Grande attesa tra i giovanissimi per l’arrivo dei Mates,  quattro youtuber del Network di Tom’s Hardware: St3pny, Anima, SurrealPower e Vegas. I Mates sono molto seguiti sul web e popolari per i loro contenuti a tema videoludico, e possono vantare oltre 8 milioni di follower totali sui loro canali. I Mates saranno a disposizione del pubblico per foto e autografi a partire dalle ore 11. 
 
Videogames: in programma le finali di Rainbow Six: Siege

Dopo il sabato dedicato a League of Legends, domenica è il turno delle finali diRainbow Six: Siege dell’ESL Italia Championship, il campionato italiano di e-sports targato ESL, organizzato da ProGaming Italia. A partire dalle ore 11 gli operatori di EnD Gaming, IGP – Chimera, ExAequo 6th Unit e Hell Gaming A.S.D.  si sfidano sullo sparatutto tattico di casa Ubisoft. L’evento viene trasmesso interamente in streaming sia sul canale Twitch sia sulla pagina Facebook di ESL Italia. 

Il Cosplay Contest

Alle 14 è in programma il Cosplay Contest. Spazio a esibizioni e sfilate, singole o a gruppi, intervallate da momenti di animazione dei ragazzi della Cospa Family, di cui fa parte anche Massimo Barbera, campione mondiale di Cosplay nel 2013 in Giappone. 

Novità di quest’anno è l’introduzione di un nuovo premio. Tra le categorie in gara, infatti, c’è anche il miglior costume tratto da un personaggio di un videogioco. 

I cosplayer in gara vengono giudicati da ospiti di caratura internazionale: sultavolo dei giurati, infatti, la cosplayer tedesca Naru Cosplay, la doppiatricePatrizia Scianca, una delle voci più note dell’animazione nel panorama italiano, i cosplayer Fery Lullaby e Davide Ravera, e Sunymao Sunita, cantante e veterana del cosplay: con oltre di 40 premi vinti in diverse convention di tutta Italia ed 

Sul palco cosplay inoltre, per la prima volta a Torino, la ballerina Eleonora Burzio. Professionista di danza classica, neoclassica e di carattere, ha studiato presso le più famose accademie di danza nel mondo, tra cui La Scala di Milano, Royal Ballet School di Londra, Bolshoi Academy di Mosca e Vaganova Academy di San Pietroburgo. Con le sue interpretazioni ballate, in cui fonde danza e cosplay, incanterà il pubblico di Xmas Comics.

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IV Xmas Comics&Games

16-17 dicembre 2017

Lingotto Fiere, Via Nizza 280 – Torino

Orari: dalle 9.30 alle 19.30

Biglietti
Intero €10

Ridotto €8

Ridotto cosplay €7

xmascomics.it

facebook.com/torinocomics

Natale, mercatino e letture per bambini

E’ fissato per domenica 17 dicembre il mercatino natalizio più atteso ai piedi del Musinè. Il Comune di Caselette, quest’anno, organizza un mercatino con il make up rifatto: tutte raccolte in Piazza Cays, infatti, e all’interno di un padiglione riscaldato, le bancarelle natalizie, aspettano i visitatori che vogliono vivere il clima natalizio lontano dal caos cittadino. In mezzo ad artigiani e commercianti, saranno presenti anche tutte le associazioni caselettesi, tra cui l’Associazione Teatrale Messinscena, che, in questa occasione, presenterà la sua Rassegna T: il programma di spettacoli che, tra febbraio ed aprile, porterà nel teatro cittadino artisti del calibro di Eugenio Allegri, Matthias Martelli, Leonardo Manera e Claudia Penoni, per far ridere, piangere ed emozionare chiunque voglia vivere il teatro alle porte della Val di Susa. Come attorno al fuoco di un camino, durante il mercatino di domenica, al rintocco delle campane, gli attori della Compagnia Messinscena, interpreteranno letture natalizie dedicate ai bambini.

Piccoli amanti del teatro, o del semplice ascolto, non mancate, domenica, in Piazza Cays, a Caselette: le letture sono previste alle 15.00, alle 16.00 e alle 17.00.

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Per informazioni:

Associazione Messinscena
Comune di Caselette