LIFESTYLE- Pagina 2

Delicato e saporito il risotto gamberi e zucchine: un classico

Il riso italiano, altamente nutritivo, digeribile e versatile si presta ad innumerevoli preparazioni

 

Il riso italiano ,“re dei cereali”, e’ tra i migliori al mondo, e’ espressione di cultura e tradizione delle specifiche zone di produzione. Altamente nutritivo, digeribile e versatile si presta ad innumerevoli preparazioni. La ricetta della settimana e’ un primo classico, semplice, che unisce sapori di terra e di mare che si esaltano a vicenda in un dolce e perfetto connubio. Uno degli abbinamenti piu’ amati.

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Ingredienti per 4 persone:

 

350gr.di riso per risotti

200gr,di piccole zucchine fresche

15 gamberi freschi

1 piccolo porro

1 scalogno o 1 piccola cipolla

1 bicchiere di vino bianco secco

1 litro di fumetto di pesce

1 carota, 1 gambo di sedano,1/2 cipolla, un rametto di finocchietto selvatico (per il fumetto)

burro/olio q.b.

prezzemolo tritato q.b.

sale q.b.

Sgusciare i gamberi (avendo cura di tenere da parte le teste e i gusci), eliminare il filetto nero, lavare velocemente. Preparare il fumetto di pesce, portare a bollore l’acqua con gli scarti dei gamberi,cipolla, carota, sedano e poco sale, filtrare.

Tritare lo scalogno. Lavare e tagliare le zucchine a rondelle sottili. Scaldare l’olio/burro in una larga padella, rosolare lo scalogno e il porro tagliato a rondelle, aggiungere il riso e farlo tostare a fuoco vivace finche’ i chicchi diventano traslucidi. Bagnare con il vino bianco, lasciar evaporare. Aggiungere poco alla volta il fumetto di pesce bollente. A meta’ cottura unire le zucchine e poi aggiungere i gamberi. Aggiustare di sale.Togliere dal fuoco, completare con il prezzemolo, mantecare con una noce di burro, lasciare riposare per due minuti e servire.

 

Paperita Patty

Ettore, il gabbiano che salvò il Natale

 

Nel cuore dell’inverno, quando il lago d’Orta era silenzioso, i borghi sulle due rive avvolti dalle luci soffuse del tramonto e le acque calme riflettevano i profili delle montagne innevate prima che il buio della sera calasse il suo sipario, un giovane gabbiano lo sorvolava con ali leggere e occhi curiosi. Non era come gli altri gabbiani: lui non cercava solo pesci o vento, ma storie, luci, e voci nel paesaggio imbiancato. Si chiamava Ettore e amava planare leggero sui moli, fiorare la superficie del Cusio, curiosare nelle viuzze che costeggiavano i lungolaghi e gli imbarcaderi.

Era l’antivigilia di Natale, ed Ettore si era posato sul tetto innevato della Basilica di San Giulio, al centro dell’isola che dormiva come un presepe incantato. Da lassù osservava i lampioni accendersi nei borghi: Orta San Giulio, Pella, Pettenasco, San Maurizio e i piccoli paesi che punteggiavano le rive come stelle da Gozzano fin su a Omegna. Ma c’era qualcosa che mancava. Il lago, pur bellissimo, sembrava triste. Nessun canto allietava l’aria, nessuna barca decorata era ormeggiata, nessun bambino pareva intento a raccontare sogni. Ettore decise allora di portare lo spirito di Natale sul lago. L’indomani volò fino a Omegna, dove trovò un vecchio falegname intento a intagliare una stella di legno. “È per mia nipote,” disse l’uomo, “ma non ho modo di portarla sull’isola”. Ettore la prese con il robusto becco e volò via. Poi raggiunse una bambina a Pettenasco che aveva perso il suo cappello rosso. Il giovane gabbiano lo ritrovò tra i rami di un larice e glielo riportò, ricevendo in cambio un biscotto alla cannella. Così, volando per tutta la giornata del 24 dicembre di borgo in borgo, raccolse piccoli doni, desideri e sorrisi. Quando tornò sull’isola di San Giulio, li posò tutti davanti alla basilica: la stella, il biscotto, un guanto, una letterina, una candela profumata, la vecchia pipa che il pescatore Giovanni aveva perso a Imolo, un pastello colorato dimenticato fuori dal cancello di un asilo. E fu allora che accadde il miracolo. Le acque del lago, nel tardo pomeriggio, si illuminarono di riflessi dorati, come se il cielo avesse deciso di specchiarsi lì. Le campane suonarono da sole, e una barca addobbata di luci apparve dal nulla staccandosi dal molo di Orta con quattro musicisti che iniziarono a suonare dolci melodie natalizie. Ettore, commosso, volò in cerchio sopra l’isola, mentre gli abitanti accorrevano sulle rive, stupiti e felici. Quel Natale, il lago d’Orta non fu solo bello: fu vivo, caldo, e pieno di meraviglia. Da allora, ogni vigilia, un gabbiano solitario sorvola il lago, portando con sé il ricordo di quel giorno in cui il Natale fu salvato da un tenero e puro cuore alato.

Marco Travaglini

La chimica del Natale

Profumi e aromi della festa più attesa dell’anno.

Il Natale ci avvolge con i suoi colori, con le decorazioni, con lo scintillio delle luci. C’è  voglia di festeggiare, di fare i regali e di sentirsi, anche se solo per qualche ora, sospesi dalla quotidiana realtà per entrare in un mondo ideale. Oltre al piacere per la nostra vista, regalato da un tripudio di colori e sfumature oro e argento, il Natale inebria con le sue fragranze e le sue essenze che ci portanodietro nel tempo, a quando eravamo bambini. Esiste, dunque, una chimica natalizia fatta di aromi,  di profumi, di memorie olfattivee gustative che  rendono l’atmosfera ancora più dolce ed evocativa.

Quali sono gli aromi e i sapori tipici di queste festività?

La cannella è la fragranza per eccellenza di questo periodo di celebrazioni. E’ utilizzata nelle preparazioni gastronomiche ma anche negli ornamenti; la possiamo sentire nell’aria entrando nei negozi, sorseggiando un te, un infuso o ancora meglio gustando una cioccolata che ne regala il sapore e nel vin brulé. Non esiste Natale senza questa corteccia essiccata del Cinnamomun che si può trovare in polvere o in piccoli cilindri.

Lo zenzero ci fa pensare al gingerbread e ai biscotti che, oltre ad essere buonissimi per il palato, possono sono utilizzati come allegri pendenti per decorare l’albero. Il suo sapore è piccante,intenso e  come aroma è utilizzato in diversi piatti, soprattutto inquelli di origine orientale. Lo troviamo anche in versione essiccata in piccoli cubetti da gustare per merenda o a fine pasto.

I chiodi di garofano con la loro forma appuntita sono utilizzati moltissimo nelle decorazioni natalizie soprattutto con le arance. In cucina sono preziosi sia all’interno pietanze salate ma anche nella preparazione di dolci tipici come il panpepato. Come nel caso della lavanda, se inseriti in piccoli sacchetti di stoffa e sistemati nei cassetti sono degli ottimi profumatori, una balsamica idea regalo.

L’anice stellato, con la sua sagoma a  otto punte che richiama la Cometa, contiene semi oleosi e rappresa un naturale simbolo natalizio. Il sapore, simile a quello della liquerizia, lo rende versatile e può essere usato in vari piatti sia dolci che salati, ma soprattutto è uno dei protagonisti delle decorazioni insieme all’arancia e alla cannella. Si può trovare sulle tavole bandite a festa, ma anche all’interno di candele e di vivaci ghirlande.

La vaniglia nel latte caldo o  all’interno della crema pasticcera è meraviglia pura. Dolce, aromatica e persino calmante, è un  frutto in bacche contenute all’interno di un’ orchidea tropicale. Utilizzata preminentemente per torte, gelati e liquori, è anche la protagonistadeliziosa di bagnoschiuma vellutati, candele e profumi per la persona e per la casa.

MARIA LA BARBERA

La felicità era un trenino a Natale

Natale è sempre Natale. A questo Natale ci siamo arrivati “faticanti “. In questa realtà fatichiamo. Guerre, morti sul lavoro e femminicidi e salariati che perdono il posto di lavoro. Ma arriva in soccorso il ricordo. Più è in là questo ricordo, più è dolce come il miele d’acacia. 65 anni fa. 3 anni. Come faccio a ricordarmi. Francamente non so.
Sono cose ancestrali e sinceramente sono frammenti, frammenti di vita, “visioni frasi spezzettate si affacciano alla mia mente…” non sono mie parole e per i pochi che non le conoscono: sono di Francesco Guccini. E per me Natale erano i trenini Marklin. Soprattutto era costruire l’insieme.
Passaggi a livello. Stazioni e tunnel con i binari e relativi scambi. C’era una punlsantiera da dove si governava tutto. Secondo la complessità dei plastici da sei bottoni da pigiare in su. Erano bottoni colorati in diverso modo ed ognuno con funzioni diverse.
Il bello era  ogni anno aggiungere nuove parti “allargando” ogni volta le dimensioni del plastico. La base era di compensato pressato. Ed era divertente accompagnare mio padre dai falegnami. Si trovavano in via Baltea oltre corso Vercelli. Mio padre dava la metratura e tempo 15 minuti era pronto il tutto. Larghe 1metro e cinquanta e lunghe fino a tre metri. Poi mio padre si caricava il tutto fino in via Cherubini 64. Poi quattro piani senza ascensore ed eravamo arrivati.
E l’erba sintetica. Sono dopo si cominciava a fissare i binari. E per l’appunto ogni anno si ingrandiva e almeno ogni due anni si cambiava base. Montato il tutto….sai quanti sogni ci ho fatto sopra. Dopo alcuni anni sono comparsi gli omini. Il capo treno o i passeggeri. Sintesi tra realtà e sogno diventato un film. E dovevi avere tanta ma tanta fantasia. Non potevi e non dovevi ripetere quella del giorno prima. Ti saresti sentito banale e ripetitivo.
Segnando il tempo che passava. Avevi tanto tempo davanti che si chiamava futuro.
Lo immaginavi e poi…diciamocelo…altro che telefonini. La televisione aveva al massimo due canali e dovevi aspettare le 17 40 per  i primi cartoni animati.
Ed il ricordo si trasforma in rimpianto.
Sapevi aspettare. Sapevi costruire. Sapevi inventarti delle storie. O perlomeno ci tentavamo. Qualcosa di indispensabile magari non sufficiente ma sicuramente necessario. La facevano  da padrone le storie tra indiani a cowboy. Ed oltre alla stazione paesi del far West con il Saloon.
Assalti ai treni. Erano i cattivi mentre tu eri sempre dalla parte dei buoni. Ovvio no?
Così Natale tra l’attesa dei giochi e la fantasia che ti riempiva la vita. E poi …dai …si cresceva e la contentezza durava fino all’Epifania. E ci ritroviamo qua 65 anni dopo.
Non è da poco. Addirittura amiche ed amici di allora non ci sono più. Morti troppo presto.
E dopo 65 anni capisci che quei trenini erano una metafora,  in fondo, della vita, della mia e nostra vita. Tra il viaggio per cercare qualcosa o qualcuno al costruire per essere.
Ma bando alle tristezze. Per tutti un buon Natale. Per tutti il diritto di un futuro migliore del presente.

PATRIZIO TOSETTO

Il regalo sotto la neve

 

Era la vigilia di Natale e il lago sembrava trattenere il respiro. Le acque scure del Verbano riflettevano le luci tremolanti delle case addobbate, mentre una neve sottile cominciava a posarsi sui tetti di Baveno, sulle aiuole del lungolago, sulle barche ormeggiate e sui rami spogli dei giardini nei pressi della riva. L’alito gelato dell’inverno scendeva dal Mottarone e increspava leggermente la superficie lacustre e una nebbiolina avvolgeva le isole del golfo Borromeo.

Carla, insegnante in pensione, viveva da sola in una villetta affacciata sul vecchio molo. Da quando suo marito era mancato, il Natale era diventato un giorno silenzioso, fatto di ricordi e fotografie. Quella sera, però, qualcosa la spinse a uscire. Indossò il cappotto di lana blu che lui le aveva regalato anni prima e scese verso il pontile. Le onde leggere parevano brividi provocati  come d’incanto dalla leggera brezza. E lì, proprio sulla panchina dove si sedevano ogni domenica, trovò una scatola avvolta in carta rossa, con un biglietto scritto a mano: “Per Carla. Il tempo non cancella ciò che è stato. Buon Natale”. Le si fermò il fiato e temette che lo stesso potesse accadere al cuore. Con le mani tremanti, aprì la scatola. Dentro c’era un piccolo carillon in legno, intagliato con la sagoma dell’ isola Superiore, quella dei pescatori. Quando lo attivò, partì la più celebre, dolce e familiare melodia di Natale: Stille Nacht, heilige Nacht – notte silenziosa, notte santa – conosciuta in italiano come Astro del ciel. Era la musica che il marito le suonava al pianoforte ogni vigilia. Carla si sedette, il volto rigato da lacrime calde, mentre la neve cadeva più fitta. Non c’era nome, né firma. Ma il dono parlava di lui, della loro storia, di un amore che il tempo custodiva ancora. Quella notte, per la prima volta dopo anni, Carla accese tutte le luci della casa. Mise il carillon sul caminetto, preparò il risotto al persico che lui adorava, e brindò al cielo, al lago, e a quel misterioso regalo che le aveva restituito uno dei ricordi più belli e il senso del Natale.

Marco Travaglini

Che colore indossare a Natale?

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E’ tradizionalmente il rosso il colore indicato non solo per la tavola di Natale, ma anche per l’abito. Non preoccupiamoci se ci dona o no: il True Red di Pantone, come è il rosso di Natale, rientra tra i colori esistenti in natura e adatti a chiunque. Non a caso, forse, Valentino lo scelse come colore principe delle sue collezioni, tanto da parlarsi di “rosso Valentino”.

Il bianco panna è un altro colore adatto al Natale. Presente da anni non soltanto in montagna ma anche nell’abbigliamento invernale in città, risulta particolarmente raffinato, in inverno, per le persone con capelli biondi o comunque non troppo scuri. A Natale può essere arricchito da qualche dettaglio in oro giallo. Da evitare, invece, l’accostamento rosso-oro.

Il nero, o blu notte, rimane, specie per le serate di festa.  Di tendenza, quest’anno, il testa di moro, in tonalità fredda.

E poi…libertà: un colore che amiamo e ci renda felici, sempre che ci doni!

Evitiamo i colori forti, aggressivi, audaci, sgargianti, anche nei dettagli, come una sciarpa su un cappotto: non si addicono al Natale.

E’ una festa gioiosa, familiare, fantastica in presenza di bimbi. Per gli adulti, riaccende ricordi, spesso commoventi, che intridono la gioia di dolce malinconia. Permettiamo, dunque, che in questo speciale giorno dell’anno ognuno indossi l’abito del colore che lo rispecchia, evitando pacchianerie, nel segno della ricorrenza religiosa.

Buon Natale!

Chiara Prele

 

Il Natale dei grandi piemontesi: tradizioni e riti domestici

Cavour e il suo Barolo, la Regina Margherita e le decorazioni, Cesare Pavese e il richiamo all’infanzia, momenti privati tra feste e celebrazioni.

Il Natale, per molti personaggi piemontesi del passato, era tutt’altro che una occasione formale. Dietro figure politiche, artistiche o culturali che associamo alla socialità e alla cerimonia, esistevano rituali intimi, abitudini semplici, talvolta piccole manie che raccontano un Piemonte familiare, domestico, profondamente legato alla sua terra. Da certi nomi altisonanti ci si immaginerebbe unicamente fasti e solennità, e forse per molti di questi personaggi era anche così, ma non mancavano momenti personali di ricercata normalità.

Camillo Benso di Cavour, gran regista dell’Unità d’Italia, sorprendeva per quanto amasse un Natale lontano dai salotti torinesi. Trascorreva le feste nel Castello di Leri, la tenuta agricola di famiglia, tra registri delle coltivazioni, visite ai braccianti e lunghe letture davanti al fuoco. La cena della Vigilia era spartana: brodo, bollito, poche verdure e un bicchiere di Barolo. In una lettera alla sorella racconta che quel giorno “la politica tace”, come se il Natale permettesse di spegnere il peso delle responsabilità pubbliche.

Ben diverso era il Natale vissuto da Margherita di Savoia, prima regina d’Italia, cresciuta nelle residenze reali piemontesi. Le feste a Racconigi o ad Aglié erano scandite da cerimonie di corte, ma Margherita aveva il suo piccolo rito privato che amava molto: decorare personalmente i salottini con rami di abete, mele rosse e nastri bianchi, una consuetudine che conserverà anche da regina. I doni non si scambiavano a Natale ma all’Epifania, secondo la tradizione sabauda della “Befana regale” e i regali erano spesso libri o piccoli oggetti di artigianato locale, non gioielli o oggetti preziosi.

Cesare Pavese, invece, viveva il Natale come un ritorno alle sue Langhe. Tra Santo Stefano Belbo e Torino trascorreva le feste in un clima sospeso, fatto di passeggiate nel gelo e osservazione silenziosa della vita domestica degli altri. Nei suoi quaderni annota come la luce dei camini nelle case delle colline gli sembrasse “un richiamo all’infanzia che non torna”. Il suo rito? un bicchiere di vino caldo, la sera del 24, bevuto davanti alla finestra per “guardare la notte del mondo”.

A fare da contraltare a questi Natali introspettivi arriva di Edmondo De Amicis, autore di Cuore, nato a Oneglia ma torinese d’adozione e profondamente legato alla cultura piemontese. Amava un Natale conviviale: cene con amici e colleghi, letture ad alta voce e soprattutto l’usanza ottocentesca di scrivere un breve racconto o pensiero morale da regalare ai bambini della famiglia. Considerava il giorno di Natale “la festa dell’educazione sentimentale”: un momento per trasmettere ai più piccoli valori semplici come gratitudine e gentilezza.

Per Giulia di Barolo il Natale coincideva la continuità del dovere. Aristocratica colta, profondamente religiosa e insieme estranea ad ogni devozione spettacolare, viveva il periodo natalizio come un momento di lavoro silenzioso e organizzato. Nelle settimane che precedevano il 25 dicembre, la sua casa torinese non si trasformava in un salotto festivo, ma in un centro operativo: elenchi, pacchi, disposizioni minuziose. Giulia rifiutava la carità esibita. Non amava i gesti pubblici, le distribuzioni plateali, preferiva aiutare in modo discreto, mirato, spesso invisibile.

Silvio Pellico trascorreva il Natale in modo dimesso. Scriveva biglietti augurali a mano destinati agli amici più cari. La sera della vigilia si suonava il pianoforte in famiglia, senza pubblico. Era uso, per lui, conservare un piccolo quaderno dove annotava pensieri brevi, come una sorta di preghiere laiche.

Rosa Vercellana, la “Bela Rosin”, non considerava il Natale come una serie di gesti da cerimoniale ma, al contrario profondamente familiare.
Amava cucinare in prima persona, soprattutto dolci semplici della tradizione contadina piemontese. I regali erano spesso oggetti utili: sciarpe, guanti, indumenti fatti adattare alle mani di ciascuno. La sera della vigilia, si raccontavano storie di paese per rievocare l’infanzia e il tempo passato.

Lidia Poet percepiva il periodo natalizio come un tempo sottratto al lavoro. Per dare a questo momento una veste alternativa, in linea con il suo carattere, amava scrivere biglietti ironici, rompendo la retorica degli auguri. In casa, nessuna ostentazione: una pianta verde al posto dell’albero, qualche candela, una cena rapida. Chiudere i fascicoli, almeno per un giorno era il suo modo di festeggiare, ma non troppo.

A Natale, la casa di Norberto Bobbio  era un tempo per misurare il mondo, per riflettere. Il pranzo natalizio era breve e familiare. Nessun rituale, nessuna ostentazione: solo il tempo di stare insieme, con discrezione. Poi Bobbio spesso si ritirava a meditare e riflettere sui temi a lui cari: la filosofia, la politica e i diritti, nel pomeriggio usciva per una breve passeggiata solitaria: osservava le finestre illuminate, i passanti, l’inverno che stringeva la città in un silenzio controllato, rientrava presto.

Il Natale rappresenta gioia, è il riassunto di una fiaba che in moltissimi vivono con lo spirito celebrativo della festa, ma questo periodo dell’anno è anche un momento di riflessione, si torna spesso alle origini, ci si muove per aiutare chi non ha troppo da festeggiare o semplicemente si entra in una bolla di leggerezza che ci trasporta in un mondo ideale. Questo vivere il periodo natalizio appartiene, oggi come ieri, a tutti, si è come sospesi in una atmosfera che interrompe la vita di sempre.

 Maria La Barbera

Le mille cartoline di Henry Cole e il “Canto di Natale” di Dickens

I cartoncini di Natale, con frasi d’augurio e belle immagini, vennero pensati e prodotti ( almeno quelli “ufficiali”..) nel 1843 quando l’uomo d’affari inglese, Sir Henry Cole, che lavorava alle poste britanniche, commissionò al disegnatore e amico John Callcott Horsley la realizzazione di mille cartoline natalizie da inviare ai propri amici
 Preoccupato di non aver tempo per scrivere le annuali lettere per le feste di fine anno, Cole gli chiese di disegnargli un cartoncino che contenesse messaggi familiari e caritatevoli. Forse non se ne resero conto sul momento che stavano contribuendo alla creazione del Natale moderno con albero, regali, Babbo Natale, i buoni sentimenti e quei biglietti d’auguri, prodotti d’invenzione anglosassone, dove il principale interprete fu uno dei più grandi romanzieri dell’Ottocento, Charles Dickens. In “Canto di Natale”, suo malgrado, lo scrittore inglese inven­tò gran parte della mitologia che ancora oggi costituisce la tradizione natalizia: il pranzo, la famiglia, le vacanze, la neve, i regali, la beneficenza, i canti, i dolci e addirittura il vin brulé. Quel libro – che narra la fantastica storia dell’avarissimo Scrooge, diventato generoso in seguito alla visita di tre spettri proprio durante la notte di Natale – venne pubblicato il 18 dicembre 1843. Venduto in seimila copie nella prima settimana fu,per l’epoca, un vero bestseller. Con quella storia Dickens declinò i “nuovi valori” che la festività intendeva rappresentare. Non solo la fami­glia ma anche lo spirito di carità che biasima l’ingiustizia sociale e la povertà, descrivendo di par suo quell’Inghilterra rurale destinata a fare da sfondo alle cartoline di auguri con i paesaggi innevati.Tutto questo accadeva nello stesso anno che vide il trentenne Wagner rappresentare il suo primo lavoro, un potente melodramma intitolato “l’Olandese volante”, mentre Giuseppe Verdi mandava in scena alla Scala di Milano i Lombardi alla prima crociata. Il successo fu strepitoso, soprattutto per il celebre “coro dei lombardi”, adottato come canto patriottico in chiave manifestamente anti-austriaca. Il 1843 fu anche l’anno dell’inaugurazione del primo stabilimento balneare riminese mentre a Milano nasceva la prima stazione ferroviaria sul modello di quelle inglesi: quella di Porta Tosa, capolinea della  ferrovia Milano-Venezia. La rivoluzione industriale muoveva i primi passi in Italia, partendo dal Piemonte e dagli opifici tessili nel Biellese e nel Verbano. A settembre usciva il primo numero del magazine “The Economist” mentre si accendevano qua e là movimenti di protesta sociale e d’indipendenza, anticipatori di quella “primavera dei popoli” che cinque anni più tardi, nel fatidico 1848, sconvolse l’Europa con i suoi moti rivoluzionari. L’ Inghilterra s’incamminava nell’età  vittoriana ( la Regina Vittoria, sul trono da sei anni, ne compiva  ventiquattro), epoca di splendore politico, culturale e di cambiamenti sociali. Insomma, un anno importante il 1843. Tornando ai biglietti d’auguri, Horsley scelse di disegnare una famiglia, composta da elementi di varie generazioni e intenta a festeggiare il Natale con un brindisi a base di punch (suscitando non poche polemiche e rimostranze), recante la scritta a lettere maiuscole “A Merry Christmas and a Happy New Year to You” (ovvero l’augurio di “Un Buon Natale e un Felice Anno Nuovo”). Le cartoline, ognuna delle quali misurava 8,5 per 14,5 centimetri, furono  litografate presso la  londinese Jobbins of Warwick Court  e colorate da un pittore professionista, un certo Mason. Lo stesso Cole, futuro fondatore e direttore del primo museo del design, le acquistò per uno scellino l’una, firmandole “Felix Suddenly”, cioè “improvvisamente felice”. La nascita degli auguri natalizi coincise o quasi con quella del francobollo, tant’è che il britannico “penny black” ,con il profilo della Regina Vittoria,fu il primo esempio di carta-valore ad essere destinata all’affrancatura della corrispondenza. Ma questa è un’altra storia.

Marco Travaglini

 

Rifllessioni su Babbo Natale

Nonno, come mai sul 25 Dicembre c’è scritto solo Natale e non il nome intero, Babbo Natale?”

La domanda di mio nipote mi ha lasciato di stucco…

Il 25 Dicembre è la festa principale per tutti i bambini, che la attendono con ansia soprattutto per un motivo: ricevono regali dai genitori, dagli zii, dai nonni; e la cerimonia dell’apertura dei pacchio dono sotto l’albero è uno dei momenti magici dell’anno…

Che tensione nei giorni precedenti, che timore di non meritare giochi, bambole, scatole multicolore perché non si è stati abbastanza buoni durante l’anno…

Che gioia scartare la carta e scoprire, oh sorpresa, proprio quello che sognavano e che avevano chiesto in letterine accorate…

Che felicità passare ore liete a giocare con i fratelli, i cugini, gli amici mentre i “grandi” intrecciano conversazioni e programmano l’ormai prossima festa di Capodanno…

Per i piccoli da decenni i regali sono portati da Babbo Natale, un personaggio inesistente creato dalla Coca Cola per reclamizzare la sua nota bibita gassata.

 

Nel 1931 Coca‑Cola commissionò all’illustratore Haddon Sundblom il compito di disegnare Babbo Natale per le pubblicità natalizie. Queste raffigurazioni hanno cambiato il modo in cui Babbo Natale veniva rappresentato: il primo Babbo Natale infatti era verde e si legava alla tradizione nordica di Odino, che immaginava il personaggio che regalava dolciumi. La sua origine peraltro può essere ascritta ancor più indietro nel tempo, legata ad un personaggio realmente esistito nel IV secolo a.C, e cioè il vescovo Nicola di Mira, che ancora sopravvive nei paesi nordici con il nome di Santa Klaus..

Potenza del marketing: in pochi decenni un’immagine pubblicitaria ha cancellato non solo secoli di tradizioni radicate, ma (e questo è l’aspetto più triste nella domanda del mio nipotino) la vera essenza del 25 Dicembre, che non è la festa di Natale Babbo, ma è la festa che ricorda la nascita di Gesù!

Nei calendari più attenti e precisi, il 25 Dicembre è infatti descritto come “Natale N.S.G.C.”, sigla misteriosissima per tutti i nipotini e per la stragrande maggioranza degli adulti, che, per esteso, significa “Natale di Nostro Signore Gesù Cristo”.

Natale è un aggettivo, non un nome! Indica il giorno “natale” (cioè della nascita) del Redentore.

Una festa intrinsecamente religiosa, staccata da ogni contenuto gaudente legato a regali, feste, cenoni, pacchi dono.

Una festa che dovrebbe far riflettere sui contenuti spirituali, sull’importanza di staccarsi dai valori materiali e meditare sui valori spirituali; altro che regali, trenini, tablet, bambole, cellulari…

E la cosa più triste è che (riflettete!) passate poche ore o pochi giorni i rutilanti giocattoli giaceranno in un angolo, dimenticati ed inutili, perché il tempo corre in maniera sempre più veloce, bruciando anche le cose più belle e desiderate e lasciando un triste, amaro vuoto nell’anima.

GIANLUIGI DE MARCHI

 

“Oro, incenso e mirra” tra i presepi del Monferrato

“Oro, incenso e mirra-presepi nel Monferrato” entra nel vivo con gli appuntamenti a ridosso del Natale e dell’Epifania che accompagneranno i visitatori fino ai primi giorni del 2026. La manifestazione di presepi diffusa, attraverso otto comuni del territorio, tra Aramengo, Castagnole delle Lanze, Castagnole Monferrato, Castell’Alfero, Cocconato, Frinco, Monale e San Damiano continua a incantare con i suoi presepi d’autore. Venerdì 27 dicembre 2025, a Cocconato, alle 15.30, si terranno i laboratori natalizi per bambini alla Biblioteca Rocca , con degustazione dello zabaione di Alberto Marchetti; sabato 28 dicembre, a Castagnole Monferrato, alle 15, laboratorio di cucina con Daniela Gai presso la tenuta La Mercantile; lunedì 6 gennaio 2026, Epifania a Castagnole Monferrato: alle ore 15 caccia al tesoro con la Befana, e grande tombolata per grandi e piccini (tenuta La Mercantile); a Castell’Alfero, alle ore 15, camminata della Befana ed elezione di Miss Befana in piazza Castello. Alle ore 17 premiazione del concorso dei presepi nel teatro di piazza Castello; a Monale, alle ore 9, vi sarà la camminata della Befana con tè, panettone e pandoro offerti dalla Pro Local. Fino al 12 gennaio rimarrà aperto a Monale il percorso dei presepi; ad Aramengo, in piazza del Municipio, un grande albero illuminato e presepe con personaggi intagliati e dipinti a mano dall’artista Gianluigi Nicola. Un secondo presepe dell’artista è esposto Marmorito Santa Maria. Una sala comunale ospita il concorso “Alla luce della stella”, aperto al voto dei visitatori. La mostra del concorso è visitabile nei giorni feriali, durante gli orari d’apertura degli uffici comunali e nei giorni festivi dalle 15.30 alle 18, esclusi il 25 dicembre, l’1 e 6 gennaio; una suggestiva mostra a cielo aperto è presente a Castagnole delle Lanze, un percorso tra vie, portici e botteghe di San Bartolomeo fino al Belvedere del Municipio, al parco della Rimembranza e alla torre del Conte Ballada. Si tratta di opere realizzate con materiali poveri e riciclati, che richiamano tradizioni locali e visibili fino al 6 gennaio 2026; a Castagnole Monferrato, la mostra dei presepi avverrà nella tenuta La Mercantile e nella chiesetta della stessa, con visite guidate per le scuole. A Castell’Alfero l’esposizione sarà nelle sale del castello, con il concorso dedicato e il voto per il presepe più tradizionale e creativo. La mostra a cielo aperto sarà nel concentrico e nelle frazioni Caglianetto e Stazione. “Presepi d’artista” sarà l’iniziativa di Cocconato che sarà arricchita dalla mostra fotografica “A Natale…i Cocconatesi nel Medioevo”. A Frinco, un percorso di presepi diffusi, ispirato al messaggio di San Francesco “vivere la fede nella semplicità”. A San Damiano d’Asti il centro storico si trasforma in un borgo incantato con luminarie, mercatini natalizi e stand di artigianato. La passeggiata dei presepi attraversa le borgate e frazioni del territorio e si protrarrà fino al 6 gennaio.

“Visitare i presepi del Monferrato significa entrare in un racconto corale, un viaggio tra borghi illuminati, suoni, profumi e gesti che continuano a unire generazioni diverse intorno alla Natività – spiega Francesco Marengo, presidente dell’Associazione – ‘Oro, incenso e mirra’ è un invito a riscoprire la meraviglia dell’attesa, a camminare lentamente tra le vie dei paesi, lasciarsi sorprendere dalla magia autentica del Natale”.

“Continua anche quest’anno la pluriennale collaborazione con questo circuito unico nel suo genere – aggiunge Bruno Colombo, Presidente Ecomuseo BMA – che arricchisce nel periodo natalizio una vasta area del territorio con un itinerario tematico che favorisce l’attrattività dei nostrani paesi, animando la vita culturale, sociale e lo sviluppo economico delle realtà locali tra folklore, memoria e tradizione”.

www.presepinelmonferrato.it

Mara Martellotta