LIFESTYLE- Pagina 2

L’amico è…

Nel 1983 Dario Baldan Bembo, mostrandosi poeta prima che autore, scrisse la canzone “Amico è (L’inno dell’amicizia)”.

E’ l’amico è

una persona schietta come te

che non fa prediche

e non ti giudica

fra lui e te divisa

due la stessa anima

Però lui sa

l’amico sa

il gusto amaro della verità.

Ma sa nasconderla

e per difenderti

un vero amico anche bugiardo è.

Ma parliamo, appunto, di quarant’anni fa; nell’epoca attuale, al contrario, l’amicizia è stata citata a sproposito, sminuita dai social, vanificata da smartphone e tecnologia, cercata solo da chi segue ancora valori tradizionali.

Il proverbio “L’amico si vede nel momento del bisogno” si presta bene anche ai nostri tempi: solo che oggi va interpretato come una persona che non vedi per lungo periodo ma quando ha bisogno si ricorda di te e si fa nuovamente vivo.

Chi mi conosce sa che io periodicamente faccio un inventario delle amicizie: se sono degne di tale nome rimangono tali, altrimenti sono destinate a finire in cantina: non vengono dimenticate, ma diventano presto inutili.

Nel mio libro “Ventiquattro sfumature di vita” parlo proprio di questo: amicizia intesa come rapporto di scambio tra quanti sono come noi, hanno le nostre stesse vedute e ci danno ragione; l’amicizia, in realtà, è l’esatto opposto. De Andrè, Guccini e Bertoli nelle canzoni (ma non sono gli unici), Don Gallo nelle prediche hanno saputo testimoniare tutto ciò distinguendosi dalla massa.

Nel capitolo sull’amicizia parlo proprio di come nei decenni io abbia scremato le amicizie, talvolta mettendo alla prova i “candidati” per capire se fossero interessati alla mia amicizia o ad avere qualche servo sciocco in più.

Con alcuni mi sono finto sciupafemmine, squattrinato, senza auto, etilista e, com’era prevedibile, molti di loro si sono allontanatiperché non rispondevo ai loro canoni, non ero “utile” e non facevo fare loro bella figura in società.

Chi, al contrario, cercava una persona che li ascoltasse, con cui passare un week end al mare, o una serata al pub o anche solo due chiacchiere in famiglia mi è rimasto vicino perché quello potevo offrire loro: dopo 40, 50 e in alcuni casi 56 anni molti di loro sono ancora miei amici.

L’esempio eclatante è quello di un amico la cui figlia di chiamò dicendo che il padre era a casa con la febbre altissima, non poteva fare nulla da solo ma lei era in ferie (200 km) e non poteva venire; andai tutti i giorni per una settimana a portargli la spesa, cercandodi alimentarlo, cambiai le lenzuola sudate e arieggiai la casa fino a quando fu autosufficiente. Svariati anni dopo, rientrato lui in Italiadopo alcuni anni di lavoro all’estero, scoprii che si sarebbe sposato di lì a poco e mi invitò “verbalmente”; nel periodo del matrimonio mio padre si aggravò (e morì poco dopo) e non potei partecipare al suo matrimonio: non mi perdonò e chiuse ogni rapporto con me. Di certo se lo incontro per strada agonizzante, lo scavalco.

Poi c’è ancora un’altra sottospecie di amico d’interesse: quello che sta con te fin quando pensa di primeggiare nel confronto, che pensa di uscirne vincente nelle uscite a due, perché vali meno di lui, sei meno bello, meno ricco, meno tutto. Quando poi si sveglia dal sogno e si rende conto che hai molti altri valori per i quali, e grazie ai quali, lo hai spodestato dal trono di paglia allora ti blocca su whatsapp, si cancella dal gruppo di compagni di scuola e, in generale, sparisce da ogni forma di socializzazione.

Ai tempi del liceo, in particolare, ero circondato da figli della Torino bene che potevano spendere cifre enormi in una sera, guidare a 20 anni auto di lusso e, in generale, permettersi un tenore di vita lontano dai miei standard. Quando, a distanza di pochi anni, ci siamo rincontrati il loro atteggiamento è diventato di chiusura, di blocco non potendo più mostrare la loro superiorità economica e sociale (su quest’ultima nutro ancora oggi seri dubbi)e realizzando che io avevo raggiunto molta più fama e notorietà diloro.

Una riflessione, dolorosa ma oggettiva, mi ha portato a considerare con spietata lucidità che non erano veri amici, che non avevo perso nulla di importante, che anche il miglior divertimento offerto con secondi fini diventa pessimo rispetto ad un’offerta sincera, anche se molto umile.

Ho quindi coltivato le amicizie meritevoli, divertendoci nei momenti lieti e prestandoci mutuo soccorso in quelli tristi,provando gioia per le amicizie autoeliminatesi che non sanno cosa si sono perse.

Con gli anni ho imparato ad apprezzare gli inviti sinceri, il bicchiere di vino offerto senza fronzoli su una tovaglia rammendata, piuttosto che l’evento che dimostra palesemente di essere stato organizzato “pro domo sua” e non capisci quando scatterà la trappola.

I social hanno veicolato un concetto di amicizia lontanissimo dall’accezione originale del termine: basta chiedere l’amicizia a qualcuno e che quel qualcuno la accetti per essere classificato“amico” pur non conoscendosi e non avendo mai scambiato due parole e ciascuno non sa nulla dell’altro, nemmeno se la foto del profilo corrisponda realmente all’identità dichiarata.

I genitori dovrebbero, intanto, non portare all’esasperazione i figli mettendoli in continua competizione (sportiva, scolastica, sociale) con i propri compagni facendoli diventarehomo homini lupus”; poi noi stessi dovremmo renderci conto che lo specchio mostra soltanto il nostro aspetto esteriore, non quello che gli altri percepiscono: se pensiamo di essere “l’ombelico del mondo” mentre siamo soltanto “l’ano del quartiere” continueremo a infilare una delusione dietro l’altra.

Siamo davvero sicuri di essere meglio di chi ci circonda? Siamo realmente convinti che gli altri possano solo essere nostri allievi anziché i nostri insegnanti, magari in qualcosa di importante?

Sergio Motta

Rinascere, il nuovo libro di Enzo Bianchi

Si è tenuta oggi, presso la fraternità monastica “Casa della Madia” di Albiano, la presentazione del nuovo libro di Enzo Bianchi dal titolo “Rinascere”. Un libro che parla del futuro della Chiesa e delle sue possibilità di rinascita.

Padre Bianchi sottolinea più volte come l’istituzione della Chiesa sia il freno stesso del cristianesimo e di una vita ricca di valori cristiani: essa, infatti, rimane l’unica istituzione che accentra tutti i poteri, creando una realtà assolutista nella quale diventa difficile la possibilità di riforme e di innovamenti. Enzo Bianchi ricorda con nostalgia le parole di Papa Giovanni XXIII che promettevano l’inizio di un’epoca di pace per la Chiesa, caratterizzata dalla fioritura del Vangelo e dalla concordia tra fratelli, poiché questo momento di calma ebbe una vita breve. Riprendendo le parole del teologo Von Bahltasar, anche quella volta, la Chiesa vide arrivare una bella primavera seguita, purtroppo, da una brinata improvvisa.
Ma in cosa consiste questa rinascita? Padre Bianchi spiega in modo chiaro ed esaustivo come la rinascita sia caratterizzata dalla presenza di Cristo dentro di noi, dal vivere in Cristo e con Cristo anziché nell’idea di un Dio che immaginiamo e la cui parola stessa viene definita “nebulosa” dai padri della Chiesa, primo tra tutti il martire Giustino. Ciò che sappiamo di Dio lo possiamo sapere solo attraverso la parola di Gesù e dovrebbe essere Gesù il nostro unico riferimento, poiché egli rappresenta Dio incarnatosi in un uomo.
Un Dio che ci ama tutti, soprattutto quando siamo peccatori, poiché è un Dio che emana un amore assoluto ed incondizionato. Un Dio ben lontano dall’immagine moralista che la Chiesa continua a promuovere con il solo fine di non perdere l’approvazione dei suoi discenti: ecco perché una riforma della Chiesa diventa molto difficile da attuare.
Una riforma cristocentrica che può partire, però, dal cuore di ognuno di noi, mettendo al primo posto nelle nostre vite Gesù, incarnando le sue parole e i suoi gesti: “intuandoci con esso” come dice Padre Bianchi, riprendendo un verbo coniato da Dante nella Divina Commedia per indicare la penetrazione profonda dello spirito dentro di noi, uno spirito che, come disse Nicodemo, ci soffia dentro, diventa il nostro alito e noi respiriamo di questo spirito. Questo è ciò che accade quando comprendiamo bene Gesù, la via che ci conduce alla verità che ci porta alla vita e, nel momento in cui ci porta alla vita, ci porta a Dio. Questa è la fede essenziale di chi tenta di essere cristiano, giorno dopo giorno, poiché questo impegno va rinnovato costantemente.
Ed è solo così che si rinasce.
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Irene Cane
Psicologa

Perché abbiamo bisogno di gentilezza

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Prima parte 

Potrà sembrarvi strano e un po’ “fuori dal mondo” voler parlare di gentilezza in un periodo nel quale moltissime persone vivono paure, bisogni e difficoltà che le allontanano da quel comportamento così apprezzabile che è l’essere gentili.

Viviamo in un mondo in cui i rapporti tra le persone sono sempre più tesi, aggressivi e maleducati. Parlare di gentilezza di questi tempi si rivela quindi tutt’altro che inutile. Perché il comportamento gentile, che sia messo in atto da noi o che lo si riceva dal nostro prossimo, è sinonimo e fonte di benessere interiore.

E ci mette in armonia con la vita e con il mondo, facendoci fare pace con il nostro prossimo. Molte persone, in questi anni un po’ bislacchi, sono erroneamente convinte che essere gentili sia sintomo di debolezza.

Quanti programmi televisivi, da alcuni decenni a questa parte, ci hanno proposto e ci lanciano continuamente spettacoli e messaggi secondo i quali essere arroganti e aggressivi ci fa essere vincenti. E molti pensano che l’atteggiamento gentile sia praticamente sempre falso e ipocrita.

Semplicemente orientato a ottenere qualcosa dagli altri. Senza dubbio in tante situazioni la gentilezza è un atteggiamento utilitaristico, ma noi vogliamo parlare della vera gentilezza, quella che sgorga disinteressatamente dal nostro animo.

Come manifestazione del rispetto che nutriamo nei confronti del prossimo, e come segno esteriore di equilibrio interiore. Dovremmo comprendere quanto l’essere gentili ed educati sia importante per il nostro star bene con noi e con gli altri, e che proprio non ci conviene essere maleducati e rabbiosi.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it
Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”.

(Fine della prima parte)

Potete trovare questi e altri argomenti dello stesso autore legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

La solastalgia, il disagio creato dai cambiamenti ambientali

Coniato dal filosofo Glenn Albrecht dell’universita’ di Newcastle in Australia, “solastalgia” e’ un neologismo che deriva dalla fusione di “solace” e “nostalgia”, che insieme creano  la nostalgia della conforto. È un termine che indica il senso di malessere che si genera quando l’ambiente circostante viene maltrattato, danneggiato e deturpato.  A dar vita a questa “patologia del luogo” sono fenomeni climatici estremi come tempeste e alluvioni, ma anche fuoriuscite di petrolio e altri disastri causati dall’uomo. Quando i territori a cui apparteniamo, quelli delle nostre radici, non sono piu’ riconoscibili ai nostri occhi e alla nostra memoria questo puo’ causare stress, ansia e malessere.

Ci si sente come se quei luoghi, che rappresentano la nostra identita’ ci fossero stati portati via, si crea un senso di smarrimento dovuto alla trasformazione della nostra casa, di quello spazio che ha la funzione di rifugio e di sicurezza sia fisica che psico-sociale. Albrecht comincio’ a parlare di solastalgiariferendosi alle vicende dell’ Upper Hunter Valley che vennemodificata, meglio dire stravolta, a causa delle  operazioni di estrazione mineraria  che avevano causato nei suoi abitanti importanti problemi di umore, rabbia e senso di frustrazione.


Gli interventi dell’uomo sull’ambiente naturale, sempre piu’spesso, hanno risvolti funesti non solo sul sistema ecologico, ma anche sugli esseri umani che lo vivono e che non lo riconoscono piu’ come loro habitat originario. Questo fenomeno nostalgico, sfortunatamente, non e’ piu’ ricollegabile unicamente a singoli eventi, ma  lo si puo’ trattare a livello globale a causa della massiccia attivita’ di antropizzazione che incede inarrestabile e di frequente in maniera irrispettosa. Quest’anno siamo rimasti tutti sorpresi dal caldo record e innaturalmente protratto al sud e dai violenti temporali al nord che hanno avuto il potere di distruggere paesaggi naturali e urbani; ognuno di noi guarda a questi fenomeni estremi con preoccupazione perche’ compromettono la possibilita’di previsione, di poter pianificare  molte attivita’, ma soprattutto creano la  sensazione di non essere al sicuro nel proprio ambiente.Si da’ origine cosi’ alla “ecoansia” che produce molti dubbi sul futuro, impedisce di progettare soprattutto ai giovani che gia’ da tempo hanno cominciano a ribellarsi. Diversi sono, infatti, gli interventi attivi di ragazzi, conosciuti e non, che alle conferenze dell’Onu o  alle manifestazioni in piazza con determinazionedenunciano lo sfruttamento del pianeta,  urlano la loro  paura per il futuro  chiedendo uno stop all’utilizzo indiscriminato e dannosodel nostro pianeta. Da una parte il progresso dall’altra la necessita’che questo sia sostenibile e riguardoso, generazioni a confronto sull’avvenire, ma di sicuro un malessere ecologico sempre piu’diffuso nel presente.

MARIA LA BARBERA

Investitura di Gianduja e Giacometta a Palazzo civico

Investitura di Gianduja e Giacometta a Palazzo civico. Quest’anno ricorre il centenario della Famija Turineisa e, per la prima volta, Giacometta firma, insieme al notaio e a Gianduja, l’atto di accettazione dell’investitura. Si è raggiunta la parità dei sessi.

Nella seconda parte del video Mario Brusa racconta che cosa successe tra il Re Vittorio Emanuele, che voleva passare in incognito da un ingresso laterale per accedere a Palazzo, e la sentinella Gianduja che presidiava quell’accesso. Il comportamento integerrimo di Gianduja costrinse il Re a rivelarsi e a premiare la guardia che svolgeva il suo compito in modo esemplare.

Guarda il video:

Di diritti moriremo

Riguardando alcune interviste e conferenze del compianto Sergio Marchionne, mi ha colpito molto la sua analisi sulla pretesa, da parte della maggior parte degli italiani, di veder rispettati i propri diritti senza però rispettare i tanti doveri che l’appartenenza alla nostra società impone.

Si pretende il diritto allo studio, al lavoro, alla giornata di 8 ore, alle 40 ore settimanali, alle ferie, ad una giusta retribuzione e molto altro, ma per ragioni di comodo gli obblighi vengono sempre tralasciati.

Proprio perché alcuni diritti sono divenuti sacrosanti grazie a lotte sindacali, garanzie costituzionali o sentenze giudiziarie tutti ne usufruiamo dimenticando, però, che nel diritto vige un patto sinallagmatico tra diritti e doveri, ovvero vige il “do ut des” che implica il godimento di un qualcosa in cambio di qualcos’altro.

Mi spiego meglio: ho diritto alla sanità gratuita o alla pensione, a condizione di aver versato i contributi o pagato le tasse (questo è il dovere); anche su altre materie, tuttavia, spesso si confondono i ruoli e si pretende solo senza sapere (o volere) elargire nulla in cambio.

Faccio un esempio: pretendere la promozione a fine anno scolastico senza studiare è un controsenso; lo stesso dicasi per il lavoro dove non possiamo pretendere il posto a tempo indeterminato se, durante il periodo di prova, abbiamo assunto atteggiamenti ostili.

I sindacati, passati i fasti dell’autunno caldo (con uno Statuto dei lavoratori proposto dall’allora Ministro Donat Cattin e non guadagnato dalle OO.SS), hanno incentivato sempre più la concessione dei diritti a ogni lavoratore anche a costo, non di rado, di tutelare i lavativi o difendere gli indifendibili a scapito della meritocrazia.

Da un tale substrato non può che nascere la consapevolezza che i diritti siano dovuti, mentre i doveri sono tali solo per i meno furbi, per i più ligi, per i fessi insomma.

Naturalmente questo concetto di applica anche al voto politico, dove sempre più gente non si reca alle urne ma poi starnazza sui difetti della maggioranza uscita dalle urne, dove sempre meno gente si reca in Consiglio comunale ma poi pretende provvedimenti non di competenza del Comune; che dire di chi non sa neppure che dalle elezioni politiche del 2022 il numero dei deputati è sceso da 630+315 a 400+200? Però tutti giurerebbero di poter insegnare ai politici come si amministri davvero un Paeseesattamente come, davanti alla TV, siano tutti arbitri, giudici dei contest canori, Mister di calcio o strateghi di un conflitto.

E’ sicuramente ora, anche se siamo parecchio in ritardo, di insegnare fin dalle elementari cosa e quali siano gli obblighi e che sono connessi allo status di cittadino e, una volta appresi qualisiano, spiegare che se assolvi correttamente ai tuoi doveri godrai di una serie di diritti.

Tutti noi abbiamo l’obbligo di fare qualcosa perché il nostro Paese, la nostra società e, di conseguenza, ognuno di noi funzionino al meglio; ma se è facile essere passivi godendo di diritti è molto più impegnativo essere parte diligente assolvendo agli obblighi. Fino al 2004 esisteva la leva obbligatoria in Italia, poi sospesa dalla Legge 23 agosto 2004, n. 226: i renitenti alla leva erano davvero pochissimi, almeno in tempo di pace; scommettiamo quanti sarebbero oggi se la leva venisse ripristinata? Eppure è un obbligo derivante dal diritto di vivere in pace, di garantire al Paese la difesa in caso di attacco e, da alcuni anni, di coadiuvare le FF.OO. nel pattugliamento di zone a rischio.

Probabilmente stiamo ancora troppo bene per riflettere che se viviamo di soli diritti, di diritti moriremo.

Sergio Motta

Le Icone di Stile Torinesi. Chi Sono e Perché Sono Importanti

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SCOPRI – TO    ALLA SCOPERTA DI TORINO

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Torino, con il suo fascino discreto e il suo legame indissolubile con la storia e l’innovazione, è stata la culla di molte figure che hanno plasmato il concetto di “stile”. Le icone torinesi hanno rappresentato molto più che moda; esse hanno incarnato l’eleganza, l’ingegno e il gusto e questa qualità definiscono il capoluogo piemontese. Attraverso epoche diverse, alcune personalità hanno segnato la cultura e lo stile di Torino, diventando veri e propri simboli di una città che sa distinguersi senza ostentazioni.
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Gianni Agnelli e La Classe Discreta del Potere.
Uno dei nomi che più risuona quando si parla di Torino e di stile è quello di Gianni Agnelli, l’Avvocato. Agnelli ha rappresentato non solo il potere e il successo economico, ma anche un modello di eleganza senza tempo. La sua capacità di abbinare abiti classici a dettagli unici, come l’orologio sopra il polsino della camicia, ha ridefinito il concetto di abbigliamento formale maschile. Per Agnelli, ogni dettaglio contava e ogni scelta stilistica era una dichiarazione di indipendenza. Non si trattava solo di apparire impeccabile, ma di esprimere la sua personalità attraverso uno stile inimitabile che continua a essere fonte d’ispirazione per uomini di ogni generazione. La sua influenza non si limitava all’Italia: l’Avvocato è stato riconosciuto come un’icona internazionale, dimostrando che il gusto torinese può essere universale.
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La Regina Margherita.
Prima ancora di Gianni Agnelli, Torino aveva già una figura iconica legata alla moda e allo stile: la Regina Margherita.
La prima Regina d’Italia ha portato la sua raffinatezza e il suo amore per l’arte e la cultura nella corte torinese, trasformando il Palazzo Reale in un centro di eleganza e innovazione. Nota per il suo gusto impeccabile, la Regina Margherita ha reso popolari tessuti pregiati, gioielli opulenti e uno stile che combinava elementi tradizionali con influenze internazionali. Il suo ruolo nella promozione delle arti e della moda in Piemonte è stato cruciale, contribuendo a posizionare Torino come un centro di creatività e stile già nel XIX secolo. Ancora oggi il suo nome evoca un’immagine di eleganza regale che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della città.
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Donne e Stile: L’Eleganza Femminile Torinese
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Eleonora Duse.
Molte donne torinesi hanno lasciato il segno nel mondo dello stile. Attrici come Eleonora Duse, nata a pochi passi da Torino, ha rappresentato l’eleganza e il carisma italiano a livello internazionale. La sua capacità di portare emozione e profondità nei suoi ruoli ha influenzato il modo in cui la femminilità e la moda sono state percepite nel mondo del teatro e oltre.
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Rita Pavone.
Anche la cantante e attrice torinese Rita Pavone, con il suo stile unico e audace, ha incarnato lo spirito innovativo e la creatività della città negli anni Sessanta, diventando un simbolo della rivoluzione culturale e stilistica dell’epoca.
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Torino è anche la patria di molte personalità moderne che continuano a rappresentare lo stile torinese. Tra queste, spiccano artisti, designer e personaggi pubblici che hanno saputo reinterpretare il concetto di eleganza. Il mondo della moda contemporanea torinese è stato influenzato da stilisti emergenti che hanno trovato nella città un terreno fertile per la loro creatività. Alcuni di loro hanno portato il Made in Italy torinese a livelli internazionali, mescolando tradizione e modernità in modi unici. Torino è anche il palcoscenico di eventi come la Torino Fashion Week, che ha dato voce a giovani talenti locali e internazionali, contribuendo a consolidare l’immagine della città come hub creativo.
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Torino Oggi: Eleganza e Sostenibilità per il Futuro.
Oggi, la città continua a essere un punto di riferimento per il mondo dello stile. Torino ospita designer che combinano sostenibilità e innovazione, rispecchiando i valori moderni senza perdere di vista l’eredità storica. Boutique nascoste, atelier artigianali e giovani marchi stanno ridefinendo l’estetica torinese, portandola verso un futuro in cui la tradizione si fonde con la modernità. Personalità influenti, come designer emergenti e influencer locali, stanno usando i social media per raccontare la loro visione dello stile torinese a un pubblico globale.
Torino, quindi, non è solo una città ricca di storia e cultura, ma anche un simbolo di stile che continua a evolversi. Dalle icone storiche come Gianni Agnelli e la regina Margherita, fino alle nuove generazioni di creativi, Torino ha sempre saputo esprimere un’eleganza discreta ma potente, capace di influenzare il mondo ben oltre i confini del Piemonte rappresentando al meglio il carattere e la qualità dalla sua gente.
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Noemi Gariano

“New Color Lights”, la mostra di abiti realizzati con lo storico “tessuto bandera”

Dalla torinese “Accademia Albertina di Belle Arti” approda al chierese “Museo del Tessile” 

Da sabato 1° a sabato 15 febbraio

Chieri (Torino)

“Nuove Luci Colorate”, in inglese (che fa sempre più fine) “New Color Lights”: si intitola così – e c’è una giusta ragione relativa ai colori utilizzati – la mostra, a ingresso libero, ospitata nella sala polifunzionale del “Museo del Tessile” di Chieri da sabato 1° a sabato 15 febbraio.

Frutto della collaborazione tral'”Accademia Albertina di Belle Arti” e la “Fondazione Chierese per il Tessile”,curata da Vincenzo CarusoValentina Rotundo e Melanie Zefferino, la rassegna arriva nella collinare “Città delle Cento Torri” dopo essere già stata ospitata dal 19 dicembre al 26 gennaio all'”Accademia Albertina di Belle Arti” di Torino ed è un “progetto didattico – espostivo” checomprende 14 abiti realizzati impiegando il cosiddetto “tessuto bandera”, tessuto di fibre naturali (cotone o lino) dalla trama regolare e di antica tradizione torinese. Pesante e resistente, il tessuto fu infatti molto utilizzato dalle corti piemontesi a partire dal XVIII secolo, prodotto nei colori limitati dei bianchi ed ècru, e decorato in allora con ricami a soggetto floreale, detti appunto ancora oggi “ricami bandera”.

14 abiti esposti sono stati realizzati da: Michelle VecchioSofia CrepaldiMarco FiananeseGiulia RinaudiMatilde MilanoYu Yihan, e Zhou Yayin. Ma la realizzazione dell’intero progetto interdisciplinare ha visto coinvolti ben 40 studenti del Corso Biennale di “Progettazione Artistica per l’Impresa”, indirizzo “Fashion Design”, con “l’obiettivo di mettere in atto una sperimentazione di ricerca nell’universo moda per una nuova visione sostenibile”, promossa dall'”Accademia” subalpina presieduta da Paola Gribaudo e diretta da Salvo Bitonti.

Al “Museo del Tessile” di via Santa Clara, a Chieri, sarà possibile ammirare una “capsule collection” di abiti a trapezio, dalla caratteristica forma ad “A”, icona del guardaroba anni Sessanta, abito evergreen ideato dal mitico Yves Saint Laurent, il primo creatore di moda vivente a godere, nel 1980, di una grande retrospettiva del suo lavoro al “Metropolitan Museum” di New York.

Sul “bianco ottico” di questo tessuto in puro cotone, prodotto dalla “Pertile srl” con certificazione “GOTS – Global Organic Textile Standard” (il più importante standard internazionale per la produzione sostenibile di abiti e prodotti tessili, realizzati con fibre naturali da agricoltura biologica, come il cotone e la lana), si innestano gli inserti della stessa stoffa tinta con coloranti naturali nei sette colori dell’arcobaleno, usando tecniche che gli studenti hanno sperimentato nel corso di un workshop al “Museo del Tessile” di Chieri. E, per completare l’opera davvero eseguita mettendo insieme più mani più competenze e più tecniche, gli allievi della scuola di “Cinema, fotografia e audiovisivo” diretti da Fabio Amerio, hanno documentato il work-in-progress del progetto e curato lo shooting fotografico, al quale hanno collaborato anche gli studenti del corso di “Trucco e maschera teatrale” guidato da Arminda Falcione. Gli esiti di questa progettazione artistica “multanime”, ovvero gli abiti e gli elaborati visivi, sono ora esposti in una sorta di mostra “di restituzione”. Che concretamente rivela “le qualità di un’iniziativa tesa a rispondere nei fatti alle istanze per il raggiungimento di obiettivi chiave (SDG – Sustainable Development Goals) dell”Agenda 2030 – ONU’ in termini di sostenibilità dei processi, rispetto dell’ambiente, educazione di qualità, lavoro dignitoso e creativo”.

L’esposizione ha ricevuto il patrocinio della “Città Metropolitana di Torino” e della “Città di Chieri”.

g. m.

“New Color Lights”

“Museo del Tessile”, via Santa Clara 6-10, Chieri (Torino); www.fmtessilchieri.org o www.albertina.academy

Dal 1° al 15 febbraio

Orari: merc. e sab. 15/18; mart. 10/12

Nelle foto: Alcune immagini dello “Shooting” fotografico di abiti in “Rosa”, “Giallo” e “Viola”