LIFESTYLE- Pagina 10

Elisabetta di Baviera e l’ombrellaio di Sovazza

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Argante Dorini aveva dimostrato la sua abilità fin da giovane, dotato com’era di una manualità fine e di un ragguardevole ingegno. Da Sovazza, dov’era nato e dove viveva con la moglie e i due figli quando non era in cammino sulle strade di mezz’Europa, aveva interpretato con passione l’arte del lusciàt, dell’ombrellaio ambulante. Mestiere duro ma senza alternative che Argante condivideva con l’amico Filippo Filippi, un tipo segaligno di Carpugnino. Insieme, macinando chilometri su strade polverose o in mezzo al fango, lontano da casa, s’arrangiarono a raccogliere il loro magro guadagno riparando ombrelli e parasole. Rimanevano mesi e mesi lontani da casa, risparmiando il risparmiabile per sostenere le famiglie, ricorrendo il più delle volte per cibo e alloggio a soluzioni di fortuna. Spesso non riuscivano a mettere insieme il pranzo con la cena e dormivano dove capitava.

 

Quante volte si erano appisolati, stanchi morti, sotto il cielo stellato nella buona stagione o in qualche fienile quando tirava vento o scrosciava la pioggia. Eppure, mai una lamentela perché la loro vita era così: prendere o lasciare. Il figlio Fulgenzio apprese a sua volta il mestiere, girovagando per le pianure piemontesi e lombarde per sfuggire alla miseria. Il lavoro l’aveva “rubato” a tal punto da diventare uno dei migliori nell’arte di vendere e riparare ombrelli. Accompagnato da Nino, il fratello più piccolo, giravano come dei nomadi gridando a gran voce “donne, donne, à ghè l’ombrelè!”, portando a tracolla la barsèla, la cassetta nella quale erano riposti  tutti i ferri del mestiere del lusciàt: dai ragozz, le stecche degli ombrelli, a lusùra, flignànza, tacugnànza e tacòn, ramé, cioè forbici,  rocchetti di refe, pezze varie, bastoni di legno. Con quell’armamentario erano in grado di cucire, limare, intagliare il legno, incollare e sagomare stoffe. Se c’era da riparare un ombrello lo accomodavano, racimolando qualche soldo; se invece si trattava di confezionarne uno nuovo, era festa grande. Girovagavano per le vie guardando porte e finestre, in attesa del cenno di chi era disposto ad affidar loro un parapioggia tartassato dai troppi acquazzoni, contorto dal vento o vittima della voracità delle tarme.

Ogni lavoro era buono e non si rifiutava mai, mettendosi subito alacremente al lavoro, e in silenzio. Stessa vita riservò all’unico figlio maschio, Mario. Per arrotondare il magro guadagno accompagnavano il mestiere con la costruzione e la vendita di altri manufatti in legno e in fil di ferro come gabbie, trappole per topi, insalatiere, setacci. Anche Mario, diventato uomo, si avvalse di un apprendista, Giacomino Dentici, un ragazzino di dieci anni, sveglio come un passero e rapido come una saetta. Come da tradizione il giorno di Capodanno, sulla piazza di Carpugnino, si incontravano a parlare d’affari e preparare la nuova annata degli ombrellai. In quell’occasione le famiglie più povere affidavano i loro figli piccoli agli artigiani ambulanti, nella speranza che avrebbero imparato un mestiere, sconfiggendo povertà e indigenza. “Al prumm dal lungon a Carpignin, a truà l’ Casér senza an bergnin”, che tradotto equivaleva a “il primo dell’anno a Carpugnino, a cercar padrone, senza un soldino”, come recita un’epigrafe che fa mostra di sé ancor oggi  nella piazza del piccolo paese del Vergante. Reclutata così la manodopera, gli ombrellai si mettevano in cammino alla ricerca dei guadagni necessari a garantire un futuro migliore. Bisogna dire che l’apprendista entrava quasi a pieno titolo nella famiglia dell’ombrellaio che provvedeva a lui in tutto e per tutto. Per fortuna i tempi erano cambiati e non s’andava più a piedi, consumando scarpe e sudore, ma in bicicletta. E che biciclette! Due Maino purosangue, modello anni venti con il doppio carter e senza una macchia di ruggine nonostante fossero di seconda mano. Mario le aveva ottenute da un ciclista in cambio di una serie di lavori, tra i quali un paio d’ombrelli nuovi di zecca. In fondo non erano proprio a buon mercato ma la comodità di pedalare lesti e di non scarpinare più dall’alba al tramonto n’era valsa la pena. Così Mario e Giacomino lavorarono a lungo, lontano da casa e dai propri cari, accompagnandosi nel tragitto con i canti in quella particolare lingua che si parlava tra lusciàt: il tarùsc. Tra di loro, per tradizione e abitudine, comunicavano in quel gergo difficile, quasi del tutto incomprensibile, dalla pronuncia piuttosto secca e dura. Facilitati dalla stessa provenienza territoriale, cioè dai paesi dell’alto Vergante, gli ombrellai potevano intendersi con rapidità e segretezza, scambiandosi notizie e commenti nella certezza di non essere capiti. L’idioma era un misto di dialetto e parole di altre lingue, dallo spagnolo al francese al tedesco, rielaborate con arguzia e duttilità. Così, tanto per fare due esempi, l’avvocato era un “denciòn” e il cuoco un “brusapignat”.

“Al lusciàt caravaita a gria i lusc”, dicevano gli anziani. L’ombrellaio ambulante ripara gli ombrelli perché la ghéna, la fame, era tanta e ci si poteva considerare brisòld (ricchi) solo quando si riusciva a mettere su la prima bottega con un banchetto e l’insegna di due cupole d’ombrello a spicchi bianchi e rossi e la scritta “luscia, el lusciat piòla” che, più o meno, si poteva tradurre in piove, l’ombrellaio si prende una sbornia. Infatti, quando il cielo diventava scuro, la terra cambiava odore e l’acqua iniziava a scrosciare, fosse temporale estivo o pioggia autunnale, si brindava alla fortuna perché con la pioggia si lavorava di più. Quando tornava a casa Mario raccontava le avventure della sua vita randagia. Era orgoglioso di quel lavoro dove la fatica e i sacrifici erano ricompensati dalla passione per un mestiere che richiedeva non solo molta abilità ma anche una buona dose di creatività. Soprattutto quando l’ombrello andava costruito nuovo di zecca e venivano usate le sagome per tagliare le stoffe. Qui la differenza di censo balzava all’occhio immediatamente: i benestanti e i nobili sceglievano la seta, per gli altri tutt’al più c’era il cotone. Il racconto più straordinario risaliva all’epoca in cui suo nonno confezionò un paio d’ombrelli per la principessa Elisabetta Amalia Eugenia di Wittelsbach, bavarese di nascita, diventata imperatrice d’Austria, regina apostolica d’Ungheria e regina di Boemia e Croazia, oltre che consorte di Francesco Giuseppe d’Austria. Celebre ovunque in Europa con il nome di Principessa Sissi (anche se dalle sue parti di esse ne usavano una sola). Argante Dorini non era tanto dell’idea di riverire la nobildonna, non foss’altro perché il fratello di suo padre, lo zio Luigi,aveva combattuto contro gli austriaci con il grado di tenente dell’esercito franco-piemontese durante la seconda guerra di indipendenza italiana, perdendo la vita nella battaglia di Solferino, il 24 giugno del 1859. Una pallottola aveva centrato in pieno petto Luigi Dorini proprio durante le ultime scaramucce di quella che fu una delle più grandi battaglie dell’Ottocento, con più di duecentomila soldati in campo. Il papà di Mario, antiaustriaco pure lui, teneva in tasca una vignetta dove un soldato asburgico era raffigurato come un maiale. E diceva sempre che “il Cecco Beppe al ma stà sui ball”.

 

Ma si sa, il lavoro è lavoro, e quando una delle dame di corte della Principessa prese contatto con lui mentre si trovava a Madonna di Campiglio nel 1889 chiedendogli di confezionarle un ombrello, non disse di no. Argante, nonostante la giovanissima età, era già uomo di poche parole e di buon senso,  e sosteneva che dove c’erano tanti ricchi e tanti nobili  c’era anche “tanta grana” e qualche corona in saccoccia non faceva certo male. Per questo si era sobbarcato quel viaggio lunghissimo verso est, in cerca di fortuna. A quel tempo la perla delle Dolomiti di Brenta era una delle mete predilette dall’aristocrazia europea e anche l’imperatrice Elisabetta aveva deciso di trascorrervi un periodo di villeggiatura, risiedendo all’Hotel des Alpes. Presa in carico l’ordinazione si dedicò alla fattura del parasole per la moglie di “quel crucco del Cecco Beppe”, mettendoci tutta la sua arte. Si trattò di un lavoro laborioso che consegnò alla dama nel tempo di due settimane, senza trascurare altri incarichi. La Principessa Sissi fu talmente soddisfatta che, esattamente due anni dopo, mentre soggiornava a Cap Martin, in Costa Azzurra, venuta a conoscenza dalla stessa dama del suo seguito della presenza di quell’italiano (“der italiener”) così abile a costruire ombrelli, ne commissionò un altro. Anche quella volta il nonno di Mario diede il meglio di se per soddisfare la vanitosa Elisabetta che, ossessionata dal culto della propria bellezza, teneva molto anche ad abiti e accessori. Secondo le cronache le occorrevano quasi tre ore per vestirsi, poiché gli abiti le venivano quasi sempre cuciti addosso per far risaltare al massimo la snellezza del corpo. E l’ombrello era un oggetto di complemento molto importante. L’Imperatrice d’Austria amava fare lunghe camminate e il lusciàt Argante, a tempo di record, le offrì un modello slanciato che poteva essere utilizzato anche come bastone da passeggio. Lungo 77 centimetri (Sissi era alta un metro e settantadue), manico e puntale in legno invecchiato, calotta in taffetas color ruggine con passamanerie e fodera avorio. Un vero gioiello! Un raro bijoux! La principessa Sissi, per la seconda volta, apprezzò l’arte di Argante e, oltre a una generosa ricompensa, gli fece avere un attestato in cui lo si indicava come “fornitore ufficiale della Casa d’Asburgo”. Non gli avrebbe aperto le porte di Schönbrunn ma era comunque un atto di stima importante. In fondo, pur essendo antiaustriaco, non gli dispiacque quell’onorificenza e quando il 10 settembre del 1898 l’Imperatrice, sempre vestita di nero dopo il suicidio del figlio Rodolfo, celando il viso dietro l’ombrellino, perse la vita a Ginevra pugnalata al petto dall’anarchico italiano Luigi Lucheni, il nonno di Mario portò a lungo il nastro nero sul braccio in segno di lutto. E s’arrabbiò quando il suo coscritto Valerio Rabaini, detto Bakunin, vedendo quel nastro, gli diede una bella pacca sulle spalle, sentenziando: “Bravo,Argante. Sei anche tu dei nostri, a quanto vedo. Avremmo preferito un capo di Stato, ma l’Imperatrice d’Austria, in mancanza di meglio, è andata bene lo stesso”.

 

Sinceramente addolorato guardò storto il Rabaini che si guadagnò pure un calcio nel sedere e una scarica di improperi che non è il caso di riportare. Questa storia si è tramandata e ai Dorini capitò spesso di raccontarla ai ragazzi che però ascoltano svogliati, a volte per dovere, presi come sono dal loro mondo. I bambini invece, soprattutto le femmine, sono curiosi e fanno tante domande. Beata ingenuità: chiedono perché il nonno di Mario non sposò “la Sissi”, domandano se non le piacesse, se la trovava brutta o non si erano capiti per colpa della lingua. Chissà, forse è stato tutto colpa del destino che ha voluto far andare le cose così. Anche se, persino nell’ultimo istante della sua vita, l’affascinante Elisabetta, portò con sé l’opera d’arte confezionata dall’italiener Argante, ombrellaio ambulante di Sovazza.

Marco Travaglini

L’amaro gusto dell’acqua

Era sempre la stessa storia. Ogni volta che un gerarca veniva sul lago, in visita alle isole Borromee,  a Stresa o in un’altra località nelle vicinanze, Gino e Lucio finivano ammanettati nella rimessa delle barche, proprio  sotto la passeggiata del  lungolago di Baveno.

Le disposizioni, del resto, erano chiare: tutti coloro sui quali si nutriva anche solo il sospetto d’essere dei  sovversivi andavano controllati e, se necessario, messi a tacere. I due, pur avendo schivato il confino non potevano evitare quella restrizione della loro libertà. E quindi, giù sotto, in riva al lago, al riparo da sguardi indiscreti. Incatenati ai grandi anelli di ferro dove venivano assicurate le cime da ormeggio delle imbarcazioni, non erano in condizione di nuocere. “Anche se si lamentassero, là sotto, nessuno potrà udirli”, sentenziò il maresciallo Rustici. Fascista antemarcia, il graduato dei carabinieri evadeva così la spinosa “pratica” di “quelle due teste calde”. “Oh, Carmelo – disse, rivolgendosi al carabiniere scelto Esposito -; ma ti pare che dovevano proprio capitare tra i piedi a noi questi rompiballe?”. Carmelo, buono come un pezzo di pane, annuì per far piacere al suo superiore ma in cuor suo non li avrebbe costretti a star lì, quasi a mollo nel lago, in quell’antro umido e inospitale. Già l’ultima volta, per un  soffio, non c’era scappato il morto. I due –  ai quali era stato aggregato anche Olimpo Bronzelli – erano finiti ammanettati agli anelli d’ormeggio perché era stata annunciata la visita di un pezzo grosso all’hotel Beau Rivage. L’Hotel era proprio lì, dall’altra parte della strada che attraversava il paese. Olimpo, scalpellino nella cava di granito rosa, era finito ai ferri perché reo di aver canticchiato in un’osteria un motivetto che il Podestà aveva giudicato offensivo nei confronti del regime e del Regno. In realtà, il povero tagliapietre – un po’ brillo – aveva improvvisato un’innocua e vecchia tiritera che più o meno suonava così: “Viva il Re, viva la regina e viva la capra della Bettina”, animale reso famoso dall’eccellente e copiosa produzione di latte. Uno scioglilingua che però era stato mal interpretato e così, ai soliti due reprobi si aggiunse pure il terzo. Il problema derivò dal maltempo. Una forte perturbazione stava imperversando tra il lago e le alture del Mottarone e, in poco tempo, le onde s’ingrossarono trasformandosi in schiumosi cavalloni che s’infrangevano sulla massicciata ricavata dalla passeggiata del lungolago. Immaginarsi che inferno anche là sotto, per i tre prigionieri. A tratti le onde li sommergevano per poi ritirarsi, lasciandoli infreddoliti e in balia di altri, gelidi, schiaffi d’acqua. Tutti e tre furono costretti, loro malgrado, a bere quell’acqua dal cattivo sapore. Soprattutto Lucio che, una volta liberato, giurò di non toccar più una goccia di quel liquido tremendo, limitandosi – pur nelle restrizioni dell’epoca – a sorseggiare soltanto vino, compreso quello aspro e ruvido, che legava in bocca, spillato dalla botte dell’osteria della Miniera, su in  Tranquilla.

Marco Travaglini

5 posti dove fare merenda a Torino

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TORINO OLTRE GLI ASTERISCHI

Oggi, per la rubrica “The Password: Torino oltre gli asterischi”, vi accompagniamo per le vie di Torino alla ricerca di 5 locali in cui poter addolcire i vostri pomeriggi estivi – e non solo – con merende sfiziose e particolari: luoghi perfetti per una pausa da lavoro, dallo studio, un’uscita con gli amici o, ancora, per godersi a pieno la visita della piccola Parigi con la pancia piena.

Il web pullula sempre più di contenuti sul cibo e sulle possibilità di mangiare brioches in qualsiasi forma e ripieno, a Torino e non solo – l’ultimo caso è quello di Panfuwa, locale specializzato nella produzione dei japanese soufflè pancakes, approdato a Torino lo scorso 8 marzo in via Maria Vittoria 2, a due passi da piazza San Carlo. Scegliere dove mangiare, e, in questo caso, dove fare merenda, può rivelarsi quindi un compito non facile, una lotta tra la FOMO per le mille novità che vediamo su Instagram e la consapevolezza che, dopo mille ricerche, si finirà probabilmente nel solito bar di fiducia.

La selezione di locali di quest’articolo, oltre a non contenere sponsorizzazioni di alcun tipo, rappresenta dunque una proposta per orientarsi nella ricca offerta presente in città – i bar di seguito coprono essenzialmente la zona di San Salvario e del centro, ma sicuramente tanti altri potrebbero essere aggiunti alla lista. Iniziamo!

Luna’s Torta

Luna’s Torta è un piccolo locale situato nel cuore di San Salvario, vicino al dipartimento di Fisica, al Parco del Valentino e al Teatro Colosseo – snodo di studenti, lavoratori e gente di passaggio. Non si tratta soltanto di una torteria, ma anche di una libreria-caffetteria che offre una selezione curata di libri di varie case editrici e che organizza degli incontri periodici con scrittori, cantanti e comici, per serate diverse dal solito, all’insegna della cultura e della convivialità. Il tutto accompagnato da una selezione varia di the e un’atmosfera accogliente, con wifi gratuito e, a volte, musica rock di sottofondo.

Prezzo medio: €4-6 per una consumazione

Tauer Bakery

Poco lontano da Luna’s Torta troviamo, poi, Tauer Bakery: entrare nel locale è come attraversare il muro del binario 9 e 3/4, perché ci si ritrova catapultati in una tipica bakery londinese – il motto alle pareti recita infatti “Turin soul, London vibes“. Il negozio offre una proposta innovativa di dolci tipici della tradizione britannica: scones, cupcakes, cheesecake, cookies, ma anche cinnamon rolls, torte per eventi, box speciali per la Festa del Papà, della mamma, per San Valentino. Negli ultimi anni i prezzi sono molto aumentati, scelta forse attribuibile all’attenzione per la selezione di prodotti di qualità e alla produzione vegana. Si può anche prenotare il tavolo per un brunch (minimo cinque persone) o in certe occasioni per l’afternoon tea o, meglio, come lo definiscono loro, una merenda sinoira inglese.

Prezzo medio: €5-8 per una consumazione

Convitto Caffè

Poco distante da Piazza Carlina e via Po, questo caffè storico vanta un’offerta di torte fatte in casa di tutti i tipi, e una proposta di pizze, focacce e torte salate di tutto rispetto. Anche la scelta di the e cioccolate calde è ampia e variegata; queste ultime si possono trovare anche aromatizzate all’amaretto, alla menta, al peperoncino… La sala principale, anche se abbastanza piccola, si allunga negli specchi alle pareti e nel dehor, che con l’avvicinarsi dell’estate offre un’oasi dal trambusto del centro. Il locale rimane aperto fino a sera, per un dolce prima di entrare al cinema o a teatro o anche per una cena leggera ma sfiziosa all’insegna dei piatti tipici piemontesi. Sul web molti consigliano anche l’assaggio misto di cinque fette di torta, per quando scegliere sembra impossibile.

Prezzo medio: €4-7 euro per una consumazione

Barney’s, il bar del Circolo dei Lettori

Il Circolo dei Lettori di Torino è un’istituzione che promuove cultura, lettura e partecipazione per tutte le fasce di età e tra un evento e l’altro si può passare da Barney’s, il bar del circolo: per un aperitivo, un pranzo, o, appunto, una merenda con una fetta di torta e una tazza di the. Le sale del bar ricordano i caffè storici della città o quei locali parigini della Belle Époque: la prima stanza è molto suggestiva, con luci basse e tavolini disposti attorno a un tavolo da biliardo; mentre la seconda, la sala lettura, è spesso caratterizzata dal silenzio concentrato di chi sta leggendo o studiando, tra specchi, mensole in marmo e tavolini in legno. Sobrio ed elegante, il locale è proprio all’interno del Circolo, a pochi passi da Piazza Carlo Alberto e da Piazza Castello – forse sconsigliato per gruppi numerosi.

Prezzo medio: €6-9 per una consumazione

Berlicabarbis

Per concludere, non si può parlare di merenda a Torino senza citare questa catena dal nome forse difficile da pronunciare per i non piemontesi: letteralmente “leccati i baffi”. Una sala da the da provare almeno una volta per la selezione di the, tisane, torte fatte in casa, biscotti, e per i colori pastello del locale e l’ambiente intimo. Le varie sedi di Berlicabarbis si trovano poi in punti strategici della città: una in via Catania, comoda per chi studia al Campus; un’altra in via Po, per chi è uscito da Palazzo Nuovo o sedi vicine; o ancora quella in via Carlo Alberto, agevole per andare poi a prendere il treno a Porta Nuova o per chi esce dalle lezioni a Matematica; infine, quella in via Cernaia, per quando il treno a Porta Susa è in ritardo e servono zuccheri per consolarsi.

Prezzo medio: €4-6 per una consumazione

Insomma, a Torino non c’è rischio di rimanere senza merenda – al massimo quello di aspettare in coda nelle ore di punta!

Anna Gribaudo

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Un ricco settembre a Cocconato

Con Cocco… Wine, la festa patronale, la fiera medievale e lo storico Palio degli Asini

Cocconato è  pronta a vivere un settembre ricco di appuntamenti che uniscono cultura enogastronomica, tradizione e musica.

“In qualità di sindaco di Cocconato – dichiara Monica Marello – sono felice di presentare l’intensa agenda delle prossime settimane.  Questo è,  senza dubbio, il periodo più bello dell’anno per il nostro borgo, un momento in cui tutta la comunità si ritrova unita e in cui Comune e associazioni locali collaborano con entusiasmo per valorizzare Cocconato. Il Palio resta l’evento simbolo, capace di coinvolgere ogni angolo del paese, frazioni comprese. Ma non sono da meno gli altri appuntamenti della Pro Loco, sostenuta negli ultimi anni da un numero sempre crescente di giovani, a quelle curate con passione dall’Associazione Palio.
Sono orgogliosa di promuovere manifestazioni che,  anno dopo anno, hanno visto crescere la loro qualità, grazie a un accurata meticolosità dei dettagli. Penso in particolare alle cene, momenti che esaltano la nostra tradizione e la vocazione enogastronomica per la quale Cocconato è  conosciuta. Palio e fiera medievale rappresentano un investimento importante  che ci ripaga con atmosfere uniche e momenti di grande calore umano, capaci di unire la comunità e regalare ai visitatori un’esperienza indimenticabile”.

La XXIV edizione di COCCO…WINE si terrà da venerdì 5 a domenica 7 settembre. Il borgo medievale di Cocconato si trasformerà in una vivace strada del vino con degustazioni, produttori locali, piatti tipici e sapori del Monferrato, una tre giorni dedicata al vino e alle eccellenze del territorio.
Venerdì12 settembre, in piazza Giordano, dalle 22 spettacolo musicale con gli eXplosion, band celebre per le migliori hit dagli anni Ottanta ad oggi, coreografie acrobatiche e scenografie spettacolari. Apertura e chiusura con DJ Toyu. Dalle ore 20 aprirà lo stand gastronomico a cura della Pro Loco, con piatti tipici come la robiola, i salumi, gli agnolotti di carne  e di magro, grigliata mista, gelato di Alberto Marchetti. Ingresso libero
Sabato 13 settembre è  l tempo di Cocco… Food Wine & Music, che si articolerà a partire dalle 17 in giochi per bambini in piazza Giordano, a cura del borgo Airali. Alle 20 è in programma la cena nel Cortile del Collegio a cura della Pro Loco e del Consorzio Riviera del Monferrato.
Accompagnamento musicale con gli Areetah Project, ensemble di giovani musicisti  che spaziano dal pop all’ R&B, dal sound al funk. Ingresso gratuito e consumazione facoltativa, con prenotazione all’Ufficio del Turismo 0141600076.

Domenica 14 settembre è in programma “Tutti a Cena. Qui… né”,  una cena placée nel cortile del Collegio in ricordo di Giuseppe Peppone Lenza e Gerarda Dina Grassitelli, figurestoriche della Pro Loco. Intrattenimento musicale con gli Acoustic Power.

Lunedì 15 settembre dalle 8.30 alle 13 in via Roma, tradizionale appuntamento con la fiera del paese. Sabato 20 e domenica 21settembre si aprirà il sipario sulla grande festa. Sabato dalle 18 e domenica dalle 10 alle18 i borghi allestiranno scene di vita medievale animate con mercati ricchi di profumieri, artigiani, fabbri, tessitrici, cartomanti e speziali. Le taverne, ricreate per l’occasione, proporranno piatti tipici cucinati secondo antiche ricette e accompagnate dai vini del territorio. Nella piazza del Municipio prenderà il via il mercato medievale con la partecipazione dell’Ente Agosto Medievale di Ventimiglia e la loro bancarella di artigianato. Spettacoli e animazioni riempiranno di vita le vie del borgo. Parteciperanno il giullare Milfo lo Buffon, la Compagnia del Coniglio, i rapaci de Il Mondo delle ali e i cavalli del centro ippico ‘La Balzana’.

Il momento clou sarà  sancito dall’investitura ufficiale del Capitano del Palio, Giorgio Apostolo, a cui il sindaco Monica Marello conferirà pieni poteri come Signore delle Terre e delle Genti di Cocconato per un giorno. Domenica mattina alle 10 la sfilata storica partirà dal Municipio per accompagnare la Messa solenne alla Chiesa parrocchiale  con la benedizione dei due nuovi drappi del Palio 2025, opera di Chiara Tortia.
Sabato 26 settembre sarà giornata di vigilia del Palio con la sfilata storica alle 19 dei nobili e del Capitano del Palio, che guiderà il pubblico al Cortile del Collegio per il grande banchetto medievale  dei Fulet d’la Marga. Domenica 27 settembre,  dalle 14 il borgo entrerà nel vivo della 56esima edizione del Palio degli Asini. Alle 16, dopo il corteo storico tra le vie del centro, scatterà la corsa tra piazza Melchiorre e piazza Cavour. Si contenderanno i drappi sette borghi, Airali, Brina, Colline Magre, Moransengo, San Carlo, Torre e Tuffo.

Prenotazioni al 0141600076

Ufficioturisticococconato@ gmail.com
Mara Martellotta

Sformatini di cavolfiore viola con salsa al parmigiano

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Un’idea deliziosa per gustare il cavolfiore. Ideale come antipasto o contorno, sono facilissimi da preparare e raffinati da presentare.

Ingredienti per 8 sformatini

1 cavolfiore viola
3 uova intere
30gr.di parmigiano grattugiato
100ml di panna liquida fresca
Sale, pepe, burro

per guarnire
Parmigiano grattugiato
Latte
Nocciole tostate

Cuocere a vapore il cavolfiore. Quando cotto, lasciar raffreddare poi frullare in mixer con le uova, il parmigiano, il sale ed il pepe.
Imburrare 8 stampini da creme caramel, versare il composto e cuocere a bagnomaria coperto con un foglio di alluminio per circa 30/40 minuti. Preparare la salsa facendo fondere il parmigiano con poco latte o panna liquida e tritare le nocciole. Servire lo sformatino capovolto nel piatto nappato con la salsa e spolverizzato con il trito di nocciole. Servire tiepido.

Paperita Patty

Vèstiti. La psicologia dietro l’abbigliamento

Il libro di Daniela Prandi dedicato allo stile, alla personalità e all’autostima

I vestiti parlano. Raccontano di noi, della nostra personalità, dei nostri stati d’animo. Ogni giorno davanti ad un armadio decidiamo come presentarci al mondo, ma non è una semplice scelta, si entra, infatti, in una sfera che coinvolge diversi temi oggetto di ricerca e approfondimento nell’ambito umano. La psicologia dell’abbigliamento, nella fattispecie, è la disciplina che esplora il legame tra ciò che indossiamo e come ci sentiamo, ci percepiamo e veniamo identificati dagli altri.

Ce ne parla nel suo libro, Vèstiti. La psicologia dietro l’abbigliamento, molto interessante e concreto, Daniela Prandi che ha fatto della sua passione per la psicologia e per gli abiti un percorso lavorativo combinato, che mira a far lavorare in modo sinergico il dentro e il fuori, l’identità e l’immagine. Questo volume, organizzato tra teoria e pratica, vuole essere uno stimolo a vestirsi con la consapevolezza dei messaggi e dei poteri che l’abbigliamento possiede, ma anche una raccolta di riflessioni utili a conoscere e riconoscere la propria personalità.

La Prandi racconta “prima di avviare questa attività lavoravo nell’orientamento professionale e nella formazione e dopo 20 anni ho deciso di passare dai file ai fili, dai monitor agli specchi. Questo passaggio è avvenuto gradualmente inserendo il tema della vestemica all’interno di diversi corsi e attraverso la creazione di un progetto, portato avanti con Sabina Rosso, che si chiamava Habitus da leader, il cui focus era quello di vestire la propria leadership. In quel periodo, inoltre, mi occupavo anche di coaching e collaboravo con uno studio dove potevo coordinare le mie attività; desideravo, tuttavia, un posto tutto mio e quindi mi sono detta perché’ non aprire un negozio? Una soluzione dove prodotto e servizio si fondono per lavorare sullo stile? È nato così PersonAtelier la cui vision è quella di poter vedere più persone sempre piu’ soddisfatte ed orgogliose di chi sono e come sono, dentro e fuori”.

Vèstiti è il prodotto, tradotto in un manuale, di anni dedicati alla consulenza di stile, alla offerta di vestiti ed accessori, di gesti dedicati al potenziamento dell’autostima. Nello scritto troviamo i significati terminologici di moda e abbigliamento in relazione alla psicologia, ci si pone quesiti e si restituiscono le relative risposte sul linguaggio degli abiti, sull’identità, l’immagine e lo stile.

Il libro di Daniela Prandi, dunque, non è semplicemente un libro sulla moda, sugli outfit giusti o di tendenza è uno stimolo alla conoscenza di sé attraverso ciò che vestiamo e indossiamo, perché gli abiti e gli accessori sono la nostra seconda pelle, l’estensione del nostro se’, una maniera di comunicare a chi ci circonda la nostra identita’.

www.personatelier.com

Maria La Barbera

Il sogno di Miss Italia continua con Miss Cinema e Miss Miluna

Il sogno di Miss Italia 2025 che, finalmente, dopo tanti anni, torna in RAI con la diretta della finalissima su RAI Play, e su San Marino RTV, il 15 settembre prossimo, continua anche per il Piemonte e la valle d’Aosta.


Sotto la guida dell’agente esclusivista Mirella Rocca, il 9 agosto scorso, a Giaveno sono state consegnate due fasce molto importanti che danno diritto alla finale regionale in programma il 27 agosto prossimo a Fossano presso la Fondazione Auditorium della Musica. Si tratta di Miss Cinema, assegnata a Sofia Charrier, 19 anni, di Bagnolo Piemonte, e di Miss Miluna Piemonte, conferita a Martina Peretti, 23 anni, di Volvera, già laureata in Scienze della Mediazione Linguistica.
“È stata un’esperienza unica – ha commentato Sofia Charrier, con un passato da pallavolista in campo agonistico – ce la metterò tutta per far fare bella figura al Piemonte. Sogno il mondo della moda, dello spettacolo e del cinema dove mi piacerebbe poter partecipare a un film importante magari sotto la regia di Ferzan Ozpetek”.
“Sono davvero emozionata – ha dichiarato Martina Peretti- non mi aspettavo di vincere. Sono già laureata e mi sto inserendo nel mondo della professione come hostess e modella”.
Le Miss di Mirella Rocca non sono soltanto belle. Sono per lo più studentesse universitarie con un passato o un presente nel mondo dello sport an he a livello agonistico.

Mara Martellotta

Fresca e leggera: insalata di pollo allo yogurt

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Una ricetta light perfetta. Pollo grigliato arricchito da ingredienti freschi e leggeri, un piatto sfizioso che si prepara in anticipo in breve tempo e con poche calorie, adatto sia a pranzo che a cena.

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Ingredienti

1 petto di pollo/tacchino a fette

2 cucchiai di yogurt greco

1 cucchiaio di maionese

1 cuore di sedano

100gr. di Emmenthal

30gr. di gherigli di noce

1 limone

Erba cipollina, sale, pepe, olio evo

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Grigliare le fette di pollo senza condimento, lasciar raffreddare. Lavare e tagliare l’erba cipollina e il sedano. Ridurre a cubetti il formaggio. In una ciotola mescolare lo yogurt con la maionese, il sale, il pepe, l’erba cipollina, l’olio e poco succo di limone. Tagliare a tocchetti il petto di pollo, metterlo in una insalatiera, aggiungere le noci, il sedano, il formaggio e condire con la salsa allo yogurt. Mescolare bene ed eventualmente aggiustare di sale. Guarnire con fette di limone e servire accompagnato da una fresca insalatina verde.

Paperita Patty