ECONOMIA E SOCIETA'- Pagina 588

La forza dei numeri

 

di Antonio DE CAROLIS

 

Rivoluzione dei Big Data, un’affermazione che sempre più spesso fa capolino in azienda e sui principali mezzi di comunicazione

 

 

Chi opera in ambito informatico ne parla come di una “nuova frontiera”, chi si occupa di privacy la indica come il grande pericolo che ognuno di noi deve quotidianamente affrontare, chi si occupa di marketing la identifica come strumento per avvicinare il “prodotto giusto al cliente giusto” e chi si occupa di medicina la reputa fondamentale per la cura e la prevenzione delle malattie. Tutti noi siamo fruitori e fornitori di dati e lo siamo in ogni momento della vita quotidiana. Ad esempio, quando facciamo un acquisto su Internet o quando compriamo in un   negozio “fisico”, sottocasa o dall’altro capo del mondo, e paghiamo con carta di credito.  Tutte le attività sono potenziali fornitrici di dati, dall’abbigliamento alla farmacia… La quantità di dati acquisita negli ultimi due anni è elevatissima, la misurazione viene fatta in ZB – Zettabyte. Per dare un’idea pratica della quantità di dati che 1 ZB esprime, Wikipedia dice: “corrisponde a circa 180 milioni di volte le documentazioni conservate nella Biblioteca del Congresso di Washington“.

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Un gran numero di dati, non c’è che dire, ma come sarà possibile gestirli?  Diventeranno informazioni che aiuteranno le imprese e i loro manager a prendere decisioni o resteranno lì inutilizzate, vista la difficoltà reale di elaborarle? Che i numeri fossero importanti lo sapevano già nell’antichità; infatti venivano utilizzati per fare previsioni, studi di vario genere e per generare teoremi.  Le previsioni, però, sono fondamentali anche oggi. Senza dati non si possono fare previsioni e, senza previsioni, come potrebbe, ad esempio, un’azienda gestire gli approvvigionamenti di materie prime oppure le quantità di prodotti da produrre ?

Ogni informazione in azienda (e non solo…) è importante, talvolta vitale, per chi deve fare delle scelte. In un panorama smisurato di dati disponibili è fondamentale definire il processo di trasformazione degli input in informazioni utili per la gestione e le strategie imprenditoriali.

Questa sarà la vera rivoluzione dei Big Data, così come lo è stata quella degli elettrodomestici dopo la scoperta dell’energia elettrica. Di per se’ la corrente elettrica non serviva alle persona, ma l’utilizzo della stessa ha trasformato la qualità della vita delle persone. Proprio a questi argomenti, Luigi Bollani e Luca Bottacin hanno dedicato la loro attenzione nel proporre il nuovo libro presentato in occasione del Salone del Libro di Torino, il 22 maggio scorso.

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Il titolo non lascia spazio a dubbi: “Dai dati alle informazioni: un percorso statistico per l’azienda”, un libro che mira a sottolineare un ponte tra accademia e impresa. Il testo, utilizzato per l’insegnamento di “Statistica per l’azienda” alla Scuola di Management ed Economia e alla Scuola di Amministrazione Aziendale (Saa) di Torino, ha uno stile schematico, corroborato da grafici che “illustrano” l’utilizzo del metodo statistico all’ interno dell’azienda. Luigi Bollani ricorda: ”il libro è pensato per gli studenti, ma è fruibile anche da chi lavora in azienda per supportare le decisioni su basi concrete. Anche per questo le tecniche sono illustrate passo a passo con esempi numerici e una guida all’applicazione informatica: il foglio elettronico per le elaborazioni più semplici e l’ambiente statistico R per quelle più complesse”.

Come dire: un libro di testo che diventa un Manuale operativo.

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Nel corso della serata, moderata da Davide Caregnato, direttore della Saa – School of Management, che ha già acquistato 250 copie per i propri studenti, il co-autore Luca Bottacin ha colto l’occasione per fare un piccolo excursus storico sui metodi gradualmente introdotti e sui pareri controversi di alcuni autori eccellenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi Bollani presenta il libro al Salone

 

 

Non sono mancati i riferimenti ironici alla statistica, proprio come quando è stato ricordato Trilussa e la teoria dei polli: “se io ho due polli e tu nessuno, la statistica dice che in media mangiamo un pollo a testa”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cristina Barettini con alcuni dei “suoi bambini”

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Dopo il momento di goliardia, si è giunti all’aspetto sociale del libro che, oltre a quanto sopraindicato, servirà anche ad aiutare i progetti di “Kirua Children Onlus”, l’associazione presieduta da Cristina Barettini e ispirata da Padre Peter Kilasara, sacerdote tanzaniano, per anni missionario a Torino, in quanto  gli autori hanno rinunciato ai loro diritti di compenso e i giovani Editori, Luigia Gallo e Claudio Sturiale (Pathos Edizioni), hanno deciso di rinunciare a una parte importante dei loro proventi per devolverli a questa organizzazione che, in pochi anni, ha già costruito opere evidenti in importanti progetti come la “Masering Nursery School” sul Kilimangiaro (dal 2009) e il “Cor Ardens Mlandizi” per i ragazzi di strada di Dar es Salaam (dal 2012) che quest’anno ha un nuovo pozzo con acqua pescata a duecento metri sotto terra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una classe di bambini con la loro maestra

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Il legame tra Università e aziende ha lo scopo di aumentare la Conoscenza e l’aggiornamento delle persone. L’uscita di questo libro, a nostro avviso, è accompagnata da un esempio di strategia di marketing sostenibile in grado di “stimolare la sete di conoscenza”.

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Antonio DE CAROLIS

Presidente CDVM

Club Dirigenti Vendite e Marketing

Presso Unione Industriali di Torino

www.cdvm.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Identità sessuale. Cosa cambia dall’antica Grecia all’Italia di oggi

Ille mi par esse deo videtur, ille si fas est superare divos: mi sembra pari a un dio, – se è lecito dire – mi sembra superi gli dei
Di Marco Porcari, Avvocato del Foro di Torino 
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Fin dall’antica Grecia l’orientamento sessuale non era concepito come un identificatore sociale, diversamente da quanto accade nelle società occidentali moderne; la società greca non ha distinto il desiderio o il comportamento sessuale dal sesso di appartenenza dei partecipanti, ma piuttosto sulla base del ruolo che ciascun partecipante giocava all’interno del rapporto e nell’atto sessuale, ovvero se fosse stato dominante o dominato; questa polarizzazione tra attivo e passivo entrava in corrispondenza con i ruoli sociali dominanti e sottomessi, a prescindere dall’identità sessuale di chi assumeva il ruolo attivo associato – per lo più ma non in via  esclusiva –  con la mascolinità, o il ruolo passivo assimilato, anch’esso non in via esclusiva,  con la femminilità.

              

              Si comprende come, a seconda del ruolo sociale assunto, a seconda delle inclinazioni sessuali atte a fungere da dominante e/o da sottomesso, ciascun componente della società assumeva un ruolo ed un’identità precisa che prescindeva dalle connotazioni sessuali biologiche.

 

              Non a caso il verso di Catullo (carme 51) costituisce una delle traduzioni dell’Ode 31 – sicuramente la più famosa – di Saffo, nota poetessa greca antesignana dell’amore lesbico, che esprime con queste parole sublimi l’amore voluttuoso che nutriva per una fanciulla appartenente al tiaso, associazione religiosa in cui si venerava il culto orgiastico di Dioniso.

 

              Nel nostro tempo, e in particolare in Italia, il legislatore sente il bisogno di consentire un mutamento di sesso “giuridico” a persone che nascono con una connotazione fisica attinente ad uno dei due sessi, ma che in realtà si sentono di appartenere al sesso opposto.

              

              Ovviamente la nostra cultura moderna impediva di effettuare una valutazione quale quella sovra descritta della Grecia antica, scevra da ogni condizionamento di carattere biologico e incentrata semplicemente sul ruolo attivo e/o passivo assunto nell’ambito delle relazioni sessuali di copia e non solo.

 

              Conseguentemente la nostra società è sempre stata indotta a pensare, fino ai tempi più recenti, che affinchè una relazione sessuale – e conseguentemente una relazione di coppia – potesse ottenere un riconoscimento etico, prima ancora che giuridico, fosse necessario che tale relazione venisse instaurata tra persone di sesso biologico opposto; ne è sempre derivato che presupposto indefettibile affinchè le persone che nascevano biologicamente appartenenti al sesso maschile o al sesso femminile per ottenere il mutamento di sesso – con conseguente riconoscimento anagrafico – fosse solo ed esclusivamente il mutamento delle caratteristiche biologiche primarie prima fra tutti quella dell’organo riproduttivo sessuale.

 

In biologia si identificano come primari gli organi genitali e riproduttivi, mentre si definiscono secondarie le caratteristiche psicofisiche come la costituzione corporea, il timbro di voce e altri atteggiamenti esteriori riconoscibili dall’esterno.

 

              Comprenderete come tale orientamento di pensiero abbia indotto il nostro legislatore, nel 1982, con la legge numero 164, a prevedere la possibilità per ciascun soggetto di richiedere ed ottenere l’autorizzazione giudiziaria alla rettifica degli atti dello stato civile, e quindi il mutamento anagrafico della propria identità con cambiamento del nome da maschile a femminile e viceversa, solo ed esclusivamente – l’interpretazione normativa della legge  ha dominato per molti anni e non ha destato alcun dubbio – attraverso l’intervento demolitivo e ricostruttivo dell’organo genitale per l’uomo e più semplicemente ricostruttivo dell’organo genitale, per lo più accompagnato dall’intervento di mastectomia, per la donna.

 

              Tale orientamento – molto lontano dalla cultura dell’antica Grecia sovra descritta atta a valorizzare i ruoli sessuali piuttosto che le caratteristiche biologiche dei due sessi -, ha spesso costretto persone che, pur convivendo con i propri connotati somatici, si sentivano appartenenti ad un ruolo di dominati invece che di dominatori, sentivano la loro mascolinità o la loro femminilità alloggiata in un corpo che non apparteneva loro, senza tuttavia sentire l’esigenza di sottoporsi ad interventi chirurgici che spesse volte si sono manifestati, per la loro inevitabile caratteristica di irreversibilità, devastanti sotto il profilo fisico e psichico dei soggetti che vi si sono sottoposti. 

 

              In molti Paesi esteri è ammesso il cambiamento del nome sul documento di identità a prescindere dal sesso, non in tutti il sesso biologico non è indicato sui documenti; il legislatore italiano ha manifestato pigrizia in materia, ecco che ha sopperito la giurispudenza che ha interpretato proprio quella norma che per anni non ha destato dubbi in merito al cambiamento biologico chirurgico sopra descritto, sostenendo che, nel rispetto dell’identità di genere della persona umana, sia possibile stabilire che un soggetto – a seguito di un percorso principalmente psicologico accompagnato da cure ormonali -, possa ben mutare il proprio sesso anagrafico senza necessariamente doversi sottoporre all’intervento chirurgico di mutamento delle caratteristiche biologiche del proprio organo riproduttivo sessuale.

 

              La questione di costituzionalità è stata sollevata dal giudice del Tribunale di Trento per contrasto con gli artt. 2 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 8 della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo, perché la legge richiede, ai fini della rettificazione anagrafica dell’attribuzione di sesso, la modificazione dei caratteri sessuali primari, e ciò pregiudicherebbe gravemente l’esercizio del diritto fondamentale alla propria identità di genere; la norma violerebbe inoltre gli artt. 3 e 32 della Costituzione, poiché è “irragionevole” subordinare l’esercizio di un diritto fondamentale, quale il diritto all’identità sessuale, alla sottoposizione della persona a trattamenti sanitari – chirurgici o ormonali – anche pericolosi per la salute.

 

              Secondo la Corte (si veda la sentenza  n° 221 del 5 novembre 2015) “l’imposizione di un determinato trattamento medico, sia esso ormonale, ovvero di riassegnazione chirurgica dei caratteri sessuali, costituirebbe una grave ed inammissibile limitazione del diritto all’identità di genere” ; infatti, il raggiungimento dello stato di benessere psico-fisico della persona si realizzerebbe attraverso la rettificazione di attribuzione di sesso e non già con la riassegnazione chirurgica sul piano anatomico. Del resto già da tempo la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto, nel novero dei diritti inviolabili, il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la propria identità sessuale, come un aspetto dello svolgimento della personalità, e il diritto alla libertà sessuale.

 

Secondo la Corte, in definitiva, la norma sopra citata, per oltre trent’anni interpretata in modo estremamente restrittivo, così come formulata, riferendosi genericamente ad “intervenute modificazioni dei caratteri sessuali”, lascia all’interprete il compito di definire il confine delle modificazioni e delle modalità attraverso le quali realizzarle; la mancanza del riferimento testuale alle modalità (chirurgiche, ormonali, o conseguenti ad una situazione congenita), attraverso cui può compiersi il cambiamento di sesso, esclude la necessità del trattamento chirurgico.

 

Anche la Corte costituzionale quindi, così come la Cassazione (con la sentenza 15.138 del 2015), afferma che deve essere rimessa al singolo la scelta delle modalità attraverso le quali realizzare – con l’assistenza del medico e di altri specialisti – il proprio “percorso di transizione”, che deve comunque riguardare gli aspetti psicologici, comportamentali e fisici che concorrono a comporre l’identità di genere. Il trattamento chirurgico è uno strumento eventuale, un mezzo funzionale al conseguimento del pieno benessere psicofisico poiché porta ad una corrispondenza dei tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza, senza tuttavia, prescindere da un rigoroso accertamento giudiziale delle modalità attraverso le quali il cambiamento è avvenuto e del suo carattere definitivo. 

 

Del resto anche la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto che il diritto all’identità di genere rientra nella tutela prevista dall’art. 8 della Convenzione che impone il rispetto della vita privata e familiare.

 

              Alle soglie del 2020, dopo ben 35 anni dall’entrata in vigore della citata legge sul mutamento di sesso – grazie all’intervento ermeneutico del c.d. Giudice delle Leggi – possiamo affermare che in Italia una persona umana può essere se stessa dal punto di vista sessuale di fronte alla legge in base alle proprie inclinazioni ed in base alla proprie connotazioni psico-fisiche, anche secondarie, prescindendo dalla morfologia dell’organo riproduttivo sessuale primario.

A GIUGNO GLI ALPINI SI PREPARANO A PARTIRE PER NUOVE DESTINAZIONI ALL’ESTERO

Afghanistan, Iraq e Libia sono le tre nuove destinazioni degli alpini della Brigata Taurinense, che da giugno verranno impegnati per sei mesi in diverse operazioni all’estero, nell’ambito degli accordi internazionali ai quali l’Italia ha aderito

Venerdì mattina, di fronte ad autorità civili, militari e religiose, nella caserma Monte Grappa di Torino, sede del Comando della Brigata, si è svolta la cerimonia di saluto degli alpini che partiranno in missione nei prossimi giorni. Alla cerimonia hanno presenziato il Comandante delle Truppe alpine, Generale di Corpo d’Armata Federico Bonato, il sindaco di Torino e quello di Cuneo e di Pinerolo, oltre alle più alte cariche civili, religiose e militari della Regione Piemonte che hanno voluto testimoniare, così, agli uomini e alle donne della Taurinense e al loro Comandante, Generale di Brigata Massimo Biagini, il forte legame tra i cittadini e l’Esercito. Presente anche una delegazione di Infermiere Volontarie dell’Ispettorato provinciale di Torino della Croce Rossa, che da sempre sono pronte a partecipare alle missioni a fianco degli alpini della Brigata, come forza ausiliarie dell’esercito in ambito socio-sanitario.

 

Il Generale Bonato ha salutato gli alpini in partenza ed ha ricordato l’impegno internazionale della Brigata a cui si affianca, ormai da anni, quello costante sul territorio nazionale. Gli Alpini della Taurinense, infatti, sono occupati quotidianamente in azioni di supporto alle popolazioni terremotate dell’Italia centrale ed in quelle a sostegno delle forze dell’ordine in numerose città italiane nell’ambito dell’operazione Strade sicure.

Il Generale Biagini, Comandante della Brigata Taurinense ha richiamato l’alto livello di specializzazione degli alpini e come “la professionalità dei suoi alpini unita ad un addestramento scrupoloso permetteranno di affrontare con determinazione ed entusiasmo le responsabilità che la attendono aiutata da quei valori di umanità e solidarietà che appartengono al soldato italiano”, mentre il Generale Bonato ha esortato i comandanti dei tre reggimenti in partenza di avere “cura dei vostri uomini e tutti insieme fate il vostro lavoro con onore e professionalità perché questo è quello che paga”.

 

Per la Brigata Taurinense si tratta di un nuovo capitolo in un libro fatto di innumerevoli e gloriose missioni all’estero. Questa volta la “nostra” Brigata assumerà il comando del “Train Advise Command” (TAAC-WEST) nella regione ovest dell’Afghanistan nell’ambito della missione a guida NATO “Resolute Support” (RS), incentrata sull’addestramento, consulenza e assistenza in favore delle Forze Armate e delle istituzioni afghane, La Taurinense si schiererà con un contingente costituito da unità tratte dal 2° Reggimento Alpini di Cuneo, dal 32° Reggimento Genio Guastatori di Fossano e dal Reggimento Logistico Taurinense di Rivoli, integrato da altre unità specialistiche dell’Esercito.

Il 3° Reggimento Alpini di Pinerolo assumerà la guida della “Task Force Praesidium” a protezione della diga di Mosul in Iraq e del personale impegnato nelle operazioni di manutenzione dell’infrastruttura. La diga, di rilievo strategico per l’Iraq, è vitale per l’approvvigionamento idrico di centinaia di migliaia di persone che abitano nelle regioni circostanti e per lo sviluppo e l’economia di tutta l’area.

Il 9° Reggimento Alpini de L’Aquila assumerà, invece, la guida della Task Force impegnata nella missione “Ippocrate” a Misurata, operazione italiana che vede schierato in Libia un ospedale da campo, necessario a fornire assistenza sanitaria nell’ambito della collaborazione e del supporto umanitario fornito dalle Autorità italiane al popolo libico.

Manuela Savini

Foto: Esercito italiano- Brigata Taurinese

No a fascismo e xenofobia. E il terrorismo islamista?

di Pier Franco Quaglieni

Ieri   27 Maggio, è stata lanciata dall’Anpi nazionale in tutta Italia la 
Giornata antifascista . Nel torinese si sono attivate le sezioni di Chivasso, 
Grugliasco, Villastellone . A Torino non sembrano esserci stati eventi di  rilievo. Non ci sono dubbi che l’antifascismo sia una scelta da condividere sempre ,  perché il valore della libertà va sempre difeso, anche se i nemici della libertà  non sono stati solo i fascisti ed oggi i neofascisti, comunque camuffati. Ma  invocare provvedimenti giudiziari contro chi vuole ricordare nei cimiteri i  propri morti durante la guerra civile, non è accettabile, come non è accettabile  voler impedire di ricordare i morti comunque caduti .

La democrazia conquistata nel 1945 deve consentire il libero dibattito delle  idee ,anche di quelle che ci ripugnano. La tolleranza per le idee diverse e non  per quelle opposte ,non è vera tolleranza. Anzi, la tolleranza deve tradursi  nel rispetto per le idee di tutti. Credo che il generale Perotti o il capitano 
Balbis o il col. Montezemolo o il maggiore Mauri o il giovane Curreno ammazzato  dai tedeschi a 15 anni, o Valdo Fusi o Silvio Geuna o Emanuele Artom  non avrebbero gradito l’iniziativa politica dell’ Anpi  che , imbaldanzita dall’esito referendario, a cui hanno contribuito anche  Berlusconi e Salvini, vuole recuperare la vecchia ,tramontata egemonia sulla  Resistenza. A noi il dovere di ricordare che la Resistenza fu un fatto plurale, come dimostra l’esistenza della FIVL , la federazione fondata dal gen. Cadorna, da Mattei, da Mauri e da Taviani nel 1948 per affermare la presenza di una  resistenza non comunista. Spiace dover ricordare queste cose all’Anpi che sta  prendendo una piega che la ricaccia indietro di decenni. Nella solita sparata sull’accoglienza dei migranti e sulla xenofobia, non una parola viene dedicata al terrorismo islamista, il vero neonazismo del XXI secolo  che minaccia il mondo. Non c’è sta stupirsi che solo una piccola parte di cittadini abbia seguito l’Anpi su questa strada. In molte realtà la giornata antifascista è stata un  flop. Lascino a D’Alema e Bersani ,adesso che hanno  un  loro partito , di fare  la parte politica che ad essi spetta. Lascino alla Cgil di svolgere il ruolo di  sindacato in un’era in cui i sindacati andrebbero totalmente ripensati. Forse non si sono accorti che va totalmente ripensato nel nuovo secolo, il ruolo tra potere e cittadini.  La globalizzazione, Internet hanno cambiato il mondo. La strage dell’11 
settembre e le stragi successive in Europa ci impongono comportamenti coerenti con il fatto che siamo nuovamente in guerra. Una guerra dichiarata dagli estremisti islamici per distruggere l’Occidente . E noi facciamo la giornata contro la xenofobia e il razzismo ? E magari con un pizzico di antisemitismo antiisraeliano che, in queste occasioni, non guasta mai ?  

I consigli comunali dei ragazzi contro lo spreco alimentare

I Consigli comunali dei ragazzi (Ccr) del Piemonte s’impegnano a rispettare e a diffondere le buone pratiche per prevenire e combattere lo spreco alimentare, a farsi parte attiva presso le istituzioni pubbliche affinché siano adottati provvedimenti volti a promuovere tali pratiche e a coinvolgere le associazioni di categoria e le scuole favorendo percorsi formativi e didattici sul tema degli sprechi e dell’educazione alimentare e ambientale. È questo, in sintesi, il dispositivo del documento approvato dai 50 Consigli comunali dei ragazzi (Ccr) che sabato 27 maggio si sono dati appuntamento al Centro sportivo di Occimiano (Al) per il loro IV raduno regionale.

L’iniziativa, realizzata dall’Assemblea legislativa piemontese – che custodisce il Registro regionale dei Consigli comunali dei Ragazzi – ha come parola d’ordine l’hastag #nessunosiperda.

Dopo i saluti del consigliere delegato dal presidente dell’Assemblea regionale, che ha sottolineato “l’innegabile merito dei Ccr nell’offrire stimoli e nell’ideare iniziative in grado di migliorare le città”, della garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza Rita Turino, che ha definito l’evento “un esercizio di cittadinanza attiva e responsabile”, del presidente del Corecom Piemonte Alessandro De Cillis, che ha evidenziato l’importanza “per i giovani e per gli educatori di trovarsi insieme per incontrarsi e confrontarsi” e della sindaco di Occimiano, che ha espresso la propria soddisfazione di ospitare il raduno, i sindaci dei Ccr di Cartosio, Pozzolo Formigaro (Al) e Mombercelli (At) ufficializzeranno il proprio ingresso nel Registro regionale

Al termine di questo ampio preambolo è stato illustrato il tema della giornata: mettersi in gioco affinché Nessuno si perda perché emarginato a causa del bullismo o costretto a rinunciare al diritto allo studio e al dovere di sviluppare i propri talenti per il bene della società.

Dopo aver ascoltato la testimonianza di Amin, venticinquenne giunto in Italia a otto anni dal Marocco senza conoscere una sola parola d’italiano che, grazie all’aiuto deigli insegnanti, dei compagni e di alcuni benefattori che si sono presi cura della sua formazione, si è recentemente laureato in Scienze infermieristiche, i ragazzi si sono divisi in gruppi per prendere parte alle attività formative e didattiche di approfondimento.

Nel pomeriggio il presidente del Corecom De Cillis e il commissario Vittorio Del Monte hanno svolto – alla presenza dell’assessora regionale all’Istruzione – un intervento per illustrare ai giovani e agli educatori la “dieta” digitale ideale per navigare su Internet in maniera sicura e metterli in guardia sui danni del cyberbullismo e hanno dichiarato la disponibilità del Corecom a svolgere incontri nelle scuole dei Comuni sede di Ccr incontri ad hoc per approfondire tali tematiche.

Per far sì che davvero Nessuno si perda e sottolineare – nel contempo – l’importanza del valore della solidarietà, il raduno è terminato con una prima raccolta di ricevute delle donazioni effettuate dai Ccr a favore delle popolazioni terremotate, depositate sull’apposito conto corrente attivato nei mesi scorsi dall’Assemblea regionale.

 ct- www.cr.piemonte.it

Questi i Consigli comunali dei Ragazzi che hanno aderito all’iniziativa suddivisi per provincia:

– Alessandria: Cartosio, Conzano, Giarole, Mirabello Monferrato, Occimiano, Pozzolo Formigaro, Terruggia, Villanova Monferrato;

 Asti: Cellarengo, Monale, Mombercelli, Monastero Bormida, Montegrosso d’Asti, Unione dei Comuni Alto Astigiano;

– Biella: Ronco Biellese;

– Cuneo: Corneliano d’Alba, Costigliole Saluzzo, Grinzane Cavour, Monticello d’Alba, Rifreddo, Saluzzo, Vicoforte, Villanova Mondovì;

– Novara: Armeno, Castelletto Sopra Ticino, Gozzano, Novara, Orta San Giulio;

– Torino: Avigliana, Bruino, Brusasco, Casalborgone, Cavagnolo, Fiano, Ivrea, Mattie, Nichelino, Pino Torinese, Rivalba, Rondissone, Rubiana, Rueglio, San Raffaele Cimena, San Sebastiano da Po, Scalenghe, Sciolze, Verrua Savoia;

– Vco: Baveno, Varzo;

– Vercelli: Rive.

Linea di confine. Spigolature di vita e storie torinesi

di Pier Franco Quaglieni

Il Tar del Lazio lascia in carica Pagella Twitter, il cinguettio che diventa urlo, la riflessione di una giovane studiosa   I due Gianni, lo storico controcorrente Oliva e l’avvocato e politico d’altri tempi  Oberto  L’elogio della cravatta  tra eleganza e rispetto istituzionale 

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Il Tar non ha toccato Enrica Pagella
La sentenza del Tar del Lazio che annulla le nomine di cinque direttori di Musei italiani su 20,
fa sicuramente discutere, come fecero discutere le nomine del ministro Franceschini in base ad un concorso che è stato considerato dal Tar non conforme alle norme vigenti.  La sentenza riguarda solo alcuni direttori perché solo due concorrenti scartati si sono rivolti al Tar, potremmo dire hanno avuto il coraggio di presentare un ricorso. Sicuramente aveva ragione Vittorio Sgarbi ad esprimere perplessità su questo concorso molto “privatizzato”, svoltosi a porte chiuse o addirittura in parte via Skipe. A costo di apparire un bastian contrario, continuo a pensare che i concorsi debbano essere pubblici e trasparenti. La sentenza del Tar pone infatti in evidenza dei criteri valutativi non accettabili a termini di legge.  Enrica Pagella, già presidente della Fondazione Torino Musei, che dal 2003 era direttore di Palazzo Madama e Borgo medievale, non è stata toccata dalla sentenza. Nel caso di Torino non era stata seguita la “linea straniera” e non erano stati umiliati i dirigenti di carriera, ma venne applicato il criterio “tradizionale”.E i buoni risultati si sono visti. Ovviamente nessuno discute di per sé le scelte di Franceschini, ma la forma-mi insegnava Mario Allara- nel diritto, è sostanza.

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Twitter come pietre?

Scriveva il torinese Carlo Levi che <<le parole sono pietre>>. Una vecchia frase degli anni immediatamente successivi alla fine della II guerra mondiale ed in effetti, allora, nel clima infuocato del dopoguerra italiano, le parole erano non solo pietre.Il “triangolo della morte” lo sta a testimoniare. Anche l’apolitico padre di Nicola Matteucci venne ammazzato per il solo fatto di essere un possidente. Un’analoga sorte era toccata al padre del filosofo torinese Vittorio Mathieu, ammazzato con la moglie da partigiani garibaldini nell’agosto 1944. Un incontro questa settimana con una giovane e colta docente torinese mi ha reso consapevole che la virulenza dei linguaggi sui social ,in particolare su Twitter, fa pensare a vere e proprie pietre scagliate attraverso la rete. L’obbligo della sintesi trasforma il pensiero in azione,riducendo al minimo il pensiero che si snatura in slogan. Viene a mancare il confronto delle idee e la politica si manifesta in modo primordiale ed insieme modernissimo. Io avevo sempre pensato che la tolleranza, senza se e senza ma, per tutte le idee dovesse sempre essere la stella polare di un laico. Solo di fronte alle azioni, in particolare a certe azioni, non ci poteva essere tolleranza. Idee e azioni avevano due diversi metri valutativi. Facevo un’eccezione per l’infame manifesto degli oltre 800 intellettuali che armarono la mano agli assassini del commissario Calabresi. La giovane docente mi ha ricordato che già durante la Grande Guerra molti intellettuali si lanciarono nell’uso di un linguaggio violento in cui la parola diventava un proiettile da scagliare contro il nemico. E mi ha anche fatto rilevare che il mio discorso finiva di privare la parola di parte del suo effettivo valore. Lo stringato e pacato manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce del 1925 non fu solo un documento scritto, ma animò l’impegno di molti. Osservazione ineccepibile. In effetti oggi il cinguettio di Twitter è solo apparentemente un cinguettio. Spesso diventa un urlo feroce, un incitamento all’odio e alla violenza.

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Il  nuovo coraggioso libro di Oliva
 Gianni Oliva è noto al vasto pubblico dei lettori per i suoi libri coraggiosi sulle foibe, sull’esodo giuliano- dalmata, sui Savoia, su Umberto II, sull’Esercito. Tutti temi che uno studioso di sinistra  non dovrebbe considerare degni di attenzione se non per  scrivere critiche spesso astiose o riservare silenzi  conditi di disprezzo. Oliva è uno dei pochi storici seri che la storiografia italiana abbia oggi.  L’ultimo libro dal  titolo “Combattere. Dagli arditi ai marò, storia dei corpi speciali” non passerà inosservato. Prevedo già alcune critiche aprioristiche e faziose che quasi sicuramente verranno espresse ,anche se il modo per liquidare chi dissente da noi è oggi la condanna del silenzio, della non recensione, del non invito in TV. Penso che sarà difficile mettere il silenziatore sullo scomodo libro di Oliva che ripercorre in modo lineare una storia che meritava di essere raccontata senza apriorismi faziosi. Gli arditi ,i marò, i paracadutisti ,la “Folgore” apparivano come i simboli dell’Italia fascista e guerrafondaia, incompatibile con l’art. 11 della Costituzione  in cui la guerra viene ripudiata.  I paracadutisti appiedati che resistono fino alla morte nel deserto africano di El Alamein  erano appannaggio dei nostalgici. Oliva ripercorre la loro storia, ricordando l’eroismo di quei soldati caduti a cui solo il Presidente Ciampi ebbe il coraggio di rendere omaggio. Ma dal libro viene fuori anche la storia della X Mas del principe Borghese, dei marinai che violarono il porto di Alessandria . L’autore parla di Luigi Durand de La Penne, di Teseo Tesei e di Elios Toschi, ma prima ancora di  Luigi Rizzo e della Beffa di  Buccari  nella I Guerra Mondiale e persino di Italo Balbo e di Giuseppe Bottai ,arditi nella Grande Guerra ,poi fascisti di primissimo piano. E’ un libro che non si può sintetizzare e che merita di essere letto. Fa onore ad Oliva l’averlo scritto ,diventa un dovere di un lettore che vuole informarsi sulla storia italiana leggerlo. Sicuramente è un libro che darà uno scossone alle vulgate.

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Gianni Oberto e il comune amore per Gozzano

Bello il nuovo tascabile di Palazzo Lascaris dedicato a Gianni Oberto Tarena, Presidente del Consiglio regionale e della Giunta regionale del Piemonte nel corso della I legislatura costituente, dopo essere stato Presidente della Provincia di Torino. La definizione di “disinteressato galantuomo” che costituisce il titolo di un paragrafo del libretto ,appare davvero calzante. Piemontese, avvocato, pubblicista, politico, uomo di grande cultura umanistica e giuridica, Oberto è stato un protagonista rimasto un po’ in ombra. Ingiustamente in ombra. Il Consiglio regionale gli dedicò un centro culturale che lavora in simbiosi con la biblioteca della Regione. Cattolico convinto, era anche un uomo aperto, potremmo dire un cattolico liberale, molto amico di Vado Fusi che me lo fece conoscere poco tempo prima di morire. Lo ricordo come un uomo molto cortese, riservato, direi “vecchio Piemonte “. Amava il suo Canavese profondamente, Ivrea faceva parte del suo DNA. Ricordo un altro incontro con lui insieme a Silvio Geuna che era stato rinchiuso nel carcere eporediese dopo la condanna all’ergastolo nel processo dell’aprile 1944 nel quale venne condannato a morte il generale Perotti. Più che di politica o di Resistenza, parlammo di Guido Gozzano e del “Meleto” di Agliè. Mi citò qualche verso a memoria. Io gli risposi con altri versi. Il nostro rapporto nacque nel nome di Gozzano. Raro, quasi eccezionale esempio di politico, specie democristiano. Per altri versi, già nel 1967 il Presidente della Repubblica Saragat ho la aveva insignito della medaglia d’oro dei benemeriti della scuola,della cultura e dell’arte.

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LETTERE –  scrivere a quaglieni@gmail.com

Lei scrisse tempo fa un elogio della cravatta .Come giudica i politici senza cravatta ed in jeans ,anche in cerimonie pubbliche ? A me sembra una mancanza di rispetto.

Gabriella Uberto

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La cravatta per me è un segno di eleganza, ma anche di rispetto. Le cravatte mi piacciono e ne ho una vasta collezione. Quando faccio un evento importante ne indosso una nuova che mi ricordi quell’evento. Da Marinella a Napoli sono di casa da molti anni. Ci andavano già mio nonno e mio padre. Longanesi , che scrisse che non portare la cravatta era un segno di indipendenza dai vincoli borghesi, è quasi sempre ritratto con la cravatta. Anche Togliatti portava la cravatta e anche il doppiopetto. Magari sono convenzioni, ma in Occidente sono convenzioni consolidate. Sergio Marchionne che si presenta al Quirinale con il solito maglioncino, è fuori posto come lo è Massimiliano Fuksas – progettista del grattacielo della Regione Piemonte- con la maglietta nera in ogni occasione. Ci sono anche politici in maniche di camicia. Diede il cattivo esempio Craxi quando al Palacongressi di Bari parlò, dopo essersi tolto la giacca per il caldo soffocante. Io mi sentirei di chiedere almeno a chi rappresenta le Istituzioni di sottoporsi al sacrificio di indossare giacca e cravatta. Enzo Ghigo, presidente della Regione per un decennio, era sempre inappuntabile come Aldo Viglione .Il via la cravatta e dentro i jeans, come è stato scritto, è un modo errato di voler assomigliare ai cittadini. I cittadini pretendono ben altro da chi eleggono .Se fossero bravi e onesti amministratori, il loro abbigliamento potrebbe passare in secondo piano ma ,quando un Sindaco o un Assessore indossano la fascia tricolore, devono avere l’abbigliamento adatto. Senza eccezioni.

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Egitto, ecco la prima governatrice

FOCUS /  di Filippo Re

Nell’Egitto della repressione, delle stragi di copti, l’ultima ieri, con un bus assaltato da un gruppo armato nel sud del Paese che ha sparato all’impazzata contro un gruppo di pellegrini cristiani diretti in un monastero uccidendone una trentina, e della lotta senza tregua contro il terrorismo islamista, c’è spazio anche per una notizia positiva che infrange un tabù storico. Per la prima volta nella storia moderna l’Egitto ha nominato una donna alla carica di governatore di una provincia. Non era mai accaduto prima. Dopo la rivoluzione di Nasser nel 1952 la maggior parte dei governatori sono sempre stati ex generali dell’esercito o alti funzionari di polizia.

Nadia Abdou è stata scelta come governatore della provincia di Beheira, nel nord-ovest del Paese. Osservatori della realtà egiziana ritengono giusta e corretta la decisione del presidente della repubblica, Abdel Fattah Al Sisi. Finora la carica di governatore provinciale era riservata solo agli uomini. Soprannominata la “Lady di ferro” del Parlamento egiziano, al culmine della sua carriera, a oltre 70 anni, si è ora insediata sulla poltrona di governatore di Beheira, capoluogo di una provincia di sei milioni di persone, vicino ad Alessandria d’Egitto. I ventisette governatori egiziani uniscono le funzioni di prefetto e di presidente della regione in una delle più alte posizioni pubbliche del Paese riservata ai funzionari di grado più elevato. Nadia Abdou era già il primo vice governatore donna dal 2013. La giovane ingegnere di Alessandria completa la sua formazione con un Master in Ingegneria medica e ambientale all’Università di Alessandria. Inizia la sua carriera professionale nella compagnia delle acque di Alessandria dedicandosi alla qualità dell’acqua in un Paese dove migliaia di bambini muoiono ogni anno di diarrea. Dal 2002 al 2012 Nadia Abdou sale la scala aziendale fino alla cima, in una Società delle Acque che apre alle donne “con il metro della bravura, non del genere” ha sottolineato il governatore. Nel 2005 il Consiglio della Compagnia delle acque (Awco) riunisce otto donne e guarda anche oltre i confini dell’Egitto fondando l’Associazione dei servizi idrici nei Paesi arabi. Il sito di informazione specializzata Water & Wastewater Internazional ha riconosciuto alcuni anni fa che Nadia Abdou è una donna d’affari “dura ma leale”. Dichiarò a quel tempo: “io sono musulmana e il mio primo amore è Dio” ma aggiunse che al secondo posto c’è il suo lavoro, “anche più della mia famiglia”. Poco prima della rivoluzione, il nuovo governatore era entrato in politica: fu eletta deputato nel 2010 del National Democratic Party (Ndp), il partito unico del presidente Mubarak, sciolto nel 2011. Oggi il nuovo governatore punta a costruire ospedali e scuole, a sviluppare progetti industriali e turistici nella sua provincia che ospita Rosette, la città portuale famosa per la stele che permise a Champolion di decifrare i geroglifici degli antichi Egizi. Tra le questioni più urgenti da affrontare la mancanza cronica d’acqua, la carenza di infrastrutture e la presenza di estremisti religiosi che allarmano la minoranza cristiana.

Filippo Re

 

Solo materie prime pregiate per “Le creazioni di Marina”

NONA PUNTATA – Viaggio nel vasto mondo degli hobbysti, tra chi per sopravvivere alla crisi sta cercando di trasformare in mestiere una passione

Spirito di iniziativa e intraprendenza. Sono queste le doti che le hanno consentito di riprendere in mano le redini della sua vita e avere la meglio sulla disperazione in cui era precipitata dopo aver perso il lavoro. Rimanere disoccupati dopo i 50 anni è davvero una sciagura. E lo è ancora di più per chi, quel lavoro, lo aveva scelto per passione dedicandogli gli anni migliori della propria vita e ponendosi traguardi professionali sempre più ambiziosi. Così è stato per Marina, cresciuta nel mondo della ristorazione: prima barista, poi cameriera, infine cuoca, il sogno coltivato fin da bambina e finalmente realizzato. “Quando il locale in cui lavoravo ha chiuso – racconta Marina De Stefano, 56 anni – ero convinta che, grazie al bagaglio professionale che mi portavo dietro, per trovare altre opportunità mi bastasse schioccare le dita. Invece niente da fare. Ho bussato a tante porte, tutte sono rimaste chiuse. Capacità ed esperienza, quando superi una certa età, non hanno alcun valore”. Marina non poteva permettersi di stare ferma a piangersi addosso. Ha fatto appello al suo carattere, ha raccolto tutte le sue forze, si è messa in discussione ed è ripartita da sé stessa, stravolgendo completamente la sua vita.

“Negli anni Ottanta – racconta – avevo frequentato un corso per il confezionamento di capi di maglieria e comprato la macchina, l’ho rimessa in funzione e ho incominciato a realizzare modelli da rivendere. Per diversificare la produzione mi sono iscritta a un corso per imparare a fare le borse”. Unendo le due tecniche mi sono inventata oggetti e accessori di vario genere: maglie, scialli, cappelli, borse, sciarpe, guanti, collane, fermagli, cinture, portachiavi e capi in pelliccia sintetica. “L’acquisto dell’attrezzatura per esporre le mie creazioni e i contatti con le associazioni che organizzano eventi per gli operatori del proprio ingegno sono stati gli ultimi passaggi di un percorso che mi ha consentito di reinventarmi un futuro”, precisa. Sono passati due anni dal debutto di Marina tra gli hobbysti. Due anni difficili, ma ricchi di emozioni che oggi la portano ad affermare: “Sono contenta del mio lavoro. Mi piace quello che faccio e sono orgogliosa di quello che riesco a dare ai clienti”.

“Le creazioni di Marina: fatto a mano” è il suo brand, sinonimo della sua fantasia e delle sue capacità artigianali, a cui segue il claim: “Un mondo di borse, accessori per adulti e bambini realizzate con pregio e con passione e amore”. Due frasi che ben rappresentano quello che oggi è il suo lavoro, un lavoro nel quale ha portato i trucchi e i segreti imparati in tanti anni nella ristorazione: “Non si finisce mai di imparare e c’è sempre qualcosa da scoprire. E così come ero solita fare per i piatti che cucinavo, per tutte le mie creazioni utilizzo soltanto materie prime pregiate: per i capi in lana adopero solo filato di Mirtilla; e anche la iuta e il sughero di cui mi servo per borse e cappelli sono di prima scelta”.

 

Paola Zanolli

 

 

A proposito dell’attentato di Manchester

Di Alessandro Continiello *

 

Il tragico evento di Manchester getta ulteriori ombre su quelle figure definite “lupi solitari”, “cellule dormienti” o “terrorismo molecolare”. Trattasi di soggetti cosiddetti di seconda generazione, cittadini di quello Stato ove risiedono stabilmente, che improvvisamente (rectius: con premeditazione) si attivano per perpetrare una strage e portare conseguentemente il terrore nella società, in ragione di una dottrina integralista, sotto l’egida di un fanatismo religioso-militante.

Il target scelto dal ventiduenne Salman Abed non a caso prevedeva il massimo risultato: un ordigno in apparenza non sofisticato, seppur fabbricato “con materiali difficili da reperire nel Regno Unito”, fatto deflagrare in una Arena, a due metri dall’uscita, al termine di un concerto gremito di giovani spettatori. Questo atto ha portato a due conseguenze: nell’immediatezza, mietere il più alto numero di giovani vittime (infedeli, kafir) –anche per le modalità con cui è stata fatta scoppiare la bomba-, immolandosi per la stessa “causa” (jihad); creare un ulteriore senso di insicurezza nelle persone, nella loro quotidianità, nelle abitudini al fine di modificarle. Lo scopo degli attentatori è proprio questo: inculcare nelle menti dei soggetti, noi, la paura che non si è più al sicuro in nessun posto. Le prime polemiche hanno coinvolto, oltre all’inevitabile sistema di sicurezza dell’Arena, anche l’operato prodromico della intelligence inglese e della polizia: sembra, infatti, che alcuni membri della famiglia di Salman Abedi avrebbero allertato le autorità britanniche sulla pericolosità dello stesso – ergo fosse un soggetto noto all’MI5 e da attenzionare-; e, dalla Francia, è pervenuta l’ulteriore notizia secondo cui Salman “avrebbe dato prova di suoi legami con l’Isis”.

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Il problema che attanaglia i Governi occidentali, ma non solo, è come fermare questa potenziale ed inevitabile ecatombe, come vincere la partita a scacchi con il terrore. La risposta al quesito può essere affrontata, pragmaticamente, su due piani di operatività: un’intensa attività prodromica di raccolta di dati e notizie, al fine di prevenire le mosse dell’avversario –e qui entra in gioco l’apparato di intelligence di quella specifica nazione-; ed una coordinamento tra le forze dell’ordine interne, con i mezzi previsti quali investigazioni ed intercettazioni, per porre fine a potenziali attacchi terroristici in corso ed arrestare gli attentatori, sotto l’egida della magistratura e delle garanzie del diritto. Il comune denominatore che le caratterizza prevede uno snodo politico non indifferente: l’utilizzo di risorse, di mezzi e personale per garantire tout court la sicurezza.

Si affermava già nella Relazione sulla Sicurezza in Svizzera del 2015 che: «Gli attentati terroristici di Parigi e Copenaghen..hanno evidenziato due aspetti: in primo luogo la guerra jihadista è potenzialmente in grado di minacciare gli abitanti di Paesi europei in modo concreto e imprevedibile; e, in secondo luogo, persino gli Stati che dispongono di ampie possibilità a livello giuridico e di personale, non possono individuare tempestivamente e impedire tutte le attività terroristiche. Entrambi gli aspetti offrono l’occasione su come intendiamo trattare questi insegnamenti e quali conseguenze dobbiamo trarre. Riguardo alla minaccia, occorre rilevare che possiamo ridurla soltanto in collaborazione con gli Stati interessati. Tra questi occorre enumerare segnatamente quei Paesi in cui il jihadismo si propaga, e includere soprattutto i musulmani che soffrono particolarmente a causa dei loro correligionari criminali. Essi rivestono un ruolo importante nell’individuare tempestivamente, contrastare o impedire l’insorgere di radicalizzazioni. Pertanto le società occidentali, ma anche i Paesi musulmani, dovranno sviluppare nei prossimi anni delle strategie per frenare congiuntamente la radicalizzazione e incoraggiare un Islam illuminato». 

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Se si vuole alzare il livello di sicurezza, si deve peraltro rinunciare, come contraltare, ad una parte della nostra tanto conclamata privacy. In merito alle misure urgenti di protezione civile di cui si può disporre, senza dubbio risultano efficaci le telecamere posizionate presso obiettivi sensibili e non; scanner ai tornelli presso luoghi di aggregazione nonché tutti quegli strumenti elettronici sofisticati che possano neutralizzare, ab origine, i potenziali mezzi usati dagli attentatori (anche i jamming, ad esempio, potrebbero essere utili con tutti i pro et contra). È notizia di questi giorni una nuova linea imposta dal nostro Capo della Polizia in merito agli eventi pubblici secondo cui “verranno affidate alle Forze dell’Ordine tutti i servizi di controllo e verifica con ispezioni e bonifiche ove si svolgono eventi e agli organizzatori il compito di creare un servizio di vigilanza privata che si affianchi”: cosiddetta “gestione partecipata alla sicurezza”. Ma qui sorgono due ulteriori rilievi: in primis il tutto dipende dai costi sostenibili da quel Governo per l’acquisto degli strumenti e dal personale che si può e deve utilizzare per mantenere alto il livello di allerta. Ormai molte nazioni hanno affiancato alle Forze di Polizia, nello svolgimento della loro attività, l’esercito. Il motivo è duplice: un aumento del personale sul campo e la possibilità di usare le armi da guerra in loro dotazione per contrastare i potenziali attacchi. Si è, infatti, visto come gli atti terroristici sono stati commessi con modalità sempre più “ricercate”, per ottenere il risultato voluto. Se l’autore impugna una pistola, ci si può contrapporre con la medesima arma da sparo; ma se ruba un tir -come ariete-, è inevitabile che la semplice pistola potrebbe non bastare, ergo la necessità di fucili d’assalto. Se l’attacco poi si compie con una bomba controllata a distanza, l’uso di disturbatori radio sarebbe utile; ma se trattasi di una bomba rudimentale, come a Manchester, il jamming è inefficace, inutile e dannoso per altri aspetti.

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Ecco che ci avviluppa nel problema. Ed allora come poter quantomeno cercare di prevenire gli attentati terroristici? Solo con una libertà di azione, di mezzi e di uomini dei Servizi Segreti è possibile, potenzialmente, bloccare alla radice eventuali attacchi. Così come lo scambio di informazioni tra intelligence risulta oggigiorno inevitabile, anche a costo di superare quell’anacronismo secondo cui, dicitur, “in momenti critici potrebbe essere effettivamente utile condividere informazioni tra Servizi. Ma esiste anche una sacra regola nei due o tre Servizi più famosi nel mondo occidentale: condividere potrebbe anche risultare una operazione pericolosissima. Un “amico” di oggi potrebbe essere un terribile “nemico” domani..”. Ebbe a dire Benedetto Croce alla Costituente, il 24 luglio del 1947, nel suo celebre discorso contro il trattato di pace: <<La guerra è una legge eterna del mondo, che si attua di qua e di là da ogni ordinamento giuridico, e in essa la ragion giuridica si tira indietro lasciando libero il campo ai combattenti, dall’una e dall’altra parte intesi unicamente alla vittoria, dall’una e dall’altra parte biasimati o considerati traditori se si astengono da cosa alcuna che sia comandata come necessaria o conducente alla vittoria. Chi sottopone questa materia a criteri giuridici, o non sa quel che dica o lo sa troppo bene>>.

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Come difendersi, quindi, da questa nuova modalità di guerra cosiddetta asimmetrica o non convenzionale? Con l’aumento –si ripete- delle risorse investite per la sicurezza passiva (acquisto, come indicato, di telecamere, scanner, apparecchiature elettroniche) ed attiva (più uomini, più specialisti del web) per il controllo del territorio, nelle carceri –ove il rischio di radicalizzazione è tangibile-, nei centri di accoglienza –con le stesse modalità “sotto copertura”- e per il controllo della immigrazione. A cui aggiungere, volens ac nolens, scelte di politica di aggregazione per coloro che sono stati già accolti e/o divenuti cittadini di uno Stato, per evitare l’emarginazione di questi soggetti in specifiche zone cittadine. Ma tutto questo potrebbe non bastare se non ci si affida, come visto, agli stessi Paesi musulmani, al fine di “frenare congiuntamente la radicalizzazione e incoraggiare un Islam illuminato”.  Una strana ma inquietante coincidenza: Norway attack: 22 luglio 2011; Woolwich attack: 22 maggio 2013; Brussels attack: 22 marzo 2016; Munich attack: 22 luglio 2016; London attack: 22 marzo 2017; Manchester attack: 22 maggio 2017”.

 

 

*Avvocato del Foro di Milano e Presidente del Comitato locale della LIDU

Foto: Andy Rain/EPA – The Guardian

 

Palazzo Civico a sostegno dell’artigianato

E’ un vero e proprio patto di consiliatura quello che l’Amministrazione comunale intende costruire concretamente con il mondo dell’artigianato torinese. Cinque sono le direzioni entro le quali Palazzo Civico intende agire. Partendo in primis col mappare in modo capillare tutte le eccellenze presenti sul territorio, in secondo luogo semplificando i rapporti tra gli artigiani e la Pubblica Amministrazione e poi assicurando sostegno alle piccole e micro imprese impegnate nel sistema della micro-fornitura, incorporandole anche in Open for business, uno dei programmi pilastro dello sviluppo di Torino nei prossimi quattro lustri.

Tra le novità, sotto il profilo delle agevolazioni, vi è quella di tentare la strada dell’abbattimento fiscale per consentire la trasmissione generazionale di competenze ai giovani. Mentre nell’ambito della promozione è intenzione della Città individuare spazi adeguati da destinare a esposizioni permanenti a rotazione delle imprese.

Sono le piccole imprese l’eccellenza italiana, un connettivo fortemente radicato nei quartieri, in grado di coniugare sapientemente tradizione e laboriosità, a rappresentare la dimensione locale sui mercati internazionali. Dalle botteghe alle piccole officine, dai laboratori agli studi più creativi. Lo abbiamo constatato nell’ultima edizione del Tief, il Turin Islamic Forum di come l’eccellenza artigiana sia l’effettivo portacolori del made in Italy nel mondo. Sono queste le ragioni che mi portano ad affermare con convinzione – sottolinea la sindaca Chiara Appendino – che per lo sviluppo economico e sociale del territorio comunale sia strategica una forte alleanza con quello che è considerato a tutti gli effetti il tessuto aggregante del sistema produttivo, la spina dorsale economica e manifatturiera del Paese, elemento di congiunzione con il mercato globale”.

 

Alle piccole imprese del distretto torinese va riconosciuto il merito di aver saputo con intelligenza e sforzi, talvolta titanici, reggere alla crisi di questi anni, continuando a implementare lavoro, innovazione, sviluppo e ricchezza e a esportare know-how. E’ tuttavia necessario valorizzarne la naturale vocazione produttiva, per non lasciare nessuno indietro.

La strada intrapresa segna una svolta nella visione strategica della città. Accogliendo l’invito formulato dai rappresentanti torinesi della Confederazione Nazionale dell’artigianato, del commercio e della piccola e media impresa (CNA) sarà steso, a partire dai prossimi giorni, un vero e proprio piano di lavoro condiviso per assicurare lo sviluppo economico di un comparto che in città raggruppa alcune decine di migliaia di piccoli imprenditori.

 

Con questo atto, la Giunta guidata dalla sindaca Chiara Appendino ha dimostrato attenzione al mondo dell’artigianato e della piccola industria che CNA rappresenta con autorevolezza dal 1946 – dichiara Nicola Scarlatelli, Presidente di CNA Torino – Adesso nutriamo grandi aspettative circa l’attuazione concreta di questo patto di legislatura”.

 

Attraverso il progetto strategico Open for business, varato lo scorso autunno, l’esecutivo di Palazzo Civico ha inteso puntare nell’attrazione di investimenti finanziari e nella valorizzazione degli eventi culturali, proprio sull’area produttiva. Tra le ambizioni del piano di lavoro vi è quella – compatibilmente con le risorse di bilancio – di ipotizzare una proposta di defiscalizzazione quinquennale delle imposte locali rivolta ai giovani di talento subentrati nella conduzione di un’azienda il cui titolare in quiescenza si è reso disponibile a far da monitore e tramandare il prestigio aziendale. L’intesa prevede anche il coinvolgimento del sistema creditizio affinché siano varati programmi di finanziamento agevolato e la sensibilizzazione delle istituzioni e delle rappresentanze imprenditoriali a dare una mano a quanti sono disponibili a intraprendere la strada del lavoro autonomo. Un documento che sottolinea come sia importante anche la realizzazione di veri e propri “pacchetti per lo shopping” e percorsi dei sensi – dal gusto al tatto, dalla vista all’olfatto – dell’artigianato torinese, proponendoli, in un prossimo futuro, in una App per smartphone.