Dall Italia e dal Mondo- Pagina 64

Torino, 1911. La “grande expo”

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Lungo le rive del Po al tramonto della Belle Époque

Per sei mesi, dal 29 Aprile al 31 Ottobre  del 1911, Torino conobbe il più grande evento della sua storia, prima che il capoluogo subalpino ospitasse la grande Expo di “Italia ‘61” ed i XX° Giochi olimpici invernali del 2006. Quella del cinquantenario dell’Unità d’Italia fu un’occasione straordinaria per celebrare lo sviluppo sociale, economico e culturale compiuto dall’intera nazione. Torino, prima capitale d’Italia, insieme alle altre “capitali” – Firenze e, ovviamente,Roma –  ospitò una delle tre esposizioni internazionali che ottennero un grande successo e segnarono un’epoca. Se quelle all’ombra del Colosseo e della piazza della Signoria, rispettivamente, furono incentrate sulla storia delle regioni e sul ritratto italiano, quella lungo il Po fu imperniata sul progresso industriale e manifatturiero. L’ Esposizione internazionale dell’Industria e delTORINO 113 Lavoro (Expo Torino,1911) venne organizzata nel Parco del Valentino, confermando il luogo dove si erano già svolte tutte le esposizioni internazionali ospitate dalla città sabauda, nel 1884 (di cui c’è traccia nel Borgo Medievale), nel 1898, nel 1902 e in quella successiva del 1928. L’occasione di celebrare il quinto decennio dalla proclamazione del Regno d’Italia, venne sfruttata a dovere, a partire dall’inaugurazione dell’evento alla presenza di Vittorio Emanuele III e dei rappresentanti dei 31 paesi ospiti.

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Le nazioni partecipanti coprivano i vari continenti: dagli Usa del presidente William Howard Taft TORINO112all’impero Austro-ungarico di Francesco Giuseppe, dalla Cina  – dove era prossimo il tramonto della dinastia Manciù – ai turchi dell’impero Ottomano passando per il Regno Unito di Giorgio V ( che era anche l’imperatore d’India) e la Francia repubblicana di Raymond Poincaré. Le strutture dell’area espositiva, realizzate in modo da poter essere facilmente smontate, così che alla fine della manifestazione tutto tornasse allo stato originario, ospitarono una quantità impressionante di eventi. Altrettanto numerosi furono quelli, per così dire, “collegati” all’esposizione come le mostre, le rassegne musicali ( cinque concerti dell’orchestra del Teatro Regio furono diretti da Arturo Toscanini),i congressi (come quello Interparlamentare della Pace, tenutosi in ottobre),concorsi come quello cinematografico, dimostrazioni di nuove apparecchiature elettriche e meccaniche ed anche gare sportive. Tra queste merita d’essere ricordata la “Gara d’aviazione Roma-Torino“, tenuta tra il 4 ed il 10 giugno con un premio in denaro al vincitore consistente in ben duecentocinquantamila lire (una somma tutt’altro che disprezzabile per l’epoca),TORINO117 che coincise con l’inaugurazione del campo volo di Mirafiori.

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L’Esposizione torinese, la più importante e la più ambiziosa di tutte, puntò le sue carte sulle tecnologie che s’affacciavano in quell’epoca dove la Belle Époque s’avviava al tramonto: dal lavoro manifatturiero alla nascente industria automobilistica, dalla potenza dell’energia elettrica ai trasporti che – con i nuovi tram e i nuovi treni – riducevano distanze e tempi di percorrenza. Le stesse ferrovie, in occasione dell’esposizione, fecero delle offerte a prezzo ridotto per i biglietti da e per Torino.  Sulle rive del “grande fiume”si  diede appuntamento quel mondo che solo qualche anno dopo sarebbe stato incendiato dalla prima, grande guerra mondiale. Le cartoline d’epoca rimandano l’immagine di questa grandiosità, quasi che Torino volesse riflettere nelle acque del Po la sua vocazione alla ricerca, all’innovazione, al coraggio di spingersi oltre i confini della scienza e della tecnica.

Marco Travaglini

 

Sultani a Sanremo

FOCUS INTERNAZIONALE / STORIA  di Filippo Re

Chissà se i numerosi torinesi che trascorrono le vacanze estive a Sanremo sanno che nella Città dei Fiori si spense nel 1926, vecchio, malato e travolto dagli eventi, l’ultimo sultano dell’Impero Ottomano e che in città si trovano ancora oggi i luoghi che aveva frequentato. Maometto VI aveva scelto proprio la Riviera Ligure per trascorrere gli ultimi anni della sua vita in esilio. Esattamente cent’anni fa, il 3 luglio 1918, il neo sultano salì sul trono di Costantinopoli, sempre più instabile e vicino al crollo finale. Visse gli anni del tramonto di un grande Impero, sorto sette secoli prima. Ma anche in esilio non si diede per vinto e cercò di reagire a una disfatta ormai inevitabile. Dopo la sconfitta nella Prima guerra mondiale, l’Impero, già penalizzato dal Trattato di Sèvres del 1920, subì l’occupazione delle potenze vincitrici anglo-italo-francesi e anche della Grecia che occupò Smirne. Una situazione inaccettabile per i nazionalisti turchi che, guidati dal generale Mustafa Kemal Pascià, presero in mano le redini del movimento nazionale indipendentista. Gli Ottomani persero tutti i territori in Medio Oriente e le rivolte popolari e nazionaliste diedero il colpo finale alla monarchia sultaniale. Il Sultanato fu abolito nel novembre 1922 e la Repubblica Turca fu proclamata nel 1923 con Ataturk presidente. Nel 1924 fu abolito anche il Califfato. Il 28 giugno 1918 morì a Costantinopoli il sultano Maometto V Reshad e il 3 luglio salì sul trono il fratello Maometto VI Vahideddin, trentaseiesimo e ultimo sultano dell’Impero nonché centesimo califfo dell’islam. La fine dell’Impero è anche la storia degli ultimi anni di Costantinopoli capitale ottomana. Nel dicembre 1918 dalle navi alleate sbarcarono quasi 4000 soldati francesi, inglesi e italiani. Mentre le truppe tedesche e austriache lasciavano il territorio, in città le forze di occupazione prendevano possesso di prigioni, banche, ospedali e ambasciate. L’evento più plateale avvenne l’8 febbraio 1919 quando il generale francese Franchet d’Esperey, alla testa delle sue truppe, fece un ingresso trionfale a Istanbul. Giunto al ponte di Galata attraversò la città su un cavallo bianco, tra greci e armeni in festa, come aveva fatto cinque secoli prima Maometto II il Conquistatore dopo aver posto fine all’Impero Romano d’Oriente. La città fu divisa in varie zone: i francesi a sud del Corno d’Oro, gli inglesi a Pera, gli italiani a Scutari sulla sponda asiatica della città e un piccolo reparto greco a protezione del Fanar, la sede del Patriarcato ortodosso. I turchi si sentivano quasi stranieri a casa loro. Pur essendo anziano, sconfitto e schiacciato dagli eventi, l’ultimo sultano mise a disposizione degli alleati l’apparato amministrativo ottomano che estendeva la sua sfera d’azione solo più a Istanbul e nel nord dell’Anatolia mentre il resto dell’Impero era in parte in mano agli alleati. Durante la guerra gli inglesi aiutarono i popoli arabi a ribellarsi al dominio ottomano in tutto il Medio Oriente sotto la guida dell’emiro Hussein e dal colonnello Lawrence, il mitico Lawrence d’Arabia. La frantumazione dell’Impero innescò una fiammata nazionalista. La sconfitta nella guerra causò il disfacimento dell’esercito e con il trattato di Sèvres (10 agosto 1920), firmato dal sultano, gli ottomani dovettero lasciare ai vincitori gran parte dell’Anatolia, cedere la Tracia e accettare l’internazionalizzazione degli Stretti. Nel frattempo emerse la figura dell’ufficiale nazionalista Mustafa Kemal che verrà chiamato dai turchi “Ataturk”, padre della patria”. Kemal, che costruirà la Repubblica turca laica e moderna, attribuì le responsabilità della disfatta dell’Impero al sultano. Avviò la resistenza armata, organizzò un esercito nazionalista e l’8 luglio 1919 fece destituire il sultano Maometto VI. Denunciò inoltre il trattato di pace di Sèvres, firmato dal governo imperiale, che definiva i nuovi confini di ciò che restava dell’Impero. Una larga fetta dell’opinione pubblica turca rimase favorevole alla monarchia costituzionale ma Mustafà Kemal aveva fretta di liberarsi del sultano. Il 1 novembre 1922 l’Assemblea nazionale votò una legge che aboliva il sultanato e Maometto VI fu mandato in esilio, prima a Malta e poi a Sanremo dove morirà nel 1926. L’ultimo sultano non perse mai la speranza di veder crollare Mustafa Kemal, il generale che lo esautorò per fondare una nuova Turchia, e per tre anni lavorò per raggiungere questo obiettivo. Intanto Abdul Mecid II, cugino di Mehmet VI, venne nominato da Kemal ultimo califfo. Il 24 luglio 1923, il Trattato di Losanna, firmato tra il governo di Kemal e il Regno Unito con Francia, Italia, Giappone, Grecia e Jugoslavia, ridefinì i confini della Turchia, annullando quello che era stato deciso a Sèvres tre anni prima. Il Patto restituì ai turchi tutta l’Asia Minore, la Tracia orientale e il controllo degli Stretti. Il 29 ottobre 1923 Mustafa Kemal proclamò la nascita della Repubblica di Turchia con Ankara capitale e nel 1924 il califfato fu abolito. Kemal avviò il Paese sulla strada della modernizzazione, riorganizzando l’apparato amministrativo sul modello europeo e separando la religione dallo Stato. L’Impero ottomano morì in pratica a Sanremo, località già nota alle grandi potenze per aver ospitato, nei saloni del Castello Devachan (oggi lussuoso residence), la Conferenza di pace di Sanremo, tra il 19 e il 24 aprile 1920, che divise i territori dell’Impero Ottomano tra le potenze europee. Mehmet VI trascorse gli ultimi anni della sua vita a Sanremo, prima a Villa Alfred Nobel e poi a Villa Magnolie, dove visse insieme alla quinta e ultima moglie Nimit Nevzad Kadin Efendi, sposata a Istanbul nel 1921. Cinque matrimoni e sei figli. Morì il 16 maggio 1926 a Villa Magnolie dove la sua salma, sigillata in una bara, rimase esposta per un mese. Il 16 giugno si svolse il solenne funerale del sovrano la cui bara fu trasportata su un vecchio carro della Croce Rossa alla stazione e sistemata su un treno diretto a Trieste. Fu sepolto a Damasco nel monastero di Solimano il Magnifico. La storica villa sanremese, in cui soggiornarono anche principesse persiane, zarine e i duchi di Aosta, ospita oggi una scuola ed è di proprietà della Provincia di Imperia. Una piccola curiosità: il presidente-sultano della Turchia moderna, Recep Tayyip Erdogan, nostalgico delle glorie del passato imperiale della Mezzaluna, concentra nelle sue mani poteri pressochè assoluti dopo il recente trionfo elettorale. Proprio come non accadeva dai tempi dell’ultimo sultano ottomano.

Filippo Re

 

Il parroco di Aleppo: “Come a Varsavia distrutta dalla guerra”

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

“È una storia di grande sofferenza quella che noi siriani viviamo da otto anni. Una tragedia che purtroppo continuerà perchè la Siria è ancora un campo di battaglia. Non dobbiamo farci illusioni, non è finita né la guerriglia né la guerra, il caos prosegue sia ad Aleppo che nel resto della Siria”. Fra Ibrahim Alsabagh, parroco della comunità latina di San Francesco d’Assisi di Aleppo e vicario del vescovo, esprime tutta la sua preoccupazione per la situazione attuale. Nato a Damasco, il religioso siriano ha 47 anni e si trova ad Aleppo dal 2014. Lo abbiamo incontrato a Torino, ospite dell’Associazione Ponte di Pace, a margine del Festival Cinema-ambiente.


D Padre Ibrahim, Aleppo è ancora la città fantasma di un tempo o si sta tornando a vivere in qualche modo?

R Aleppo sembra Varsavia dopo la seconda guerra mondiale. La parte orientale della città è stata rasa al suolo, c’è poca acqua, poche ore di luce, l’economia distrutta, povertà immensa, carenza di cibo, tanta sofferenza e disperazione tra la gente. La situazione è drammatica, non dimenticate la Siria.

D Particolarmente terribile è stata la mancanza dell’acqua in città perchè l’Isis ne aveva bloccato l’erogazione nelle case per far morire i cittadini e costringerli ad arrendersi.

R Per fortuna i pozzi trovati nelle chiese e nei conventi hanno reso un po’ meno difficile l’esistenza. Ma quando l’acqua manca per due o tre mesi di fila, come è successo alcune volte, è una sofferenza grandissima. Io stesso avevo a disposizione appena mezzo litro d’acqua fredda per fare la doccia. Ben più drammatica la situazione che ha colpito migliaia di bambini, molti dei quali sono morti per aver bevuto acqua non potabile e tanti altri vivono con gravi problemi intestinali. L’acqua è un dono prezioso e fondamentale per queste terre. Le guerre future nell’area mediorientale scoppieranno non per il petrolio e il gas ma per l’acqua.

D La ricostruzione di Aleppo fatica a partire mentre dal settore orientale partono ancora missili verso i vostri quartieri a ovest…

R Proprio così, la guerra non è finita. In alcune zone di Aleppo ovest, il settore della città rimasto in piedi anche se colpito e danneggiato più volte, continuano a piovere missili provenienti dalla parte orientale della città dove, tra le macerie, si annidano gruppi di miliziani irriducibili. Il loro obiettivo è terrorizzare la popolazione e ostacolare i lavori di riscostruzione della città. Il 22 dicembre 2016 si era aperto uno spiraglio di pace e le armi improvvisamente tacquero. Aleppo fu dicharata “città libera”. Sembrò un sogno e si ricominciò a camminare per le vie dei quartieri, senza paura. Ma il sogno durò poco, la guerra non era finita, i combattimenti più duri si erano spostati altrove.

D La Chiesa siriana e i francescani della Custodia di Terra Santa sono in prima linea per aiutare i siriani. Cosa avete fatto finora?

R Aleppo resta una grande sfida. Noi francescani di Terra Santa siamo presenti da otto secoli in queste terre e anche adesso siamo chiamati a continuare la nostra missione al servizio dell’uomo che soffre e che non riesce a rimettersi in piedi da solo. Le devastazioni sono davanti agli occhi di tutti. Abbiamo già fatto molto negli ultimi anni ma tanto altro resta da fare per aiutare questa gente ad alleggerire la croce che porta sulle spalle. La Chiesa siriana ha avviato progetti di ricostruzione per le case distrutte. Ad oggi 1200 case sono già state ricostruite. Di fronte a una città paralizzata sotto l’aspetto economico abbiamo sostenuto alcune centinaia di interventi di micro-economia a favore di 400 famiglie e abbiamo pensato alla ricostruzione della persona umana con particolare attenzione ai bambini afflitti da turbamenti di tipo psicologico. Abbiamo aperto un doposcuola per recuperare 150 studenti in difficoltà che, a causa dei tormenti provocati dal conflitto, non riuscivano più a sostenere gli esami.

D La Chiesa locale come punto di riferimento per la popolazione…

R Il lavoro portato avanti dalla Chiesa è di grande importanza per tutti, cristiani e musulmani. Ci siamo mossi subito per rispondere alle esigenze primarie della gente. Sono nati progetti per portare nelle case l’acqua dei pozzi, distribuire migliaia di scatole di generi alimentari, piccoli interventi per aiutare l’economia locale e l’apertura di oratori.


D La Siria sembra avviata verso la spartizione del territorio in zone di influenza. Come vede il futuro della sua nazione ?

R In Siria c’è una massiccia presenza di potenze regionali e internazionali che si combattono sul territorio siriano. Assistiamo a scenari spaventosi che confermano che tutta la Siria si è trasformata in un campo di battaglia. La presenza di almeno dieci eserciti di diversi Stati e di varie potenze e l’escalation degli scontri aerei nel sud del Paese sono segnali molto preoccupanti che ci confermano che la guerra sarà lunga.

D C’è grande preoccupazione per il futuro dei cristiani in Siria e nel resto della regione.

R Ci saranno ancora domani i cristiani in Medio Oriente? È un interrogativo che dobbiamo porci. Il futuro è denso di nubi ma siamo certi della vittoria della vita sulla morte e sentiamo la responsabilità di essere ponte di riconciliazione, perdono e pace.

(dal settimanale “La Voce e il Tempo”)

Per salutare i defunti entra in auto al cimitero e danneggia 10 tombe

DAL VENETO Il cimitero è da risistemare e dieci tombe sono state danneggiate. La causa è un anziano 84enne che,  per salutare i propri defunti, avendo difficoltà a camminare è entrato nel camposanto a bordo della sua utilitaria. Il fatto è avvenuto a Fara Vicentino (Vicenza) dove l’uomo è  entrato nel cimitero ma ha perso il controllo dell’auto finendo nell’area dei loculi interrati sopra ad una decina di tombe, rimaste danneggiate. L’anziano è andato subito dopo in Comune dichiarandosi disponibile a rifondere i danni.

Guidava ma la patente era scaduta da 17 anni

DALLA TOSCANA Nonostante la sua patente fosse  scaduta nel 2001, da ben 17 anni, un automobilista di mezza età, guidava normalmente fino a quando è stato fermato a Foligno dai vigili urbani. Gli è stata quindi ritirata la patente e comminata una multa di 160 euro. Ora per ottenere di nuovo  il documento di guida dovrà sottoporsi alla visita medica.

IN PRIMA CLASSE VERSO LA VITA: “ITALO” REGALA IL VIAGGIO AI CUCCIOLI DELLA CAGNOLINA SEVIZIATA A MORTE IN CALABRIA

Viaggio in prima classe, finanziato da “Italo”, per i cuccioli di “Luce”, la cagnolina seviziata nel Cosentino che, prima di morire, è riuscita a partorire i suoi piccoli. Dimessi sabato dalla clinica veterinaria romana che li aveva in cura e affidati ai volontari della Lega italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente, il giorno stesso i cuccioli hanno viaggiato gratis con i loro accompagnatori sul “no stop” Roma-Milano delle 16,10.

Nel capoluogo lombardo, dove le chances di adozione sono maggiori, inizieranno il percorso che, appena sarà possibile, li condurrà in una nuova casa: sono già numerose le richieste per questi simpatici cagnetti, che, se non fossero intervenuti i volontari della LEIDAA, sarebbero stati condannati a morte sicura dalla mano crudele di individui senza scrupoli. Chi ha voluto disfarsi di Luce, incinta, prossima al parto, l’ha legata per le zampe e semisepolta sotto un mucchio di foglie e rami secchi sul ciglio di una stradina di campagna di Marano Marchesato (Cosenza). Non si sa per quanto tempo sia rimasta così: abbastanza, questo è certo, perché sofferenza e terrore abbiano lentamente provocato il cedimento degli organi interni e alla fine il coma. Doveva spegnersi, con i suoi piccoli non ancora nati. Invece, ancora una volta, la voglia di vivere ha fatto il miracolo. La mamma è morta, quasi tutti i cuccioli sono sopravvissuti.

“Ringrazio la società Italo – afferma l’on. Michela Vittoria Brambilla, presidente di LEIDAA – per il contributo che ha voluto dare, mostrando grande sensibilità, al benessere dei figli di Luce, che hanno potuto affrontare il viaggio nelle condizioni migliori. I piccoli e la loro sfortunata mamma sono protagonisti di una storia che dovrebbe far riflettere tutti e specialmente i colleghi parlamentari. Rilanceremo subito la richiesta che portiamo avanti da sempre, che abbiamo formalizzato nella scorsa legislatura e ripresentato in questa, sotto forma di proposta di legge a mia firma: pene più severe per chi maltratta e uccide gli animali. Tra le altre cose, la proposta aumenta, rispettivamente fino a cinque e sei anni, le pene per il maltrattamento e l’uccisione di animali, mentre diventano “delitti” in senso tecnico le condotte di detenzione in condizioni “insopportabili”, quella dell’abbandono e quella dell’uccisione di esemplari di specie protette, punita anch’essa con sei anni di reclusione”.

Mamma di 24anni allatta il bimbo e si uccide

DALLA CAMPANIA Una  mamma di 24 anni si è uccisa dopo aver allattato il proprio  figlio. La giovane  donna si era recata al sesto piano dell’ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno per allattare il bimbo. Poi è uscita dal reparto, ha aperto la finestra sul balcone e si è lanciata nel vuoto. C’erano altre persone ma nessuna è riuscita ad impedire il gesto. Si ipotizza che il suicidio possa essere dovuto alla depressione post partum.

CARNE DI CANE, DA OGGI IL FESTIVAL DI YULIN (CINA)

“Con il solstizio d’estate torna purtroppo anche il famigerato festival della carne di cane di Yulin. Rinnoviamo oggi – spiega in una nota l’on. Michela Vittoria Brambilla, presidente della Lega italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente – la richiesta che facciamo da anni al governo italiano, e ai suoi partner europei: chiediamo loro di intervenire presso il governo cinese perché questa crudele e inaccettabile manifestazione, condannata in tutto il mondo, sia finalmente fermata. Come associazione, rivolgiamo il nostro appello direttamente all’ambasciatore della Repubblica popolare cinese in Italia, ricordando che altri paesi asiatici hanno bandito il consumo di carne di cane ed auspicando che la Repubblica popolare faccia altrettanto”.

Finti vigili urbani le sfilano 10mila euro dal materasso

DALLA LOMBARDIA

Due finti vigili urbani hanno truffato una pensionata di 89 anni di Pavia . I due sono  entrati in casa con la scusa di effettuare un sopralluogo dopo alcuni furti avvenuti nella zona. La donna derubata ha poi dichiarato nel verbale di denuncia che i due truffatori si sono presentati  in divisa, con tanto di pistola, spiegandole  che volevano controllare se mancava qualcosa dalla sua abitazione.  La pensionata ha mostrato ai due che teneva dei soldi, circa 10mila euro in contanti, in alcune buste sotto il materasso. I falsi vigili l’hanno distratta, le hanno rubato  denaro e sono scappati.

Heysel, Commemorazione a Bruxelles con la Juventus e i familiari delle vittime

 
A 33 anni dalla tragedia dell’Heysel, oggi il Parlamento europeo ha ricordato le vittime della drammatica finale di Coppa dei Campioni del 29 maggio 1985, quando, poco prima dell’inizio del match tra Juventus e Liverpool, persero la vita 39 persone
L’iniziativa è stata promossa dall’eurodeputato Alberto Cirio, insieme all’Associazione Familiari Vittime dell’Heysel e “Quelli di Via Filadelfia”, con i presidenti Andrea Lorentini e Beppe Franzo. Presente anche il gonfalone della Juventus, accompagnato da Paolo Garimberti, presidente dello Juventus Museum, e Gianluca Pessotto, team manager della Primavera Juventus. Con loro anche i rappresentanti di vari club bianconeri e alcuni testimoni.
Proprio sotto la lapide che allo stadio di Bruxelles ricorda i nomi delle vittime, è stata deposta una corona di fiori insieme a una rosa bianca in memoria di Erika Pioletti, la giovane travolta l’estate scorsa in Piazza San Carlo, a Torino, durante la finale di Champions League.
Dopo la commemorazione, la delegazione si è spostata all’Europarlamento per un momento di approfondimento sull’eredità storica e normativa lasciata dall’Heysel e la sicurezza degli eventi sportivi.
«Questo è un tema sempre attuale e non scontabile – ha sottolineato l’eurodeputato Alberto Cirio –Lo affrontiamo qui a Bruxelles perché, nel bilancio Ue, deve essere data priorità anche alla sicurezza di scuole e impianti sportivi. Vanno garantiti fondi agli Stati affinché i comuni possano fare gli interventi sulle proprie strutture. Un genitore deve sapere che, quando i suoi figli sono a fare sport, sono in un luogo sicuro».
«Il nostro è un impegno a ricordare – ha commentato Paolo Garimberti, presidente dello Juventus Museum –, ma anche uno stimolo a fare. A far sì che queste cose non si ripetano e a creare delle strutture di sicurezza, prevenzione ed educazione adeguate. Affinché le nuove generazioni, che non conoscono nulla di certi avvenimenti, sappiano, ricordino e imparino. E le vecchie generazioni evitino di cadere negli stessi errori».
«La Juventus all’Heysel rappresentava l’Italia, quindi questa deve essere considerata una tragedia italiana – ha aggiunto Gianluca Pessotto, team manager della Primavera Juventus –Sarebbe bello che i rappresentanti di altre società sportive potessero partecipare a questo momento di memoria ed emozione».
Tra i ricordi anche quelli di Nereo Ferlat, uno dei sopravvissuti dell’Heysel«Non  posso dimenticare le urla dei tanti disperati che cercavano la salvezza e l’immagine dei corpi accatastati. Bisogna continuare ogni anno ad aggiungere un tassello, in modo che le generazioni future possano capire che con la violenza non si ottiene nulla, non solo sui campi sportivi, ma in tutti i campi della vita».
«Credo che l’eredità dell’Heysel sia innanzitutto, dal punto di vista processuale, la condanna della Uefa, che da quel momento è responsabile degli eventi che organizza, cosa che prima non accadeva – ha sottolineato Andrea Lorentini, presidente dell’Associazione Familiari Vittime dell’Heysel –Dal punto di vista personale l’Heysel mi lascia in eredità anche il gesto di mio padre, che è morto nel tentativo di salvare un bambino rimasto ferito negli spalti».
«Dobbiamo tramandare ai posteri quanto avvenuto all’Heysel – ha aggiunto Beppe Franzo, presidente dell’Associazione “Quelli di Via Filadelfia” –. Perché sia un monito e affinché rimanga accesa la fiamma di queste 39 vittime».