Dall Italia e dal Mondo- Pagina 56

Il proibizionismo del sultano

FOCUS INTERNAZIONALE di Filippo Re

Dopo la guerra dichiarata contro il fumo nei locali pubblici, ora sotto la scure del sultano finiscono vino, birra e superalcolici. Il presidente-padrone della Turchia Recep Tayyip Erdogan si schiera apertamente contro la piaga dell’ alcolismo e i danni alla salute chiedendo ai turchi di cambiare, di adottare stili di vita diversi e di rispettare di più le regole dell’Islam. Per l’ennesima volta nel Paese della Mezzaluna sono aumentate le tasse sul vino, sulle bevande alcoliche e sul raki, un liquore all’anice simile alla grappa diventato una bevanda nazionale. Rigore puritano e clima da proibizionismo, è questa l’aria che si respira nella nuova Turchia presidenzialista e autoritaria del ciclone Erdogan. Il divieto di bere alcol è una norma islamica applicata severamente in tutti gli Stati musulmani ma i tentativi di aggirarla non sono mai mancati, né oggi né in passato. Nella Costantinopoli ottomana tale proibizione veniva spesso violata, si importava vino dai Paesi europei, si coltivavano viti sulle rive del Bosforo e le taverne sul Corno d’Oro erano affollate di poeti, scrittori e storici. Ma anche al vertice dell’Impero il vino scorreva a fiumi. Sultani, gran visir e religiosi islamici maledivano l’alcol in pubblico ma nell’intimità dei palazzi imperiali il vizio del vino non mancava mai. “Che giorno e notte nessuno deponga il calice…che si continui a bere e ad adorare il dolce nettare…anche a Solimano il Magnifico il vino piaceva molto, era vita, allegria e amore, e lo fece entrare nelle sue poesie. Per non parlare di suo figlio, il sultano Selim II, detto il Beone, che un giorno si sbronzò a tal punto da cadere a terra e morire. Ma quando ne scorreva troppo i sultani diventavano improvvisamente rigidi e severissimi contro il consumo dell’alcol. Taverne, osterie e botteghe venivano subito chiuse per tutti, musulmani, cristiani ed ebrei, con pene e sanzioni pesanti in caso di trasgressione del divieto. Ma la chiusura non durava molto, a volte pochi giorni, a volte perfino poche ore. Nella Turchia di Erdogan, l’uomo forte di Ankara, torna la crociata anti-alcol. Chi lo vende o lo produce non ha vita facile e solo nel 2017 sono stati almeno 10.000 i negozi di vino e altri alcolici chiusi per legge.

 

 

Libia: la guerra annunciata e le identiche visioni di Matteo Renzi e Emmanuel Macron

Molto probabilmente quando uno parla, in questo caso Matteo Renzi, non presta attenzione a quello che dice e, a forza di sparare a mitraglia, parole su parole non si rende conto delle gaffe. Così è avvenuto che, in un’intervista televisiva, Renzi abbia detto che la sua visione delle cose (politiche) è come quella di Macron. In effetti i due sono assimilabili, il francese cala, a rotta di collo, nei sondaggi e l’italiano Renzi lo insegue per non arrivare secondo. Eppure gli italiani gli avevano assegnato un’apertura di credito illimitato che lui ha, miseramente, sciupato. Tuttavia, nella sua prosopopea ancora oggi non si rende conto perché glielo abbiano ritirata. Non rendersi conto che “sposare” la linea di Macron ed è altrettanto deleterio ne è una nuova conferma, ma soprattutto gli interessi francesi non sono quelli dell’Italia. Come sia drammatica la visione sulla Libia di Emmanuel Macron per il nostro Paese lo stiamo vedendo e ancor più lo registreremo a breve. Dopo il disastro di Nicolas Sarkozy che aveva creato il disastro facendo cadere il dittatore libico Mohamed Gheddafi, il peggio è arrivato, ma non avrà mai fine perché ci pensa Macron ( ribattezzato in Francia Macroncino, all’italiana) ad aggravarlo. L’attivismo del presidente francese lo ha portato in Lussemburgo per un pranzo con i tre premier del

Benelux, seguito da una «consultazione con i cittadini» alla Filarmonica, a Marsiglia ha accolto la Cancelliera Merkel, preceduta da una visita ufficiale in Danimarca e Finlandia. Vale a dire, sono stati frutto di attenzione già 14 dei 28 Paesi dell’Unione, ma ci si aspetta il completamento del tour. Un super attivismo spiegabile solo con le prossime elezioni europee, a primavera 2019. Votazioni cruciali per l’Europa, ma anche per la carriera politica dell’unico capo di Stato che si è impegnato a fondo per rilanciare l’integrazione del continente. I sondaggi per lui sono invece preoccupanti: a otto mesi dal voto il suo partito è in calo di due punti e si attesta al 20% dei suffragi, davanti al Rassemblement national (ex FN) che lo segue al 17%, con la destra dei Républicains stabile al 15%, seguiti al 14% dalla France Insoumise, protagonista di un balzo in avanti di tre punti. Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon vogliono trasformare le prossime elezioni europee in un referendum contro Macron, se malauguratamente in Libia le cose dovessero peggiorare, i sondaggi subirebbero un ulteriore peggioramento. Lui (il divin Macron) accetta la sfida e come Mattero Renzi si sente invincibile. Appunto!

Tommaso Lo Russo

 

Cresce il commercio online

Il commercio on line cresce  in Italia rispetto allo scorso anno. Lo rilevano i dati di uno studio della Camera di commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi incentrato sul registro delle imprese. La crescita è del +58% per la Lombardia e +68%  nel resto delle regioni negli ultimi cinque anni, e il settore impiega quasi 6 mila addetti in Lombardia su 26 mila in Italia. Milano è capofila con 1.378 imprese e circa 4 mila addetti. Sono 17.432 le imprese specializzate, in crescita del 9% l’anno e del +68% in cinque anni. Quasi un’impresa su quattro tra chi vende su internet è giovane (24%).

Turchia e Russia sempre più vicine

FOCUS INTERNAZIONALE di Filippo Re

Ha già un piede fuori dalla Nato la Turchia, come sostengono diversi osservatori politici e militari? Siamo alla vigilia di un colossale sconvolgimento della struttura dell’Alleanza Atlantica che lascerebbe scoperto il suo fianco sud-orientale finora protetto dalla potenza anatolica? Lo zar di Mosca, già presente e forte in Siria e nel Mediterraneo orientale, ne approfitterebbe subito per colmare il vuoto strategico-militare che si aprirebbe Asia Minore e per rafforzare l’alleanza con il sultano di Ankara. Le tensioni crescenti tra i turchi e gli americani si sono spostate dal piano politico-diplomatico a quello militare. I toni sempre più accesi nel braccio di ferro tra Erdogan e Trump hanno convinto Mosca a vendere ai turchi i sofisticati missili anti-aerei S-400 ( i primi arriveranno all’inizio del 2019)) che mettono in forte imbarazzo i vertici della Nato e costringono Washington a rivedere la consegna ad Ankara dei caccia F-35 promessi tempo fa dal Pentagono. Ma russi e turchi sono così stretti amici e alleati da frantumare un pezzo vitale della Nato, cambiare gli equilibri mondiali e avviare una nuova era nelle relazioni internazionali est-ovest? Siamo forse arrivati a un bivio. “Un tempo, ha scritto Bernard Henri Levy, ci si interrogava sull’opportunità di far entrare o meno la Turchia in Europa. Ma quel giorno il nuovo problema da porsi sarà se non diventi opportuno di farla uscire dalla Nato”. Se l’Organizzazione atlantica ha seri problemi al suo interno con un pilastro importante che diventa una semi-dittatura, si allontana dall’Occidente, scappa a Oriente e si avvicina a quelle potenze che ha combattuto per secoli, la Russia e la Persia, non è detto che il patto trilaterale Mosca-Ankara-Teheran sia così forte come sembra. Ne sapremo qualcosa di più il 7 settembre quando Putin, Erdogan e l’iraniano Rouhani si incontreranno nella capitale iraniana per fare il punto sulla situazione nella provincia di Idlib, teatro di un’ offensiva congiunta siro-russo-iraniana per cacciare dalla città gli insorti filo-turchi e milizie qaediste. La guerra siriana infatti non è ancora del tutto finita e rischia di compromettere le relazioni proprio tra questi tre Stati che nel Levante hanno creato una triplice alleanza per contrastare i piani degli americani, delle monarchie del Golfo guidate dall’Arabia Saudita e dagli israeliani in chiave anti-iraniana.

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L’alleanza di Astana, di Sochi e di Ankara tra i tre grandi imperi del passato mostra preoccupanti scricchiolii quando si entra nel vivo delle questioni da trattare, dalla situazione nel Siraq allo scontro politico con Riad e ai rapporti sempre più tesi con l’Occidente. Tra sorrisi e strette di mano, attriti e divergenze, Putin, Erdogan e Rouhani proseguono lungo la strada tracciata nelle steppe asiatiche ben sapendo che dovranno scendere a delicati compromessi quando i nodi siriani verranno al pettine. Tra turchi e russi e tra turchi e iraniani i dissidi non mancano. L’intesa tra lo zar e il sultano anatolico è in questo periodo molto robusta se pensiamo che solo tre anni fa i due Paesi rischiarono uno scontro armato dopo l’abbattimento di un jet russo da parte dei turchi al confine con la Siria. Poi scoppiò la pace e oggi Putin cerca di dare una mano a Erdogan in forte difficoltà sul piano economico e finanziario dopo il crollo della lira turca e il drastico rialzo dell’inflazione. Ma sulla Siria è scontro. Il presidente russo, alleato di Bashar el Assad e vincitore della guerra siriana, pretende che i militari di Ankara se ne vadano dalla provincia di Idlib, ancora in mano alle milizie filo-turche e ai reparti inviati da Erdogan, per consentire alle truppe di Damasco di occupare l’ultima enclave ribelle. Motivi di preoccupazione non mancano neppure nella regione curdo-siriana attorno alle città di Afrin e di Manbij occupate dai carri armati turchi che si trovano a poca distanza da basi militari russe e americane. Se ne andranno i soldati della Mezzaluna da queste zone senza guastare l’intesa con russi e iraniani la cui presenza militare è sempre più ampia nel teatro siriano? La crisi turca frenerà le folli ed eccessive ambizioni dell’uomo forte di Ankara? In difficoltà sul piano interno, Erdogan viene soccorso dai russi e dall’emiro del Qatar che, con un atto dovuto, ha staccato un assegno di 15 miliardi di dollari per aiutare il suo alleato turco che un anno fa si schierò a difesa di Doha isolata economicamente dall’Arabia Saudita e dagli altri Paesi sunniti del Golfo per le sue posizioni filo-iraniane. Reggerà la triplice intesa per pacificare la Siria insieme agli sforzi dell’Onu che sembra però scavalcata dalle potenze direttamente coinvolte nel conflitto? Si direbbe quasi che il patto tra Ankara e Mosca e l’asse tra Ankara e Teheran risultano deboli e perfino eccessivi se guardiamo al passato. Nella Storia troviamo spesso gli elementi per capire ciò che accade oggi e proprio gli eventi dei secoli scorsi ci ricordano che le relazioni tra questi tre antichi imperi sono state molto più bellicose che collaborative e pacifiche. I sultani del Bosforo, gli zar russi e i persiani si sono confrontati e scontrati per lungo tempo sullo scacchiere tra l’Europa e l’Asia e si contendono tuttora il dominio sull’Oriente. A partire da Ivan IV “il Terribile” zar e sultani si sono combattuti in una decina di guerre tra il Cinquecento e il Novecento e tragici eventi restano scolpiti nella memoria storica turca, russa e iraniana. Come la battaglia di Caldiran del 1514 quando il sultano Selim I sterminò decine di migliaia di sciiti persiani della dinastia Safavide oppure quando furono i persiani a devastare e bruciare l’intera Anatolia mettendo a rischio la sopravvivenza stessa della potenza turca. I Safavidi divennero per tre secoli i nemici più temibili sul confine orientale dell’Impero ottomano. Le atrocità compiute su entrambi i fronti sono rimaste impresse nella storia delle due nazioni che per centinaia di anni hanno cercato di distruggersi a vicenda. Si odiavano, come da sempre si odiano sunniti e sciiti. Sta di fatto che solo nel giugno 2002 un presidente della Mezzaluna si è recato in visita ufficiale nella Repubblica islamica degli ayatollah. Fu Ahmet Sezer che è stato anche il primo capo di Stato turco a recarsi a Tabriz in tre secoli. Nonostante le posizioni siano state spesso diverse sul Medio Oriente e sullo scenario mondiale, ultimamente tra i due Paesi c’è stato un sostanziale riavvicinamento. Il viaggio di Erdogan in Iran nell’ottobre dello scorso anno per fare il punto sulla crisi siriana e sulle questioni regionali è stato un evento di grande importanza nella geopolitica mediorientale. Il confronto tra russi, turchi e iraniani prosegue nel terzo millennio ed è la chiave di lettura per mettere a fuoco quel che accade oggi nel Levante e in Medio Oriente.

 

dal settimanale “La Voce e il Tempo”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La storia (a lieto fine) dell’elefante Maya

Tra i parchi zoologici riconosciuti dalla legge in Italia, circa una cinquantina, il Safari Park Lago Maggiore (Pombia-Novara) si impegna a portare avanti i progetti legati alla tutela degli animali


Uno di questi si chiama SOS Elefanti Onlus, una fondazione senza fini di lucro istituita nel luglio 2011 con lo scopo di promuovere la conservazione degli elefanti del Borneo. La missione di SOS Elefanti Onlus è quella di fornire supporto tecnico e finanziario ai programmi di gestione e protezione degli elefanti presenti nelle loro rispettive aree. SOS Elefanti si occupa inoltre dell’assistenza nella gestione di zone protette per elefanti e del supporto alle iniziative di riproduzione in cattività e ai programmi di ricerca condotti nei Paesi di origine dell’elefante del Borneo. Una parte dell’incasso dell’ingresso al parco viene destinata proprio al finanziamento di SOS Elefanti per l’acquisto di equipaggiamento, nutrimento e tutto ciò che è necessario per la tutela e la conservazione degli elefanti. Grazie a SOS Elefanti Onlus, lo scorso giugno al Safari Park Lago Maggiore è arrivata Maya, un bell’elefante femmina di razza indiana, la più comune delle quattro sottospecie di elefante asiatico che arriva a misurare fino a 6,5 m di lunghezza per 3 metri di altezza e 5 tonnellate di peso.
Classe 1968, Maya sembra portare dentro lo spirito e il carattere forte di chi lotta per conquistare i propri diritti… e lei ci è riuscita! Liberata a Marsiglia, Maya è arrivata in Italia al Safari Park Lago Maggiore denutrita, con un’artrosi agli arti posteriori ed una brutta infezione all’arto posteriore destro. Da subito nutrita e curata, Maya ha ora una casa e tutto l’amore che fino a pochi mesi fa gli è stato negato. Grazie ad SOS Elefanti nuove stalle e alloggi sono stati costruiti per ospitare Maya, un luogo accogliente in cui si può muovere in tutta libertà senza essere disturbata dal pubblico. In futuro, solo
quando Maya sarà pronta, altri elefanti che come lei non sono stati fortunati nella vita, arriveranno a
farle compagnia. Lo staff esperto di Safari Park Lago Maggiore che già negli anni passati si è occupato delle cure e del reinserimento nel proprio habitat di alcune specie animali (ricordiamo il caso delle tigri siberiane Drako e Kuma), sta riservando a Maya una dieta a base di verdure ed integratori che in poco tempo la renderanno più forte. Safari Park Lago Maggiore non ha voluto comunicare immediatamente l’arrivo di Maya per tutelarne  la sua incolumità e per proteggerla dall’occhio curioso di un pubblico che, seppur affettuosamente, non vede l’ora di conoscerla e di fare il tifo per lei. Maya ha bisogno dell’appoggio e dell’incoraggiamento di ognuno di noi! Presto sarà attiva una pagina a lei dedicata sul sito www.safaripark.it. Seguitela anche sulla pagina Facebook del parco: @pombiasafaripark. E non dimenticate gli hashtag #sosteniamomaya #soselefanti.

Arriva Watch, la tv di Facebook

Sbarca in tutto il mondo, anche in Italia, Facebook Watch, la tv del social network già lanciata negli Usa da un anno. Si tratta di una sfida del più popolare social network  alla tv tradizionale e anche a YouTube, Amazon e Netflix. Da oggi Facebook Watch è disponibile ovunque, per dare agli utenti di tutto il mondo un nuovo modo di scoprire video e interagire con gli amici. “Watch – spiegano i responsabili di Facebook – significa nuove opportunità per i creatori e gli editori di tutto il mondo anche per fare in modo che più partner possano guadagnare dai loro video”. Per raggiungere il servizio su iOS e Android bisogna cercare l’icona Watch sulla piattaforma. E’ disponibile anche su Apple TV, Samsung Smart TV, Amazon Fire TV, Android TV, Xbox One e Oculus TV.

Istanbul, come cambia piazza Taksim

FOCUS INTERNAZIONALE  / di Filippo Re

Nella Turchia che cambia radicalmente mutano aspetto e scenografia anche i luoghi simboli della laicità storica del Paese della Mezzaluna. Come accade nella famosa piazza Taksim a Istanbul, la piazza delle proteste e delle manifestazioni antigovernative del Gezi Park, trasformata in un maxi cantiere. Tra qualche mese, o al più tardi nel prossimo anno, stambulioti e turisti entreranno in una piazza totalmente diversa. Il Centro culturale Ataturk è stato demolito e, pur continuando a essere la sede del Teatro d’Opera con sala da concerti per 2500 persone, ospiterà anche biblioteche, sale per conferenze e mostre, cinema e teatri, caffè e ristoranti sulla terrazza panoramica, librerie e negozi. Una specie di 8 Gallery stambuliota. La facciata del nuovo modernissimo palazzo servirà per proiettare sulla piazza gli spettacoli interni. Un progetto in stile erdoganiano, grandioso come al solito. E non è l’unica novità. Dall’altro lato di piazza Taksim sta sorgendo una nuova moschea dal profilo avveniristico come ben si nota nella fotografia del progetto. Alta 30 metri su una superficie di 1500 metri quadrati accoglierà anche una sala per incontri culturali e disporrà di un parcheggio sotterraneo. I lavori, iniziati lo scorso anno, dovrebbero concludersi nel 2019. Una moschea fortemente voluta dal ciclone Erdogan, padre-padrone di una Turchia che comincia già ora a prepararsi e ad abbellirsi per festeggiare il centenario della Repubblica ma che nel frattempo risveglia i timori di un’islamizzazione sempre più profonda della società turca guidata da un presidente, al comando della seconda

. (AP Photo/Thanassis Stavrakis)

potenza della Nato dal 2002, che dopo le elezioni del 24 giugno detiene poteri quasi assoluti e sta trasformando la Mezzaluna in un sultanato anatolico. In realtà l’idea di una moschea in piazza Taksim non è nuova. Ci aveva provato negli anni Novanta l’ex premier islamista Necmettin Erbakan ma fu bloccato dalla forte opposizione degli ambienti laici kemalisti che avevano bocciato il progetto. Erbakan non ebbe quella fortuna che oggi ha il “sultano” Erdogan in un contesto politico e religioso assai diverso da quello di alcuni decenni fa. Il nuovo tempio islamico nasce a pochi passi dalla chiesa greco-ortodossa della Santa Trinità, sulla Istiklal Caddesi, la celebre via del quartiere, e nelle intenzioni di Erogan, ex sindaco di Istanbul, vuole essere un simbolo del dialogo inter-religioso. Ma c’era davvero bisogno di una nuova faraonica moschea in una megalopoli stracolma di luoghi di culto musulmani, compresa l’area attorno a piazza Taksim? Erdogan non ha dubbi e l’edificazione di nuove moschee è necessaria per marcare in profondità il territorio e limitare gli spazi lasciati alla laicità. Il disegno erdoganiano di dare al Paese un’impronta più religiosa e conservatrice passa anche attraverso le trasformazioni architettoniche e urbanistiche.

 

 

Scontro auto – tir: due morti carbonizzati

DALL’UMBRIA Due morti carbonizzati a causa di un incidente avvenuto questa mattina sulla carreggiata nord dell’Autosole tra Orvieto e Fabro. Il  tratto è ora chiuso al traffico dalla polizia stradale. Le vittime erano su un’auto che si è scontrata per motivi ancora da accertare  con un grosso  camion che si è ribalto incendiandosi.  Il camion occupa  parte della carreggiata sud nella quale il traffico passa  solo sulla corsia di emergenza. Si sono formate lunghe code .

“La lumaca e il tamburo”, un viaggio lento tra Trieste e i Balcani

trieste-tamburo-3Trieste, molo Audace. Quello che al tempo dell’Impero si chiamava “San Carlo” e che prese il nome della prima nave italiana che attraccò lì, nel porto della città dalla “scontrosa grazia”, il 3 novembre del 1918. Da lì parte  ( e lì finisce) un viaggio a piedi di una donna incinta e di un uomo malato ( “confini estremi della vita”) che arriverà in Bosnia, passando per Slovenia e Croazia, varcando confini ufficiali e non, attraversando terre cattoliche, ortodosse e “meticce”, fino a quelle dell’islam europeo, laico e aperto, e in  quanto tale  ignorato e offeso. “La lumaca e il tamburo”  racconta l’ultimo viaggio di Paolo Vittone, giornalista della redazione esteri di Radio Popolare, morto di cancro a 46 anni, il 23 agosto 2009. Un itinerario, in auto e a piedi, da Trieste al “ventre” della Bosnia, in quei Balcani che conosceva come le sue tasche. Un libro postumo, prezioso, realizzato come una delle più testarde sfide alla morte che stava per strapparlo agli affetti e alle amicizie. Paolo Vittone amava profondamente le terre sulle sponde orientali dell’Adriatico e , dopo averci lavorato come inviatodurante la guerra nell’ex-Jugoslavia, decise di riattraversarle in tempo di pace, lentamente, con un passo da lumaca, accompagnato da Elisa Iussig, che – con  i suoi disegni –  ha arricchito il libro. trieste-tamburo-4Lei era incinta, lui malato terminale, sofferente:  quasi per un incredibile disegno della sorte, s’incrociarono le strade di una vita che iniziava e di una che andava verso la fine. Il sottotitolo del libro ( “favola di un viaggio alla riconquista del tempo”) descrive bene l’andare con lentezza di Paolo Vittone alla riconquista del tempo. Una straordinaria lezione che ci dice come non sia mai troppo tardi incamminarsi nella ricerca delle proprie emozioni, dei luoghi e delle storie che si sono amate come quelle della “terra degli slavi del sud”, etnicamente purificate o ancora meticcie, lungo il crinale che separa la cultura del mare e quella della terra. Gli ultimi mesi di vita, Paolo li trascorse a Trieste. Una scelta che motivò così, in una lettera all’amico Paolo Rumiz, giornalista come lui: “Sai bene che vengo a Trieste a vivere, ma con ogni probabilità a morire… Vengo a Trieste perché è al confine delle terre della mia e nostra anima ed essere più vicino mi fa pensare che tornerò almeno una volta a sentire la Neretva, ad ascoltare il muezzin dalla moschea del Beg e annusare i cevapi e la pita in Baščaršija, che forse vedrò persino ancora una volta il vecchio amico Hilmo. Vengo a Trieste perché per le sue strade i vocaboli si mescolano, perché solo a Trieste le scintille si chiamano falischee i gabbiani imperiali cocài”.

trieste-tamburo

E Rumiz, nell’introduzione a “La lumaca e il tamburo”, scrive: ”Avevamo condiviso il mito della Bosnia, della sua resistenza antinazista, dei suoi boschi, delle sue donne e dei suoi briganti, della leggenda nera che la pervadeva, di un islam capace di coesistere con cattolici, serbo-ortodossi ed ebrei. In Bosnia era stato per lui fatale tornare. Era bastata una mappa al 100.000 del territorio fra Trieste e Bihać perché tutto gli apparisse chiaro. Era su quel percorso che doveva partire la sua riconquista del tempo. La volle e la realizzò, travolgendo gli ostacoli come sempre. Dopo il viaggio conquistò calma e persuasione di sé… Sapeva di avere la Signora alle calcagna e non voleva trieste-tamburo2sfuggirle, ma semplicemente farsi trovare al posto giusto”. Ad ogni tappa del viaggio raccontato ne “La lumaca e il tamburo” s’incontrano persone, volti segnati dalla fatica e cotti dal sole, scoppi di gioia e incredibili malinconie, boschi, montagne e fiumi, delicati tramonti balcanici e musiche d’ottoni, suoni di campane e canti dei  muezzin nell’ora della  preghiera. Paolo Vittone appuntava tutto su un block notes ma non si limitava a questo: da buon giornalista radiofonico, portava sempre con sé il registratore. Imprimeva sul nastro le voci, i suoni e il fiato profondo delle terre che dal Carso e dall’Istria scendono fino alla foce della Neretva. Per non dimenticare nulla, portando tutto dentro di se e lasciando a noi un testamento prezioso, denso di emozioni e significati.

 

Marco Travaglini

Blatte e scarafaggi, incubo per gli italiani

 Un’indagine condotta da Doxa per l’Osservatorio Rentokil ha rivelato che uffici, bagni pubblici e palestre sono fra gli ambienti dove è più facile imbattersi in infestanti di varia natura

La fine delle ferie è uno dei periodi dell’anno più difficili da affrontare: riprendere con la routine quotidiana, affrontare il lavoro in ufficio e la palestra la sera fanno sentire da subito la nostalgia per la spensieratezza e la libertà delle vacanze. Cosa potrebbe peggiorare questo scenario? La risposta arriva da una recente ricerca che Rentokil Initial, leader mondiale in disinfestazione e derattizzazione, ha commissionato a Doxa con l’obiettivo di indagare in modo approfondito sentimenti e comportamenti degli italiani in rapporto alla presenza di infestanti, in particolare nei luoghi frequentati abitualmente. Dall’indagine[i] è emerso come proprio uffici, bagni pubblici, palestre e mense aziendali possano diventare “posti da incubo” per molti italiani perché sono ambienti dove, dichiarano, è capitato spesso di imbattersi in insetti di varia natura.  D’altra parte, è anche emerso che bagni pubblici, mezzi pubblici e spogliatoi di palestre e piscine sono i luoghi dove, secondo gli Italiani, è maggiormente elevato il rischio di contrarre malattie o infezioni a causa della scarsa igiene. “Se si dice la parola ‘igiene’, la prima cosa a cui pensano gli Italiani è ‘salute’. Analizzando i dati raccolti nel corso dell’indagine, emerge come il concetto di salute si declini in differenti aree di attenzione. Il binomio igiene-salute viene prima di tutto associato alla ‘cura di sé’ per 7 intervistati su 10, seguita dalla ‘cura e sicurezza degli ambienti e de gli alimenti’, intesa come assenza di malattie/infezioni e contaminazioni/intossicazioni, per 6 italiani su 10; al terzo posto troviamo ‘l’assenza di parassiti o insetti’ per ben 4 persone su 10” – commenta Paolo ColomboResearch Manager Doxa. “Inoltre, se ‘l’assenza di parassiti o insetti’ viene associata al concetto di igiene come prima risposta solo dal 4% degli intervistati, quando si considera il totale delle risposte questo dato sale al 41%, a confermare il legame fra i due concetti nella percezione degli Italiani”. Andando più a fondo nella ricerca, i dati rivelano che gli insetti striscianti come blatte e scarafaggi dominano la classifica degli “ospiti più sgraditi” con il 75% delle risposte, seguiti da ratti e topi (69%) e pulci e zecche (68%). Il primato di questi insetti si deve non solo al sentimento di disgusto che sono in grado di generare nel 63% degli italiani, ma soprattutto al fatto che la loro presenza è considerata sinonimo di scarsa igiene per il 71% degli intervistati, e quindi potenziali veicoli per la trasmissione di malattie e infezioni. In generale, quasi la metà degli italiani (45%) presuppone di trovare insetti striscianti nei luoghi chiusi come uffici, bagni pubblici e palestre e, effettivamente, i dati confermano questa ipotesi: il 36% ha infatti dichiarato di averli incontrati in un bagno pubblico, il 24% in ufficio, il 21% in palestra e il 15% in mensa.  La palestra, in particolare, è uno degli ambienti dove non si è disposti a mostrare indulgenza rispetto a igiene e disinfestazione, come affermato dal 64% delle persone la cui prima reazione, immaginando di trovare una blatta o uno scarafaggio nello spogliatoio, sarebbe quella di andare via e non tornare mai più. Decisamente più tollerati nei luoghi pubblici chiusi, invece, gli insetti volanti per un italiano su due, forse anche per una maggiore abitudine a trovarseli intorno: il 47% delle persone intervistate ha confermato di averli visti in ufficio, il 36% nei bagni pubblici, il 30% in palestra e il 27% in mensa. Per questi infestanti, inoltre, l’equazione “presenza di insetti=scarsa igiene” è meno forte e infatti zanzare, calabroni, api e vespe si trovano in fondo alla classifica, rispettivamente con il 6%, 4% e 3% delle risposte. Fanno invece eccezione le mosche con il 24%. L’unico “rifugio” sembra essere la propria casa: in fatto di igiene, secondo 8 italiani su 10, la propria abitazione è il luogo sicuro per eccellenza, con un rischio di contrarre malattie e infezioni molto basso. Inoltre, la casa è l’ambiente dove gli italiani non vorrebbero mai trovare infestanti, con percentuali che vanno dal 72% per gli insetti volanti all’83% per gli insetti striscianti.