Dall Italia e dal Mondo- Pagina 43

Con Bancoposta buoni e libretti postali anche in mobilità

Una nuova funzionalità dell’App

 

I prodotti del risparmio postale entrano a pieno titolo nell’era digitale: da oggi, infatti, la App Bancoposta, disponibile per dispositivi iOS e Android e scaricabile gratuitamente da App Store o Google Play, aggiunge alle sue numerose funzionalità quelle dedicate ai buoni e ai libretti postali. Grazie alle nuove funzionalità dell’App Bancoposta è possibile non solo controllare il saldo e la lista movimenti dei libretti postali, ma, per il Libretto Smart sottoscrivere e gestire i buoni fruttiferi postali, associare l’IBAN del proprio conto corrente bancario al libretto per trasferire denaro sullo stesso, attivare le offerte “Supersmart” che rendono ancora più convenienti i libretti postali e ricaricare la propria Postepay . Anche nell’era di Internet e dei social, i prodotti del risparmio postale mantengono le caratteristiche di semplicità e trasparenza che hanno consentito loro di conquistare e mantenere nel corso degli anni la fiducia dei risparmiatori italiani: l’ammontare complessivo del risparmio postale è di circa 323 miliardi di euro, e sono oltre 26 milioni gli italiani che possiedono Buoni o Libretti Postali. I prodotti del risparmio postale sono emessi dalla Cassa Depositi e Prestiti, garantiti dallo Stato Italiano e collocati in esclusiva da Poste Italiane. I Buoni Fruttiferi Postali consentono di investire anche piccole somme, non hanno spese di emissione, gestione o rimborso ad eccezione degli oneri di natura fiscale, sono esenti da imposta di successione e sono soggetti ad una tassazione agevolata del 12,50%. I Libretti di risparmio postale sono disponibili in diverse versioni, comprese quelle dedicate ai minori e quella denominata “Smart”, che consente una gestione anche on-line e di accantonare in tutto o in parte le somme depositate godendo di una remunerazione maggiore rispetto al tasso base, il tutto, anche in questo caso, in assenza costi ad eccezione degli oneri di natura fiscale.

 

 

 

Pasqua a Matera e in Basilicata

La Basilicata, come scrive Giovanni Bronzini che con Ernesto De Martino ha maggiormente studiato questo aspetto della regione, “si presenta rispetto alla tradizione popolare come un’area prevalentemente conservativa”,.  Nelle campagne, soprattutto del materano, sopravvivono usi e tradizioni la cui origine si perde nella notte dei tempi. 

Tra questi sono da annoverare i Riti della Settimana Santa.

Proprio a Matera, con  “Mater Sacra”, si ambienta nei Sassi la struggente rievocazione della passione di Cristo. Momento di grande coinvolgimento emotivo che vede protagonista la Murgia e l’intera Gravina con la riproposizione della crocifissione di Gesù e dei due ladroni. Un evento che regala al visitatore lo stupore di una narrazione  raccontando la resurrezione del Signore. Sulla murgia materana andrà in scena lo spettacolo della morte, della deposizione sino all’annunciazione di una nuova vita portata dal Figlio dell’Uomo.

Nel resto della regione, nella giornata del Venerdì Santo vi sono manifestazioni religiose esterne, fuori dalla Liturgia Ufficiale.A farla da padrone, sono le cosiddette Sacre Rappresentazioni con personaggi viventi. bDa segnalare sono quelle che si svolgono nel comprensorio Vulture-Melfese a Barile, Rapolla, Rionero, Atella, Maschito e Venosa. Particolarmente importante è la “Via Crucis” che si svolge a Barile, centro di origine “arbëreshë”, cioè albanese, come Maschito, Ginestra, S. Costantino Albanese e S. Paolo Albanese.

A Barile, coerentemente con l’origine albanese della rappresentazione, uno dei principali figuranti nella Via Crucis è infatti la “Zingara”, una bella ragazza del paese che veste un abito tradizionale albanese ed è ricoperta da gioielli prestati dalle famiglie più abbienti (un chiaro richiamo quindi al popolo fondatore della cittadina).  Nel solco del richiamo alle origini, il personaggio della “Zingara” è presente anche nella Via Crucis vivente che si svolge a Maschito; ma anche a Rapolla, Rionero e Ripacandida, pur non avendo la stessa origine, la “Zingara” è uno dei personaggi chiave delle Sacre Rappresentazioni lucane.

Marito e moglie uniti per 60 anni ma sepolti in cimiteri diversi

DALLA LOMBARDIA

Marito e moglie uniti per sessant’anni nella vita ma dopo la morte separati dal Comune di Milano. I due anziani milanesi erano morti a soli cinque mesi di distanza, quando i familiari si sono visti negare la richiesta di ricongiungimento delle salme nello stesso cimitero per ragioni burocratiche in relazione alla esigua disponibilità di spazi per l’inumazione e la tumulazione attualmente presenti nel cimitero di Baggio. I figli: ” non capiamo come in una regione che  prevede anche la possibilità di poter seppellire gli animali domestici a fianco dei padroni, non si permetta a marito e moglie di riposare insieme”.

ITALIA QUART’ULTIMA IN EUROPA PER L’USO DI INTERNET

I dati Eurosat rilevano che gli italiani si sono piazzati solo quart’ultimi in Europa per l’impiego di internet, con il 74% di connessioni rispetto all’85% degli europei. Il web è utilizzato dagli italiani soprattutto per le email (57%), per vedere video (52%) e per i social network(46%). Gli  europei nel complesso usano internet in particolare per la posta elettronica (73%), poi per cercare informazioni su beni o prodotti (70%), per guardare video (57%) e social (56%).Sono i danesi  i più in rete d’Europa  con il 98% di utenti tra i 16 e i 64 anni) seguiti da lussemburghesi (97%) e olandesi (95%), invece i più disconnessi dei 28 Paesi sono i bulgari (65%).

Quando Salah ad-Din umiliò i crociati

Corni di Hattin, con vista sul lago di Tiberiade, 4 luglio 1187. Su queste modeste colline si consumò la disfatta dell’esercito crociato contro la cavalleria musulmana di Salah ad-Din, il Saladino, sultano di Egitto e Siria, che stava per conquistare Gerusalemme. Su queste alture della Galilea, senz’acqua, arse dal sole e dove non cresce nulla, i musulmani annientarono i cristiani, la tenda rossa di re Guido di  Lusignano lasciò il posto alla tenda verde del Saladino. Su queste rocce scorse molto sangue cristiano e al nobile crociato franco, avventuriero e razziatore senza scrupoli Rinaldo di Chatillon, venne mozzata la testa dal sultano curdo in persona, davanti alla sua tenda. La reliquia della Vera Croce, portata in battaglia, cadde nelle mani degli infedeli. Tutto ciò accadde su questa collina rocciosa alta una trentina di metri con due cime, passate alla storia con il nome di “Corni di Hattin”, dove si svolse la battaglia che precedette di tre mesi la presa della Città Santa, ovvero il trionfo dell’Islam sulla Cristianità. Un pezzo importante di tutta la storia delle Crociate. Mentre le truppe del Saladino guadavano il fiume Giordano, l’esercito crociato avanzava verso Tiberiade. Stanchi, appesantiti dalle armature, assetati e sfiniti da temperature che oscillavano tra 40 e 45 gradi, e mal consigliati dal Gran Maestro dei Templari, sistemarono l’accampamento ai Corni di Hattin, in un luogo privo di acqua, dove il sentiero scende verso il lago. Un pozzo in verità fu trovato ma era asciutto. Anche i guerrieri saraceni si fermarono nei dintorni di Hattin ma il Saladino, che ben conosceva il territorio, scelse una zona ricca di pascoli e acqua. L’errore commesso costerà molto caro ai crociati che passarono una notte tormentata mentre i musulmani, assaporando già il gusto della vittoria, diedero fuoco agli arbusti secchi affumicando il campo crociato. Fu un calvario per uomini e cavalli. Atterriti e fiaccati dall’aria irrespirabile e dalla sete, i cristiani cercarono di evitare l’accerchiamento nemico e di raggiungere il lago di Tiberiade ma pochi ci riuscirono. In quel torrido sabato 4 luglio l’esercito cristiano fu circondato, e “neppure un gatto avrebbe potuto sgusciare attraverso la rete” annotò il cronista dell’epoca. I cavalieri si radunarono in cima alla collina e combatterono eroicamente sperando in un miracolo. Vennero massacrati quasi tutti, altri si arresero e vennero risparmiati, tranne i prigionieri Templari e Ospitalieri che furono subito trucidati da un gruppo di fanatici sufi che non aspettavano altro. I cadaveri di cristiani e musulmani (almeno 15.000 morti tra i crociati) rimasero sulla collina trasformata in un campo di battaglia e i loro corpi furono straziati da iene e sciacalli. Tanti furono i crociati morti in combattimento e poi venerati nei secoli come martiri. Ai Corni di Hattin venne distrutto il più forte esercito che il regno di Gerusalemme avesse mai riunito e il vincitore era il condottiero più famoso di tutto il mondo islamico. Oggi, ad Hattin, è rimasta un’altura, con erba secca e giallastra, un caldo opprimente, un gran silenzio e la memoria di una storica e tragica battaglia. “Se ci va, non dimentichi l’acqua…” mi disse una donna di Tiberiade, a cui avevo chiesto di indicarmi la strada più breve per raggiungere la collina. Faceva molto caldo quel 4 luglio di 830 anni fa. Il nostro cammino per le fortezze della Terrasanta prosegue scendendo poco a sud del lago di Tiberiade per trovare ciò che resta del castello crociato di Belvoir collocato in una posizione ideale e strategica per controllare dall’alto la valle del Giordano. La fortezza, costruita in cima a una montagna dai Cavalieri ospitalieri di Gerusalemme nel 1168 e ammirata anche da Lawrence d’Arabia, rimase imprendibile per lungo tempo e resistette a tanti assedi prima di essere presa e distrutta da Saladino nel 1189, due anni dopo la sua vittoria nella non distante Hattin. Belvoir fu abbandonato dopo la conquista del sultano mamelucco Baibars. Risalendo a nord del “Mar di Galilea”, come veniva chiamato il lago di Tiberiade, raggiungiamo il “Guado di Giacobbe” (Vadum Jacob) dove sorgeva il castello templare di re Baldovino IV sul Giordano nell’alta Galilea. La roccaforte ebbe però vita breve tra il 1178 e il 1179: fu eretta dai crociati in pochi mesi e poi demolita dal Saladino che, dopo la conquista, si accanì in particolare contro i templari catturati facendoli uccidere immediatamente. Della fortificazione resta soltanto una parte del muro circostante insieme a resti di scheletri, punte di freccia, monete e utensili da lavoro. Sempre più a nord, arriviamo alle sorgenti del Giordano, e a pochi chilometri a nord-est di Banyas, ci accolgono, imponenti e maestose, le rovine di Nimrud (dal nome di un eroe biblico), forse il più grande dei castelli crociati in Israele che ancora oggi mantiene la grandiosità di spazi e strutture di un tempo. Libano e Siria sono lì, a pochi passi. Visto da sotto sembra un nido di aquile e da lassù il panorama è incantevole, si vede l’alta Galilea con le colline del Golan, il monte Hermon e la valle di Hula. L’eco della vicina guerra siriana sembra lontano più che mai. I crociati arrivarono fin qui dopo il 1130 e riedificarono un vecchio presidio arabo per proteggere Banyas e le sue antiche e preziose sorgenti. Caduto in mano islamica, i crociati non lo riconquistarono più e furono poi i Mamelucchi a occupare la fortezza, a consolidarla e a usarla come bastione strategico, palazzo principesco e come prigione. Era ancora talmente utile e discretamente conservata che nella Guerra del 1967 fu usata sia dagli israeliani che dai siriani.

Filippo Re

(Fine / Le due puntate precedenti nell’archivio della sezione Cultura)

E’ meglio l’aria di Milano, Torino, Bologna o Potenza? Ce lo dicono le API

 BIOMONITORAGGIO AMBIENTALE CON LE API

Da due anni un vero e proprio esercito di piccole api raccoglie campioni a Milano, Bologna, Torino e Potenza per dirci dove la qualità dell’aria sia migliore

Nel biennio 2017-2018 si è svolto, in 4 città italiane, un lavoro di monitoraggio ambientale, condotto attraverso analisi sul miele e sulle api collocate in Orti Urbani posti nelle città o nelle immediate periferie. L’attività è iniziata nel 2017, con due distinti progetti (Bee-Kaeser e Api e Orti) che nel 2018 hanno unito le forze creando un unico progetto: Api&Orti Urbani 2018“Beekaeser”, realizzato da Kaeser Italia (https://it.kaeser.com), azienda produttrice di compressori industriali che insieme a Beeing, startup innovativa in campo apistico ha realizzato, con il coordinamento del Dipsa – Università di Bologna, un monitoraggio al fine di testare l’eventuale presenza di alcuni metalli pesanti nel miele e nelle api poste in prossimità di officine e punti vendita Kaeser Compressori in 20 provincie italiane: Bellante, Pandino, Telgate, Casalmaiocco, Calcinelli, Carini (Palermo), Prato, Alessandria, Paese (Treviso), Bologna, Fai della Paganella (Trento), Bolzano, Barge, Brisighella, Cuneo, Napoli, Lecce, Milano, Torino  Lo stesso anno ha inizio “Api e Orti”, realizzato da Mielizia-Conapi e Legambiente , che sempre in coordinamento con DISTAL-UNIBO, ha monitorato la presenza di 400 pesticidi e 10 metalli pesanti su api e mieli urbani. Teatro dei prelievi quattro Orti cittadini:

  • Milano, (Orti di Via Padova, circolo Legambiente Reteambiente)
  • Potenza (Orti del quartiere di Macchia Romana gestiti dal circolo Legambiente “Ken Saro Wiwa”)
  • Bologna (Orti CAAB , Centro AgroAlimentare Bolognese spostati successivamente presso il podere San Lodovico ( Agenzia di Sviluppo Pilastro)
  • Torino (Orti dell’associazione culturale ‘Variante Bunker’) .

Sotto l’egida di DISTAL UNIBO, nel 2018 i due progetti si fondono: Kaeser Italia, Beeing adottano e sostengono il protocollo di esami e le postazioni utilizzate da Mielizia-Conapi e Legambiente. Prende il via il monitoraggio 2018 “Api e Orti Urbani” che grazie al sostegno di Floramo Corporation SRL, l’azienda specializzata in Analisi di laboratorio di api, miele e prodotti dell’alveare, ha consentito di avere un riscontro scientifico sulla qualità ambientale delle aree indagate, confermando come le api siano insostituibili bioindicatori.

 

Tutti i risultati ed i grafici nel sito Api&Orti Urbani 2018

 

https://apieortiurbani.it/#section-1

 

Auto si schianta, muore ragazzo di 19 anni

DALLA LOMBARDIA 

Nuovo incidente mortale sulle strade italiane. Nella notte, in provincia di Bergamo, tra Dalmine e Treviolo, lungo l’ex statale Villa d’Almè-Dalmine, un’auto con a bordo quattro ragazzi è uscita di strada. Uno di loro, di 19 anni, è morto sul colpo nello schianto.  Gli altri tre giovani sono stati trasportati dal 118 negli ospedali della zona: si tratta di due ragazzi di 19 e 23 anni e di una ragazzina di 12 anni.

 

(foto archivio – il Torinese)

Venezia armena

Cielo grigio e foschia avvolgono l’oasi armena davanti a Venezia, là dove anche Lord Byron soggiornò per studiare l’armeno. È l’isola di San Lazzaro degli Armeni, a venti minuti di vaporetto da San Marco, un pezzo d’Oriente trapiantato in laguna

È domenica: alle 11 del mattino nove monaci cattolici, siriani, libanesi e georgiani, negli abiti sacri orientali, celebrano la messa nel rito armeno cattolico. Sono i monaci discendenti degli armeni che fuggirono dalla propria terra all’inizio del Settecento a causa dell’invasione dei turchi ottomani. Giunti a Venezia, il doge donò loro un’isola di 7000 metri quadrati, un fazzoletto di terra che da tre secoli è l’isola degli armeni. Anticamente era un lebbrosario, un lazzaretto, da cui l’isola prese il nome e nel 1717 fu regalata dalla Repubblica di Venezia a un gruppo di religiosi fuggiti dall’Armenia a Modone in Morea (Peloponneso) che i turchi stavano strappando al dominio veneziano. Costretti a scappare anche dalla Morea raggiunsero Venezia. Per alcuni anni si sistemarono nei dintorni dell’Arsenale e in seguito ottennero l’isolotto davanti al Lido. Con l’abate Mechitar, fondatore della Congregazione mechitarista, dell’Ordine Benedettino, l’isola divenne un centro di cultura e di scienza con l’obiettivo di preservare la lingua, la letteratura e le tradizioni del popolo armeno. Furono costruiti un monastero, una chiesa, un chiostro, e poi sorsero una tipografia che stampa in 35 lingue diverse e una grande biblioteca che contiene oggi decine di migliaia di volumi, di cui 4.500 antichissimi manoscritti, quadri e arazzi fiamminghi, oggetti arabi, assiro-babilonesi, indiani ed egiziani, tra cui la mummia di Nehmeket del 10 secolo avanti Cristo. Un cortile interno, tappezzato di fotografie e diapositive, ricorda il terribile genocidio del 1915, quando un milione e mezzo di armeni furono deportati e sterminati dai turchi. Neppure Napoleone osò ferire l’oasi armena. Il complesso sopravvisse all’arrivo del generale francese che fece distruggere i monasteri veneziani ma salvò quello di San Lazzaro perchè lo considerò un’accademia di scienze. Venezia è molto legata alla cultura armena. Per esempio, l’albicocca è chiamata anche “armelin”, frutto armeno, e i frati isolani coltivano in giardino molte rose usate per produrre la “vartanush”, una marmellata di petali di rosa, tipica ricetta dell’Armenia. A Venezia c’è anche un altro luogo di culto armeno: è la chiesa di Santa Croce degli armeni (sestiere San Marco), con funzioni religiose celebrate solamente l’ultima domenica di ogni mese. Arrivare a San Lazzaro è facile, senza bisogno di prenotare. Dall’imbarco di San Zaccaria, lungo Riva degli Schiavoni, vicino a San Marco, si prende la linea 20. Ogni giorno alle 15,30 c’è la visita guidata al monastero, con partenza alle 15.00 da San Zaccaria. Chi vuole assistere alla messa della domenica in lingua armena, per curiosità e per scoprire il fascino della spiritualità di questi padri, deve prendere il vaporetto alle 10,30 (la funzione comincia alle 11.00). In quest’ultimo caso capita di essere soli sul vaporetto, insieme al comandante e ai gabbiani che ci accompagnano sull’isolotto. Soli anche in chiesa, tra le antiche e misteriose mura del monastero, insieme ai monaci arrivati dall’Oriente e all’infinito silenzio della laguna.

Filippo Re

 

Violentata e picchiata da quattro uomini

DALLA LIGURIA  E’ stata violentata da quattro persone e picchiata la notte di San Valentino nel quartiere popolare del Cep di Genova. La squadra mobile ha arrestato quattro persone, si tratta di un italiano di 50 anni e di tre marocchini di 25, 25 e 30 anni. La donna,  brasiliana, è stata trovata nella casa dell’ italiano dopo una telefonata al numero di emergenza da parte di un vicino. In ospedale ha raccontato di essere stata violentata dal gruppo dopo essere stata sequestrata e picchiata. Per evitare che fuggisse, le hanno legato polsi e caviglie con nastro  da pacchi. Ma lei è riuscita a citofonare a un vicino che ha avvisato le forze dell’ordine.

La dotta, la grassa, la rossa

Bastano pochi giorni, o forse poche ore, per capire che Bologna è una città colta, dinamica e squisita. Percorrere le sue strade, perdersi nelle viuzze colorate e caratteristiche è una esperienza gioiosa, ma anche profonda e preziosa. Le sue molteplici qualità e predisposizioni sono state sintetizzate in tre aggettivi che ne riassumono la particolarità

Dotta per la sua tradizione accademica, è stata infatti la prima città in occidente, esattamente nel 1088, ad avere l’Università. La sua vocazione alla cultura però è tuttora intensa e diversificata, basta girare per le vie del centro, per esempio,   e leggere le numerose poesie lasciate dal Movimento per l’emancipazione della poesia, qualcuno giustamente ha detto: “I muri a Bologna parlano”. Le numerose iniziative poi legate all’arte, alla musica e ai ricordi come la celebrazione della vita di Lucio Dalla e delle sue melodie è così importante per i bolognesi da fare della sua abitazione, a Piazza dei Celestini, un museo, una rievocazione vibrante della storia e del talento di questo artista. Grassa, per la sua inclinazione alla cucina, florida e generosa. Ristoranti, antiche botteghe del cibo, veri e propri luoghi di culto fotografati da turisti estasiati da visioni meravigliose, sono in ogni angolo della città. Locali famosi, cantati e decantati come il Roxy Bar, e moltissimi altri dove fare aperitivi e celebrare l’amicizia deliziano allegramente Bologna. Rossa, infine, per i suoi tetti medievali vermigli che avvolgono tutta la città e ne fanno un posto unico, soprattutto se la osserviamo dall’alto da una delle due famose Torri, quella degli Asinelli, dopo aver risalito ben 498 scalini. Ovviamente, in questa “terra dei motori” non possiamo non ricordare il contributo scarlatto dato dalla più famosa casa automobilistica italiana: la Ferrari.A Bologna si percepisce inoltre una riguardosa atmosfera spirituale, le sue bellissime chiese infatti, imponenti e ricche di opere d’arte, conferiscono a questa splendida città un animo sacro soprattutto se pensiamo alla Basilica di Santo Stefano, conosciuta anche come Complesso delle Sette Chiese. All’interno troviamo la meravigliosa Chiesa del Santo Sepolcro, risalente al V secolo, che si ispira all’omonimo santuario di Gerusalemme, un bellissimo chiostro e un museo dedicato.Girovagando per Bologna, tra una visita e l’altra e dopo doverose e ghiotte pause, ci si può dedicare anche ad un piacevolissimo shopping. Per acquisti di pregio in botteghe storiche e tradizionali della città il posto giusto è il Quadrilatero, una zona del centro storico che va da Piazza Maggiore a Via Rizzoli, Piazza della Mercanzia, via Castiglione, via Farini, piazza Galvani e via dell’Archiginnasio. In questo quartiere molti negozi hanno mantenuto la tipologia merceologica e in molti sono stati conservati gli arredi e l’architettura storica, insomma dei veri e propri patrimoni artistici tramandati per generazioni. Bologna è una città affascinante, un luogo ospitale, colorato, spensierato e allegro, ma anche sofisticato dove storia e passato di fondono con modernità e freschezza.

 

Maria La Barbera