Ferran Adrià e suo fratello Albert, Michel Bras, Massimo Bottura, Antonino Cannavacciuolo, Carlo Cracco, Davide Oldani, sono i “magnifici sette” cuochi-artisti che reinterpretano il caffè Lavazza e attraverso le loro creazioni

Inspiring Chefs è il titolo della 22esima edizione del Calendario Lavazza , presentato aMilano. Se quello Pirelli ha ormai fatto scuola, il calendario della celebre azienda torinese è un nuovo punto di riferimento per chi ama la fotografia d’autore; il famoso ritrattista Martin Schoeller, ha scelto per questa edizione i grandi chef, ai quali Lavazza dedica l’anno 2014. La direzione creativa è stata affidata, come per le precedenti edizioni, all’Agenzia Armando Testa. Ferran Adrià e suo fratello Albert, Michel Bras, Massimo Bottura, Antonino Cannavacciuolo, Carlo Cracco, Davide Oldani, sono i “magnifici sette” cuochi-artisti che reinterpretano il caffè Lavazza e attraverso le loro creazioni.
“Una sfida interessante per un artista come Martin Schoeller, ex allievo di un mostro sacro come Annie Leibovitz, abituato com’è – scrive Gente Vip.it – a immortalare i personaggi più rappresentativi del pianeta, ma soprattutto un’esperienza unica, primo esempio di un approccio artistico che vede gli chef protagonisti e non comprimari di una scena, sia questa figurativa o fotografica. Edizione dopo edizione, i Calendari Lavazza parlano del desiderio di sperimentazione di nuove frontiere della creatività, una passione che va di pari passo con il desiderio dell’azienda di sperimentazione di nuovi prodotti e ricerca di una sempre maggiore qualità ed eccellenza del prodotto”.


In occasione del Linux Day 2013, tredicesima edizione della principale manifestazione di promozione di GNU/Linux che si è sviluppata in 107 appuntamenti in tutta Italia per far conoscere le opportunità del freesoftware, al Politecnico di Torino si è parlato della legge regionale sul software libero che ha portato alla piattaforma Teachmood.it e alla realizzazione di corsi per i docenti sui diversi programmi utilizzabili nella didattica.


Facciamo subito chiarezza sul titolo della mostra. In giapponese il termine onna significa “donne” e per onnagata, termine in uso dal Seicento, si intendevano, sempre nel “Paese del Sol Levante”, “attori maschi” travestiti con indumenti e sembianze femminili. Il titolo, dunque, dato alla nuova rotazione di kakemono (dipinti o calligrafie giapponesi su seta, cotone o carta a forma di preziosi e fragili rotoli da appendere in verticale) proposta, fino al 17 aprile del prossimo anno, dal MAO di Torino, chiarisce subito l’obiettivo di un evento espositivo teso ad invitare il visitatore a esplorare la varietà dell’universo femminile giapponese: dalle divinità alle dame di corte, dalle danzatrici alle popolane fino agli onnagata e senza dimenticare la simbologia di fiori e uccelli correlati alla femminilità. Discorso alquanto complesso. Fino al VI secolo circa, la società giapponese era infatti una società che manteneva ancora elementi di tipo tribale e una forte impronta matriarcale: grazie anche allo shintoismo, che attribuiva grande considerazione alle donne per la loro capacità di generare la vita, in Giappone non mancavano sacerdotesse, regine e dee. Con l’arrivo del buddhismo e del confucianesimo le cose cambiarono drasticamente: la donna perse gradualmente il suo ruolo sociale e fu obbligata all’obbedienza all’uomo, padre, fratello o marito. Eppure, nonostante il ruolo di subordinazione a cui le si volle relegare, le donne, in particolare quelle appartenenti all’aristocrazia o alla corte imperiale, continuarono a godere di stima, rispetto e anche di una parziale libertà, soprattutto in ambito amoroso. Ed è proprio, sottolineano al MAO, “grazie all’amore, ai diari e ai carteggi fra amanti, che nacque la letteratura giapponese: se i contratti e i documenti ufficiali erano appannaggio maschile, le opere letterarie presero vita dall’ingegno femminile”. Attorno all’anno Mille, videro la luce opere che hanno attraversato i secoli e dettato le regole della letteratura nipponica, fra cui i celeberrimi “Genji Monogatari” e “Makura no Soshi”, le “Note del guanciale”. Per non dire del teatro. All’epoca della sua fondazione da parte di Izumo no Okuni, una ballerina itinerante, il teatro tradizionale kabuki era una forma d’arte esclusivamente femminile. Gli spettacoli riscuotevano enorme successo presso tutte le classi sociali e cominciarono ad essere emulati persino nei bordelli, tanto che lo shogun (i dittatori militari che governarono il Giappone fra il 1192 ed il 1868) decise di vietarli. Per questa ragione, attorno al 1630, le onna, termine giapponese – come detto – per “donne”, furono rimpiazzate in scena da ragazzi, gli onnagata (letteralmente “a forma di donna”), uomini travestiti con abiti femminili e, da quel momento, il teatro fu considerato un luogo disdicevole, non adatto alle donne.