CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 833

I 170 anni del Circolo degli Artisti

di Pier Franco Quaglieni

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Il Circolo degli Artisti,la storica istituzione culturale nata nel 1847 a Torino,festeggia oggi l’ambito anniversario nella sua sede storica del Palazzo Graneri della Rocca. Tutta la storia torinese è punteggiata dalla presenza della attività vivace e poliedrica del Circolo,dei suoi autorevoli presidenti e dei suoi soci. E’ impossibile ripercorrere le tappe del Circolo che nacque ed ha saputo vivere all’insegna dell’indipendenza,una scelta difficile e coraggiosa , sia quando venne costituito ,sia oggi che trova nel suo attuale presidente,l’autorevole avvocato Luigi  Tartaglino, la più alta espressione della sua storia e del suo presente sempre fervido di grandi iniziative al servizio delle arti e della cultura in generale. Per mantenere questa indipendenza, il Circolo ha saputo affrontare coraggiosamente ogni difficoltà,pagando anche in termini di sacrificio,pur di mantenere la sua identità. L’associazione nacque nel 1847 , un anno di difficile crisi economica in tutta Europa dovuto alla sovrapproduzione di beni e alla mancanza di un mercato adeguato. Una crisi terribile che ebbe grandi conseguenze nella storia immediatamente successiva. Nel 1847 vanno infatti cercate le radici dell’esplosione del 1848,quando si manifestò , in termini sociali in Francia e in termini nazionali in Italia, il grande moto rivoluzionario vagheggiato e preparato dai carbonari di Santorre di Santarosa e da Giuseppe Mazzini. Il Piemonte si stava avviando ad un lento,ma inarrestabile rinnovamento sotto la guida di Carlo Alberto che aveva scelto una politica di riforme che porterà nel 1848 allo Statuto e, con la I Guerra di indipendenza, all’inizio della stagione risorgimentale preparata da uomini come d’Azeglio,Balbo, Gioberti. Il 1847 è l’anno in cui a Genova venne cantato per la prima volta l’Inno di Mameli che diventerà il nostro inno nazionale e venne sventolato il tricolore italiano, diventato da quel momento simbolo del riscatto risorgimentale.

Nel dicembre dello stesso anno Cavour fondava a Torino il suo giornale “Il Risorgimento” che tanta parte ebbe nella storia dell’Italia nascente e del rinnovamento del Regno di Sardegna:Quel giornale accompagnò il passaggio,per dirla con parole di Rosario Romeo, il grande biografo di Cavour, dal Piemonte sabaudo all’Italia liberale. Un tassello importante di questa grande stagione fu il Circolo degli Artisti che ebbe tra i suoi soci lo stesso Cavour, Massimo d’Azeglio , Urbano Rattazzi e tante altre personalità importanti. Un Circolo a metà strada tra borghesia,nobiltà ed artisti. Un uomo che brucerà la sua vita(morì appena cinquantenne nel 1861 ) nel lavoro massacrante di creare l’Italia ,si occuperà appassionatamente anche del Circolo degli Artisti che, per desiderio di Cavour, ebbe la sua sede nel palazzo che ancora oggi lo ospita. Tra Cavour e Rattazzi anche in quelle sale nacque l’idea del famoso connubio tra “centro e sinistro ” che avrebbe dato al Parlamento subalpino una maggioranza stabile per dar vita al “decennio di preparazione “ sfociato nella II Guerra per l’indipendenza del 1859. Con l’accordo tra Cavour e Rattazzi venne sacrificata la carriera politica di d’Azeglio che,va ricordato,fu anche un grande pittore e in quanto tale partecipò alla vita del Circolo che seppe radunare i migliori artisti piemontesi e italiani.Sono 170 anni di storia che non rendono il Circolo l’istituzione aulica di un passato glorioso, ma lo rendono artefice vivo, direi unico e sempre attuale, della vita culturale subalpina ed italiana. Un classico, direi,perché non schiavo delle mode,ma fedele a valori che non passano con il tempo e restano i cardini di quella che Mario Soldati definiva la “civiltà” italiana e torinese. Non a caso, tra l’avvocato Tartaglino e chi scrive si è stabilita da tempo una simpatia umana,una collaborazione disinteressata e una consonanza di idee che profumano di libertà. Una parola importante più che mai oggi.

TORINO: ESTATE, AL VIA Il 9 GIUGNO LA RASSEGNA ‘#PARCO DORA LIVE’

 

Due mesi di grandi concerti e spettacoli di cabaret gratuiti con volti noti del firmamento artistico nazionale tra i più amati dal pubblico.

E’ un giugno ed un luglio ricco di nomi di spicco della canzone e della risata quello in programma a Torino al Centro Commerciale Parco Dora, prestigiosa rassegna nazionale di spettacolo promossa nella piazza antistante il Centro Commerciale ‘Parco Dora’ (in via Livorno angolo Via Treviso), negli ultimi anni sempre più spesso punto di riferimento in città per i firmacopie e la presentazione dei nuovi album dei principali big della musica italiana. A partire dalle 20.30 ogni venerdì spazio al cabaret, e ogni domenica, invece, appuntamento con i live di noti artisti del pop italiano, all’interno di una prestigiosa area spettacolo con palco coperto e posti a sedere gratuiti comodamente prenotabili presso l’Info Point del Parco Dora: il ticket dà inoltre diritto a uno sconto del 10% presso i punti ristorazione presenti all’interno della piazza. Sul versante del cabaret, ‘#Parco Dora Live’ debutta venerdì 9 giugno con lo show di Marco Berry. Si prosegue poi con Enzo Iacchetti (16/06), Paolo Migone (23/06), Gabriele Cirilli (30/06). A luglio, invece, sono attesi sul palco artisti quali Marco & Mauro (07/07), I Panpers (14/07), Max Cavallari (21/07) e gran finale il 28/07 con Marco ‘Baz’ Bazzoni. A condurre, sul palco, Gianpiero Perone, noto attore comico torinese. Il calendario della musica, invece, si inaugura domenica 11 giugno con Paolo Vallesi, reduce da Sanremo 2017. Segue il 18/06 Alan Sorrenti, il 25/06 Francesco Baccini. A luglio, invece, sono di scena rispettivamente Mario Venuti (02/07), Donatella Rettore con il suo ‘On Rage Tour’ (09/07), Marco Ferradini (16/07), l’ex voce dei Matia Bazar Silvia Mezzanotte (nelle foto)  con il suo ‘Regine Acoustic Live’ (23/07) e gran finale con la grinta di Alexia domenica 30 luglio. Media Partner: Radio ‘GRP’. Presentano Carlotta Iossetti e Dj Gino Latino. Così Emanuele Manca, patron di ‘#Parco Dora Live’: “Una rassegna che si pone quali obiettivi primari l’incontro equilibrato di settori diversi della cultura come la musica e il cabaret, attraverso una selezione di artisti di primaria importanza tutti nel loro genere, confermando la naturale vocazione di ‘Parco Dora’ quale primario punto di incontro, socializzazione e promozione eventi gratuiti dell’estate torinese”.

Parella, le acrobazie di Sonics per il castello rinato

A poche ore dall’apertura delle prenotazioni, è già tutto esaurito per lo spettacolo Osa degli Acrobati Sonics al Castello di Parella (TO) che giovedì 1 Giugno si esibiranno per festeggiare la riapertura del Castello dopo il lungo e attento restauro curato del Gruppo Manital.

Alle ore 21 leggiadri e formidabili acrobati appesi ad una grande piramide di acciaio a 20 metri di altezza, si esibiranno in strabilianti e poetiche acrobazie aeree da lasciare col fiato sospeso, regalando un’ora di puro stupore e magia.
Felice connubio tra atmosfere fiabesche, design e tecnologia, lo spettacolo Osa è una vera e propria sfida alle leggi di gravità e un invito all’uomo ad andare oltre i propri limiti. 
Lo spettacolo è creato e diretto da Alessandro Pietrolini mentre le coreografie aeree e i costumi sono di Ileana Prudente. La produzione e la distribuzione è affidata a Fanzia Verlicchi per Equipe Eventi Sas.

I Sonics – compagnia torinese stabile dalla caratura internazionale composta da ginnasti, acrobati e ballerini – sono attualmente impegnati in una fittissima tournée nazionale estiva che, dopo Parella, li porterà a Imola, Firenze, Modena, Lucca, Roma e in tante altre località italiane (maggiori informazioni e aggiornamenti sul sito www.sonics.it ). 
La compagnia è inoltre al lavoro sulla nuova produzione de La Fura dels Baus.

Da anni trasformano passione e sogni in spettacoli aereo-acrobatici, dimostrando che un solido gioco di squadra e un duro allenamento possono portare a risultati inimmaginabili. I SONICS disegnano coreografie calandosi e interagendo con macchine e attrezzi di scena di propria invenzione, appesi ad autogru, americane o al graticcio di un teatro. 
Vantano nel loro curriculum la partecipazione a grandi eventi mediatici e festival di rilievo internazionale in tutto il mondo: con i loro spettacoli hanno sorvolato i cieli, le piazze e i teatri di molte città e località del mondo, da Miami a Dubai, da Patrasso a Mumbai, passando per Atene, Beirut, Kiev e Rio de Janeiro.

A Emanuela Canepa il XXX Premio Calvino

Emanuela Canepa è la vincitrice della trentesima edizione del Premio Italo Calvino con il romanzo L’animale femmina. Tre le menzioni speciali assegnate, a pari merito, dalla Giuria: Luca Mercadante, per Presunzione; Serena Patrignanelli, per La fine dell’estate; Roberto Todisco, per Jimmy Lamericano.

Il romanzo vincitore e le tre menzioni speciali sono stati proclamati martedì 30 maggio al Circolo dei lettori di Torino dalla Giuria formata, quest’anno, da: Rossana Campo, Franca Cavagnoli, Mario Desiati, Marco Missiroli e Mirella Serri.

L’animale femmina di Emanuela Canepa a cui i giurati, preso atto del buon livello medio dei testi, hanno deciso di assegnare all’unanimità il Premio è «un romanzo compiuto, maturo, di esemplare nitidezza nella struttura e incisivo nella lingua, che mette in campo uno spiazzante gioco di seduzione senza sesso e che, pur attento alla psicologia maschile, dà in particolare voce, con stringente analitica, alla forza carsica del femminile.» Per quanto riguarda le tre menzioni speciali a Luca Mercadante, Serena Patrignanelli e Roberto Todisco, queste le motivazioni dei cinque giurati: «In Presunzione l’autore, con lingua viva, getta uno sguardo disincantato sulla società del Sud di fine millennio delineando l’attuale e inedito ritratto di un giovane che vive con aspra tensione la propria crescita in uno smarrito paesaggio ideale. Nella Fine dell’estate, romanzo di ampio respiro e di grande potenziale, l’autrice crea − sul filo della memoria e di un alluso sfondo di borgata e di guerra − un proprio originale universo narrativo, in bilico tra realtà e fantasia, dominato dai ragazzini. In Jimmy Lamericano, un testo dall’efficace montaggio, l’autore con tocco lieve e ironico, racconta una godibile storia segnata da un appassionato amore per il cinema che insieme inscena una singolare forma di resistenza al fascismo dell’autarchia.»

Emanuela Canepa (Roma, 1967) si è laureata a Roma in Storia Medievale, specializzandosi poi in Paleografia e Diplomatica. Dal 2000 vive a Padova, dove lavora per il Sistema Bibliotecario dell’Università, occupandosi di ricerca bibliografica per la Facoltà di Psicologia. Ha frequentato a Rovigo la scuola di scrittura Palomar.

Luca Mercadante (Caserta, 1976) è laureato in Giurisprudenza e lavora per la Regione Campania. Si è dapprima formato in ambito teatrale e ha poi frequentato la scuola di scrittura diretta da Antonella Cilento. Ha partecipato al Festival di Certaldo e ha pubblicato racconti su Colla, Cadillac, L’inquieto d’ansia, Granta Italia.

Serena Patrignanelli (Roma, 1985) è laureata in Arte e Spettacolo e si è poi diplomata alla Scuola Holden di Torino, città in cui ha vissuto cinque anni. Ha lavorato come sceneggiatrice e redattrice per la tv, e ha collaborato con Luca Rastello al reportage Dizionario per un lavoro da matti. Oggi vive a Roma, occupandosi per Rai Cultura di divulgazione scientifica.

Roberto Todisco (Napoli, 1982) è laureato in Lettere Moderne e ha svolto attività di giornalista “aerospaziale”. Attualmente lavora nella comunicazione digitale. È anche attivo nell’associazionismo sul territorio. Nel 2011 ha pubblicato, per l’editrice napoletana Nuvole di Ardesia, un volume di poesie, Fino alla soglia e ritorno. È appassionato di cinema.

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Il Premio Italo Calvino è stato fondato a Torino nel 1985, poco dopo la morte di Italo Calvino, per iniziativa di un gruppo di estimatori e di amici dello scrittore, tra cui Norberto Bobbio, Natalia Ginzburg, Lalla Romano, Cesare Segre, Massimo Mila. Ideatrice del Premio e sua animatrice e Presidente fino al 2010 è stata Delia Frigessi, studiosa della cultura italiana tra Ottocento e Novecento. Il Premio, giunto alla sua trentesima edizione, segnala e premia opere prime inedite di narrativa.

LÜMO vince Pagella non solo Rock

La band vincitrice dell’edizione 2017 di Pagella Non Solo Rock è LÜMO, che si è esibita insieme ad altri gruppi sabato scorso allo sPAZIO211 in via Francesco Cigna 211. Pagella Non Solo Rock è uno storico concorso musicale dedicato agli studenti delle scuole superiori di Torino e provincia.La giornata di musica e arte, che ha chiuso l’edizione 2017 di Pagella Non Solo Rock, ha ottenuto un’entusiastica partecipazione di pubblico, sia nella zona concerti e sia negli spazi all’aperto messi a disposizione dall’organizzazione. Dopo le esibizioni live del secondo classificato – sezione fuori concorso ABISSO 04 – e dei gruppi finalisti di Pagella, l’headliner della serata “E N S I”, noto artista rap/hip hop e riconosciuto come il miglior freestyler italiano, è intervenuto per festeggiare la chiusura della manifestazione proponendo un live inedito che ha molto coinvolto il pubblico di sPAZIO211.

Questa la classifica dell’edizione 2017:

1)          LÜMO
2)          FRAN E I PENSIERI MOLESTI
3)          FLATMATES 205
4)          GOOD MUFFIN
5)          THE RIGLETS
6)          DISTHURBIA

 

P R E M I:

1)   LÜMO: viaggio/soggiorno a FAENZA ed esibizione al M.E.I. – Meeting delle Etichette Indipendenti (dal 29 settembre al 1° ottobre 2017)

2)   FRAN E I PENSIERI MOLESTI: realizzazione di un videoclip musicale ( by OMAGE VIDEO PRODUCTION )

3)   FLATMATES 205: registrazione di due brani in studio professionale ( by 211db )

4)   GOOD MUFFIN: buono acquisto del valore di 300 € presso negozio di strumenti musicali ( by SCAVINO )

5)   THE RIGLETS: sedici ore gratuite di sala prova ( by sPAZIO211 )

6)   DISTHURBIA: dieci ore gratuite di sala prova ( by sPAZIO211 )

PREMIO SPECIALE RADIOOHM

RadioOhm in collaborazione con Balla Coi Cinghiali ospiterà le prime 3 band finaliste sul palco RadioOhm Stage del Festival Balla coi Cinghiali 2017 in calendario dal 24 al 26 agosto al Forte di Vinadio

 

Jihad al femminile

Intervista di Laura Goria

In tempo di attentati può sembrare un’utopia…eppure chissà… che un vento di pace non possa arrivare proprio dalle donne dell’Islam che parlano di democrazia e fratellanza. La giornalista e scrittrice Luciana Capretti ha incontrato alcune esponenti del femminismo islamico nel mondo occidentale e in “La jihad delle donne” (Salerno editrice) ha raccontato la loro battaglia per l’emancipazione e un mondo migliore. Il testo ha avuto anche il viatico di Papa Francesco che ha definito importanti libri come questo…e una foto testimonia l’evento.

 

Una parte del mondo femminile musulmano che vive in Occidente stia conducendo una battaglia rivoluzionaria. Sono donne che reinterpretano il Corano e lo fanno anche meglio degli uomini, guidano la preghiera, aprono moschee, celebrano matrimoni, sono teologhe, storiche ed attiviste che lottano per superare secoli di discriminazioni. E’la mappa di un nuovo Islam; per ora minoritario, ma ha gettato i suoi semi.

Siamo abituati ad associare la Jihad con il terrorismo; quella delle donne invece cos’è?

«Jihad al femminile non ha assolutamente l’accezione con cui la conosciamo, di violenza, uccisione degli infedeli. Significa invece “sfida personale” e nei confronti del mondo. In che senso lo spiega Sherin Khankan, prima “imamah”danese che vive a Copenaghen dove ha fondato la sua moschea. Sostiene che devono dimostrare al mondo che l’Islam è un’altra cosa rispetto a quello che si pensa; e lo fanno con il loro messaggio di pace, eguaglianza e giustizia. Perché, dicono, l’ Islam è questo e non il fondamentalismo. Lo dimostrano rileggendo il Corano».

La lingua araba contempla più significati per ogni parola: la loro rilettura del Corano quanto è rivoluzionaria?

«Per 14 secoli è stato tradotto, interpretato e diffuso solo dagli uomini e si è sempre sentita solo la loro voce. Così queste donne sono ripartite da lì e lo hanno ristudiato. Ne emerge un Islam democratico, perché, dicono, se il principio fondamentale del Corano è che uomo e donna sono uguali, allora lo è tutto il genere umano: di ogni razza, colore e orientamento sessuale. Dunque sottolineano, quella di cui parla il testo sacro è democrazia».

Chi sono, dove e come vivono?

«Sono donne che per motivi di studio o emigrazione si sono trasferite dai paesi musulmani di origine in Occidente. Portatrici di una cultura che si scontrava con quella del paese di accoglienza inizialmente hanno vissuto una “dissonanza cognitiva” e si sono trovate ad un bivio. Rifiutare l’Islam, come hanno fatto le femministe negazioniste, oppure accoglierlo in modo diverso. Così hanno ripreso in mano il Corano. Vivono in Europa e Nord America, dove questa nuova cultura è nata. Alcune sono più famose, come Sherin Khankan o Rabeya Müller a Colonia; rilasciano interviste e diffondono il loro verbo. Però a loro volta anno generato un movimento. Se non c’è Khankan a guidare la preghiera del venerdì, altre imamah meno famose la sostituiscono».

Sostiene che l’occidente ha scoperto l’Islam dopo l’11 settembre e in modo cruento; ma che le prime femministe islamiche hanno avuto un ruolo già a fine 800/inizi 900, quale?

«La loro prima battaglia è stata in Egitto, con la giornalista Malak Hifni Nasif che usava la penna; mentre l’attivista Huda Sha’rawi, che parlava 3 lingue e sapeva muoversi in contesti internazionali, creò un movimento femminista. Poi altre si sono ispirate a loro; ma sono state soffocate perché vivevano in paesi a predominanza musulmana».

Oggi alcune di loro sono occidentali convertite all’Islam: curioso che donne nate in società in cui c’è parità di genere, abbraccino una fede tanto patriarcale….

«Dicono che non è così patriarcale e che risponde al loro bisogno di fede più di ogni altra. Per esempio Amina Wadud, prima imamah afro-americana, nata metodista in Maryland, ha approfondito tutte le religioni. Infine è approdata alla fede musulmana, che però, dice, deve stare al passo coi tempi. Sostiene che, pur mantenendo i principi fondamentali del Corano, vanno attuati dei cambiamenti. Per esempio è prescritto che il marito mantenga la moglie; ma rispetto all’Islam di Maometto oggi ci sono mamme single con figli e che lavorano, e non per questo sono meno musulmane, allora la prescrizione sul matrimonio deve essere modificata».

Quanto faticano per fare accettare questi cambiamenti agli imam e ai fedeli?

«E’ dura anche con l’occidente, perché vige l’idea della donna musulmana assoggettata. Se ci pensiamo bene, noi non abbiamo sacerdotesse; invece loro stanno facendo proprio questo. Sebbene minoritarie e disseminate qui e là nel mondo, dicono che non importa chi conduce la preghiera: chiunque possa far conoscere il Corano è giusto che lo faccia, uomo, donna o bambino che sia».

Nell’America di Trump come sono viste?

«Lì c’è in atto una crociata contro tutto l’Islam e le donne col velo sono più identificabili: alcune sono state aggredite e le loro moschee bruciate»

E in Europa dove il terrorismo di matrice islamica continua a fare stragi?

«Va meglio. Ci sono addirittura i primi esempi di imamah gay che a Marsiglia hanno aperto una loro moschea. Mentre a Berlino il 16 giugno aprirà la prima moschea inclusiva diretta da una donna. Ci vuole tempo, ma ci sono i segnali».

In che modo possono incidere nei paesi musulmani dove le donne non contano, sono spose bambine, soggette a mutilazioni genitali e lapidate con facilità? Difficile pensare a una loro ribellione.

«Certo è difficile. Ma si punta sull’istruzione insegnando che c’è un altro mondo. Come fa l’imamah Ani Zonneveld, che vive in California, con la sua organizzazione “Muslims for Progressive Values”: promuove un’azione capillare attraverso imam liberali che vanno nei villaggi più remoti di Africa e Asia e diffondono il nuovo messaggio».

E per quanto riguarda le derive del fondamentalismo islamico in Europa?

«Il problema alla base di tutte le società odierne è la ricerca di un senso d’identità: molti giovani lo trovano nella Jihad del Califfato. Per questo in Germania le femministe stanno lavorando per la de-radicalizzazione: scrivono libri scolastici sul Corano rivisitato, propongono un Islam democratico e di pace, forniscono un modello positivo in cui riconoscersi. Certo c’è ancora molto da fare ed occorre anche la collaborazione dello Stato».

Lei ha intervistato molte femministe islamiche: cosa l’ha colpita di più?

«Ognuna ha un tratto diverso, ma in comune hanno l’assoluta convinzione che cambieranno le cose, l’incredibile entusiasmo e l’ottimismo. Sostengono che oggi Internet ci rende una sorta di villaggio globale, le notizie corrono e raggiungeranno le donne che cominceranno a ribellarsi. Ne è più che convinta la regista pakistana Sharmeen Obaid Chinoi che nei suoi documentari racconta la situazione delle donne nel suo paese, poi li porta in giro per il mondo e vince Oscar. Il Pakistan ne esce svergognato e, com’è successo, rivede le leggi che le riguardano».

Come vede il futuro e le vittorie della jihad femminile?

«E’ il risultato di un innesto culturale e generazionale. Il discorso è portato avanti soprattutto dalle nuove generazioni. Magari noi non vedremo la loro piena realizzazione, ma forse i nostri figli si».

 

 

 

 

 

 

 

 

Interplay Torino, arriva Prometeo: il Dono

Il fortunato spettacolo dedicato al mito di Prometeo ospite del prestigioso Festival Internazionale di Danza Contemporanea

 (foto: Luca Del Pia)

Prometeo: il Dono è il secondo episodio di un articolato progetto della Compagnia Simona Bertozzi | Nexus dedicato al mito di Prometeo: cinque diversi quadri coreografici, prodotti tra il 2015 e il 2016, per giungere a un’opera conclusiva debuttata con successo nel novembre scorso presso la Fondazione Nazionale della Danza di Reggio Emilia.

 

Prometeo: il Dono, dopo una lunga tournée che ha toccato prestigiosi Festival e rassegne in tutta Italia, sarà ospite martedì 30 maggio alle ore 21 del Festival Interplay presso la Lavanderia a Vapore di Collegno (Torino).

 

«In questo secondo quadro coreografico del progetto Prometeo la riflessione sulla natura del dono si attualizza nella capacità di addentrarsi in una traiettoria d’indagine, di esercitare un linguaggio che, nella sostanza del gesto e del movimento, possa farsi luogo della visione e delle mutevoli corrispondenze fra le immagini. È una pratica vertiginosa quella che accomuna le presenze in scena. Ci si appassiona al dettaglio per precipitare in un continuo decentramento delle posture, per impossibilità ad arrestarsi» suggerisce la coreografa e danzatrice «Laddove la pratica e l’ostinazione fan sì che il movimento appaia levigato e riconoscibile, è il compenetrarsi tra la sua grammatica e la mobilità degli immaginari in gioco a lasciare aperto il flusso delle impressioni e delle possibili trasfigurazioni. Quelle occasioni di fragilità che annebbiano lo sforzo e permettono di ri-negoziare la propria modalità di entrare nel gesto e di agire nell’incontro con l’altro».

 

Lo spettacolo, ideato come di consueto insieme a Marcello Briguglio, vede in scena la stessa Simona Bertozzi insieme a Stefania Tansini e Aristide Rontini.

 

Le musiche originali sono di Francesco Giomi, il progetto luci di Antonio Rinaldi.

 

Nella serata del Festival Internazionale di Danza Contemporanea Interplay alla Lavanderia a Vapore, Prometeo: il Dono sarà preceduto da Ode to the attempt del coreografo e danzatore belga Jan Martens.

 

La Lavanderia a Vapore si trova in Corso Pastrengo 51 a Collegno (Torino).

 

Info sul Festival: http://www.mosaicodanza.it/interplay17.htm.

I finalisti del Premio Italo Calvino

 

Cerimonia di premiazione con i giurati Rossana Campo, Franca Cavagnoli, Mario Desiati, Marco Missiroli e Mirella Serri

Circolo dei lettori, via Bogino 9 – Torino

 

 

Nell’anno del suo trentennale, sono nove i testi finalisti che il Premio Italo Calvino ha scelto di sottoporre al giudizio della Giuria, composta, per questa edizione, da Rossana Campo, Franca Cavagnoli, Mario Desiati, Marco Missiroli e Mirella Serri.

 

Dopo aver esaminato, nel corso dell’anno, i 670 testi partecipanti al bando, il Comitato di Lettura del Premio ha selezionato nove autori esordienti – Emanuela Canepa (L’animale femmina), Nicolò Cavallaro (Le lettere dal carcere di 32 B), Andrea Esposito (Città assediata), Igor Esposito (Alla cassa), Vanni Lai (Le Tigri del Goceano), Davide Martirani (Il Regno), Luca Mercadante (Presunzione), Serena Patrignanelli (La fine dell’estate), e Roberto Todisco (Jimmy Lamericano) – tra i quali la Giuria individuerà il vincitore e le menzioni speciali.

La cerimonia di premiazione si svolgerà, alla presenza dei Giurati, martedì 30 maggio al Circolo del lettori di Torino, a partire dalle ore 17.30.

 

 

I testi finalisti e i loro autori

 

Per individuare i finalisti – compito non facile, considerando l’elevato numero di testi interessanti – il Comitato di Lettura ha deciso di puntare ad una scelta che fosse insieme rigorosa e rappresentativa di tendenze, temi e stili diversi, e che confermasse anche il ruolo del Premio nel far emergere narrazioni suggestive, scritture nuove e libri autentici.

La provenienza geografica degli autori conferma il carattere nazionale del Premio. Quest’anno, infatti, il campionario dei testi è tutto spostato verso il centrosud e le isole: ben tre sono gli autori di area napoletana; quattro risiedono a Roma; un altro finalista è sardo, confermando la produttività narrativa della sua regione, sempre ben rappresentata al Premio; una sola finalista, infine, proviene dal nord, per la precisione dal nordest. Le età variano dai 31 ai 49 anni con una netta predominanza della fascia dei trentenni. Tra i finalisti solo due donne, purtroppo, benché il Premio si sia sempre segnalato per una particolare attenzione rivolta ad esse.

Quanto ai temi, non è facile individuare un filo comune, anche se, pur in chiavi diverse, tutti i testi affrontano nodi esistenziali di rilievo. Di certo, nessun testo è consolatorio o eminentemente commerciale. Gli stili e le scritture di buon livello. Un panorama, insomma, estremamente variegato, che conforta il Premio Calvino nella sua formula di sondaggio nel sommerso della scrittura.

 

 

La storia del Premio

 

Il Premio è stato fondato a Torino nel 1985, poco dopo la morte di Italo Calvino, per iniziativa di un gruppo di estimatori e di amici dello scrittore, tra cui Norberto Bobbio, Natalia Ginzburg, Lalla Romano, Cesare Segre, Massimo Mila. Ideatrice del Premio e sua animatrice e Presidente fino al 2010 è stata Delia Frigessi, studiosa della cultura italiana tra Ottocento e Novecento.

Calvino, com’è noto, ha svolto un intenso e significativo lavoro editoriale per l’Einaudi; l’intenzione è stata, quindi, quella di riprenderne e raccoglierne il ruolo di talent scout di nuovi autori: di qui, l’idea di rivolgersi agli scrittori esordienti e inediti, per i quali non è facile trovare il contatto con il pubblico e con le case editrici. Il Premio ha impostato a propria attività seguendo gli stessi criteri che hanno guidato Calvino: attenzione e equilibrio, gusto della scoperta e, pur scegliendo di rimanere sempre in secondo piano rispetto all’autore, funzione critica.

 

 

I vincitori e le Giurie delle passate edizioni

 

Le Giurie del Premio, ogni anno diverse, sono sempre state costituite da critici letterari, storici della letteratura, scrittori e operatori culturali tra i più rappresentativi della scena culturale italiana dagli anni ‘70 ad oggi: Natalia Ginzburg, Cesare Segre, Ginevra Bompiani, Vincenzo Consolo, Edoardo Sanguineti, Ernesto Ferrero, Gianluigi Beccaria,   Dacia Maraini, Angelo Guglielmi, Marino Sinibaldi, Michele Mari, Tiziano Scarpa, Nicola Lagioia, Carlo Lucarelli, Antonio Scurati, Valeria Parrella, Michela Murgia, Fabio Geda, solo per citarne alcuni.

 

Il Premio Calvino può ormai contare un notevole numero di autori affermati, che hanno iniziato il loro percorso editoriale proprio partendo dalla partecipazione al concorso. Tra questi ci sono non solo finalisti e vincitori, ma anche molti segnalati dal Comitato dei lettori. Tra gli altri: Marcello Fois (Picta, Marcos y Marcos), Mariapia Veladiano (La vita accanto, Einaudi Stile Libero), Paola Mastrocola (La gallina volante, Guanda), Fulvio Ervas (La lotteria, Marcos y Marcos, con Luisa Carnielli), Errico Buonanno (Piccola serenata notturna, Marsilio), Rossella Milone (Prendetevi cura delle bambine, Avagliano), Francesco Piccolo (Diario di uno scrittore senza talento), Paolo di Paolo (Nuovi cieli, nuove carte, Empirìa), Flavio Soriga (Diavoli di Nuraiò, Il Maestrale), Marco Magini (Come fossi solo, Giunti), Francesco Maino (Cartongesso, Einaudi), Domenico Dara (Breve trattato sulle coincidenze, Nutrimenti), Valerio Callieri (Teorema dell’incompletezza, Feltrinelli).

 

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Le case editrici

 

Le case editrici che hanno pubblicato le opere vincitrici o segnalate vanno dai grandi marchi storici alle tante e pionieristiche case editrici che caratterizzano ormai da tempo il panorama culturale italiano. Ogni anno, alla cerimonia di premiazione si incontrano i più importanti editor, talent scout e responsabili delle collane di narrativa italiana.

 

 

 

 

 

Il detective di Eco si aggira tra i volumi della grande biblioteca

“Non ho solo deciso di raccontare del Medioevo, ho deciso di raccontare nel Medioevo, e per bocca di un cronista dell’epoca”. Così Umberto Eco nelle “Postille” al suo Nome della rosa, romanzo cardine del Novecento, bestseller vincitore dello Strega nel 1981 e tradotto in 47 lingue, 50 milioni di copie vendute sino ad oggi, nell’86 un’indimenticabile trasposizione cinematografica ad opera di Jean-Jacques Annaud, interprete Sean Connery.

Un giallo al primo, frettoloso sguardo, un accavallarsi di assassinii, indizi, prove trafugate, labirinti fisici e mentali, castighi, sconfitte e tragedia finale dove s’intrecciano i mondi della storia e della filosofia e della teologia, attraverso il ricordo del vecchio Adso che in gioventù, sotto la guida del frate Guglielmo da Baskerville, antico inquisitore, testardo filosofo, uomo di scienze – nello svolgersi della vicenda, perché non allineare quell’acume alle figure di Guglielmo di Ockham e più vicino a noi di un Sherlock Holmes accompagnato nell’indagine da un impreparato quanto sconcertato Watson? -, assistette ai fatti narrati. La struttura del romanzo di Eco, con le sue sette giornate suddivise ognuna in otto capitoli corrispondenti alle ore liturgiche del convento, con i suoi cinquantasei capitoli introdotti e denunciati già da una linea-guida delle azioni che poi seguiranno, è trasportata nella versione di Stefano Massini (l’autore mai troppo lodato della Lehman Trilogy), diretta da Leo Muscato e vista in finale di stagione – ma una lunga tournée l’attende la prossima attraverso i teatri italiani – al Carignano nella produzione dello Stabile di Torino – Teatro Nazionale, dello Stabile del Veneto – Teatro Nazionale e dello Stabile genovese, dentro uno spazio non lontano dal sogno, essendo stati sostituiti necessariamente i linguaggi più minuziosi e aperti della letteratura e del cinema.

Aiutato in questo il suggestivo spettacolo che ne è nato dalla partitura musicale di Daniele D’Angelo e soprattutto dalla visualità e dalla visionarietà dei video inventati da Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilii che respirano gli esterni con cieli bui e tempestosi (quasi a voler riprendere un mancato incipit dell’autore), tra mostri e corvi, e si sovrappongono in maniera certosina e spessissimo inquietante (gli iniziali marchingegni che fluttuano nell’universo, le parole sconosciute impresse sulle pareti, le fiamme della distruzione) alla scenografia firmata da Margherita Palli (i costumi sono di Silvia Aymonino, un lavoro finissimo tra i sai dei francescani e dei certosini e i mantelli dei messi papali), dove troneggiano in primo luogo le scale ed i vari piani della biblioteca e ancora i banchi da lavoro, gli scaffali, i luoghi delle morti e dei supplizi, le piccole celle seminascoste. E nel luogo circoscritto della mente (e del teatro), attraverso i tanti labirinti che si vanno formando, pungolati dalle parole dettate dalla memoria del vecchio frate, che ha il volto del sempre presente Luigi Diberti, costruiamo lo spazio ad un nuovo percorso, anche se risulta davvero difficile cancellare certe immagini e certi ambienti, riandare a ben definiti passaggi, respingere l’identificazione di un volto e di una voce (come fai a fare un ritaglia e un elimina con il viso di Connery o con la voce di Pino Locchi?): visto che in non pochi momenti manca al Guglielmo/detective di Luca Lazzareschi la autorevolezza, la grande dignità, il lento e profondo raisonneur del protagonista e buttarla in chiacchiera o in battuta che strappa la risata non lo aiuta granché (il che può fare il paio con la brutta e insignificante scena della discussione tra gli uomini di Chiesa, disposti a ringhiarsi gli uni di fronte agli altri come ad una partita a carte tra gente alticcia), seguendolo nell’opacità l’Adso di Giovanni Anzaldo.

Ben al di là di una perfetta ma pure poco sanguigna trascrizione si va man mano che lo spettacolo presenta le sue carte finali, con l’intervento di Bernardo Gui (un tonante Eugenio Allegri, mostro dell’Inquisizione, già prima un dolce Ubertino da Casale) e l’apparizione conclusiva del cieco Jorge da Burgos (grandioso Renato Carpentieri): si sente come diventi “magnifica” e attuale e concreta la lotta del Bene e del Male, in quale misura si butti in faccia a tutti come la paura sia il fondamento della fede, come Aristotele e la sua Poetica, il peso del riso come termine e strumento di conoscenza, le selve oscure e le epoche buie (“meglio essere morti piuttosto che vivere in questi giorni bui”), ogni cosa e tassello si rimettano al loro giusto posto, nella consunzione dei corpi e delle cose. Piace il lavoro che Muscato ha fatto sulle figure minori, sui fraticelli presi negli ingranaggi dell’assassino. Giulio Baraldi, Marco Gobetti, Mauro Parrinello e Franco Ravera hanno i loro giusti momenti in primo piano ed è soprattutto il Salvatore di Alfonso Postiglione a catturare lo sguardo, con la sua fanciullaggine costruita su quel miscuglio babelico di latino, volgare, francese, tedesco e inglese. Uno spettacolo che forse rimane leggermente al di sotto delle (mie, personalissime) aspettative, ma cui tuttavia va riconosciuta un considerevole sforzo produttivo, una grandeur non facilmente riscontrabile sui nostri palcoscenici e un onesto, appassionato omaggio al medievalista Umberto Eco.

 

Elio Rabbione

 Foto di scena Alfredo Tabocchini

Notte delle Muse a Pinerolo

La Notte delle Muse è un progetto che nasceva sulla base di due giorni dedicati alla valorizzazione delle risorse turistico-culturali e museali della città e del centro storico. Finanziato dalla Fondazione CRT con un contributo di 7.500,00 € (all’incirca una metà) e dal Comune di Pinerolo per la parte restante, l’idea ha riscontrato grande apprezzamento e si è trasformata in una quattro giorni che è vetrina delle bellezze culturali di Pinerolo e del territorio. Un’apertura del programma estivo come mai era avvenuta sino ad ora, il tentativo di raccontare – in linea con lo sforzo che si sta facendo – una Pinerolo da conoscere e da visitare, dopo l’anteprima di giovedì e di venerdì. Sabato 27 maggio, dunque, c’è la Notte dei Musei.. L’evento si svolge in parte in orario notturno, e consente di aprire le porte dei musei pinerolesi, dove hanno luogo eventi di spettacolo e musica (concerti, animazioni, degustazioni, eccetera), e spazi anche insoliti. Per una notte intera otto musei di Pinerolo aprono le loro porte alle Muse, che animeranno le sale con spettacoli dal vivo, performances, musica e arte. Il visitatore potrà scegliere un percorso dedicato e organizzare la sua visita notturna andando a spasso fra un museo e l’altro per partecipare agli eventi in programma. Senza spendere un euro, tutto gratuito per una notte, visite guidate comprese. Tema centrale per il 2017 è la tecnologia nella cultura, come nella vita: il suo apporto, i vantaggi e gli svantaggi descritti da grandi studiosi e uomini di cultura. Tra i diversi eventi ed ospiti si staglia l’offerta della domenica: la ciclo-caccia al tesoro. Qual è il tesoro? Ovviamente i musei cittadini.

Massimo Iaretti