 Tutto è felicemente ovattato, tutto è ostinatamente dolciastro in questa “casa di bambola” – e Andrée Ruth Shammah, che per il milanese Teatro Parenti e la Fondazione Teatro di Toscana ha messo in scena il testo ibseniano, visto al Carignano per la stagione dello Stabile torinese, ha con coerenza introdotto quell’articolo indeterminativo, “Una casa di bambola”, che ben lascia intravedere la strada che percorrerà -, al di qua degli alti muri di mattoni, il rosa o il verde tenue degli intonaci o dei divani, gli abiti di Nora, gli impalpabili velluti (la scena è di Gian Maurizio Fercioni, i costumi di Fabio Zambernardi con la collaborazione Lawrence Steele), i fiocchi di neve che dondolano al di là della porta, l’albero di Natale e le ghirlande, i pacchetti dei doni, anche l’arpa su cui la piccola di casa dà prova della sua bravura, anche le porte che delimitano gli spazi sembrano fatte di ovatta, aggiungendo il pregevole gioco di luci di Gigi Saccomandi, che accompagnano il cammino psicologico dei personaggi, calde, morbide prima, estese nella loro freddezza poi.In questa cornice esplode la ribellione di Nora Helmer, ostile ormai alla devozione e alla sempre amorevole protezione di Torvald, agli eterni ritrattini di allodola e bambola, ad una vita insieme in cui fino a ieri è circolata quell’aria (inconsapevole?) di tornaconto che ha aiutato la coppia a proseguire “bellamente”, alla prigione dorata cui ci si abitua, quel ruolo di bambola pienamente accettato e condiviso non soltanto all’interno della famiglia ma pure con il dottor Rank, da sempre innamorato di lei, e con il bieco strozzino Krogstad, che da lei attende lo scioglimento di un ingente debito contratto per salvare il marito, a sua insaputa. Non più nella veste quindi di “sorella spirituale del proletariato femminista” come nel 1917 la voleva Gramsci, la donna che rifiuta e sfugge alla maschera che la società norvegese degli ultimi decenni del secolo scorso le ha affibbiato, ma un calcolo in piena regola dove la “ignoranza” verso il mondo che la circonda la spinge ad aprire gli occhi e a crescere, a educare la donna che sino adesso è stata.
Tutto è felicemente ovattato, tutto è ostinatamente dolciastro in questa “casa di bambola” – e Andrée Ruth Shammah, che per il milanese Teatro Parenti e la Fondazione Teatro di Toscana ha messo in scena il testo ibseniano, visto al Carignano per la stagione dello Stabile torinese, ha con coerenza introdotto quell’articolo indeterminativo, “Una casa di bambola”, che ben lascia intravedere la strada che percorrerà -, al di qua degli alti muri di mattoni, il rosa o il verde tenue degli intonaci o dei divani, gli abiti di Nora, gli impalpabili velluti (la scena è di Gian Maurizio Fercioni, i costumi di Fabio Zambernardi con la collaborazione Lawrence Steele), i fiocchi di neve che dondolano al di là della porta, l’albero di Natale e le ghirlande, i pacchetti dei doni, anche l’arpa su cui la piccola di casa dà prova della sua bravura, anche le porte che delimitano gli spazi sembrano fatte di ovatta, aggiungendo il pregevole gioco di luci di Gigi Saccomandi, che accompagnano il cammino psicologico dei personaggi, calde, morbide prima, estese nella loro freddezza poi.In questa cornice esplode la ribellione di Nora Helmer, ostile ormai alla devozione e alla sempre amorevole protezione di Torvald, agli eterni ritrattini di allodola e bambola, ad una vita insieme in cui fino a ieri è circolata quell’aria (inconsapevole?) di tornaconto che ha aiutato la coppia a proseguire “bellamente”, alla prigione dorata cui ci si abitua, quel ruolo di bambola pienamente accettato e condiviso non soltanto all’interno della famiglia ma pure con il dottor Rank, da sempre innamorato di lei, e con il bieco strozzino Krogstad, che da lei attende lo scioglimento di un ingente debito contratto per salvare il marito, a sua insaputa. Non più nella veste quindi di “sorella spirituale del proletariato femminista” come nel 1917 la voleva Gramsci, la donna che rifiuta e sfugge alla maschera che la società norvegese degli ultimi decenni del secolo scorso le ha affibbiato, ma un calcolo in piena regola dove la “ignoranza” verso il mondo che la circonda la spinge ad aprire gli occhi e a crescere, a educare la donna che sino adesso è stata. 

Marina Rocco, nella rilettura della Shammah, mentre entra ed esce di scena dalla platea quasi a volersi mescolare nelle idee e nei comportamenti con il pubblico femminile oggi in sala, segue i passi della sua donna-bambina, i suoi pianti e le sue risate, i bamboleggianti, gli affetti, mentre il popolo della servitù orecchia e getta sguardi dagli angoli delle stanze: sino all’ultimo atto, con uno slancio di ossessione e di isteria che rischiano di bloccare il personaggio nel suo percorso di logica “redenzione”, una reazione concretizzata nei tic e nell’affanno continuo delle urla. Il peccato di debordare, quasi di voler scendere a inspiegabile marionetta, coinvolge anche Filippo Timi, che raccoglie in sé i tre personaggi maschili, simboleggiando l’intero sesso forte e dominante, gli è sufficiente un collare, o un bastone a sostegno di una gamba azzoppata, o un aspetto benevolo, per triplicarsi ad effetto e dar di gomito al pubblico con l’imitazione di un cinese o con un numero sfrontato in passerella sulle note di My funny Valentine. Molto meglio l’apporto interpretativo di Mariella Valentini, quelli sono eccessi, sbrodolature, incidenti che finiscono con l’annacquare uno spettacolo che forse aveva le pretese di fare, anche lui, la rivoluzione.
Elio Rabbione
 
                    
 Un enorme fungo atomico squarcia un cielo dai colori innaturali. Le tinte sono quelle del porcino: bruno il cappello; più chiara la tonalità nella parte inferiore, appena sopra il gambo;  bagliori rosso fuoco lo percorrono dall’alto in basso, come una ferita o una frustata
Un enorme fungo atomico squarcia un cielo dai colori innaturali. Le tinte sono quelle del porcino: bruno il cappello; più chiara la tonalità nella parte inferiore, appena sopra il gambo;  bagliori rosso fuoco lo percorrono dall’alto in basso, come una ferita o una frustata


 notissima ed apprezzata a livello internazionale. Anche recentemente ha dato aiuto e soccorso ai terremoti delle Marche in modo cospicuo. Sono stato chiamato io a ricordare la regina Elena e mi sono commosso a parlare -in quel luogo per me  così inusuale, davanti alla tomba di Carlo Alberto-anche perché si tramandavano in  casa mia dei  ricordi che mio nonno mi ha trasmesso, il nonno che nel novembre del 1952 ,quando l’esule morì a Montpellier, non esitò in piena notte a  partire  per la Francia per partecipare ai suoi semplici funerali, come semplice era stata tutta  la sua vita.
notissima ed apprezzata a livello internazionale. Anche recentemente ha dato aiuto e soccorso ai terremoti delle Marche in modo cospicuo. Sono stato chiamato io a ricordare la regina Elena e mi sono commosso a parlare -in quel luogo per me  così inusuale, davanti alla tomba di Carlo Alberto-anche perché si tramandavano in  casa mia dei  ricordi che mio nonno mi ha trasmesso, il nonno che nel novembre del 1952 ,quando l’esule morì a Montpellier, non esitò in piena notte a  partire  per la Francia per partecipare ai suoi semplici funerali, come semplice era stata tutta  la sua vita. torinese, tanto coccolato da certa cultura radical-chic, che ha scritto un libello del 2014  su Vittorio Emanuele III pubblicato dal Sole 24 ore, ebbe l’ardire e la sfrontatezza di affermare che ,mentre il re era al fronte  durante la Grande Guerra, ella  ebbe una storia con un generale. Quel fatto incredibile, quel pettegolezzo che non fa onore ad uno storico, sia pure alle prime armi, che ovviamente non ho citato nella commemorazione torinese, mi ha portato a parlare con foga e passione della regina, forse troppa. Ma si è trasferita in me ,quasi senza che me ne rendessi  conto, l’indignazione che mi suscitò la lettura del passo di quel libello. La regina, giovane e bellissima, si era sposata con una austera cerimonia nuziale  dopo la sconfitta di Adua nel 1896, era ascesa al trono d’Italia nel 1900 ,quando l’anarchico Bresci aveva assassinato Umberto I, nel 1908, aveva partecipato personalmente al soccorso dei terremotati di Messina (dove nel 1960 le fecero erigere un monumento ) e di Reggio Calabria , le cui vittime furono circa centomila. Durante la Grande Guerra trasformò il Quirinale in un ospedale per curare i feriti. Nelle tenute reali di San Rossore, Valdieri, Racconigi  c’è ancora vivo il suo ricordo di donna sempre disponibile a chi fosse in difficoltà. Non a caso, sono intervenuti molto numerosi i Sindaci delle Valli di Cuneo, con in testa quello di Valdieri, tutti in fascia tricolore.
torinese, tanto coccolato da certa cultura radical-chic, che ha scritto un libello del 2014  su Vittorio Emanuele III pubblicato dal Sole 24 ore, ebbe l’ardire e la sfrontatezza di affermare che ,mentre il re era al fronte  durante la Grande Guerra, ella  ebbe una storia con un generale. Quel fatto incredibile, quel pettegolezzo che non fa onore ad uno storico, sia pure alle prime armi, che ovviamente non ho citato nella commemorazione torinese, mi ha portato a parlare con foga e passione della regina, forse troppa. Ma si è trasferita in me ,quasi senza che me ne rendessi  conto, l’indignazione che mi suscitò la lettura del passo di quel libello. La regina, giovane e bellissima, si era sposata con una austera cerimonia nuziale  dopo la sconfitta di Adua nel 1896, era ascesa al trono d’Italia nel 1900 ,quando l’anarchico Bresci aveva assassinato Umberto I, nel 1908, aveva partecipato personalmente al soccorso dei terremotati di Messina (dove nel 1960 le fecero erigere un monumento ) e di Reggio Calabria , le cui vittime furono circa centomila. Durante la Grande Guerra trasformò il Quirinale in un ospedale per curare i feriti. Nelle tenute reali di San Rossore, Valdieri, Racconigi  c’è ancora vivo il suo ricordo di donna sempre disponibile a chi fosse in difficoltà. Non a caso, sono intervenuti molto numerosi i Sindaci delle Valli di Cuneo, con in testa quello di Valdieri, tutti in fascia tricolore. personalmente nel migliore dei modi.
personalmente nel migliore dei modi.
 LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO
LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO Lockhart viene mandato in un centro benessere sulle Alpi svizzere con un preciso incarico, recuperare l’amministratore delegato dell’azienda per cui lavora. Si accorgerà subito che i metodi dell’istituto non sono proprio secondo “le norme” e farà fatica a comprendere quanto sta succedendo in quel luogo. Gli verrà in aiuto una misteriosa ragazza, paziente del dottor Volmer. Durata 146 minuti. (Lux sala 3, The Space, Uci)
Lockhart viene mandato in un centro benessere sulle Alpi svizzere con un preciso incarico, recuperare l’amministratore delegato dell’azienda per cui lavora. Si accorgerà subito che i metodi dell’istituto non sono proprio secondo “le norme” e farà fatica a comprendere quanto sta succedendo in quel luogo. Gli verrà in aiuto una misteriosa ragazza, paziente del dottor Volmer. Durata 146 minuti. (Lux sala 3, The Space, Uci) Il diritto di contare – Drammatico. Regia di Theodore Melfi, con Octavia Spencer, Janelle Monàe, Taraji P. Hanson e Kevin Kostner. Una storia vera, tre donne di colore nella Virginia degli anni Sessanta, orgogliose e determinate, pronte a tutto pur di mostrare e dimostrare le proprie competenze in un mondo dove soltanto gli uomini sembrano poter entrare e dare un’immagine vittoriosa di sé. Una valente matematica, un’altra che guida un gruppo di “colored computers”, la terza aspirante ingegnere, senza il loro definitivo apporto l’astronauta John Glenn non avrebbe potuto portare a termine la propria spedizione nello spazio e gli Stati Uniti non avrebbero visto realizzarsi il proprio primato nei confronti dei russi. Durata 127 minuti. (Ambrosio sala 1, Centrale (V.O.), Due Giardini sala Nirvana, Romano sala 3, The Space, Uci)
Il diritto di contare – Drammatico. Regia di Theodore Melfi, con Octavia Spencer, Janelle Monàe, Taraji P. Hanson e Kevin Kostner. Una storia vera, tre donne di colore nella Virginia degli anni Sessanta, orgogliose e determinate, pronte a tutto pur di mostrare e dimostrare le proprie competenze in un mondo dove soltanto gli uomini sembrano poter entrare e dare un’immagine vittoriosa di sé. Una valente matematica, un’altra che guida un gruppo di “colored computers”, la terza aspirante ingegnere, senza il loro definitivo apporto l’astronauta John Glenn non avrebbe potuto portare a termine la propria spedizione nello spazio e gli Stati Uniti non avrebbero visto realizzarsi il proprio primato nei confronti dei russi. Durata 127 minuti. (Ambrosio sala 1, Centrale (V.O.), Due Giardini sala Nirvana, Romano sala 3, The Space, Uci) Elle – Drammatico. Regia di Paul Verhoeven, con Isabelle Huppert, Laurent Lafitte e Christian Berkel. Al centro della vicenda, tratta dal romanzo “Oh…” di Philippe Djian, è Michèle, interpretata da una Huppert che a detta di molti avrebbe ben avuto diritto a tenere per il ruolo un luccicante Oscar tra le mani. È una scalpitante imprenditrice di mezza età nel ramo videogiochi, obbligata a gestire una più che variopinta compagine familiare, a cominciare da un ex marito di poca fama nel campo letterario, da una madre che vede non di buon occhio l’età che avanza, da un figlio che non vive certo secondo le sue aspettative, di un amante che le è venuto a noia. Da un padre che in passato con un gesto sanguinoso ha cambiato la sua esistenza. Anche la sua vita ha un segreto, lo scopriamo fin dall’inizio: un uomo mascherato, una sera, si introduce nel suo appartamento e la violenta. Chi è quell’uomo? E perché la donna non va alla polizia per una denuncia, continuando la vita di sempre? Durata 140 minuti. (Ambrosio sala 2, Eliseo Grande, F.lli Marx sala Groucho, Uci)
Elle – Drammatico. Regia di Paul Verhoeven, con Isabelle Huppert, Laurent Lafitte e Christian Berkel. Al centro della vicenda, tratta dal romanzo “Oh…” di Philippe Djian, è Michèle, interpretata da una Huppert che a detta di molti avrebbe ben avuto diritto a tenere per il ruolo un luccicante Oscar tra le mani. È una scalpitante imprenditrice di mezza età nel ramo videogiochi, obbligata a gestire una più che variopinta compagine familiare, a cominciare da un ex marito di poca fama nel campo letterario, da una madre che vede non di buon occhio l’età che avanza, da un figlio che non vive certo secondo le sue aspettative, di un amante che le è venuto a noia. Da un padre che in passato con un gesto sanguinoso ha cambiato la sua esistenza. Anche la sua vita ha un segreto, lo scopriamo fin dall’inizio: un uomo mascherato, una sera, si introduce nel suo appartamento e la violenta. Chi è quell’uomo? E perché la donna non va alla polizia per una denuncia, continuando la vita di sempre? Durata 140 minuti. (Ambrosio sala 2, Eliseo Grande, F.lli Marx sala Groucho, Uci) ragazzi in cerca di sogni realizzati e di successo, lui, Sebastian, è un pianista jazz, lei, Mia, un’aspirante attrice che continua a fare provini. Si incontrano nella Mecca del Cinema e si innamorano. Musica e canzoni, uno sguardo al passato, al cinema di Stanley Donen e Vincent Minnelli senza tener fuori il francese Jacques Demy, troppo presto dimenticato. E’ già stato un grande successo ai Globe, sette nomination sette premi, due canzoni indimenticabili e due attori in stato di grazia, e adesso c’è la grande corsa agli Oscar, dove la storia fortemente voluta e inseguita dall’autore di “Whiplash” rischia di sbaragliare alla grande torri gli avversari: 14 candidature. Durata128 minuti. (Reposi)
ragazzi in cerca di sogni realizzati e di successo, lui, Sebastian, è un pianista jazz, lei, Mia, un’aspirante attrice che continua a fare provini. Si incontrano nella Mecca del Cinema e si innamorano. Musica e canzoni, uno sguardo al passato, al cinema di Stanley Donen e Vincent Minnelli senza tener fuori il francese Jacques Demy, troppo presto dimenticato. E’ già stato un grande successo ai Globe, sette nomination sette premi, due canzoni indimenticabili e due attori in stato di grazia, e adesso c’è la grande corsa agli Oscar, dove la storia fortemente voluta e inseguita dall’autore di “Whiplash” rischia di sbaragliare alla grande torri gli avversari: 14 candidature. Durata128 minuti. (Reposi) Life – Non oltrepassare il limite – Fantascienza. Regia di Daniel Espinosa, con Jake Gyllenhaal, Rebecca Fergusson e Ryan Reynolds. Un gruppo di scienziati, imbarcati su un’astronave, ha il compito di ritrovare una sorgente di vita sul pianeta Marte. Si imbatteranno in una cellula vivente che in poco tempo assumerà forza e proporzioni impensate, e soprattutto una aggressività che gli uomini con conoscono. Durata 103 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala1, Reposi, The Space, Uci anche V.O.)
Life – Non oltrepassare il limite – Fantascienza. Regia di Daniel Espinosa, con Jake Gyllenhaal, Rebecca Fergusson e Ryan Reynolds. Un gruppo di scienziati, imbarcati su un’astronave, ha il compito di ritrovare una sorgente di vita sul pianeta Marte. Si imbatteranno in una cellula vivente che in poco tempo assumerà forza e proporzioni impensate, e soprattutto una aggressività che gli uomini con conoscono. Durata 103 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala1, Reposi, The Space, Uci anche V.O.) Vikander e Rachel Weisz. Il regista, già apprezzatissimo autore di “Blue Valentine” e “Come un tuono”, è rimasto folgorato dal romanzo della scrittrice australiana M.L. Stedman e ha affidato al cinema un’opera che dalla sua prima apparizione a Venezia ha diviso i critici come pochi film lo hanno fatto prima. Vedremo come reagirà il pubblico. Un uomo colpito dalle ferite che la Grande Guerra gli ha inferto s’è rifugiato in un’isola lontana, a guardia di un faro, il suo incontro con una donna che lo riporta alla vita, i figli che non possono avere, il ritrovamento in mare di una piccola creatura, l’apparire della vera madre e distrugge tutti i sogni di un destino felice. Insomma un gran mélo, innegabile, che qualcuno appunto ha accolto come un capolavoro e che qualcuno al contrario ha bocciato in modo assoluto e definitivo, accusando di ridicolo situazioni e personaggio, pollice verso per attrici che hanno al loro attivo degli Oscar e considerate qui vittime di un racconto dove nulla sarebbe credibile. Durata 132 minuti. (Greenwich sala 2)
Vikander e Rachel Weisz. Il regista, già apprezzatissimo autore di “Blue Valentine” e “Come un tuono”, è rimasto folgorato dal romanzo della scrittrice australiana M.L. Stedman e ha affidato al cinema un’opera che dalla sua prima apparizione a Venezia ha diviso i critici come pochi film lo hanno fatto prima. Vedremo come reagirà il pubblico. Un uomo colpito dalle ferite che la Grande Guerra gli ha inferto s’è rifugiato in un’isola lontana, a guardia di un faro, il suo incontro con una donna che lo riporta alla vita, i figli che non possono avere, il ritrovamento in mare di una piccola creatura, l’apparire della vera madre e distrugge tutti i sogni di un destino felice. Insomma un gran mélo, innegabile, che qualcuno appunto ha accolto come un capolavoro e che qualcuno al contrario ha bocciato in modo assoluto e definitivo, accusando di ridicolo situazioni e personaggio, pollice verso per attrici che hanno al loro attivo degli Oscar e considerate qui vittime di un racconto dove nulla sarebbe credibile. Durata 132 minuti. (Greenwich sala 2) Williams e Lucas Hedges. Film in corsa per gli Oscar, sei candidature (miglior film e regista, sceneggiatura originale e attore protagonista, attrice e attore non protagonista), un film condotto tra passato e presente, ambientato in una piccola del Massachusetts, un film che ruota attorno ad un uomo, tra ciò che ieri lo ha annientato e quello che oggi potrebbe farlo risorgere. La storia di Lee, uomo tuttofare in vari immobili alla periferia di Boston, scontroso e taciturno, rissoso, richiamato nel paese dove è nato alla morte del fratello con il compito di accudire all’adolescenza del nipote. Scritto e diretto da Lonergan, già sceneggiatore tra gli altri di “Gangs of New York”. Durata 135 minuti. (Nazionale sala 1)
Williams e Lucas Hedges. Film in corsa per gli Oscar, sei candidature (miglior film e regista, sceneggiatura originale e attore protagonista, attrice e attore non protagonista), un film condotto tra passato e presente, ambientato in una piccola del Massachusetts, un film che ruota attorno ad un uomo, tra ciò che ieri lo ha annientato e quello che oggi potrebbe farlo risorgere. La storia di Lee, uomo tuttofare in vari immobili alla periferia di Boston, scontroso e taciturno, rissoso, richiamato nel paese dove è nato alla morte del fratello con il compito di accudire all’adolescenza del nipote. Scritto e diretto da Lonergan, già sceneggiatore tra gli altri di “Gangs of New York”. Durata 135 minuti. (Nazionale sala 1) Moonlight – Drammatico. Regia di Barry Jenkins, con Naomi Harris, Mahershala Ali e Trevante Rhodes. Miglior film secondo il parere della giuria degli Oscar, film teso, crudo, irritante. La storia di Chiron – suddivisa in tre capitoli che delimitano infanzia adolescenza ed età adulta del protagonista – nella Miami povera, tra delinquenza e droga, prima solitario e impaurito dalla propria diversità colpita dai pregiudizi, infine spacciatore che non ha paura di nulla e che sa adeguarsi al terrificante e violento panorama che lo circonda. Attorno a lui una madre tossicomane, un adulto che tenta di proteggerlo, un giovane amico. Durata 111 minuti. (Nazionale sala 2)
Moonlight – Drammatico. Regia di Barry Jenkins, con Naomi Harris, Mahershala Ali e Trevante Rhodes. Miglior film secondo il parere della giuria degli Oscar, film teso, crudo, irritante. La storia di Chiron – suddivisa in tre capitoli che delimitano infanzia adolescenza ed età adulta del protagonista – nella Miami povera, tra delinquenza e droga, prima solitario e impaurito dalla propria diversità colpita dai pregiudizi, infine spacciatore che non ha paura di nulla e che sa adeguarsi al terrificante e violento panorama che lo circonda. Attorno a lui una madre tossicomane, un adulto che tenta di proteggerlo, un giovane amico. Durata 111 minuti. (Nazionale sala 2) Luciano si ritrovano a lavorare nello stesso ristorante ma preferiscono lasciare l’Italia che è un paese senza futuro. Scelgono Cuba, sono gli ultimi mesi di Castro. Nella capitale trovano Sara, anche lei con qualche ferita da rimarginare. Avventure, dolori e disillusioni porteranno Sandro a tenersi ben stretto ai suo principi, sarà Luciano ad abbandonare quelle certezze in cui pareva credere e a perdersi in un’oscurità che non aveva ancora conosciuto. Durata 105 minuti. (Massaua, Massimo sala 1, Reposi, The Space, Uci) – Sabato 25 marzo, al Cinema Massimo, prima della proiezione delle 20,20, Giovanni Veronesi incontrerà il pubblico e presenterà il film.
Luciano si ritrovano a lavorare nello stesso ristorante ma preferiscono lasciare l’Italia che è un paese senza futuro. Scelgono Cuba, sono gli ultimi mesi di Castro. Nella capitale trovano Sara, anche lei con qualche ferita da rimarginare. Avventure, dolori e disillusioni porteranno Sandro a tenersi ben stretto ai suo principi, sarà Luciano ad abbandonare quelle certezze in cui pareva credere e a perdersi in un’oscurità che non aveva ancora conosciuto. Durata 105 minuti. (Massaua, Massimo sala 1, Reposi, The Space, Uci) – Sabato 25 marzo, al Cinema Massimo, prima della proiezione delle 20,20, Giovanni Veronesi incontrerà il pubblico e presenterà il film. Yilmaz. Il regista turco torna a girare nella sua patria, a vent’anni di distanza dal “Bagno turco” e da “Harem Suaré”, ancora una volta avvolto nel suo realismo magico, con una storia che ha le proprie radici (rivisitate) nel romanzo omonimo, a cavallo dell’autobiografia, e che vede il ritorno a Istanbul da una Londra culla d’esilio dello scrittore Orhan richiamato dal regista Deniz al ruolo di editor per una sua nuova opera letteraria. Ma Deniz all’improvviso scompare e Ohran viene a contatto con il mondo di lui, con i suoi amici, con il suo passato. Malinconie, la realtà del quotidiano, i cambiamenti della Turchia, il passato e il presente che si guardano e si confrontano, le “madri del sabato” alla ricerca dei figli scomparsi. Durata120 minuti. (Eliseo Rosso, Romano sala 1)
Yilmaz. Il regista turco torna a girare nella sua patria, a vent’anni di distanza dal “Bagno turco” e da “Harem Suaré”, ancora una volta avvolto nel suo realismo magico, con una storia che ha le proprie radici (rivisitate) nel romanzo omonimo, a cavallo dell’autobiografia, e che vede il ritorno a Istanbul da una Londra culla d’esilio dello scrittore Orhan richiamato dal regista Deniz al ruolo di editor per una sua nuova opera letteraria. Ma Deniz all’improvviso scompare e Ohran viene a contatto con il mondo di lui, con i suoi amici, con il suo passato. Malinconie, la realtà del quotidiano, i cambiamenti della Turchia, il passato e il presente che si guardano e si confrontano, le “madri del sabato” alla ricerca dei figli scomparsi. Durata120 minuti. (Eliseo Rosso, Romano sala 1) Slam – Tutto per una ragazza – Commedia. Regia di Andrea Molaioli, con Jasmine Trinca, Ludovico Tersigni, Barbara Ramella e Luca Marinelli. Tratto dal romanzo di Nick Hornby. Samuele, romano, sedicenne, grande appassionato di skateboard, va letteralmente nel panico quando viene a sapere la la fidanzatina Alice aspetta un bimbo: terrorizzato ma deciso a non sottrarsi alle proprie responsabilità. Anche lui è venuto al mondo quando i suoi genitori erano decisamente giovani. Grande successo all’ultimo TFF. Dirige il regista di “La ragazza del lago” e “Il gioiellino”. Durata 100 minuti. (Ideal, Reposi, The Space, Uci)
Slam – Tutto per una ragazza – Commedia. Regia di Andrea Molaioli, con Jasmine Trinca, Ludovico Tersigni, Barbara Ramella e Luca Marinelli. Tratto dal romanzo di Nick Hornby. Samuele, romano, sedicenne, grande appassionato di skateboard, va letteralmente nel panico quando viene a sapere la la fidanzatina Alice aspetta un bimbo: terrorizzato ma deciso a non sottrarsi alle proprie responsabilità. Anche lui è venuto al mondo quando i suoi genitori erano decisamente giovani. Grande successo all’ultimo TFF. Dirige il regista di “La ragazza del lago” e “Il gioiellino”. Durata 100 minuti. (Ideal, Reposi, The Space, Uci) Lee Miller e Ewen Bremmer. Il precedente “Trainpotting” aveva lasciato Mark Renton scappava con il malloppo, abbandonando i compagni in un un mare di rabbia, di droga e di sballo. Non tutti l’hanno digerita. La nuova puntata di quel film che è diventato un cult vede il nostro nel tentativo di riallacciare i contatti, e per quanto si può in vera pace, con loro rimettendo piede a Edinburgo. Quello che non ha proprio voglia di incontrare è Begbie (Carlyle), appena uscito di galera, il più legato al mondo di un tempo. Durata 117 minuti. (Greenwich sala 1)
Lee Miller e Ewen Bremmer. Il precedente “Trainpotting” aveva lasciato Mark Renton scappava con il malloppo, abbandonando i compagni in un un mare di rabbia, di droga e di sballo. Non tutti l’hanno digerita. La nuova puntata di quel film che è diventato un cult vede il nostro nel tentativo di riallacciare i contatti, e per quanto si può in vera pace, con loro rimettendo piede a Edinburgo. Quello che non ha proprio voglia di incontrare è Begbie (Carlyle), appena uscito di galera, il più legato al mondo di un tempo. Durata 117 minuti. (Greenwich sala 1) Vi presento Toni Erdman – Commedia. Regia di Marin Ade, con Peter Simonischek e Sandra Hüller. Un padre davvero sui generis che, abbandonando la sua vera identità di Winfried per assumere quella del titolo, compare all’improvviso a Bucarest dove la figlia, donna in carriera solitaria e senza uno straccio di relazione amorosa a farle da supporto in un’esistenza senza troppe luci e molte ombre, sta trattando un grosso affare. Un rapporto e una storia fatti di comicità e di tenerezza, un incontro che scombussola, un chiarimento di intenti e di futuro. Durata 162 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse)
Vi presento Toni Erdman – Commedia. Regia di Marin Ade, con Peter Simonischek e Sandra Hüller. Un padre davvero sui generis che, abbandonando la sua vera identità di Winfried per assumere quella del titolo, compare all’improvviso a Bucarest dove la figlia, donna in carriera solitaria e senza uno straccio di relazione amorosa a farle da supporto in un’esistenza senza troppe luci e molte ombre, sta trattando un grosso affare. Un rapporto e una storia fatti di comicità e di tenerezza, un incontro che scombussola, un chiarimento di intenti e di futuro. Durata 162 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse) Casale ed il Monferrato come luogo ideale per girare pellicole cinematografiche. Questa potrebbe essere una destinazione per il futuro. Intanto si sta per alzare ufficialmente il sipario di “Te Absolvo”, opera del regista Carlo Benso
Casale ed il Monferrato come luogo ideale per girare pellicole cinematografiche. Questa potrebbe essere una destinazione per il futuro. Intanto si sta per alzare ufficialmente il sipario di “Te Absolvo”, opera del regista Carlo Benso a Casale. Nella mattinata di sabato, dalle ore 10, a Villa Vidua di Conzano il sindaco Emanuele Demaria organizzerà una presentazione aperta al pubblico con il produttore Francesco Paolo Montini, il regista Carlo Benso e i protagonisti del film Toni Garrani, Igor Mattei, Karolina Cernic e l’attore casalese Fabio Fazi per “raccontare” al pubblico i momenti più caratteristici dell’esperienza vissuta sul set.. Anteprima del film dunque sabato 25 marzo, ore 21, al Teatro Municipale di Casale Monferrato, con ingresso a invito, e nelle sere di lunedì 27, martedì 28 e mercoledì nella multisala casalese di Cinelandia con unico spettacolo alle ore 20.30. E’ possibile prenotare i biglietti direttamente a Cinelandia o sul sito
 a Casale. Nella mattinata di sabato, dalle ore 10, a Villa Vidua di Conzano il sindaco Emanuele Demaria organizzerà una presentazione aperta al pubblico con il produttore Francesco Paolo Montini, il regista Carlo Benso e i protagonisti del film Toni Garrani, Igor Mattei, Karolina Cernic e l’attore casalese Fabio Fazi per “raccontare” al pubblico i momenti più caratteristici dell’esperienza vissuta sul set.. Anteprima del film dunque sabato 25 marzo, ore 21, al Teatro Municipale di Casale Monferrato, con ingresso a invito, e nelle sere di lunedì 27, martedì 28 e mercoledì nella multisala casalese di Cinelandia con unico spettacolo alle ore 20.30. E’ possibile prenotare i biglietti direttamente a Cinelandia o sul sito 
 della città della Dora. L’aspetto meno conosciuto e sicuramente il più importante di Flamini : è la paziente, diuturna raccolta ,diventata negli anni davvero imponente, di documenti e libri sulla storia e sull’arte piemontesi. Le stanze di via Vanchiglia sono piene zeppe di un vero e proprio tesoro. Sentendo i discorsi di circostanza del Sindaco/a di Torino e del Presidente della Regione ai suoi funerali mi sono chiesto perché tanti elogi in morte a fronte dello scarsissimo interessamento per la sede dell’associazione fondata da Flamini che ospita il tesoro da lui accumulato. La sede dell’associazione ha avuto lo sfratto, sembra per morosità. I suoi costi erano diventati insostenibili. Tenere in piedi un’associazione è cosa difficile, se non disperata in questa città che privilegia solo una certa cultura schierata e considera intellettuali sono gli amici di certe persone.
della città della Dora. L’aspetto meno conosciuto e sicuramente il più importante di Flamini : è la paziente, diuturna raccolta ,diventata negli anni davvero imponente, di documenti e libri sulla storia e sull’arte piemontesi. Le stanze di via Vanchiglia sono piene zeppe di un vero e proprio tesoro. Sentendo i discorsi di circostanza del Sindaco/a di Torino e del Presidente della Regione ai suoi funerali mi sono chiesto perché tanti elogi in morte a fronte dello scarsissimo interessamento per la sede dell’associazione fondata da Flamini che ospita il tesoro da lui accumulato. La sede dell’associazione ha avuto lo sfratto, sembra per morosità. I suoi costi erano diventati insostenibili. Tenere in piedi un’associazione è cosa difficile, se non disperata in questa città che privilegia solo una certa cultura schierata e considera intellettuali sono gli amici di certe persone. Sindaco/a sta di fatto appoggiando. Flamini poteva intendersi con grandi presidenti come Aldo Viglione che aveva un’idea alta del Piemonte e fu l’iniziatore del progetto relativo alle Regge sabaude, lui socialista e repubblicano. Così come si intese a prima vista con Gianni Oberto, presidente anche lui della Regione, a cui è intitolato un centro studi della Regione Piemonte. Il cuneese Viglione e il canavesano Oberto avevano una grande sensibilità verso la cultura piemontese, anzi direi verso le culture piemontesi. Un altro grande tutore delle tradizioni piemontesi, Renzo Gandolfo ,ha avuto ben altra sorte rispetto a quella di Flamini(addirittura un pezzo di via a lui intitolato nel centro di Torino),ma Gandolfo, in fondo, era un aristocratico persino nel volto e nel portamento. La sua barba bianca faceva pensare ai grandi piemontesi dell’’800. L’immagine di Gianduia era cosa diversa e toglieva di credibilità all’immagine di Flamini difensore della cultura piemontese,almeno agli occhi degli intellettuali snob che egemonizzano questa città.Sicuramente il folclore non è sempre cultura,spesso è mero divertimento e basta.
Sindaco/a sta di fatto appoggiando. Flamini poteva intendersi con grandi presidenti come Aldo Viglione che aveva un’idea alta del Piemonte e fu l’iniziatore del progetto relativo alle Regge sabaude, lui socialista e repubblicano. Così come si intese a prima vista con Gianni Oberto, presidente anche lui della Regione, a cui è intitolato un centro studi della Regione Piemonte. Il cuneese Viglione e il canavesano Oberto avevano una grande sensibilità verso la cultura piemontese, anzi direi verso le culture piemontesi. Un altro grande tutore delle tradizioni piemontesi, Renzo Gandolfo ,ha avuto ben altra sorte rispetto a quella di Flamini(addirittura un pezzo di via a lui intitolato nel centro di Torino),ma Gandolfo, in fondo, era un aristocratico persino nel volto e nel portamento. La sua barba bianca faceva pensare ai grandi piemontesi dell’’800. L’immagine di Gianduia era cosa diversa e toglieva di credibilità all’immagine di Flamini difensore della cultura piemontese,almeno agli occhi degli intellettuali snob che egemonizzano questa città.Sicuramente il folclore non è sempre cultura,spesso è mero divertimento e basta.  lucchese e romano Pannunzio significava una scelta precisa: non voler restare ad ogni costo sotto la Mole, ma guardare alla cultura nazionale e internazionale, come aveva fatto Giuseppe Baretti e pochi altri piemontesi. Nel 1998 mi conferì in Comune, alla presenza del Sindaco Castellani, il Premio San Giovanni insieme a don Luigi Ciotti e Lia Varesio, l’eccezionale animatrice di un’iniziativa umanitaria davvero straordinaria, “la Bartolomeo & C”. In quell’occasione sentii l’inutilità del mio lavoro intellettuale rispetto all’impegno concreto degli altri premiati. Fu l’unica occasione per me di parlare con don Ciotti, che ritengo a me molto distante e che pure ebbe parole gentili nei miei confronti.
lucchese e romano Pannunzio significava una scelta precisa: non voler restare ad ogni costo sotto la Mole, ma guardare alla cultura nazionale e internazionale, come aveva fatto Giuseppe Baretti e pochi altri piemontesi. Nel 1998 mi conferì in Comune, alla presenza del Sindaco Castellani, il Premio San Giovanni insieme a don Luigi Ciotti e Lia Varesio, l’eccezionale animatrice di un’iniziativa umanitaria davvero straordinaria, “la Bartolomeo & C”. In quell’occasione sentii l’inutilità del mio lavoro intellettuale rispetto all’impegno concreto degli altri premiati. Fu l’unica occasione per me di parlare con don Ciotti, che ritengo a me molto distante e che pure ebbe parole gentili nei miei confronti. Musei Reali – Galleria Sabauda, Spazio confronti fino al 18 giugno 2017
Musei Reali – Galleria Sabauda, Spazio confronti fino al 18 giugno 2017
 Maura Maffei sta attraversando un periodo davvero felice della sua carriera di autrice. La scrittrice monferrina, casalese di adozione, registra proprio in questi giorni l’uscita del terzo libro della trilogia “Dietro la tenda”, ovvero “L’astuzia della volpe” (edito per Parallelo 45)che conclude la saga di due famiglie irlandesi nello scenario magnifico del Connemara
Maura Maffei sta attraversando un periodo davvero felice della sua carriera di autrice. La scrittrice monferrina, casalese di adozione, registra proprio in questi giorni l’uscita del terzo libro della trilogia “Dietro la tenda”, ovvero “L’astuzia della volpe” (edito per Parallelo 45)che conclude la saga di due famiglie irlandesi nello scenario magnifico del Connemara