Il titolo è, quanto meno, bizzarro: “Porta Scusa”. L’opera é un acrilico su tela, un 40 per 40 di raffinata armonia e bellezza. Forse é il più interessante fra i quadri presenti in mostra, per quella pura essenzialità di forma e colore, con quel bianco candore che sulla bianca parete della Galleria compie un autentico miracolo di eleganza visiva e che riassume nell’astrazione di uno spazio relativamente esiguo – attraverso il gesto, ripetitivo qui come in molte altre opere, di sottrazione e sovrapposizione, sottrarre e aggiungere – la grande capacità dell’artista di creare a un tempo solida fisicità e intima, folgorante spiritualità. “E’ un titolo che nasce per caso”, racconta il giovane trentenne Bret Slater (americano del Bronx, ma oggi residente a
Brooklyn), secondo artista degli States – dopo Eric Shaw – ad usufruire di un soggiorno gratuito a Torino, ospite della “Privateview Gallery”, dove oggi, e fino al 23 settembre, espone una trentina di pezzi tutti prodotti sotto la Mole e realizzati in esclusiva per gli spazi della Galleria di via Goito 16. Ironico, gentile, un filo di barba che s’accoppia perfettamente ai lunghi capelli neri e una cifra industriale di tatuaggi, racconta Slater in un italiano raffazzonato alla bell’e meglio: “I primi giorni che mi trovavo a Torino non facevo altro che chiedere ‘scusa’ per ricevere le informazioni che mi occorrevano e mio principale punto di riferimento per muovermi in città era la stazione di Porta Susa, che sentivo spesso citare anche nella voce preregistrata della metro”. Di qui l’abbinamento spontaneo di “Scusa” e “Porta Susa”, diventato per gioco quel tutt’uno di “Porta Scusa” appioppato come titolo e con arguzia a uno dei quadri certamente più belli concepiti da Bret nella casa-studio torinese messa a sua disposizione in piazza Peyron.

Lì – attraverso tecniche singolari e di indubbio effetto che uniscono, all’uso dell’olio e dell’acrilico tradizionali, vinili e resine di nuova generazione – nascono altri pezzi di ispirazione prettamente subalpina o, più genericamente legati alla cultura italiana: da “Personna non grazie” ( sic! acrilico su tela, dal titolo italiano ancora molto bislacco e sempre giocato su una candida tavolozza monocromatica pur se integrata da alchemiche certosine manipolazioni), fino al piacevolissimo “Bollicine”, piccola tela omaggio al mitico album di Vasco Rossi in cui bianco e arancione (il colore dei Mets, la squadra di baseball adorata da Bret) si contendono uno spazio di pura astrazione che fortemente rispecchia la cifra stilistica di Otis Jones, fra i grandi post-minimalisti americani di cui Bret è stato assistente a Dallas per oltre tre anni.

Curata da Mauro Piredda, direttore artistico della Galleria di San Salvario, la rassegna vede in parete opere di grande formato, accanto a piccole tele tridimensionali e a un’inedita serie di dipinti “acquerellati” su carta. Lavori astratti. Che a tratti cedono alla virulenza dell’informale o dell’action painting. Forme geometriche singolari, iconiche e maniacali e perfino un po’ sciamaniche. Spesso circolari (“the circles” o “the eyes”), realizzate in punta di fioretto come la famosa “O” di Giotto, artista particolarmente amato – insieme al Rinascimento italiano – da Bret che a lui dedica il titolo di una sua “maschera” abbinandola all’indirizzo della Galleria ospitante: “Giotto, via Goito 16”. Su questa linea può leggersi la grande multicromatica tela rotonda “The island at the center of the world”, ispirata al
celebre libro di Russell Shorto sulle origini olandesi di New York City. Più attratte dalle voci di un espressionismo astratto alla Kenneth Noland, appaiono invece la tela “Amores Perros” – omaggio all’omonimo film messicano di Guillermo Arriaga, in cui il viola e l’orange creano effetti paesistici inquietanti caratterizzati da lingue di fuoco infernali dominanti sull’armonica precisione del segno – e “Where the sun ends and the darkness begins” (“Dove finisce il sole e inizia il buio”), grande tela nera con volute “sbavature” cromatiche e le immancabili maschere iconiche, in memoria della Torino “diabolica” e “nera” dell’esoterica piazza Statuto. “Forma, colore e materia – scrive bene Piredda– diventano più forti di qualsiasi parola. L’obiettivo massimo è colpire l’inconscio…. Il monolito a forma di parallelepido è un’entità divina ed aliena, un modo per rappresentare in maniera ‘anonima’ l’inconoscibile”. A chi osserva questi quadri, il ghiribizzo (non il dovere) di suggerire significati. A Bret il dovere (non il ghiribizzo) di farti volare a un metro da terra – o anche più – per guadagnare i cieli alti e liberi dell’emozione.
Gianni Milani
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“Bret Slater. Solo Show”
“Privateview Gallery”, via Goito 16, Torino; tel. 011/6686878 – www.privateviewgallery.com
Fino al 23 settembre. Orari: mart. – sab. 15/19; al mattino su appuntamento

Le immagini:

Appuntamento lunedì 3 luglio alle 19 (riservato a giornalisti e invitati) con tanti ospiti. I fratelli Chiarlo, ideatori dell’evento, presenteranno in anteprima anche il programma della dodicesima edizione di “Santità sconosciuta – Piemonte terra di Santi”


una piccola città del Nord della Francia, la storia di Pauline, una infermiera a domicilio, divorziata, con due figli e vecchio padre a carico. Un partito di estrema destra la vorrebbe capolista alle municipali, lei, convinta per l’occasione di poter fare del bene alla sua gente, accetta. Tema attualissimo, racconto, nelle corde del regista, per scoperchiare i falsi metodi di rispettabilità e buone maniere che stanno da una certa parte politica: all’uscita francese ne febbraio scorso, grandi rimostranze nella destra; da noi “la Repubblica” gli ha riconosciuto uno sguardo “preciso e clinico” senza tuttavia nascondere il difetto “di essere troppo dimostrativo, troppo didascalico”. Durata 95 minuti. (Classico)
Periodo non felice per Alan Clay (ha appena divorziato dalla moglie, è senza casa e non ha il becco di un quattrino per pagare la retta della scuola della figlia, rischia persino il lavoro se non porterà a casa in grosso contratto) è inviato dalla sua società di informatica in Arabia Saudita per ottenere l’appalto dei servizi telematici nella città che si sta costruendo nel deserto. La burocrazia temporaggia e il sovrano imprenditore si fa attendere. Alan avrà così tutto il tempo per fare un bilancio della propria esistenza. Durata 98 minuti. (Massaua, Greenwich sala 2)
come “I padroni della notte” e “Two lovers” si affida oggi ad un diverso genere cinematografico, quello dell’avventura, ma anche qui quell’”avventura” che mina allo stesso tempo il corpo e la mente. La storia di Percival Fawcett, ufficiale di carriera britannico, che all’inizio del Novecento ha l’incarico dalla Società Geografica Reale di recarsi al confine tra Brasile e Bolivia per effettuale importanti rilievi cartografici. La società, la famiglia, le difficoltà, la malattia, l’ossessione della ricerca di una città perduta, tutto contribuisce a rendere un ritratto e un film forse d’altri tempi ma comunque autentico, avvincente, degno della storia di un regista che amiamo. Durata 141 minuti. (Ambrosio sala 2, Eliseo Blu, Uci)
Uno sguardo sulla comunità dei nomadi irlandesi, ormai per la maggiorate del tempo stanziali se non fosse per certi ordini a lasciare le piazze occupate, visti i disordini e i furti che i loro soggiorni portano con sé. Il vecchio Colby, capo riconosciuto della comunità, deve fare i conti con la decisione del figlio Chad di cambiar vita, considerando anche il cambio di vita che si vorrebbe prospettare alle generazioni future. Il tutto nella lotta continua tra un padre e un figlio, tra chi vorrebbe mantenere ben ferme certe tradizioni e un comportamento di vita del tutto discutibile e chi sente ancora saldi quei rapporti di affetti e di complicità che inviluppano du persone delle stesso strettissimo sangue. Durata 99 minuti. (Massaua, Lux sala 1The Space, Uci)
fortunatamente la distribuzione di Teodora ha portato nelle sale. Ricavandone la vicenda dal romanzo “Lady Macbeth nel distretto di Mtsensk” scritto dal russo Nikolaj Leskov e portato poi nel mondo lirico da Shostakovich, qui trasportata da quei panorami alle brughiere dell’Inghilterra del 1865, la diciassettenne Katherine è costretta dalla volontà del padre a un matrimonio senza amore con un uomo più anziano di lei, che non la desidera e apertamente la trascura. Soffocata dalle rigide norme sociali dell’epoca, all’allontanamento del marito per questioni di lavoro, inizierà una relazione clandestina con un giovane stalliere alle dipendenze del marito, ma l’ossessione amorosa la spingerà in una spirale di violenza dalle conseguenze sconvolgenti, nell’eliminazione di chiunque voglia cancellare quella passione. L’autore è un giovane, trentasettenne, drammaturgo che ambienta la sua storia nel chiuso opprimente nelle stanze del grande palazzo, con pochissime concessioni all’esterno, scavando appieno ed egregiamente nei tanti caratteri, in specialmente in quello della sua protagonista, anti-eroina perfettamente lucida e sanguinaria. Durata 89 minuti. (Nazionale sala 1)
centro del lontano territorio persiano. Nei tempi nostri, la sempre suddetta principessa Ahmanet si risveglia tra gli sconquassi delle guerre orientali e porta distruzione sino a Londra, tra pugnali e pietre preziose e riti che coinvolgono l’appassito e rintontito ex eroe Tom Cruise che per stare a galla dello star system è costretto ancora una volta a ingarbugliarsi nelle sue solite mission impossible, in una lotta tra bene e male che cerca di nobilitarne il personaggio di soldato fanfarone e truffaldino. Il bello (si fa per dire) della storia affidata per il 99% alle dinamiche dei computer e per il restante all’espressività degli attori è di prendere la decisione sul finale di tener aperta la porta di un sequel che se ancora interesserà il pubblico potrà riempire un’altra volta le tasche di divo e divette. Durata 107 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space, Uci)
e Sandrine Bonnaire. Il regista francese (com’è lontano il ’66 quando apparve sulla ribalta internazionale del successo con “Un uomo, una donna”) viaggia da decenni con le sue stelle comete della vita e dell’amore, dell’amicizia, dei piccoli e grandi tradimenti, con gli amori che si ritrovano, della famiglia, tra immagini sontuose e sceneggiature che gironzolano qua e là disseminando sentenze. Prendere o lasciare: ma “Les una et les autres” – “Bolero” da noi” – non si dimentica. Lelouch continua la sua filosofia di vita in questo secolo ormai più che avviato, questa volta radunando, grazie all’amico medico Frédéric, attorno alla tavola del fotoreporter Jacques Kaminsky – un rispolverato Hallyday -, eclissatosi tra i bellissimi panorami delle Alpi, le quattro figlie avuto parecchio distrattamente da altrettante diverse unioni. Il film è del 2014, arriva oggi qui da noi, un’occasione anche per chi ha (persino) dimenticato il nome di Lelouch o chi non lo ha mai scoperto. Durata 124 minuti. (Due Giardini sala Nirvana, F.lli Marx sala Groucho, Massimo sala 1)
Transformers – L’ultimo cavaliere – Fantasy. Regia di Michael Bay, con Mark Wahrlberg, Stanley Tucci e Anthony Hopkins. L’origine degli alieni e della loro presenza nel nostro mondo sta ben ancorata nel tempo di Re Artù, dei Cavalieri della Tavola Rotonda e di Mago Merlino che ha nascosto nella propria tomba un segreto di cui l’uomo di oggi dovrà venire a conoscenza se vorrà salvare il mondo da creature non poco pericolose. Poi, oggi, ci sono i transformers, coloro pronti a mutarsi in mostruose automobili o in robot altrettanto terrificanti, una colonia di alieni in cui si nascondono buoni e cattivi che l’uomo dovrà comunque conoscere sino in fondo. Durata 150 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci anche in 3D)
Finocchiaro e Andrea Carpenzano. Tratto liberamente dal romanzo “Poco più di niente” di Cosimo Calamini, è la storia del giovane Alessandro, romano di Trastevere, che vive le proprie giornate tra il bar, lo spaccio e l’amante che è la madre di un suo amico. Sarà l’incontro con un “non più giovane” poeta dimenticato a fargli riassaporare socialmente e culturalmente il gusto per la vita, in un bel rapporto che si va a poco a poco costruendo, senza lasciarsi alle spalle tutta la rabbia e quella speranza che i due si portano inevitabilmente appresso. Durata 106 minuti. (Eliseo Rosso, Greenwich sala 3)
Zellweger. L’avvocato Ramsey ha deciso di difendere il giovane Mike dall’accusa di aver ucciso il padre. Ma il verdetto sembra già scritto, il ragazzo è stato trovato accanto al cadavere con un coltello in mano e ora si trincera dietro un silenzio assoluto. Nuove prove, interrogatori, assolute certezze, la reticenza di una vedova, depistaggi, ambigui personaggi, depistaggi, le regole di quelle storie ambientate in un’aula di tribunale più che rispettate: ma forse quello che appare è ben lontano dalla verità. Diretto dall’autrice dell’indimenticabile “Frozen River” girato otto anni fa. Durata 93 minuti. (Lux sala 3, Uci)
Continua la terza edizione del Vignale Monferrato Festival. Il secondo weekend è all’insegna del circo contemporaneo, grazie alla presenza di importanti artisti invitati in collaborazione con il Festival Mirabilia.
Le poesie di Alessia Savoini
Prosegue con grande successo anche la quarta settimana della rassegna ‘#Parco Dora Live’, che sino a fine luglio offre concerti e spettacoli di cabaret gratuiti di grandi artisti italiani nella piazzetta
invece, presentato da Gino Latino di Radio GRP (media partner dell’evento) e Carlotta Iossetti, sarà la volta del concerto di Mario Venuti, affermato e amato cantautore italiano con all’attivo svariati grandi successi della musica italiana. Attesi inoltre nelle prossime settimane anche l’ex cantante dei Matia Bazar Silvia Mezzanotte, Donatella Rettore, Alexia e Marco Ferradini. Tutti gli spettacoli sono gratuiti e iniziano alle 20.30. Per informazioni, 
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