Venerdì 27 aprile dalla ore 18.30 inaugurerà presso gli spazi di Math12 in via Silvio Pellico 12 la mostra dal titolo “Religiosamente Granata – Una maglia per sette artisti” che vedrà come protagonista la storia del Torino Calcio riflessa nelle opere di artisti contemporanei

L’esposizione, curata dalla galleria Paola Meliga di Torino, è stata pensata per celebrare la gloriosa storia del team calcistico, intimamente legata all’identità cittadina. Il tragico evento di
Superga, con l’incidente aereo del 4 maggio 1949 che spezzò il sogno del Grande Torino, ebbe nel contempo l’effetto di proiettare quei grandi campioni in una dimensione quasi mitica, consegnandoli all’immortalità e onorandone la memoria con l’appellativo di “Invincibili”. L’omaggio alla squadra avverrà attraverso il lavoro di sette artisti contemporanei torinesi, che esporranno opere grafiche, pittoriche, fotografie e sculture che traggono ispirazione, forza e vitalità dalla passione per la squadra del Torino. Gli artisti aderenti all’iniziativa sono Claudio Bellino, Gianni Bergamin, Massimo Bertoli, Attilio Di Maio, Mario Giammarinaro, Mauro Franco e Luciano Proverbio. Nell’esposizione troverà spazio anche il ricordo delle vicende della squadra giovanile del Torino Calcio cui toccò l’onore e l’onere il 15 Maggio del 1949 di sostituire allo stadio Filadelfia contro il Genova il grande team perito nell’incidente aereo di
Superga. Durante l’inaugurazione verrà proiettato il cortometraggio “L’ultimo viaggio del Conte Rosso”, realizzato da Fabiana Antonioli per Filmika, che racconta le storie di quattro giocatori della squadra giovanile del Torino che portarono a termine il campionato degli Invincibili
scomparsi nel 1949 a Superga, tra i quali figura Antonio Giammarinaro, zio dell’artista Mario Giammarinaro. La mostra, in programma sino al 13 maggio, verrà inaugurata a un paio di settimane di distanza dalla morte di Sauro Tomà, avvenuta il 10 aprile scorso a Torino, l’unico membro della squadra del Grande Torino (insieme con il secondo portiere Renato Gandolfi) che sopravvisse fortuitamente alla tragedia perché, per seri problemi al menisco, fu costretto a rinunciare alla trasferta aerea a Lisbona. L’esposizione sarà quindi anche un modo per omaggiarlo.
Paolo Barosso
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Info mostra:
“Religiosamente Granata “
Math12_SPAZIOTRAVERSALE: Via Silvio Pellico 12 a Torino
dal 27 Aprile 2018 al 13 Maggio 2018
con i seguenti orari: Martedì/Sabato h 15,00.20.00 Domenica 15,00-19,00 –
Lunedì giorno di chiusura.
ll’Ospedale Sant’Anna la comunità jazzistica torinese ha dato gratuitamente un’adesione massiccia all’operazione “Vitamine Jazz”, dalle finalità culturali e sociali. Sono già avvenuti quarantacinque interventi fra le corsie da parte di più di novanta fra i migliori jazzisti torinesi
Il regista Raimondo Cesa, autore del progetto “Vitamine Jazz” spiega: Quando con la Fondazione abbiamo pensato a questa nuova iniziativa non credevamo sicuramente ad un’affluenza così massiccia, gli interventi da quando è partito il progetto sono ormai quasi 50. Come prima cosa vorrei ringraziare la Comunità jazzistica Torinese che ha accolto con sensibilità ed entusiasmo l’appello da me lanciato a nome della “Fondazione Medicina a Misura di Donna” per l’ospedale Sant’Anna di Torino. Oltre novanta artisti jazz, con diverse formazioni, dall’autunno del 2017, stanno invadendo pacificamente con la loro musica l’ospedale, abbracciando l’ingresso, accompagnando le cure al day hospital oncologico, dando il benvenuto alle nuove vite (oltre 7000 ogni anno, da genitori provenienti da oltre 80 paesi). Stiamo assistendo ad un’invasione pacifica di artisti che con il loro contributo confermano l’importanza di questa musica nella storia culturale della nostra città”.
La musica è conversazione, comunicazione in armonia. Il jazz in particolare e’ condivisione continua. Dall’interazione fra musicista e spettatore nascono le successive improvvisazioni. Credo a quasi tutti voi sia capitato di assistere ad un concerto jazz dal vivo, i musicisti sono estremamente attenti alla reazione del pubblico facendo di conseguenza reagire i loro strumenti. In psicologia sociale ce’ una definizione “evento comportamentistico interpersonale” che può servire a definire il rapporto che si instaura fra i jazzisti ed il pubblico. L’emozione è fondamentale, la tensione costruttiva insieme al pubblico porta alla creazione musicale che si propaga fra i musicisti e che si schiude a tutte le contaminazioni. Chi suona crede nella possibilità di comunicare qualcosa di reale, quando questo succede viene favorita una relazione significativa. Vengono aperti nuovi canali di comunicazione non verbale, avviene una sinergia, un processo di sintonizzazione che tende a stimolare risposte fisiche e psicologiche. E’ arrivato all’Ospedale Sant’ Anna, a favore delle donne, il grande patrimonio della tradizione jazzistica del territorio, di umanità, che proviene dal dialogo di molte culture. Composizioni originali e improvvisazioni, nelle quali le sonorità jazzistiche si alternano ad atmosfere mediterranee e sudamericane, con toni caldi e dolci, portano le menti verso altri immaginari, fuori dalle mura ospedaliere.
contemporanei, troppo numerosi per citarli tutti, che hanno evidentemente trovato un pubblico attento e preparato. Così i lettori piemontesi del gruppo Facebook, con i loro post ed i loro consigli, hanno permesso agli altri iscritti di conoscere autori e libri meno noti, legati al territorio e alle tradizioni della propria cultura. In tutto ciò è evidente ed innegabile che una simile divulgazione, basata esclusivamente sull’esperienza ed i pareri dei lettori, senza alcun interesse editoriale o economico, possa arricchire altri lettori, che potranno conoscere usi, costumi, storia di un territorio altrimenti lontano, grazie ai libri di Alessandro Perissinotto o di Margherita Oggero e di Luca Baggio, senza dimenticare Massimo Gramellini, Alice Basso o Sebastiano Vassalli, e qui mi fermo scusandomi con gli scrittori che non ho citato, suggeriti dagli iscritti al gruppo.Proprio grazie a questi suggerimenti è possibile venire in contatto con realtà poco note, un commento o una recensione possono incuriosire o lanciare un’idea, aprire una finestra su un paesaggio nuovo ma già selezionato, scremato, con indicazioni di letture, generi, ambientazioni che permettono una selezione critica alla fonte. Una selezione però basata su opinioni, gusti, idee di persone non legate al mondo dell’editoria, che esprimono le proprie valutazioni liberamente e senza secondi fini; magari ingenuamente, con semplicità, oppure con grande competenza, ma sempre e solo per amore della lettura. Ho vissuto alcuni anni a Torino, mi è rimasta nel cuore e credo che conoscerla e riconoscerla attraverso le parole dei suoi scrittori potrà essere un viaggio emozionante.
FINO AL PRIMO MAGGIO
libri di poesie e poeta egli stesso, nonché – intorno agli anni Trenta – editore con il fratello Tino (insieme al quale, dopo averla rilevata, prosegue l’attività dell’“Editrice Fratelli Ribet” fino al 1932), Buratti entra giovanissimo all’“Accademia Albertina”, dove segue in modo particolare i corsi di Disegno di Giacomo Grosso e stringe forte amicizia con i coetanei Felice Carena, Cesare Ferro, Anton Maria Mucchi e Mario Reviglione. Inizia ad esporre nei primi anni del ‘900, allorché sue opere, di netta impronta simbolista, vengono presentate alla “Promotrice” di Torino. Messa
bene in testa, negli occhi, nelle mani e nel cuore, la grande lezione di Grosso, Domenico Buratti “è, prima di tutto – scrive Pino Mantovani – un disegnatore; anche quando lavora di pennello, di colori smaltati e velature, di lacche e vernici”. E nulla, più del disegno, è in grado, secondo lo stesso artista, “di far diventare il corpo trasparente come acqua e leggero come l’aria”. Nell’attuale mostra alla “Pinacoteca dell’Albertina” (poco più di trenta le opere esposte e realizzate in gran parte fra il 1904 e il 1910), troviamo anche una decina di piccoli “paesaggi” raccolti sotto il titolo significativo di “Impressioni”; opere decisamente gradevoli giocate sul tratto rapido del colore nella ricerca di sintesi narrative che paiono scivolare spesso oltre la rigida sintassi del segno e delle forme. Una sorta di “bizzarria” pittorica, pur accompagnata da grande mestiere. Poiché la “vera pittura” per Buratti è rigore, è puntigliosità, è attenzione scrupolosa al segno che “prepara, imposta, sviluppa e conclude i processi delle arti visive”. Per questo l’indimenticato Marziano Bernardi recensendo, nel ’40, una sua mostra alla Galleria “Martina” scriveva: “Le sue più intime gioie Buratti deve averle godute nello scoprire come si dipinge un bel quadro piuttosto che nel contemplare il suo bel quadro dipinto”. Opere di grande scuola e perfezione accademica oltre che
di trascinante forza introspettiva sono quindi, e soprattutto, i Ritratti, gli Autoritratti e le Scene di corale umanità che troviamo ben esposte in rassegna. Dai “Ribelli”, olio austero del 1904 che segna l’avvicinamento – anche attraverso l’impronta simbolista di Leonardo Bistolfi – a quel Socialismo umanitario che aveva improntato il “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo a quell’autentico capolavoro di maestria pittorica che è “Il gregge”ancora incentrato sui temi della denuncia sociale, acquistato nel 1905 alla “Promotrice” da Arturo Toscanini e andato purtroppo disperso dopo la morte del grande direttore d’orchestra. In mostra troviamo però esposti il bozzetto e otto imponenti disegni preparatori realizzati a matita su carta: disegni così perfetti e analiticamente studiati nella trascrizione drammatica di quel “gregge di bambini”, impietosamente curvi e deformi sotto la spinta degli adulti aguzzini, da rappresentare opere compiute e “in se’ concluse”. Notevoli, di stupefacente bellezza i ritratti e gli autoritratti. Al 1910 risale “Il babbo e la mamma”, posteriore di quattro anni a “La madre”, che tanto piacque a
Grosso per le “ricerche di colore – ambiente” e a Bistolfi perché “concepito come una scultura nelle pieghe soprattutto delle vesti grigio-pietra”. Di sontuosa rinascimentale armonia è ancora “Il manto viola”, ritratto del ‘22 di grande formato della moglie Vittoria Cocito, anche lei pittrice allieva del Ferro e rappresentata con un mazzo di primule fra le mani; accanto un imponente “Autoritratto” della stessa Vittoria di cui attrae il bianco candore del lungo abito e l’atmosfera di solenne ieraticità. E infine i vari “Autoritratti” di Domenico. Giovane, appena ventiseienne in quello dal “berretto rosso” del 1907 fino all’“Autoritratto con paesaggio invernale” del ’50. Buratti era allora prossimo ai settanta e in una sua poesia, malinconico controcanto letterario al dipinto, così scriveva: “Ci somigliamo alle fattezze/ o inverno, scabre, alle cortezze grezze/ fra turni di sonno e turni/ di sogno, lungo giorni notturni…”.
e Don Harney (chit) e Jim Price (b); a questi si aggiunsero, dopo alcune sostituzioni, Wayne Groves (batt), John Parisi (org) e Tom Vorhauer (V). Le esibizioni coprirono soprattutto l’area nord-est della Virginia e la zona di Washington; fra le venues si segnalano “Mac’s Pipe and Drum”, la “Firehouse” di Fairfax e la famosa “Roller Rink” di Alexandria (qui The Apollos furono support band di gruppi quali The Vogues, The Mad Hatters, The British Walkers). Un’affermazione ad una “Battle of the Bands” locale consentì, presso gli Edgewood Studios di Washington, la registrazione di una demo di 4 brani; due di questi erano originali (scritti da Vorhauer-Parisi e Don Harney) e sarebbero poi stati il materiale del primo 45 giri. “That’s The Breaks” [T. Vorhauer – J. Parisi] (Delta MM 183; side B: “Country Boy”, 1965) uscì con etichetta Delta [Music Company] e con la produzione del manager della band, Bill Mosser. Il brano divenne presto una hit locale, ma diede visibilità anche ad ampio raggio, tanto che la MGM records si fece avanti per acquisire i diritti del pezzo; The Apollos tuttavia rifiutarono la proposta, in quanto scettici sulla convenienza di cedere subito i diritti del brano che li aveva fatti emergere con tanta rapidità.
nonostante il buon livello, ebbe scarso riscontro nelle classifiche e purtroppo scomparve presto dai radar. Dopo l’estate 1966 Vorhauer, Price e Groves dovettero lasciare per motivi personali e di studio; subentrarono Doug Collis (V) e Wayne Goubilee (batt), che con i fratelli Harney cercarono di proseguire un’avventura ormai già segnata da un mercato musicale non più favorevole. La parabola de The Apollos si chiuse probabilmente entro l’inizio del 1967; tuttavia non ha impedito agli Harney, a Price, Vorhauer e Groves di incidere nel 2013 un album celebrativo del cinquantennio e di organizzare nel 2017 un’ultima reunion a Hot Springs in Arkansas, ricordando ancora le origini a McLean e Falls Church e le feste alla George C. Marshall High School.

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce
divenne maestro di grammatica e riuscì ad acquistare il lotto di terra per progettare la costruzione di una filanda, con annessa coltivazione di gelsi. Ercole sposò Maria Garagno, una donna del luogo molto facoltosa; essi ebbero tre figli, Giorgio, Ercole II e Antonio Maurizio. Tutti aiutarono il padre nell’attività dell’opificio, che andò presto iniziò ad avere successo. Fu del terzogenito di Antonio Maurizio, Giuseppe Maurizio, l’idea di costruire una villa attorno alla fabbrica. Per progettare l’abitazione, Giuseppe chiamò illustri personalità torinesi, tra cui forse Filippo Nicolis di Robilant e Luigi Barberis. Giuseppe Maurizio si sposò due volte, ma non ebbe eredi. La villa cadde poi in uno stato di abbandono, fino a quando, nell’800, il Conte Federici, un patrizio genovese, la acquistò per capriccio, e subito dopo la regalò ad un suo faccendiere di umili origini. Questi, senza denaro e incapace di gestire un edificio così grande, lo svuotò completamente, vendendo tutto il possibile.
in parte ristrutturata e occupata dai Salesiani, che la tramutarono in un centro per novizi missionari.
La prima cosa che noto è che, per essere un luogo in abbandono, esso è piuttosto frequentato: si sente il vociare di gruppetti di giovani curiosi, li raggiungiamo ci diamo come il cambio di consegne con altri tre “esploratori” che si fermano a darci alcuni consigli su dove andare a “ficcanasare”. Entriamo nella villa oltrepassando un porticato, le colonne massicce sorreggono sulle proprie spalle tutto un altro piano, costellato di finestre e finestroni, che il forte sole di questo giorno rende iridescenti. L’edera ed i rampicanti sono riusciti ad entrare ovunque, si avvinghiano alle pareti con forza, stritolano tutta villa, tanto che il rumore dei nostri passi potrebbe essere il suono dei muri che scrocchiano. La prima stanza che incontriamo è color acqua marina, non è molto grande e serve a condurci allo scalone principale. La bella giornata ci regala spettacolari giochi di luce ed ombre, ottimi per le fotografie che stiamo scattando. Le altre sale che oltrepassiamo differiscono per grandezza e sfumature di colore, alcune sono lievemente più cupe, altre fanno male agli occhi talmente riflettono la luce esterna. Unico elemento in comune è lo stato di degrado, non c’è un vetro intatto, i pavimenti sono consunti e si alternano a pezzi di terriccio, le pareti sono state tutte spellate e private di dignità e bellezza. L’intera struttura è senza mobilia, gli unici elementi di arredo sono vecchie porte di legno secco, alcuni bagni troppo sporchi persino per essere vandalizzati e pezzi di antichi e arrugginiti macchinari, ammonticchiati uno sull’altro, come si fa con le cose vecchie.
altre zone.
diventare per tre giorni meta degli amanti della lettura, in tutte le sue sfaccettature: dalla letteratura intesa nell’accezione più classica del termine alla saggistica, dal racconto all’illustrazione, dalla musica al teatro, dalla poesia al fumetto, dall’arte all’architettura, sino alla fotografia. Fittissimo il calendario degli eventi, con alcune novità: sulla scia dell’enorme partecipazione delle passate edizioni, viene raddoppiato l’appuntamento con la Colazione e giornali, l’ormai tradizionale rassegna stampa che apre ogni giornata del festival in cui si fa colazione con la lettura dei quotidiani commentati dagli ospiti. Confermata anche La nostra carriera di lettori, in cui autori di riferimento tracciano un percorso tra le proprie letture, curiose, insolite e spesso inaspettate. Tra gli ospiti confermati ci sono Walter Siti, Paolo Giordano, Melania Mazzucco. Aumentano gli appuntamenti dedicati all’arte figurativa: ben nove le mostre in programma, tra cui quella del celebre fumettista Igort, ospitata al Museo Civico Garda.
I suoi romanzi hanno ottenuto un eccezionale riscontro popolare, soprattutto presso gli adolescenti, ma sono stati scarsamente apprezzati dalla critica letteraria
in quella successiva, avido lui stesso di scorribande corsare in cui calarsi con il kriss tra i denti, covando riscosse impossibili.
rovinato, senza un soldo, invece è annichilito dal suo stesso sentirsi inferiore, oppresso da sentimenti di autosvalutazione. Il suo umore influenza le interazioni con il resto del mondo, soprattutto quello letterario, da cui non si sente riconosciuto. Incontra De Amicis alle partite di pallone elastico e nemmeno osa avvicinarsi per stringergli la mano.
saluto spezzando la penna”, lascia scritto, ma, sfortunatamente, neppure quel gesto estremo suscita nella comunità letteraria il clamore che egli aveva sperato; tutta l’attenzione del mondo accademico è rivolta ai preparativi per l’imminente celebrazione del cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Al funerale che si svolge nel Parco del Valentino partecipano un nugolo di ragazzi, i suoi libri sotto il braccio. A ben pensarci, è il più bel commiato che uno scrittore possa meritare.