Massimiliano Bruno, sulla strada dei cinquanta, uno dei reucci del nostro cinema d’intrattenimento (è sceneggiatore e regista nonché a tratti attore, ha calcato il palcoscenico, a lui si devono titoli come “Notte prima degli esami” e “Nessuno mi può giudicare”, “Gli ultimi saranno gli ultimi” e “”Beata ignoranza”, certe incursioni in tivù con “I Cesaroni” o con “Boris”, ottimi sodalizi con Cortellesi e Papaleo), ha messo le mani dentro il Sogno di una notte di mezza estate shakespeariano – fino a domenica all’Alfieri per il cartellone del “Fiore all’occhiello” -, adattandolo con la volontà di “rendere più libera possibile la dimensione onirica, anarchica e grottesca”. Che vuol dire questo? Viviamo in tempi sfacciati, del tutto sghembi, stupidamente incrostati, dove tutto ci porta, anche con gli ormai pochi sforzi di un naufrago gruppo di persone, a cancellare la poesia, il silenzioso ritiro all’interno di un bosco, all’inseguimento di questo o quel
carattere già bello che codificato. E allora fiato alle trombe, con tutta l’atmosfera di baccano possibile, al limite del rock, di luci che confondono, di azzurri intensi che sfacciatamente prendono il posto della pallida luna, di annebbiamenti che scendono in platea, fastidiosi, a reinventare il sogno, di voci che non essendo più capaci ad arrivare anche al pubblico che sta a fondo sala s’appiccicano quei microfoni sulla guancia che livellano urla e sospiri. (Anarchia?). Poi vivaddio c’è anche una buona dose di comicità (ed è questa che la vince sui tre aggettivi legati alla “dimensione” di cui
sopra) che a Bruno regista va riconosciuta e che ci arriva (più nel secondo tempo, il primo s’è parecchio stiracchiato sino al sipario) da un quintetto squinternato e folle capitanato dal Bottom di Stefano Fresi (di gran peso, e non vuol essere una banale battuta fisica), impadronitosi di un linguaggio da componimento poetico stropicciato e ammodernato come meglio non si potrebbe.
La città di Atene, dove l’azione in parte si svolge, è diventa ad opera di Carlo De Marino un impersonale spazio da cui si entra e si esce in totale libertà, delimitato da incolori corde che scendono dall’alto e così la ricostruzione del bosco, dove parcheggiano all’occorrenza un grande carro intrecciato di fiori (ma poco usato) e il lettone di Titania, rifugio amoroso per Bottom per magia costretto alla sua pelosa testa d’asino. Allo scenografo si devono anche i fantasiosi e colorati costumi, di una Ippolita smanicata nel suo abito da sera dorato, pronta a riciclarsi nella favola in una Titania in guêpière nera (nella finale scena delle nozze la ritroviamo, con le altre due coppie che hanno rimesso a posto le primitive scelte amorose, con un imbarazzante immobilismo di tutti quanti, in abito bianco che manco una sfilata di Pignatelli) agli ordini del suo Oberon (prima è stato un Teseo
in divisa), maestro di cerimonie in giacca azzurra chissà perché virato verso un’indole “cripto-gay”, pronto a saggiare le parti intime di quei maschietti che gli possano capitare a tiro. Come convincono le invenzioni circensi e fatate messe addosso a tutti gli altri, pantalonacci quadrettati, minuscole chitarre, cappellini e piume. In questa accelerata “anarchica” che il regista ha immesso in questo Sogno, male s’adattano Giorgio Pasotti (Teseo/Oberon) e Violante Placido (Ippolita/Titania), chiusi in un anonimato da cui per l’intero spettacolo non riescono ad uscire. Funzionano al contrario gli innamorati Alessandra Ferrara/Tiziano Scrocca e Claudia Tosoni/Antonio Gargiulo, il quintetto della recita con una sottolineatura in più per la filiforme Tisbe di Dario Tacconelli. Lode incondizionata al Puck di Paolo Ruffini, al ralenti e ragionatore, flemmatico e divertito, dispensatore di massime e della preghiera finale (“Se noi ombre vi abbiamo tediato non prendetela a male…”), che sa giocare con la voce in modo perfetto e che quasi diviene l’ossatura della commedia, costruendosi i vari personali interventi ogni volta come meglio conviene.
Elio Rabbione
Le poesie di Alessia Savoini

documentario del nostro tempo. Oltre 200 eccezionali immagini compongono un itinerario fotografico in un bianco e nero di grande incanto, raccontano la rara bellezza del patrimonio unico e prezioso di cui disponiamo, il nostro pianeta.
pazzo e mostrare di essere convinto di essere Enrico IV di Francia. Carlo Cecchi riprende il testo pirandelliano, uno dei più penetranti e intensi sul tema della maschera e del rapporto realtà – finzione, nonché magistrale esempio di teatro nel teatro, rimaneggiandolo, però, in modo da farlo risultare ancora più incisivo, capace di sottolineare l’aspetto psicologico e di critica sociale. Cecchi riduce in modo drastico i lunghi monologhi che, in origine, erano stati scritti per Ruggero Ruggeri e colloca la vicenda in un costante equilibrio tra finzione e realtà. L’essere e l’apparire risultano due facce della stessa medaglia, cui si aggiunge il nascondersi dietro la lucidità insinuante e sferzante, dentro un mondo ovattato, in un’epoca remota della storia, o dietro maschere che ognuno di noi indossa, pur senza definirsi attore. Il protagonista vive, fingendosi Enrico IV, una esistenza fiabesca con l’aiuto di alcuni uomini da lui pagati per fingersi suoi consiglieri segreti; ad un certo punto riconquista la ragione, ma continua a fingersi pazzo ed osserva dall’esterno la sceneggiata predisposta per lui, che coinvolge anche la donna amata, Matilde Spina, e l’amante di lei, Belcredi, un medico che vuole provocare uno choc per farlo rinsavire. Cecchi elimina diverse ridondanze e non appesantisce di lunghi monologhi la piece teatrale, usando finzione e umorismo, riuscendo benissimo a rendere il pirandellismo del testo.
Pannunzio a 50 anni dalla sua morte. Gli telefonai per complimentarmi con lui che era riuscito a storicizzare la figura di Pannunzio, andando oltre le celebrazioni acritiche e le polemiche contingenti in cui si è impelagato Eugenio Scalfari. Fu generoso con me e mi disse che aveva letto e apprezzato il mio articolo su Pannunzio per il suo “taglio innovativo”. Mi disse che , pur essendomi occupato per quasi 50 anni dell’argomento, avevo saputo dare un taglio distaccato. Concordò con me sul fatto che Pannunzio non aveva avuto un biografo adeguato. Una telefonata di pochi minuti, l’ultima tra tante. Ma soprattutto la nostra frequentazione era avvenuta a Palazzo Filomarino, dove abitava Alda Croce e dove ha sede l’istituto italiano di studi storici in cui Galasso si era formato alla scuola di Federico Chabod, come accadde a Rosario Romeo e Renzo De Felice. Una volta gli proposi di succedere ad Alda Croce alla presidenza del Centro “Pannunzio”,lui ringraziò ma mi disse che spostarsi a Torino di frequente era per lui troppo disagevole. Nel suo ricordo di Alda Croce nel 2009 al momento della sua morte omise di ricordare che era stata Presidente del Centro “Pannunzio”,ma quando lo chiamai per farglielo notare, mi chiede scusa e mi disse che aveva dovuto scrivere il pezzo in pochissimo tempo. Un tratto essenziale, fondamentale di Galasso è che fu anche attivo politicamente: fu deputato repubblicano per tre legislature e sottosegretario di Stato ai beni culturali. 

e dai racconti degli studenti e artisti coinvolti nella fase messicana del progetto internazionale “Megalopolis”, ideato e diretto dalla compagnia. Una drammaturgia originale, bilingue, fatta non solo di parole ma anche di azioni fisiche, suoni, canti, immagini che mettono insieme più voci, quelle stesse voci che ancora oggi si uniscono al grido “Todos somos Ayotzinapa!”. Un grido di rabbia e di richiesta di giustizia che continua ad animare le piazze delle città messicane e di tutto il mondo, che rimarrà nei graffiti metropolitani e che si è diffuso attraverso la rete. Instabili Vaganti propongono una performance forte, un atto di protesta che si unisce alle azioni dal basso, che sono diventate globali attraverso i social networks, oltrepassando censure e barriere. “DESAPARECIDOS#43” è anche un inno alla speranza che fa nascere da mucchi di vestiti insanguinati delicati fiori rossi: “Volevano seppellirci ma non sapevano che eravamo semi”. Uno spettacolo di teatro d’impegno civile “emozionale” che riprende la stessa innovativa metodologia di lavoro usata per “MADE IN ILVA”, opera cult della compagnia, pluripremiata a livello
internazionale, trasformando interviste, dati e informazioni di denuncia in azioni fisiche, immagini ed emozioni capaci di suscitare una reazione immediata in chi guarda. Fondata nel 2004 dalla regista e attrice Anna Dora Dorno e dall’attore Nicola Pianzola, “Instabili Vaganti” si caratterizza per il suo lavoro di ricerca e sperimentazione nel teatro fisico e contemporaneo e per l’internazionalità dei suoi progetti. Instabili Vaganti opera nella creazione e produzione di spettacoli e performance, nella direzione di progetti, workshop e percorsi di alta formazione nelle arti performative a livello internazionale, svolgendo un continuo lavoro di ricerca sull’arte dell’attore.
stato selezionato, perseguendo una personalissima passione per il bello e per gli oggetti preziosi. Ne sono un esempio: gli incantevoli mobili intarsiati in avorio di Pietro Piffetti; la scrivania “mazzarina” dell’inizio del XVIII secolo, con il monogramma “VA”; la Venditrice di Amorini in biscuit di Meissen; le miniature francesi che ritraggono eleganti gentiluomini e nobildonne del XIX secolo; i ritratti dei Savoia realizzati da Giovanni Panealbo e da Louis Michel Van Loo o ancora i raffinati oggetti montati su bronzo dorato con porcellane della manifattura Vincennes e della dinastia Qing. I mobili, i dipinti, gli argenti e tutte le opere esposte in mostra rappresentano, pertanto, un omaggio incondizionato alle arti decorative e rendono il museo un’istituzione in continuo divenire.
Al Teatro Superga torna a grande richiesta il musical con un titolo leggendario: “Cats” dal 16 al 18 febbraio per tre repliche della versione italiana con atmosfere e costumi steampunk, accettata e apprezzata dal suo creatore, A.L. Webber.

ambiziosa con questa rassegna e, a quanto pare, l’abbiamo stravinta!”. RassegnaT prosegue con altri quattro spettacoli, alcuni dei quali, vedranno protagoniste grandi personalità del teatro. Il prossimo appuntamento è fissato per il 24 febbraio, con “Due di Cuori”, con Esther Ruggero, Oscar Ferrari e Federica Tripodi. I biglietti saranno in vendita, a partire da mercoledì 15 febbraio, presso il Bar Caffetteria Kiosko, sito in Piazza Cays, a Caselette.
IN ESPOSIZIONE ALLA PINACOTECA ALBERTINA DI TORINO, RACCONTA UNO SPACCATO ESEMPLARE DEL GRANDE RINASCIMENTO PIEMONTESE. FINO AL 25 FEBBRAIO