CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 754

Che italiani, gli italiani di Quaglieni

La presentazione del libro il prossimo 17 gennaio a Torino

FIGURE DELL’ITALIA CIVILE  – nuova edizione

Il libro tratteggia le figure di personalità importanti della cultura e della politica italiana del ‘900 da Einaudi, a Giovanni Amendola, da Marchesi a Soleri, da Calamandrei a Chabod, da Burzio ad Adriano Olivetti, da Ernesto Rossi a Balbo di Vinadio. La parte più consistente del libro riguarda gli “amici e maestri” che l’autore ha conosciuto e frequentato: Jemolo, Bobbio, Galante Garrone, Montanelli, Valiani, Venturi, Casalegno, Alda Croce, Primo Levi, Ciampi, Luraghi, Romeo, Spadolini, Pininfarina, Ronchey, Tortora, Pannella. Due capitoli molto densi concludono il libro, quelli dedicati a Soldati e a Pannunzio. Si tratta di scritti che Quaglieni arricchisce ricostruendo la storia dei rapporti tra il Centro “Pannunzio” e le diverse personalità che animano il libro. Le figure delineate sono spesso ricordate con episodi del tutto inediti e poco convenzionali, in alcuni casi persino politicamente “poco corretti”, ma sempre equilibrati sotto il profilo storico. Ne viene fuori un ritratto a tutto tondo dell’Italia civile che l’autore ritiene vada riscoperta e valorizzata come patrimonio culturale irrinunciabile anche per il futuro delle nuove generazioni.

Chiese e religione nel territorio di confine

Domenica 14 gennaio 2018, alle ore 15.30, sarà presentato l’atteso volume Chiese e vita religiosa a Cocconato. Storia, arte, tradizioni in un territorio di confine del Piemonte centrale, curato dall’antropologo Gianpaolo Fassino e da Franco Zampicinini. Proprio quest’ultimo, intorno al 1985 aveva iniziato una prima indagine sul campo del ricco patrimonio religioso capillarmente presente nel territorio cocconatese, che ha rappresentato il punto di partenza per progressivi approfondimenti sino a giungere, con il nuovo volume, ad un allargamento degli studi dagli edifici di culto alla vita religiosa nelle sue differenti sfaccettature, presentando una lettura non solo artistico-architettonica, ma anche antropologica e sociale della storia comunitaria. È un’opera fondamentale per la storia di Cocconato e più in generale per tutto l’Alto Astigiano e il Basso Monferrato. Attraverso 56 saggi e 24 approfondimenti, scritti da 20 autori (Renzo Bava, Carlo Calosso, Marina Cappellino, Franco Correggia, Cesare Emanuel, Gianpaolo Fassino, Luca Ghiardo, Achille Maria Giachino, Bernardino Elso Gramaglia, Piercarlo Grimaldi, Marta Longhi, Monica Marello, Barbara Massa, Davide Porporato, Valeria Regondi, Aldo A. Settia, Alessia Tabbia, Salvatore Vacca, Giuseppe Vatri, Franco Zampicinini), il volume mette in luce rituali, devozioni popolari, figure di religiosi, storie di famiglie, tradizioni, facendo emergere i complessi e articolati rapporti fra clero e comunità locale. Il volume è l’esito di un originale e prolungato lavoro di ricerca condotto dagli autori sia negli archivi storici che sul territorio, offrendo quindi numerosissimi dati nuovi e inediti.

Grazie al coinvolgimento di studiosi, esperti in specifici campi, è stato così possibile dare forma a questo corposo volume, di 784 pagine, articolato in quattro parti (organizzazione territoriale della chiesa, edifici religiosi, clero, forme e pratiche della vita religiosa) che affronta in modo approfondito e multidisciplinare, anche se inevitabilmente non esaustivo, la sfera religiosa che dall’epoca medievale ad oggi ha interessato l’ambito cocconatese; l’approccio alle diverse tematiche non è stato tuttavia circoscritto alla realtà locale, ma contestualizzato nell’ambito più ampio del Piemonte centrale, tra Monferrato e Collina Torinese. Il libro infatti non racconta solo la storia di Cocconato, ma intreccia vicende di numerosi altri borghi collinari: da Montechiaro d’Asti ad Alfiano Natta, dal Sacro Monte di Crea a Castelnuovo Don Bosco, da Castelletto Merli ad Aramengo. Un’ampia documentazione iconografica, in buona parte inedita, costituita da ben 1152 immagini, tra fotografie d’epoca e attuali, disegni progettuali, mappe, documenti d’archivio, accompagna tutti i saggi. Il volume si pregia della presentazione del vescovo emerito di Casale Monferrato Alceste Catella, del parroco don Igor Peruch, del sindaco di Cocconato Monica Marello, di Franco Correggia (presidente dall’associazione Terra, Boschi, Gente e Memorie, che ha pubblicato il libro), nonché delle significative prefazioni del rettore dell’Università del Piemonte Orientale Cesare Emanuel e dell’antropologo Piercarlo Grimaldi. Il volume in grande formato, è edito dall’associazione Terra, Boschi, Gente e Memorie di Castelnuovo Don Bosco, nella collana “Monografie” ed è stato stampato dalla prestigiosa Tipografia Vaticana. È distribuito da Editeno snc di Castelnuovo Don Bosco. Per informazioni e prenotazioni: tel. 0119927028, info@italianwinetravels.it; franco.zamp@virgilio.it; fralar@libero.it. La presentazione avverrà presso il salone comunale Montanaro, in via Rosignano 1, a Cocconato. Porgeranno il loro saluto monsignor Gianni Sacchi, vescovo di Casale Monferrato, don Igor Peruch, parroco di Cocconato, Monica Marello, sindaco di Cocconato, Franco Correggia, presidente dell’associazione Terra, Boschi, Gente e Memorie; seguiranno gli interventi di Germana Gandino, docente di storia medievale dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale, di Erika Grasso, antropologa dell’Università di Torino, dei curatori del volume. Modera Mario Averone.

Massimo Iaretti

 

 

 

Il mistero nelle cose

FINO AL 21 GENNAIO

“Il gioco è una cosa seria”, era solito ripetere a commento delle sue immaginifiche e geniali “stramberie” il grande Bruno Munari. Parole che ben inquadrano nella sua multiforme creatività l’opera di uno dei massimi protagonisti della scena artistica novecentesca e che ci tornano alla memoria di fronte a ciò che troviamo scritto, brevi manu, da Sergio Saccomandi su un semplice foglio bianco riposto in bacheca e in bella vista fra le circa quaranta opere – dipinti e grafiche – ospitate fino a domenica 21 gennaio negli spazi della Casa del Conte Verde, in via Fratelli Piol a Rivoli. Classe ’46, torinese (ma da oltre trent’anni impegnato a inventarsi una nuova vita sui colli canavesani di Barbania), Saccomandi scrive nero su bianco: “L’arte è un gioco preso seriamente e non una cosa seria presa per gioco”. Saltellanti giravolte di parole assai affini a quelle di Munari se l’arte, per l’appunto, è da intendersi come “gioco”. Così come per l’eclettico artista milanese aveva da essere e com’è per Saccomandi. Un gioco dove finzione e realtà – sempre borderline – si intrecciano con garbata misura, ma con porte portoni e finestre tutte spalancate all’invenzione alla fantasia alla magia di voci e di suoni che arrivano non si sa da dove né da chi per raccontare mirabilia cariche di silente poesia e di mistero. Il “mistero nelle cose” appunto, come suggerisce il titolo della rassegna di Rivoli dedicata a Sergio Saccomandi, allievo all’Accademia Albertina di Paulucci e Calandri e già titolare della Cattedra di Discipline Pittoriche presso il Liceo Artistico di Torino; pittore sicuramente fra i più interessanti e raffinati nel panorama dell’arte contemporanea (al suo attivo più di sessanta personali e moltissime collettive a livello nazionale e internazionale), ma anche da oltre quarant’anni “uomo di teatro”. Particolare non da poco per capire a fondo la sua pittura. Regista, scenografo e, lui stesso, attore (è fra i fondatori nel ’75 del Gruppo Teatro Specchio di Cirié), Saccomandi considera il teatro come il suo “amore clandestino”, in perenne ma benefico conflitto e confronto con la pittura, “l’amore di sempre”. Ecco allora i paesaggi (quelli canavesani soprattutto, ma anche gli arditi “capricci veneziani”) che trasudano mestiere e processi di segno e colore di impronta rinascimentale nella certosina perfezione e nell’assoluto rigore della complessiva composizione pittorica. Ma realtà assolutamente “spaesate”, surreali e improbabili, se fluttuanti su armoniose teorie di nuvole e cieli plumbei o su geometriche colline innevate o ancora su vuote e sontuose poltrone (il ciclo delle “sedie”) che tanto ricordano “Les Chaises” di Ionesco, pièce teatrale portata per altro dallo stesso artista in palcoscenico. Paesaggi come pagine di narrazione popolate di “strane”– pur se rigorosamente concrete e identificabili – presenze in primo piano, messe lì a bella posta per tirare la volata prospettica al nucleo centrale della scena: ambigue contraddittorie presenze che, di volta in volta, possono essere un gatto, un rospo, il muso dolce di una mucca che fa capolino a margine di un quadro, oppure un gallo, un oggetto d’arredo, segnali stradali accanto a materassi usurati, così come un cavolo o un uovo rotto “col tuorlo che pare galleggiare sull’albume” accanto a una caraffa che porta lo sguardo su una zuppiera emersa da un nero fondale (quinta teatrale) traboccante di spaghetti (o che altro?). Siamo davvero al “teatro dell’assurdo”. Tenuto in piedi dalla bravura di un “burattinaio” di eccellenza che cerca finanche, ma invano, d’ingabbiare la scena attraverso i virtuosismi di una linea bianca tracciata (parrebbe) per contenere in improbabili geometrie le forme nette, contestualmente inspiegabili, di un rompicapo per il quale non necessita poi tanto trovare il bandolo della matassa. Va bene così! Troppo grande è la suggestione di universi pittorici che ci fanno incredibilmente e piacevolmente volare in alto. Sù sù. Senza barriere né vincoli di confine. Totalmente liberi. In fondo, racconta lo stesso Saccomandi, “dipingere è come partire, buttare giù tutta la zavorra, essere leggeri leggeri, avere in tasca solo il biglietto dell’andata”. Per il ritorno, se proprio vogliamo, tocca a noi pensarci.

Gianni Milani

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“Il mistero nelle cose”

Casa del Conte Verde, via Fratelli Piol 8, Rivoli (Torino), tel. 011/9563020

Fino al 21 gennaio

Orari: mart. – ven. 16/19; sab. – dom. 10/13 e 16/19

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– Sergio Saccomandi: “A cena”, acrilico su carta, 2013

– Sergio Saccomandi: ” Verso l’alba”, acrilico su carta, 2012

– Sergio Saccomandi: “Controluce”, acrilico su carta, 2011

– Sergio Saccomandi: “Capriccio veneziano”, acrilico su carta, 2016

Anacronismi, lentezze e mancanza di autenticità per il rapimento del rampollo Getty

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Ci può essere la curiosità, di derivazione gossipara, di andare a vedere Tutti i soldi del mondo per rendersi conto di quanto Ridley Scott abbia lavorato (9 giorni di riprese aggiuntive per 17 ore a giornata, non tacendo i dieci milioni di dollari sborsati per coronare l’impresa, già impiegati i trenta precedenti) cancellando e rigirando il ruolo del vecchio Paul Getty che era appartenuto a Kevin Spacey prima che i lampi del mondo hollywoodiano non esplodessero e non si tornasse a essere improvvisamente puritani, scacciando lontano da sé il reprobo macchiatosi per anni di abusi sessuali: sacrosanto dubbio finale, facciamo del cattivone tabula rasa perché con l’aria che tira gli incassi potrebbero andare un po’ storti, non per ansiosità morali. Così, come tutti ormai sanno, la palla è passata a Christopher Plummer che ha calzato come un soffice guanto il ruolo granitico, scolpendo tutta l’avidità (con la a minuscola) grigia di un uomo che si crede la reincarnazione dell’imperatore Adriano e si fa costruire la villa di Malibu ad immagine di quella antica diTivoli, che in albergo si lava calzini e mutande per risparmiare sulla lavanderia e in casa ha fatto installare una cabina telefonica semmai gli ospiti dovessero fare un’interurbana. E rendendo viva e vivifica una interpretazione che è un’ancora di salvataggio per l’intero film. Perché non sono soltanto le traversie della produzione a interessare, ma vivaddio pure quei risultati che colano allo stesso tempo buona professionalità e dabbenaggini, disaccordi temporali e narrativi, ridicolaggini, per non parlare di quel procedere lento e ripetitivo che esclude una guida che ben più fermamente, bisturizzando all’interno della vicenda, della società dell’epoca, dei rifiuti e dei compromessi, delle cilecche delle forze dell’ordine, avrebbe

dovuto reggere il gran materiale di cronache, di ricordi e di testimonianze a disposizione. Perché alla base ci sta la biografia Painfully Rich: the Outrageous Fortunes and Misfortunes of the Heirs of J.Paul Getty di John Pearson, inedita in Italia, cui s’aggiunse nel 2013 Uncommon youth scritto da Charles Fox, ovvero il giornalista statunitense che già all’epoca s’era occupato del caso, avendo di prima mano le parole degli inquirenti e dei famigliari, e raccolse poi dal rampollo della dinastia ad alto sapore petrolifero il racconto autentico e monologante del rapimento, sino al 2011, anno in cui – colui che aveva riempito le pagine dei giornali con la sua faccia, con il suo orecchio mozzato, con l’iniziale sospetto di un teatrino personalmente tirato su alla spicciolata per spillare un bel gruzzolo al nonno – era scomparso, cieco paralizzato e disartrico a seguito di un ictus che lo aveva colpito trent’anni prima.Questa la storia, che avrebbe potuto rivestire una incisiva correttezza cinematografica. Invece. Invece Ridley Scott dice di essersi ritrovato tra le mani una “splendida” sceneggiatura, quella di David Scarpa e di aver dato corpo a un soggetto che da anni avrebbe voluto affrontare. E allora disturbano perché davvero riempitive e non necessarie le scene iniziali nel deserto a spiegare come la ricchezza del Grande Vecchio abbia avuto origine; disturbano anche i particolari, se si pensa che il diciassettenne fu prelevato la sera del 10 luglio del ‘73 in piazza Farnese (sarebbe stato rilasciato il 17 dicembre, sulla Salerno-Reggio Calabria, scoperto tutto solo da un camionista di passaggio) e non di fronte a ruderi romani che fanno tanto affresco della capitale e in mezzo a un crocicchio di puttane dispensatrici di consigli morali, a protezione dell’infanzia; disturba, s’è detto, la lentezza e la ripetitività con cui è trascinata la vicenda, le telefonate tra mamma e rapitore (anche dal cuore tenero), gli incontri senza eccessivi scossoni emotivi dei tanti incontri tra mamma (papà, il II° della serie, è troppo occupato in Marocco a farsi di droga con l’amico Mick Jagger) e vecchio genitore, l’una troppo trattenuta, studiata a tavolino (Michelle Williams), l’altro un incrocio troppe volte tra un racconto natalizio di Dickens e Paperon de’ Paperon di disneyana memoria. Disturbano le scene ad effetto, il taglio dell’orecchio su cui la macchina da presa indugia o il disperdersi nel plumbeo cielo inglese dei fogli di giornale che la mater dolorosa ha mandato in regalo perché la controparte si possa rendere conto dello stato del sangue del suo sangue; sono fuori luogo, da cartolina del sud, i rapitori con aria truce ma anche con tarantella e tamburello neppure in grado di calarsi una calzamaglia sul viso quando accompagnano alla latrina il prigioniero, da debole raccontino come le comparse italiane ingaggiate per l’occasione. Siamo in pieno ridicolo con la scampagnata nel covo delle Brigate Rosse dello svogliato negoziatore Mark Wahlberg, pregasi suonare il campanello per ritrovare foto di Lenin e gagliardetti autoreferenziali, siamo all’imbroglio cinematografico se si pretende di far crepare, immerso tra i propri fantasmi notturni e tra i bagliori horror del camino, Getty I che invece se ne andrà al Creatore due anni dopo, con molte colpe (all’inizio fu la frase “ho 14 nipoti, se comincio a pagare per uno, finirà che me li rapiranno tutti quanti”) e poco ravvedimento: richiedendo indietro al nipote la somma sborsata (si era partiti da 17 milioni di dollari, si arrivò a poco meno di due miliardi di lire) con gli interessi del 4%. Ci si stupisce in ultimo che l’autore di Thelma & Louise, del Gladiatore e di Alien si sia lasciato aggrovigliare in un finale da copione televisivo, con vittime carnefici e soccorritori che si mettono a giocare a guardie e ladri sotto il protettivo suono delle pale degli elicotteri, che più arrivano i nostri! non potrebbe essere. È mancato lo studio di un grande tema come quello dell’Avidità (con la a maiuscola), analizzata con il Denaro che si fa Essere umano e privata di tutto un contorno che continua a saper troppo di facile caricatura, è mancata la profondità del racconto, pubblico e privato. O anche soltanto il buon senso.

Il cinema del reale in Piemonte

Ripartono gli appuntamenti della rassegna gLocal Doc / Il cinema del reale in Piemonte, realizzata da Associazione Piemonte Movie, Museo Nazionale del Cinema e Film Commission Torino Piemonte nell’ambito del Piemonte Cinema NetworkgLocal Doc è una vetrina del documentario e dei documentaristi piemontesi con incontri, presentazioni di progetti e proiezioni con l’obiettivo di valorizzare il ricco panorama del cinema del reale girato e prodotto in regione.

 

Le prossime proiezioni in programma al Cinema Massimo di Torino:

 

– Venerdì 12 gennaio 2018, ore 20.30

I’m in Love With My Car di Michele Mellara e Alessandro Rossi (Italia, 2017, 72’)

Proiezione introdotta dai registi con Paolo Manera, Gaetano Capizzi, Stefano Boni, Enrico Miletto e Donatella Sasso (autori del libro Torino città dell’automobile), Elena Testa e Alessandro Gaido.

Ingresso 6 € (ridotto 4 €)

Usando materiali d’archivio e interviste a scienziati, ingegneri, antropologi e piloti, il film indaga come le automobili hanno cambiato le nostre città, ma anche il modo di vivere e di pensare il mondo: il primo bacio sui sedili dell’utilitaria, i pomeriggi cullati dal ronzio della Formula1, il primo viaggio alla scoperta del mondo, l’esodo estivo, Stanlio e Ollio sulla piccola Ford T, il taxi giallo di De Niro, la spider in bianco e nero di Gassman e Trintignant e le auto nere di 007.

Più di ogni altra invenzione, in 100 anni, le automobili hanno antropologicamente cambiato la natura umana, ma l’uomo che si è modificato per adattarsi all’autovettura, presto dovrà nuovamente mutare: inquinamento, aumento dei costi dei carburanti e danni alla salute stanno accelerando questo processo di trasformazione sociale e sarà un cambiamento di vastissima portata.

I’m in Love With My Car è sviluppato con il contributo del Piemonte Doc Fund di Film Commission Torino Piemonte.

Il documentario sarà in replica lunedì 15 gennaio, ore 18.00, presso la Sala ‘900 del Polo del ‘900.

Materiale stampa completo > https://goo.gl/7MDTnH

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 Domenica 14 gennaio 2018, ore 20.30

Cinematografica Perona di Azzurra Fragale e Mauro Corneglio (IT, 2017, 41’)

ANTEPRIMA ASSOLUTA introdotta dai registi e da Lorenzo Ventavoli. Ingresso 6 € (ridotto 4 €)

I​l film ​delinea una riflessione sul rapporto tra cinema e comunità attraverso la storia della famiglia Perona, che da quattro generazioni gestisce cinema a Cuorgnè e da quasi un secolo è il punto di riferimento per tutti gli appassionati della settimana arte del Canavese. Seguendo Vilma, Gabriella, Chiara e Fernando Perona in un percorso di riscoperta di luoghi e memorie, il film racconta le storie di una famiglia che ha segnato la vita di un’intera comunità, attraverso le tre sale attive a Cuorgnè nel corso del ’900.

Nel Teatro Comunale ottocentesco si schiudono i ricordi dei film muti degli Anni ’20, con gli spettatori che incitano i cowboys durante gli inseguimenti. Al Cinema Perona, nuova sala all’avanguardia inaugurata nel 1949, approdarono i grandi film americani la stagione neorealista e la magia dei cartoni animati. La magia del cinema oggi continua al Margherita, dedicato alla memoria della nonna, che mantiene gli ampi spazi degli Anni ’70.

Cinematografica Perona è prodotto da Collettivo Cromocinque e con il contributo di Fondazione Sviluppo e Crescita CRT e Archivio Mario L. G. Ceretto.

Riprende la stagione del BTT

LAVANDERIA A VAPORE SAB 13 GENNAIO / h 21 Prima nazionale

Coreografia Josè Reches

Musiche  Balenescu Quartet, Aaron Martin & Machine, Amon Tobin

Costumi La Piel
Disegno luci Davide Rigodanza
Danzatori Luis Agorreta e Jose Reches

 

Riprende il 13 gennaio la Stagione del BTT  che accanto al lavoro ‘made in Lavanderia’ – di produzione dei propri spettacoli,  porta avanti da sempre un’interessante discorso di ospitalità, rivolto in particolare proposte di giovani e di gruppi emergenti. Apre il 2018 il 13 gennaio la prima assoluta di “ Como Perros”  con la compagnia La Piel, dello spagnolo attivo a Madrid José Reches.  Il lavoro coreografico è pensato per due interpreti maschili e parla di una relazione in cui sentimenti e fisicità  si ispirano all’istinto animale, vero, viscerale, carnale … Immerso in uno spazio sonoro e luminoso, lo spettatore è emotivamente coinvolto da una coreografia forte e aggressiva. Dalla parola al corpo e dal corpo alla parola.

 

“Andaré el camino de vuelta, con una nueva piel, con un desconocido gesto de luz en la cara. Sentiré tu aliento provocándome nuevas dimensiones en las que moverme, cantarás mi nombre por las calles hasta que mi piel sea la tuya. Estás tan dentro de mí que no sé cómo sacarte, ni si puedo, ni si quiero. Me haces no ser yo… y me gusta”

Josè Reches

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Per informazioni

Biglietti acquistabili sul sito vivaticket

Presso InfoPiemonte (p.zza Castello, Torino)

Oppure un’ora prima degli spettacoli presso la biglietteria della Lavanderia a Vapore
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LAVANDERIA A VAPORE, Corso Pastrengo 51 10093 COLLEGNO (TO)

 

“Il Piccolo Principe”, non solo per i più piccoli

Al teatro Gobetti in scena  il testo dell’umanista e aviatore Antoine de Saint-Exupery, capolavoro assoluto della letteratura

A Torino è in scena al teatro Gobetti, fino al 7 gennaio prossimo, il celebre testo di Antoine de Saint-Exupery, Il Piccolo Principe, per la regia dell’attore e regista etneo Giovanni Calcagno, che ne ha portato in giro per l’Italia una versione dialettale in siciliano, dal titolo “Piccolo Principe. U principuzzu Nicu”. Per i tanti bambini presenti in scena la versione torinese sarà in italiano per essere più comprensibile. Il romanzo è il secondo libro più tradotto al mondo e il regista siciliano, che ha curato questo allestimento in endecasillabi e settenari, vi si è accostato per la prima volta nel 2009, quando da Rai Gulp gli giunse l’invito a realizzare un cortometraggio e un audiolibro proprio dal Piccolo Principe. Nel lavoro coinvolse allora Luca Mauceri e Salvatore Ragusa, entrambi presenti in scena, ed attivi anche in altri campi dello spettacolo, il primo come compositore delle musiche, il secondo come scenografo. Tutti e tre si sono poi occupati del comparto tecnico, dalle luci all’audio, ricreando un modo di fare teatro che si richiama a quello degli antichi giullari di corte, povero di ornamenti e volutamente privo di ridondanza.

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La scena è versatile, ricorda un grande libro, per poi trasformarsi, nel finale, scomposta e riassemblata dagli stessi protagonisti, nell’aereo su cui l’aviatore prenderà il volo.”Sono parole, quelle contenute nel Piccolo Principe – afferma il regista Giovanni Calcagno – che, per quanto ormai conosca bene, non smettono di interrogarmi su temi importanti, quali la morte, la trascendenza, la cura e la capacità di vedere con il cuore”. Esiste un vecchio detto ebraico che recita: “Mentre l’uomo pianifica, Dio ride”. Il senso della vita che rende l’opera di Antoine de Saint-Exupery un testo di alta letteratura sta in quell'”essenziale” che l’autore identificava nella capacità di sentire, di non ridurre l’uomo a un mero ingranaggio. Questo messaggio lo rende un’opera di formazione e di carattere universale. Qualche mese dopo l’apparizione del suo capolavoro l’autore, che era, oltre che umanista, anche aviatore, scomparve in aereo sul mar Mediterraneo. Ma il Piccolo Principe fu destinato a sopravvivergli.

 

Mara Martellotta

Seeyousound, ecco il Music Film Festival

 

Sarà Ingeborg Holm, opera di Victor Sjöström considerata il primo film realista della storia del cinema, ad aprire la quarta edizione di SEEYOUSOUND International Music Film Festival, che si terrà a Torino dal 26 gennaio al 4 febbraio.

 L’EVENTO

L’opera svedese, film muto del 1913, sarà musicata dal vivo da un ensemble di artisti poliedrici in occasione della serata di venerdì 26 gennaio alle ore 21.00 presso la Sala 1 del Cinema Massimo, organizzata in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema. A dare suono alla pellicola saranno il chitarrista Corrado Nuccini, cantante e fondatore della band Giardini di Mirò, il cantautore e produttore Iosonouncane, ex membro degli Adharma, ed Enrico Gabrielli, polistrumentista, compositore e membro di diversi gruppi.

 

«Per la sonorizzazione di Ingeborg Holm – ha spiegato Corrado Nucciniho scelto di lavorare con Iosonouncane e Enrico Gabrielli perché ne apprezzo non soltanto la musica, ma l’attitudine e l’approccio. L’intenzione è portare in scena una trama musicale che renda giustizia alla bruciante attualità del social drama di Sjöström. Dal 1913 a oggi sono passati più di cento anni, ma non per le tematiche, quindi la musica sarà contemporanea: pulsazioni elettroniche, sintetizzatori, riverberi e delay, ma anche sassofoni e chitarre elettriche. Una trama sonora avvolgente dall’elettronica minimale all’ambient, passando per il post rock, un unico suono che ben si sposi con la pellicola».

 

 IL FILM

Ingeborg Holm, interpretata da Hilda Borgström, è la moglie di Sven. Insieme vivono a Stoccolma con i tre figli, ma quando il marito muore, la vita di Ingeborg precipita. Il loro negozio fallisce e la famiglia finisce sotto sfratto, i bambini vengono affidati ad altre famiglie e Ingeborg viene ricoverata. Diversi anni più tardi, il figlio maggiore cercherà la madre ormai fuori di sé per i troppi dolori sofferti.

L’opera è considerata una pietra miliare della cinematografia mondiale per la capacità di raccontare le emozioni, innovativa per l’epoca, e per le tematiche ancora oggi attuali. L’uscita della pellicola fu accompagnata dalle polemiche delle case di assistenza ai poveri, che si ritenevano diffamate dal film, fino a costringere il regista e lo sceneggiatore, Nils Krok, a discolparsi attraverso i giornali. Non riuscirono però a sminuire il valore del film che fu un vero e proprio successo a livello internazionale.

 

I MUSICISTI

 

Corrado Nuccini è chitarrista, cantante e fondatore della band Giardini Di Mirò. Dai primi anni 2000 ha realizzato 13 album e suonato in più di 1000 concerti in Italia e all’estero. Ha sonorizzato Il fuoco di Giovanni Pastrone e Rapsodia Satanica di Nino Oxilia. Col Centro Musica di Modena cura il corso “Soundtracks – musica da Film” e fa parte del progetto Cinema Misterioso.

 

Enrico Gabrielli è polistrumentista, arrangiatore, compositore, fulcro di innumerevoli progetti e collabora con svariati gruppi e musicisti, tra cui PJ Harvey, Afterhours, Mariposa, Mondo Cane, per circa 200 dischi in 15 anni di attività. Con i Calibro 35 ha rinverdito la memoria delle colonne sonore dei poliziotteschi anni Settanta.

 

Jacopo Incani, dopo l’esperienza con la band Adharma inizia a pubblicare come IOSONOUNCANE, pezzi interamente composti e suonati con loop e campionatori. Nel 2010 pubblica La Macarena Su Roma, mix di elettronica lo-fi, cantautorato classico e uno sguardo acuto sulla cronaca attuale. Segue DIE, affresco lirico, che racconta dell’uomo, di un uomo e una donna, archetipi immersi nella natura.

 

 

SEEYOUSOUND International Music Film Festival è organizzato dall’Associazione Choobamba in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema, con il supporto del Circolo dei Lettori e grazie al contributo di Fondazione CRT.

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INFO: www.seeyousound.org | info@seeyousound.org

Venerdì 26 gennaio 2018, ore 21.00

Cinema Massimo – Sala 1

IV edizione 26 gennaio – 4 febbraio 

Flop Musei civici. Quando dal male può nascere un bene

L’OPINIONE di Enzo Biffi Gentili

 

Il decano dei critici d’arte italiani, Gillo Dorfles, nel suo libello Conformisti (Donzelli 1997) ci insegna che il giudizio estetico del pubblico “si uniforma alla tendenza più diffusa e più banale”. Ciò nonostante sono apparsi salvifici a Torino, nel XXI secolo, gli Impressionisti, tanto cari a sindaci e assessori ex comunisti, rivelatisi appunto conformisti (e senza badare, come si è visto, ai costi). Oggi non più sostenibili

 

Dal male può nascere un bene (copyright Paolo di Tarso). Vien così da commentare la precipitazione dei numeri dei visitatori dei musei civici torinesi: 200.000 in meno tra 2016 e 2017. Ma attenzione: non è vero che il bene per i musei sia esclusivamente rappresentato dallo sbigliettamento, e che le arti siano da considerare solo come strumenti di consenso. Eppure a Torino da troppo tempo si pensa che la cultura debba produrre affollati eventi, graditi ai “clienti”, con qualche eccezione: è il caso di Remo Bassetti con il suo libro Contro il target (Bollati Boringhieri, 2008). Dove l’autore afferma che il target aziendale -anche quello della politica locale e culturale- “si propone di offrire ai consumatori non tanto ciò che essi desiderano ma ciò che essi sono”. Quindi “si costruisce un pubblico su misura che riconferma nelle opinioni che già possiede”. Anche il decano dei critici d’arte italiani, Gillo Dorfles, nel suo libello Conformisti (Donzelli 1997) ci insegna che il giudizio estetico del pubblico “si uniforma alla tendenza più diffusa e più banale”. Ciò nonostante sono apparsi salvifici a Torino, nel XXI secolo, gli Impressionisti, tanto cari a sindaci e assessori ex comunisti, rivelatisi appunto conformisti (e senza badare, come si è visto, ai costi). Oggi non più sostenibili: quindi si capisce la svolta grillina, e l’attuale, impopolare, politica della lesina. Ma non basta. Si invoca da più parti anche un progetto, e solo qualche timido tentativo si intravvede… Per quanto riguarda la GAM è importante il lavoro sulla storia e sulla memoria di quell’edificio compiuto da una ricercatrice eccellente, Giorgina Bertolino; per quanto concerne altri spazi come Palazzo Barolo è stata notevole la mostra Fuoriserie, dedicata a pratiche artistiche borderline, produttrici di disagio e dissenso, non appartenenti all’ufficialità del sistema. Tuttavia l’esposizione è durata solo poco più di un mese, e nonostante che una delle due brave curatrici, Tea Taramino, lavori per il Comune di Torino, non è stato fatto un adeguato lavoro di comunicazione. Per il futuro in questa direzione di lavoro, da perseguire, ci si ricordi di coinvolgere figure eclettiche come quella Alfredo Accatino, autore di grandi eventi internazionali e di programmi televisivi, esperto di culture giovanili, di tutela delle professioni creative e, last but not least, di artisti non conformi. Si tratterà pure di temi di nicchia -di “micchia” direbbero ex sinistri citando Checco Zalone- ma coerenti con un’ immagine storica di città laboratorio che va rilanciata, nella penuria. Al contrario, altre recenti mostre alla GAM, come L’emozione dei COLORI nell’arte, che sin dal titolo e per la notorietà degli invitati destano il sospetto di un tentativo furbesco di “piccionare” un tipo di visitatore più tradizionale, non solo non hanno ammortizzato la caduta in picchiata del pubblico, ma non hanno dimostrato sufficiente scientificità. Insomma, occorre che Appendino e Leon si dimostrino “donne di conseguenza” e non provino anche loro a sbigliettare. Perché, come dice un vecchio proverbio, profano, è dal falso bene -il botteghino- che viene il vero male.

Furto a Venezia in stile Topkapi

Non è una riedizione del colpo del mitico pugnale al Topkapi di Istanbul immortalato nel celebre film del 1964 ma il clamoroso furto di alcuni gioielli della collezione dello sceicco del Qatar Al Thani a Palazzo Ducale a Venezia ci ricorda, con un po’ di immaginazione, la memorabile pellicola anni Sessanta con Peter Ustinov, Maximilian Schell e Melina Mercouri in cui i ladri si calano da un lucernario della cupola della sala e riescono, tra acrobazie notturne mozzafiato, a rubare il prezioso pugnale ornato di smeraldi e rubini, custodito nella sala del tesoro del Topkapi, l’antica residenza dei sultani da dove si ammira il panorama più bello della Turchia, con i ponti sul Bosforo, la Moschea Blu, Santa Sofia e piazza Sultanahmet. Ieri invece alcuni gioielli indiani, altrettanto pregiati, della mostra “Tesori dei Moghul e dei Maharaja”, ospitata a Palazzo Ducale a Venezia, sono stati rubati da una teca. I monili sottratti, almeno una spilla in oro e un paio di orecchini, avrebbero un valore reale di qualche milione di euro. La mostra, allestita nella sala dello Scrutinio, presenta, per la prima volta in Italia, 270 tra gemme e gioielli indiani dal XVI al XX secolo. Nel giugno del 2005 una banda di ladri cercò di imitare davvero gli autori del film del ’64 calandosi dal tetto del palazzo imperiale a Istanbul e svuotando la sala del tesoro. Furono ben nove gli oggetti rubati, tra cui il sigillo di un sultano con smalti e diamanti, il monogramma del sultano Abdulhamit I (1774-1789) e un paravento in madreperla. Ma il famoso pugnale rimase al suo posto, troppo complicato portarlo via senza innescare gli allarmi. In realtà quel pugnale, dal Topkapi, non si è mai mosso. La leggenda narra che il pugnale fu realizzato per lo Scià persiano Nadir nella prima metà del Settecento alla fine della lunga guerra tra gli ottomani e i persiani. Fu Mahmud I (1730-1754) a regalarlo allo scià ma i corrieri del sultano non arrivarono mai alla corte di Isfahan perchè Nadir Scià venne ucciso in una congiura di Palazzo e il pugnale più prezioso del mondo, dal valore inestimabile, tornò tra le mani del sultano a Costantinopoli. 

Filippo Re