CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 735

Non è un altro noioso film francese (Le rayon vert)

Rassegna di film, documentari e animazioni francesi su tematiche ambientali. Presso la Casa del Quartiere di San Salvario, in collaborazione con l’Associazione Museo Nazionale del Cinema
FILM ALLIANCE

In seguito al successo delle precedenti edizioni, inizia il 1° Maggio, con una “maratona francese” presso i Bagni Municipali, la nuova rassegna di cinema Non è un altro noioso film francese (Le rayon vert), promossa dall’Alliance française di Torino in collaborazione con Associazione Museo Nazionale del Cinema e proposta al pubblico con proiezioni in lingua originale sottotitolate in italiano a ingresso gratuito. Omaggio al grande film di Éric Rohmer del 1986, il sottotitolo della nuova edizione, Le rayon vert, intende richiamare il taglio “green” di questo ciclo: il cinema francese si tinge di verde e offre punti di vista diversi – da quello documentaristico a quello comico a quello fantastico – su questioni legate a ecologia e sostenibilità, andando a inserirsi in una stagione culturale torinese molto attenta alle tematiche ambientali. Legato a sua volta all’omonimo libro di Jules Verne del 1882, il titolo del film di Rohmer evoca il fenomeno ottico detto “del raggio verde”, visibile talvolta nelle giornate estive quando il sole, al tramonto, crea un sottile strato luminoso verde-azzurro: allo stesso modo, il nuovo ciclo di cinema si propone di introdurre un elemento insolito e leggero, apparentemente alieno, nel panorama del dibattito legato alla sostenibilità ambientale. L’intensa giornata di apertura del 1° Maggio alla Casa del Quartiere, dopo la grigliata festiva in cortile, regala un’immersione nelle ambientazioni fantastiche di quattro brevi film d’animazione selezionati per la capacità di evocare microcosmi immaginifici ispirati alla sostenibilità, trasferendo semplici ma profondi messaggi di rispetto della natura e del mondo animale: Les 4 saisons del Léon: été de Boniface di Pierre-Luc Granjon e Antoine Lanciaux (2011), Cul de bouteille di Jean-Claude Rozec (2010) e le due opere del 1991 di Michel Ocelot: La bergère qui danse e Le prince des joyaux. Adatti a un pubblico giovane, questi film sono suggestivi e ricchi di spunti anche per gli adulti. Alle 18, Vincent n’a pas d’écailles, divertente lungometraggio di Thomas Salvador del 2013, racconta con delicata ironia la storia un uomo che acquista potere straordinari a contatto con l’acqua. La giornata si conclude, alle 21, con la proiezione de La belle vie di Jean Danizot (2012), quello che è stato definito un “western francese contemporaneo” capace di proiettare un profondo sentimento di nostalgia nei paesaggi sconfinati della campagna francese. La rassegna prosegue venerdì 20 maggio alle 18 nelle sale dell’Alliance française di Torino con la proiezione del documentario di Coline Serreau Solutions locales pour un désordre global (2009), che invita a credere nelle alternative di crescita sostenibili nate a livello locale dalle esperienze di contadini, ma anche di economisti e filosofi indipendenti. La proiezione è preceduta, alle 17, dal vernissage della mostra Climat à 360°, realizzata in collaborazione con Fondation Alliance française, Institut Français Italia e Univescience: un percorso fotografico e multimedia tra arte e scienza attorno ai cambiamenti climatici.

Un secondo documentario, Tous au Larzac di Christian Rouaud (2010), selezionato a Cannes nel 2011 e previsto all’Alliance française di Torino venerdì 17 giugno alle 18, ripercorrerà la storia di una rivolta contadina capace di arrestare una tentata espropriazione statale.
 
Si tornerà alle proiezioni domenicali delle 21, precedute da aperitivo, ai Bagni Municipali presso la Casa del Quartiere di San Salvario il 22 Maggio con la commedia di Solveig Anspach Queen of Montreuil (2012) e il 19 Giugno con il celebre Gadjo Dilo di Tony Gatif (1997).
 
PROGRAMMA DELLE PROIEZIONI
Domenica 1 Maggio | Maratona francese
Bagni Municipali presso Casa del Quartiere San Salvario, via Morgari 14
H 15 | Speciale film d’animazione
Les 4 saisons del Léon: été de Boniface di Pierre-Luc Granjon e Antoine Lanciaux (2011),
Cul de bouteille di Jean-Claude Rozec (2010)
La bergère qui danse di Michel Ocelot (1991)
Le prince des joyaux di Michel Ocelot (1991)
H 18 | Vincent n’a pas d’écailles di Thomas Salvador (2013)
H 21 | La belle vie di Jean Danizot (2012)
Le proiezioni sono precedute da una grigliata in cortile alle 13.
Venerdì 20 Maggio
Alliance française di Torino, via Saluzzo 60
H 18 | Solutions locales pour un désordre global di Coline Serreau (2009)
La proiezione è preceduta dall’inaugurazione della mostra “Climat à 360°” alle 17.
Domenica 22 Maggio
Bagni Municipali presso Casa del Quartiere San Salvario, via Morgari 14
H 21 | Queen of Montreuil di Solveig Anspach (2012)
La proiezione è preceduta da un aperitivo a tema.
Venerdì 17 Giugno
Alliance française di Torino, via Saluzzo 60
H 18 | Tous au Larzac, di Christian Rouaud (2010)
Domenica 19 Giugno
Bagni Municipali presso Casa del Quartiere San Salvario, via Morgari 14
H 21| Gadjo Dilo di Tony Gatif (1997).
La proiezione è preceduta da un aperitivo a tema.
Tutti i film sono proposti in lingua originale con sottotitoli in italiano. Le proiezioni sono a ingresso libero fino a esaurimento posti. L’iniziativa è promossa in collaborazione con Associazione Museo Nazionale del Cinema, Bagni Municipali e Casa del Quartiere di San Salvario. I film sono visibili grazie a Institut français Cinéma. Sono disponibili immagini su richiesta.

La repubblica dei pescatori

Sulla fiancata, spiccava – scritto con la vernice rossa – il nome : “Stella della Castagnola”. Su quella barca ci viveva alcuni mesi l’anno, giorno e notte, buttando le reti dove le correnti lo consentivano e dove il pescato poteva soddisfare almeno i bisogni primari, una volta venduto al mercato ed alle pescherie. “Non ci si arricchisce,caro mio, cùn al pèss dal lag. Ma almeno, puoi star sicuro, si resta liberi. Con il vento in faccia e le stelle sopra la testa. E la libertà non ha prezzo

PESCATORI4

Un fremito. Leggero, quasi impercettibile. Se la vista non lo ingannava, il galleggiante si era mosso. D’altronde, il lago era fermo come una macchia d’olio. Non c’era nemmeno la solita brezza che, a quell’ora del mattino, scendendo dai contrafforti del Mottarone ,increspava lievemente la superficie. L’acqua era immobile e il galleggiante – ne era certo – aveva sussultato. Un breve tremolio. Una volta. Due volte… Mario “Alborella” strinse più forte, con entrambe le mani, la canna. Gli occhi guardavano fissi la lenza e il galleggiante di sughero. Era sicurissimo che quel tappo tondo, colorato di bianco e di rosso, con quel tremolio appena percettibile stava “segnando”. Sulla sua fronte, tra le rughe, si incanalavano goccioline di sudore. Era teso come un archetto, pronto a dare il colpo appena la preda abboccava. Un colpo secco per prenderla all’amo e poi, finalmente, avrebbe chiuso i conti con quella trota di lago che lo faceva ammattire. Era un sacco di tempo che tra i due era aperta la sfida. E, fino ad allora, il risultato era sempre stato lo stesso: la trota gli fregava l’esca e lui restava lì con un palmo di naso, beffato. “Forse, stavolta la frego io”, diceva tra se. Ed ecco che, all’improvviso, il galleggiante sparì di botto sotto il pelo dell’acqua. All’istante Mario “frustò” la canna con uno strappo secco. Ma la sentì leggera , leggera e vide luccicare al sole – con un beffardo bagliore argentato – l’amo pulito, senza esca e – soprattutto – senza trota. “Maledetta bestiaccia”, imprecò Mario “Alborella”, agitando il pugno impotente verso il lago, come se la trota lo stesse a guardare , sogghignando. “ Anche stavolta mi ha fregato il verme e mi ha fatto fare la figura del pirla. Ma un giorno o l’altro la piglio e poi, com’è vero che c’è un Dio, la PESCATORI6metto giù in carpione”. Così, ciondolando sulle gambe malferme, con il cestino dove aveva riposto due dozzine di alborelle lunghe più o meno un dito, frutto della pesca di un paio d’ore, se ne andò verso casa. Quei pescetti erano l’unica specie che riusciva a pescare e che gli era valsa il soprannome che portava. Mentre quella trota di lago, furba e scaltra, era la sua ossessione. Tutti i giorni provava a farle fare il salto dal lago alla padella e tutti i giorni quella si prendeva la soddisfazione di far fare a lui la figura del pesce, soffiandogli l’esca dall’amo dopo avergli dato l’impressione della cattura. Mario “Alborella” era così. Pescatore da terra e da canna, non amava salire in barca nonostante fosse nato sull’isola dei Pescatori. E da quand’era in pensione, dopo aver fatto il giardiniere dei Borromeo, aveva ingaggiato quella sfida quotidiana dall’esito ormai scontato. Altra storia era quella di Giorgio Merati, detto “ Giorgio dell’Inverna” perché sentiva i venti e in quelli leggeva il tempo. Già da piccolo, suo padre l’aveva avviato alla pesca. Com’era accaduto a lui – che aveva appreso abitudini e tradizioni da suo padre – aveva trasmesso al figlio, fin dall’età di 5 anni, i primi segreti della pesca sul lago. Gli aveva parlato delle correnti e dei venti, delle reti e di come andavano calate. Ma soprattutto di quando e dove si poteva fare una buona pesca. “Ci vuole rispetto per il lago e per le creature che ci vivono”, gli diceva sempre.”Noi PESCATORI2peschiamo, certo. E questo ci dà da vivere ma mai abbiamo esagerato. Bisogna sapersi accontentare, perché ogni cosa deve rispettare gli equilibri”.Ancora oggi, nelle notti più chiare, quando si vedevano nitide le sponde da una parte e dall’altra del lago, gettava la sua rete al largo, nel golfo Borromeo. Era di Baveno ma avrebbe voluto vivere a Pallanza. “ E’ la regina del lago. Dal portamento così signorile che lascia senza fiato e , al tempo stesso,così schietta e sincera da sembrare una donna del popolo”. Sì, gli piaceva Pallanza ma dopotutto amava guardarla dal lago più che da riva. Da quand’era nato aveva le spalle coperte dall’ombra lunga del Mottarone e lo sguardo che incrociava il tondo e rassicurante profilo del Monte Rosso , che scendeva su Suna per bagnarsi i piedi nel lago. L’isola Madre l’aveva ospitato tante volte che neppure più teneva il conto. E l’isola Pescatori era un po’ la sua seconda casa. Lì, sulla lingua di terra che andava dal Verbano, il bell’albergo rossiccio che guardava in faccia la patrizia dimora sull’isola Bella, al “codino” che puntava dritto il suo naso curioso in direzione di Feriolo e Fondotoce, c’era quel lembo di terra che qualcuno, in passato, chiamava – non si sapeva bene il perché – la “Repubblica dei Pescatori”. Quante notti aveva passato, tutte intere fino all’alba, solcando lentamente il dolce movimento delle onde, sotto il cielo scuro che veniva bucato dalle piccole stelle lucenti o rischiarato dalla luna che faceva correre le ombre sull’acqua. E le barche le “spezzavano”, con la loro scia lenta mentre si muovevano a colpi di remo verso il largo. “Se hai un cuore e una camicia, vendi la camicia e visita i dintorni del Lago Maggiore” ,   scriveva Stendhal. E come dar torto a lui ed a quei viaggiatori colti che, fin dall’Ottocento avevano scoperto il lago Maggiore e – con le loro descrizioni – contribuirono a fare del Verbano la meta privilegiata di un turismo europeo d’élite affascinato dall’ambiente lacustre nel quale, come delle perle rare, facevano bella mostra di se le isole Borromee. Certo, le isole Borromee erano dei gioielli. Tre belle pietre preziose che arricchivano il diadema del lago. E se l’isola Madre e l’isola Bella spiccavano per grazia, signorilità, la terza era un po’ quella scapigliata, più ribelle. Un po’ come lo spirito, avventuroso, di chi ci abitava. Sì, perché l’isola dei pescatori, conosciuta anche come Isola PESC66Superiore, era   l’unica isola di quel piccolo arcipelago ad essere stabilmente abitata. Quei suoi 350 metri di lunghezza per 100 di larghezza ospitavano un piccolo centro abitato, dalle caratteristiche case a più piani (con lunghi balconi per essiccare il pesce), con la piazzetta, i caratteristici vicoli stretti, molto simili ai “carruggi” o alle “mulattiere di mare” liguri. E poi il lungolago e la via principale , dove le poche decine di abitanti – da sempre – potevano permettersi gli spostamenti ,ovviamente e rigorosamente a piedi, da un capo all’altro dell’isola. Quella era la sua “casa” e , senza ombra di dubbio, la conosceva come le sue tasche. E così anche per i paesi della costa più   vicini. Praticava quasi ad occhi chiusi   il suo braccio di lago per averlo navigato un infinità di volte, dall’alba al tramonto ed anche di notte. Ma l’insieme del Verbano, la terra dov’era nato e dove viveva, aveva imparato a scoprirlo soprattutto grazie ai libri. A scuola e soprattutto fuori dalla scuola, sfogliando avidamente i testi che trovava nella piccola biblioteca della parrocchia. C’era poi un testo di geografia molto dettagliato sul lago che, quasi quasi, era in grado di ricordarsene interi capitoli a memoria. “ Il Lago Maggiore si trova ad un’altezza di circa 193 m s.l.m., la sua superficie è di 212 km2 di cui circa l’80% è situata in territorio italiano e il rimanente 20% in territorio svizzero. Ha un perimetro di 170 km, è lungo 54 km, la larghezza massima è di 10 km e quella media di 3,9 km. Il volume d’acqua contenuto è pari a 37,5 miliardi di m3 di acqua con un tempo teorico di ricambio pari a circa 4 anni. PESCATORI3Il bacino imbrifero è molto vasto, pari a circa 6.599 km2 divisi quasi equamente tra Italia e Svizzera (il rapporto tra la superficie del bacino e quella del lago è pari 31,1), la massima altitudine di bacino è la Punta Dufour nel massiccio del Monte Rosa (4.633 m s.l.m.) quella media è invece di 1.270 metri sul livello del mare”. E ancora, leggendo avidamente i testi di geografia, tendeva ad allargare, curioso, lo sguardo ben oltre al lago in se, cercando di capire bene cosa stava attorno al “suo” lago. Così non mancava di fare qualche nuova scoperta…”Il bacino è caratterizzato dall’esistenza di una trentina di invasi artificiali con una raccolta di circa 600 milioni di metri cubi di acqua che, se rilasciati in modo contemporaneo,   eleverebbero il livello del lago di circa 2,5 metri. La massima profondità è 370 metri (al largo di Ghiffa).Gli immissari maggiori sono il Ticino, il Maggia, il Toce (che riceve le acque del torrente Strona e quindi del lago d’Orta) e il Tresa (a sua volta emissario del lago di Lugano). I tributari maggiori hanno un andamento di deflusso diverso, mentre Ticino e Toce che hanno un bacino imbrifero ad alte quote raggiungono un flusso massimo nel periodo compreso fra maggio e ottobre in coincidenza allo scioglimento di nevi e ghiacciai, gli altri tributari hanno un andamento fortemente influenzato dalle precipitazioni”. Poi c’erano i corsi d’acqua minori, che non riusciva ad individuare sulla carta geografica perché era di una scala troppo grande. Si ricordava però i nomi dei torrenti Verzasca, Cannobino, San Bernardino, Giona, Margorabbia e Boesio.Aveva letto avidamente tutte le informazioni, immaginando rotte e percorsi. Sapeva bene che il lago, pur grande, aveva come unico emissario il Ticino che fluiva lento uscendo all’altezza del ponte di ferro a Sesto Calende. Aveva imparato come l’origine del Lago Maggiore fosse sicuramente glaciale: ne era testimone la disposizione delle colline formate da depositi morenici di natura glaciale. Però , spiluccando qua e là su libri e vecchie carte, aveva scoperto una cosa in più: l’escavazione glaciale era avvenuta su una preesistente valle fluviale. Ed infatti, il profilo del lago – bastava guardarlo – presentava la tipica forma a “V” delle valli fluviali. Una cosa che sapeva bene, essendo pescatore e navigatore di lago, riguardava le isole. A parte le tre borromee, nel Lago Maggiore erano presenti altre   isole meno grandi, piccole o addirittura minuscole che sembravano – viste dai monti e dalle colline – delle capocchie di spillo.   Erano altre cinque nella parte   piemontese, due nell’alto lago svizzero ed una solo, piccola piccola, dalla parte lombarda, per un totale ( aggiunto l’arcipelago delle tre fra Stresa e Verbania) di undici. Partendo dall’alto verso il basso , di fronte al paesino di confine svizzero di Brissago si trovano le due omonime isole alle quali – lasciata la Confederazione per scendere sulla costa tra Cannobio e Oggebbio ci si imbatte nei tre scogli emersi dei Castelli di Cannero dove, su quello più grande, si erge lo scheletro della “Vitaliana”, la rocca fatta costruire all’inizio del 1500 dal conte Ludovico Borromeo sulle rovine del castello della Malpaga, dimora dei pirati Mazzarditi che misero a ferro e fuoco gli abitati delle sponde del lago. Al suo fianco l’altra isoletta con le prigioni e, dalla parte opposta, che guarda verso Maccagno, lo scoglietto del Melgonaro, su cui cresce solo una stenta ma tenace pianta che se ne infischia dei venti e delle intemperie.Per finire c’erano poi l’Isolino di San Giovanni, di fronte a Pallanza, l’isolotto della Malghera – un fazzolettino di terra tra L’Isola Bella e quella dei Pescatori – e , buon ultimo, verso sud,   l’Isolino Partegora nel limitato golfo di Angera, sulla “sponda magra” del lago, quella battente bandiera lombarda. Quella sera di fine autunno, sia Giorgio che il piccolo Filippo – che ormai aveva dieci anni – erano rimasti sull’Isola dei Pescatori. Avevano tirato in secca la barca ed erano andati a cena a casa del Giovanni Farina che, sul lago, era più conosciuto come il “ Giuanin dai Misultitt”. Il soprannome gli era stato affibbiato in ragione della sua fama di pescatore di agoni che, una volta puliti e fatti seccare al vento e al sole, venivano salati e disposti – frammisti a foglie d’alloro – nelle missolte, i contenitori nel quale venivano conservati gli agoni. E com’erano buoni, i misultitt. Riscaldati appena un po’ sulla brace o sulla pietra ollare, venivano PESCATORI2ripuliti dalle scaglie e aperti a metà, per lungo, sfilando via la lisca. Una spruzzata d’aceto e qualche goccia d’olio e via.. Il sapore deciso poi s’ammorbidiva se li si accompagnava   con la polenta calda ed un fiato di vino rosso. Quel vino rosso pungente che non mancava mai sulla tavola del Giuanin e che lui, in vista dell’inverno, provvedeva a “metter via” dopo averlo fatto imbottigliare dal Nazareno, un ex-frate che aveva le vigne di “americana” tra Loita e Campino.La scelta di fermarsi per cena ed anche per la notte era solo in parte voluta. Sul lago, infatti, stava soffiando il Maggiore, il più impetuoso e pericoloso dei venti. Scendeva fischiando da nord, dalla piana di Magadino, in Svizzera, ed era capace di alzare onde alte anche due o tre metri. Il rischio di veder rovesciato lo scafo e di trovarsi a mollo, nell’acqua scura e fredda, era troppo alto. Ed in quelle condizioni ci si poteva anche rimanere secchi, lasciar la pelle, annegando.Meglio andar coi piedi di piombo e non sfidare la furia del lago. Meglio star lì, al riparo, davanti al camino del Giuanin. A cena   c’era anche Mario “Alborella” e, ad ascoltare i loro discorsi, c’era solo da imparare. Iniziarono subito a parlar di venti e di onde ed il piccolo Filippo intervenne per chiedere quanti e quali fossero i venti che soffiavano sul Verbano. “ Caro al me fiò – disse Giuanin -; la risposta a questa domanda dovresti già saperla, visto che sei il figlio del Giorgio dell’Inverna. Ma ho come l’impressione che ti piace sentire anche la nostra versione. Eh, Mario. Cosa dici? Gli parli tu dei venti o lo faccio io?”. Fa tì, Giuanin – replicò “Alborella” – che ti ghè una bella parlantina. E con un bel bicièr da mericanin la lingua ta diventa ancà pussè lunga e svelta”. PESCATORI5Così Giuanin si mise a parlare dei venti. Partì dal “mergozzo”, l’altro vento del nord, che s’immetteva sul lago provenendo dalle parti dell’altro, più piccolo, specchio d’acqua che guardava verso la bassa Val d’Ossola, il   Mergozzo, prendendone il nome, fino a quelli dell’est, come l’Inverna.   “ D’inverna ce ne sono diversi. C’è quella del bel tempo, che soffia di pomeriggio ed è come una carezza un po’ decisa e c’è quella che gonfia e ghiaccia l’aria d’inverno. E’ quella vera, che porta con se la “brisa”, che mette il gelo nelle ossa”. Un fiato di vino e Giuanin, preso slancio dopo l’attimo di pausa per la “gollata”, riprese a descrivere le correnti d’aria. “C’è il “marenc”, il marenco, un’inverna calda che monta su quando da sud spira lo scirocco. E’ l’aria che fa crescere il lago”. Accortosi che Filippo lo guardava con occhi sgranati, anticipando la domanda, aggiunse: “Beh, non è che l’aria faccia crescere proprio il lago. E’ che, essendo calda, fa sciogliere la neve in alto e l’acqua scorre a valle fino al lago che, appunt
o, cresce di livello
”. Poi, preso ancora fiato, raccontò della “buzzasca”, aria che portava la neve; della “vachera” che, scendendo dalle pendici del Mottarone, annusandola, portava con se l’odore delle mucche al pascolo. Il “muscendrin”, originato dal Monte Ceneri ( “tùta roba svizzera”) muoveva l’aria fredda ma secca. Puliva il cielo e portava il sereno. “Vedi, ragazzo mio. Come ti avrà già detto tuo padre, il vento può far bene o far male alla pesca. Quando soffia quello da nord, in primavera, l’è una disgrazia. Raffredda l’acqua e i pesce va più in profondità e chi s’è visto s’è visto..non lo peschi più. Mentre invece quando soffia il marenco si va sul liscio con coregoni e bondelle perché l’acqua sale, entra quella dei fiumi e l’acqua dal lagh la   sa fa turbula, e nel torbido si pesca che è un piacere”. Ma ormai si era fatto tardi ed era ora d’andare a dormire. E se era vero che “chi dorme non piglia pesci”, quella sera – calate le ombre sul lago dove il “maggiore” spazzava le onde – non era sera d’andare in barca a pescare. Marino Balossi era anche lui pescatore. Ma veniva dall’altra “sponda”.Nel senso che era di Pallanza, cioè della parte più ad est del golfo Borromeo. Dopo un bel po’ di anni da operaio in fabbrica, alla Rhodiatoce, si era licenziato e con la liquidazione aveva comprato un burchiello da lago lungo nove metri. Una bella barca da pesca, con poppa e prua praticamente identiche ed il fondo piatto. I “risciunà”, gli arcioni tondi sui quali andava infilata la tela che riparava dalla pioggia, erano – come di regola – montati a poppa. E, sulla fiancata, spiccava – scritto con la vernice rossa – il nome : “Stella della Castagnola”. Su quella barca ci viveva alcuni mesi l’anno, giorno e notte, buttando le reti dove le correnti lo consentivano e dove il pescato poteva soddisfare almeno i bisogni primari, una volta venduto al mercato ed alle pescherie. “Non ci si arricchisce,caro mio, cùn al pèss dal lag. Ma almeno, puoi star sicuro, si resta liberi. Con il vento in faccia e le stelle sopra la testa. E la libertà non ha prezzo”, diceva sempre Marino a chi gli chiedeva qualcosa sulla pesca. Il Balossi ( “prego..il sciur Balossi”, come diceva a quei milanesi un po’ bauscia che avevano un po’ di grana in sacchetta e pensavano con quella di poter comprare tutto ) era conosciuto anche col soprannome di “Ribelle” un po’ perché aveva fatto in tempo a fare il partigiano su in Val Grande, con i garibaldini della “Redi”, un po’ perché non si tirava mai indietro quando c’era da far valere i diritti dei pescatori e, più in generale, di quelli che avevano sempre avuto di meno. Come quella volta che aveva issato una bandiera rossa sull’albero più alto dell’isolino che divideva l’Isola Bella da quella Superiore. C’era calma di vento, quella sera. Ma le acque del golfo, tra Carciano e l’Isola Bella, era comunque agitate. In tutti i sensi. Il matrimonio di una delle ultime principessine Borromeo con un rampollo di una casata di capitani d’industria era l’evento del momento. Un via vai di motoscafi a far da spola tra l’isola e la terraferma, accompagnati dal fastidioso rumore degli elicotteri che volteggiavano a bassa quota, creava disagi per chi – sul lago e dal lago – traeva di che campare. I pescatori, infatti, piuttosto indifferenti all’appuntamento mondano, stavano il più possibile alla larga. Tutto quel can can aveva scombinato l’esistenza,   tranquilla e poco incline alla frenesia, di chi viveva sul lago. Nonostante i turisti che frequentavano i paesi da Arona fino a Cannobio – passandoli tutti in rassegna,quasi sgranando un rosario di nomi, d’alberghi e di ritrovi: Meina, Lesa, Belgirate, Stresa, Baveno, Feriolo, Fondotoce, Suna,Pallanza, Intra, Ghiffa, Oggebbio e Cannero – , la vita per chi era del posto, soprattutto per gli isolani affidata ad un rassicurante “tran tran”.Per questo, per protesta, lui aveva piazzato lì quello straccetto vermiglio, inPESCATORI4 mezzo al lago. Così, per sfida, tanto per disturbare. E nonostante non sventolasse per colpa dell’aria ferma ( “Oh, santa Madonna.. gheva gnanca un bigulin d’aria “) avevano dovuto mandare due motoscafi con quattro guardie del corpo per tirarlo via. “Una cosa da poco, dai,ma pur sempre uno schiaffo di quelli che lasciano il rossore”, raccontava ridendo e tossendo, con il toscano mezzo mangiato che gli ballava all’angolo della bocca. Aveva anche una nipote, Martina, della stessa età di Filippo. Piccola, minuta, dai capelli corvini raccolti in due trecce, aveva uno sguardo sveglio,intelligente. Studiava che era un piacere ma gli piaceva anche tanto giocare purché fossero giochi avventurosi. Ed aveva le ginocchia sempre sbucciate…”Guarda qui, Giorgio, il mio “maschiaccio”. E’ bella, eh? Tutta suo nonno”, diceva orgoglioso, indicando Martina che – quando usciva in barca con lui – era addetta a metter in acqua la lenza quando bordeggiavano a tirlindana. Questa particolare pesca alla traina si effettuava sfruttando il movimento dell’ imbarcazione. Si calavano in acqua diversi cucchiaini ondulanti con infissi degli ami, pensati e costruiti apposta per questo genere di pesca. Questi – che penzolavano a profondità variabili – , richiamavano le prede , ingannandole con il loro sfarfallio. Il grosso mulinello, applicato sul bordo della barca, consentiva di svolgere la lenza, affidando alla corrente la bava che terminava, in fondo, con un bel peso di piombo di diverse decine di grammi che, a sua volta, consentiva di far rimanere ben stesi i cucchiaini. Martina si divertiva un mondo a recuperare piano il lungo filo ed , a volte, quando le prede non erano troppo grandi, riusciva a portarsele fin sotto lo scafo dove il Marino, con una mossa rapida di guadino, le tirava in secco e le liberava dall’amo. Qualche volta capitava che Giorgio e Marino, con figliolo e nipote, andavano a pesca insieme. Con un ritmo lento ,andavano per agoni con la bedina, una rete che formava una specie di sacco, di catino, per come veniva usata. Ed era una fatica del boia, manovrarla. Allora era meglio essere in due perché – se avevi fortuna e la pesca era generosa – c’era da spezzarsi la schiena a tirarla in secco, sul fondo del burchiello. Ma loro erano così, un po’ matti e un po’ all’antica. Quasi nessuno calava più in acqua la bedina perché non avevano il fisico di una volta quando, in una notte, capitava che la rete andava dentro e fuori per sei, sette volte. “ Ti ricordi,eh? Ci venivano dei muscoli così.. E, quando si tornava a riva, all’alba, la schiena non la sentivamo più dal male”, diceva il Marino. Giorgio si limitava ad annuire. Era di poche parole, piuttosto taciturno. Ma dovette fare la sua parte perché i ragazzi erano curiosi e non ci si poteva sottrarre a lungo a quel fuoco di fila di domande sulle reti, i pesci, le correnti. Ed allora, via, a raccontare delle reti volanti da calare a diverse profondità per poi recuperarle magari ad uno o due chilometri di distanza dato che, per l’appunto, “volavano” via, seguendo le traiettorie delle correnti. “Non erano fissate ed i galleggianti di sughero sulla corda superiore navigavano che era una bellezza.Poi, al lume delle lanterne, le individuavamo e, tirate in secca, rovesciavano in barca   il pesce”. “E qualche volta, invece, non c’era imprigionato un bel niente e si andava via con la coda tra le gambe, ad orecchie basse, come dei cani bastonati”, aggiunse il “Ribelle”. Filippo e Martina, tutt’orecchi, si bevevano le parole dei grandi. “Prima che si usasse il nylon le reti erano fatte di canapa, seta e cotone. Erano più spesse, più grosse. E più pesanti”, spiegava Marino. Al quale faceva eco Giorgio, ormai ben disposto al dia
logo:”Non è come adesso che sono belle e robuste. Bisognava “tenerle da conto”, dedicandogli molti lavori di manutenzione. Andavano asciugate, rappezzate, tinte. Le avete viste, no?, quelle vecchie reti stese a prendere il sole sull’Isola? Erano un po’ scure perché erano state tinte. Un po’ per conservarle più a lungo e un po’ per mimetizzarle”. “Come facevano a tingerle?”, chiesero quasi all’unisono Martina e Filippo. “Di tanto in tanto venivano immerse in una grossa caldéra ( “puciate dentro”, precisò Marino ridendo ) dove bollivano nell’acqua insieme alle bucce delle castagne ed alla cenere presa dal camino. Così si irrobustivano e diventavano meno visibili”. “ E come non parlare, poi, delle reti da fondo..“ Quelle le lasciavi lì un bel po’ in acqua. Anche 48 ore. E andavano giù perché avevano dei sassi legati di sotto che le fermavano”. E il tremaglio? Quei ragazzini erano tremendi. Mitragliavano i due pescatori con raffiche di domande e stavano lì, vispi, in attesa delle risposte. “Il tremaglio lo usiamo ancora oggi per il pesce persico, vero Marino?”, disse Giorgio passando la questione al “palanzott”. “ Già, caro il mio socio. E’ una rete a tre maglie che, messa in acqua, resta bella tesa e dritta. Le maglie sono più larghe all’esterno e più strette PESCATORI6all’interno, così che il persico resta dentro, impigliato”. “Quelli della sponda “magra”, invece – aggiunge Giorgio – erano molto bravi con i “legné”, con le legnaie. Facevano su delle belle fascine di robinia che, legate, venivano immerse in acqua lungo la riva. I persici ci deponevano le uova e si riproducevano.Poi, quando tornavano lì ed erano di “misura”, cioè oltre i 18 centimetri..zac! Li catturavi senza fatica. Oggi, invece, per l’inquinamento che di là è un bel problema, visto che i depuratori non sono in marcia, le legnaie sono andate quasi tutte a ramengo. E l’è un vero peccato”. Tra una domanda e l’altra, la notte era scesa sul lago. Sulle sponde si vedevano le luci dei lampioni. Una lunga fila gialla tra Suna a Pallanza, interrotta solo dalla massa scura della Castagnola, il “colle più alto” di Verbania, al largo del quale il lago era ben profondo. Più chiare, quasi bianche, le luci invece tra Feriolo, Baveno e Stresa, dove – negli alberghi – si faceva festa. Cullati dallo sciabordio delle onde sulle fiancate dell’imbarcazione, coperti con un plaid a quadrettoni e sdraiati sul fondo piatto su di un piccolo materasso, i due ragazzini si erano addormentati. E chissà che cosa sognavano..Un giorno, gettarono le reti a poche centinaia di metri dal “codino” dell’Isola, tanto per vedere “ se si riesce a tirar in barca qualcosa” per far cena e, se andava bene, per vendere una cassetta o due di bondelle per il Carlin “Spina”, il pescivendolo di Carciano che pagava bene il pescato. “Ah, al nostar Carlin! Quello sì che non ha il braccino corto”, diceva il Marino, masticando il toscano spento. “Non fa storie sul prezzo perché sa bene che il pesce fresco si piazza bene alle mense delle ville di quei signoroni di Milano che vengon qua a rifarsi i polmoni con   l’aria buona”. Parlavano del più e del meno quando, ormai vicini al vespro, col sole in calo, decisero di tirare in PESC22secco le reti. Filippo e Martina, usciti anche loro in barca, si diedero da fare per dar manforte al recupero. In breve le reti, sgocciolando, finirono sul fondo dei due burchielli insieme a due dozzine di bondelle, tre o quattro coregoni e un luccioperca che – ad occhio e croce – poteva pesare sì e no un paio di chili. Ma, insieme al pesce, nella rete era finito anche una specie di cilindro verdastro. Forse, dato che il fondale vicino all’isola non era propriamente un abisso, la rete aveva “raspato sù” quell’affare lì. I ragazzi lo guardavano curiosi e morivano dalla voglia di scoprire cosa fosse. “Altolà,voi. Lontani e fermi”, intimò Marino. “Non si sa mai che possa essere qualcosa che può anche far male. Nel lago ci è finito di tutto e, soprattutto dopo la guerra, con le reti abbiamo tirato in secca un sacco di porcherie, compreso delle bombe inesplose. State un poi lontani, che ci guardiamo noi”, disse, sospettoso. Non pareva però un’ordigno ma una specie di tubo. Lo prese in mano e lo ripulì con uno straccio che usava per le mani quando trafficava con il motore della barca. “Caspita, Giorgio. Vardà anche tì..Luccica.Sembra d’argento”, esclamò, stupito, il vecchio Balossi. “Sì, dev’essere proprio d’argento”, commentò Giorgio dell’Inverna. “E, guarda…sembra sia avvitato. Chissà cosa c’è dentro!?”. Facendo forza con lo straccio, dopo aver cosparso la parte alta del cilindro – che pareva proprio una specie di coperchio- con lo “svitol” che usavano per sbloccare le viti arrugginite dell’argano e del mulinello della tirlindana, lo aprirono. “Guarda,guarda..c’è una specie di documento. Sembra una pergamena. Dev’essere ben vecchia.Forse è meglio lasciarla così, non aprirla e portarla all’Isola, dall’avvocato Montagnoni”, disse Giorgio. E Marino, annuì. Anche i ragazzi erano d’accordo. L’avvocato era un po’ la “memoria storica” dell’Isola. Aveva fatto gli studi di legge a Milano, all’Università Cattolica, e poi si era preso lo sfizio di una seconda laurea – in storia moderna – all’ateneo di Friburgo. Da quando si era trasferito nella casina azzurra vicino alla chiesa di San Gandolfo, che aveva ereditato da suo padre Raniero, si era dedicato ad indagare sulla storia delle isole e dei loro abitanti. Tant’è che ora veniva indicato da tutti come “l’avùcat dà la storia”. E, una volta a riva, era a lui che si sarebbero rivolti per avere il conforto di qualche notizia in più sul ritrovamento. “Mal che vada – disse il Marino, che teneva sempre “i piedi per terra”, anche se viveva gran parte del suo tempo in barca – si può sempre fare due lire con l’astuccio. Se è sul serio d’argento, ci guadagnamo più che con le bondelle”. L’avvocato Gianmario Montagnoni era intento nelle sua lettura quotidiana della “Gazzetta dello Sport”. Gran appassionato di ciclismo, lasciava volentieri i suoi amati libri di storia per analizzare attentamente le cronache sportive degli assi del pedale sulle pagine del “foglio rosa”. Del resto ,cosa poteva farci? Scapolone impenitente ( “nonostante qualche innocente infatuazione”; di se stesso, amava dire,quasi a giustificazione per il non essersi mai sposato, “non sono mai stato colpito dalla freccia di Cupido e forse anche il mio archetto aveva la corda rotta” ), oltre alle ricerche storiche ed alla buona cucina, non aveva altri vizi. La sua passione per Coppi e per i “grimpeur”, gli scalatori che s’alzavano sui pedali quando la strada iniziava a salire e lasciavano gli altri impiantati sull’asfalto o lo sterrato, con un palmo di naso, era proverbiale. Qualcuno all’Isola, bonariamente, lo aveva ribattezzato “ Pordoi”, ricordando così il suo incontenibile entusiasmo quando parlava della “cima Coppi” del Giro d’Italia. I due pescatori ed i ragazzi, dopo aver bussato alla sua porta ed ottenuto il permesso d’entrare, lo trovarono così: intento a leggere con la lente d’ingrandimento in mano, seduto vicino alla finestra sulla sua grande sedia impagliata. Dopo i saluti e una rapida descrizione degli eventi accaduti, specificando bene dove si trovavano con la barca quando il cilindro d’argento era finito nella rete da pesca, l’avvocato – leggendo avidamente il testo della pergamena, chiaramente vergato a mano e miracolosamente conservatosi grazie all’involucro che
l’aveva mantenuto in buono stato, difendendolo dall’acqua e dall’umidità – si mise a pensare. Ci furono alcuni minuti di totale silenzio. Nessuno osava fiatare. Il Montagnoni corrucciava la fronte, leggendo e rileggendo quelle poche righe. Giorgio e Marino scrutavano le sue espressioni. Martina e Filippo si guardavano intorno, incuriositi da tutti quei libri che c’erano in quella stanza. Dopo un po’, l’avvocato disse: “ Amici miei, cari ragazzi..abbiamo avuto una fortuna immensa. Questa pergamena ha una importanza straordinaria. Forse spiega un sacco di cose. Intanto, ve la leggo.Ascoltate bene. Ve la traduco già pesce lago retesubito perché è scritta nell’italiano di fine settecento”. L’avvocato non riusciva a celare l’emozione. Le mani gli tremavano. Si schiarì la voce e, finalmente, lesse la pergamena. “ Oggigiorno, primo Messidoro 1798”…cioè, se non ricordo male, il 19 giugno.. “ rifocillati e rimessi in forze dalla generosa ospitalità dei pescatori di questa meravigliosa isola che, soccorrendoci all’indomani del 4 Fiorile ( che corrispondeva al 23 di aprile ) dopo il tragico epilogo della battaglia di Gravellona, ci nascosero nelle loro case a rischio e pericolo della loro stessa vita..”. L’avvocato fece una pausa e disse: “Qui si legge poco e male, perché l’inchiostro ha sbavato un po’, ma il senso è chiaro..Vediamo un po’..”. E riprese la lettura: “..sfidando l’ordine regio in un epoca di temperie e funesti presagi, seppero tener alta la fiaccola della libertà e dell’indomito spirito repubblicano. Noi, patrioti e combattenti, ancora in vita grazie al loro coraggio, in procinto di lasciar l’Isola per riparare verso l’Elvezia, dichiariamo questo lembo di terra, abitato da fieri e orgogliosi patrioti, l’ultimo baluardo di Libertà. Viva la Repubblica Lepontina. Viva la Repubblica dei Pescatori. Evviva le genti che voglion vivere a testa alta”. “Ci sono anche tre firme: Lazzaro Prosperi, Filiberto Orioli, Antonio Merati. Eh, caro Giorgio – esclamò l’avvocato Montagnoni – quest’ultimo forse era un tuo antenato. Ecco cos’era il “segreto” che il vecchio prete d’allora, Don Piero, affidò al lago perché nessuno “potesse ghermirlo e, per tramite suo, cagionar malevoli conseguenze ai generosi pescatori di codesta isola”. I quattro lo ascoltavano sempre più stupiti e chiesero, com’era inevitabile, di poterne capire di più. “ Sciur Avucàt, ci faccia capire anche a noi che non siamo “studiati” come lei. Cos’è questa storia? E cosa c’entrano i patrioti, il prete, la repubblica e compagnia cantando?”, sbottò il Marino, grattandosi la nuca, perplesso. “ Giusto,giusto..Scusate ma mi son fatto prendere un po’ la mano”, intervenne l’avvocato. “ Dovete sapere che, nel corso delle mie ricerche, mi sono PESC66imbattuto – consultando le carte dell’archivio della parrocchia – in una specie di memoriale che era stato scritto da Don Piero Lunelli, il parroco che per più di trent’anni officiò la messa e confesso tutti qui all’isola, tra la fine del 1700 e gli inizi del secolo successivo. Si vede che i pescatori avevano tratto in salvo alcuni patrioti scampati dalla carneficina dell’aprile 1798 e questi ultimi, per ringraziarli, avevano messo nero su bianco un attestato di stima nei loro confronti, prima di riparare in Svizzera. Ed il prete, nel dubbio che le guardie dei Savoia potessero metterci su le mani e dar vita ad una rappresaglia contro i pescatori, lo mise in questo cilindro d’argento e lo gettò nel lago”. Infatti, l’anziano studioso , si era già imbattuto in qualche indizio. Come nel caso della descrizione, fatta da Don Piero nel suo diario, dell’ involucro che conteneva alcune reliquie di San Protasio, uno dei due patroni di Baveno, che – svuotato del suo prezioso contenuto religioso – era stato adibito “ ad un compito adatto a suggellar per sempre un temibil segreto”. Eccolo qui, dunque, il “temibile segreto”: la prova di un atto di altruismo e di ribellione degli isolani nei confronti della monarchia sabauda. E si spiegava anche quel riferimento un po’ sibillino alla “prova di generosità manifestata dagli abitanti del basso lago verso la causa giacobina” di cui parlava un vecchio testo sui moti rivoluzionari nell’Ossola e nel Verbano, pubblicata un secolo dopo a Bellinzona, nel canton Ticino. Si era fatta ormai sera. Ma nessuno se la sentiva di rinviare all’indomani il racconto che era stato ormai avviato. Così, preparata alla buona una cena frugale a base di polenta e latte e una mezza dozzina di misultitt appena dissalati, i due pescatori ed i due ragazzi, ascoltarono dalla bocca dell’esperto Montagnoni, la ricostruzione di quanto accadde in quell’epoca. “Intanto, avete mai sentito parlare dell’Azari?”, chiese l’avvocato. “Come no… E’ il nome del viale che attraversa Pallanza, dalla piazza Gramsci fino su al ponte del Plusc”, rispose pronto Marino. “ Beh, sì.Insomma, più o meno. Quello che ha dato il nome al viale, come dici tu, era   Giuseppe Antonio Azari, un giovane, brillante, avvocato di idee repubblicane. Aveva studiato giurisprudenza all’Università di Pavia e lì, sulle rive del Ticino, entrò in contatto con dei giacobini. Affascinato dai propositi rivoluzionari aderì alla loro causa prendendo il nome di battaglia di “Giunio Bruto”. Nel 1796, quando Napoleone alla testa delle sue armate d’oltralpe valicò il confine ed invase l’Italia, progettò di impadronirsi degli uffici del capoluogo Pallanza e proclamare la Repubblica Lepontina. Ma il tentativo insurrezionale non andò in porto. Nella notte tra il 22 ed il 23 ottobre venne arrestato a casa sua, insieme a   Prospero Bertarelli ed Antonio Bianchi, gli altri capi della congiura.Stessa sorte subirono, a Fondotoce, i piccoli gruppi di rivoluzionari che erano pronti all’azione: le guardie regie li catturarono e li disarmarono. E così, amici miei, in una sola notte, la prospettiva della Repubblica Lepontina andò in fumo”. “E poi, che fine fecero lui ed i suoi amici?”, l’interruppero, ormai completamente “presi” dalla storia, Martina e Filippo. “Eh, finì male. Lo portarono subito a Novara dove venne processato con urgenza e condannato a morte mediante impiccagione. La sentenza, senza possibilità d’ appello, venne eseguita il 3 dicembre nel fossato del Castello. Il suo cadavere venne bruciato e le ceneri sparse al vento. Una lapide, posta 88 anni dopo, nel 1884, sulla sua casa a Pallanza, in “Ruga” al numero civico 45, lo ricordava così: In questa casa nacque l’avvocato Giuseppe Antonio Azari che nel 1796 a 26 anni scontò collaPESC26 vita l’onore d’avere capitanate le squadre della libertà a Fondotoce. Gloria al precursore del secolo XIX e del suo martirologio per la unità e libertà d’Italia”. “Porca l’oca”, esclamò il Marino. “E io che non sapevo nemmeno come mai il viale si chiamasse così. Questo Azari era uno che di coraggio ne aveva da vendere se a meno di trent’anni ha fatto quella fine per le sue idee”. “ Sì, Marino. Era un uomo coraggioso”, continuò l’avvocato. “ E la storia non finì lì. Se nel 1796 fallì un complotto del nostro eroe pallanzese , che intendeva sollevare la regione per farne un dipartimento autonomo, passarono meno di due anni e , nel 1798, il generale francese Léotaud sbarcò proprio a Pallanza con una schiera di giacobini armati, ed occupò Cannobbio e parte dell’Ossola. Poi a
ccadde quel accadde, alla battaglia di Gravellona, dove riuscirono a sopravvivere i tre patrioti della pergamena”.
Signor Montagnoni, ci racconta come andò quella battaglia? Lei che ha studiato la storia lo saprà senz’altro..”, esclamarono insieme Filippo e Martina, eccitatissimi per l’evoluzione che aveva ormai preso quella vicenda. “Ma è tardi, ragazzi..”, provò a resistere, a dire il vero blandamente, l’avvocato. “ A questo punto, cara al mè avucàt, fatto trenta bisogna anche far trentuno e andare fino in fondo con questa storia, non crede?”, disse il papà di Filippo.

E sia. Ho però bisogno di quel libro lì, Martina. Me lo puoi portare? “, disse il Montagnoni indicando un volume rilegato in cuoio nero che stava appoggiato sul piano della cassapanca vicino alla finestra. Avuto il libro tra le mani, cominciò a raccontare, aiutandosi con il testo. “ Era “ il 3 fiorile”, di domenica mattina, verso l’alba, quando – il 22 aprile 1798 –   i reggimenti reali di casa   Savoia, composti da dragoni, granatieri e regia marina, schierati   nei pressi del borgo di S.Maurizio, lasciarono alle loro spalle Gravellona Toce e marciarono verso i rivoluzionari stanziati nei dintorni di Omavasso. Lo scontro in campo aperto avvenne verso le dieci, nella   zona dei prati “primieri”, quella che oggi è conosciuta come il Campone. Il canto della “marsigliese” accompagnò l’attacco dei repubblicani. Si combatté accanitamente tra la sponda destra del Toce e i primi contrafforti della montagna, in un terreno scivoloso, fangoso, reso pesante dalle piogge dei giorni precedenti. I savoiardi erano in difficoltà. Non riuscivano ad avanzare sotto il tiro di un paio di vecchi cannoni caricati a mitraglia. Sbandavano, indietreggiando, nonostante l’assoluta superiorità numerica ed il miglior addestramento militare. Verso mezzogiorno le file dei   repubblicani si irrobustirono ma non a sufficienza per reggere le folate offensive dei soldati del Re. Reso innocuo uno dei cannoni , i soldati regi iniziarono a premere contro il   lato più debole dello schieramento rivoluzionario. Le sorti si capovolsero del tutto quando giunsero , in ulteriore rinforzo , le truppe regie   provenienti da Arona che , sbarcando a Feriolo, arrivarono a Gravellona. Le compagnie di granatieri dei reggimenti di Savoia e della Marina presero d’infilata la compagnia di granatieri della Cisalpina che era stata messa a guardia del fiume , attaccando così alle spalle i   patrioti.  Gli insorti repubblicani , ormai perduti,   si lasciarono alle spalle 150 morti e 400 prigionieri e si diedero alla fuga verso la Svizzera , nascondendosi ovunque fosse possibile. Molti vennero poi scovati e   uccisi dai popolani fedeli al Re, soprattutto in Valle Vigezzo .Il Marchese Enrico Costa di Bearengard nelle proprie “Memorie a proposito del fallito tentativo di far insorgere l’Ossola”, descrisse così la vittoria sui repubblicani : “ La metà dei Patrioti, le loro bandiere, i cannoni sono rimasti a noi; il resto e fuggito sulle montagne,dove i contadini ne hanno fatto giustizia sommaria, d’altra parte voi sapete che,checché si faccia, il contadino ama il Re e vuole la stabilità“. La settimana dopo, tra sabato 28 e lunedì 30 aprile, gran parte dei rivoluzionari repubblicani furono fucilati a Domodossola. Ma non finì lì. Le fucilazioni continuarono più tardi,il 26 maggio, quando PESC22caddero sotto il piombo del plotone d’esecuzione anche il Comandante Leotto – vale a dire il coraggioso generale francese Giovanni Battista Léotaud – e il suo aiutante Lion. Il 29 giugno stessa sorte toccò al ventiduenne Giulio Albertazzi , a Pallanza , mentre ,all’alba dello stesso giorno, una medesima fine venne riservata ad Omegna al ventenne milanese   Graziano Belloni. L’eccidio si concluse con l’esecuzione con la fucilazione , a Vogogna,dell’avvocato Filippo Grolli – uno dei principali artefici dei moti rivoluzionari – guardato a vista da ben 85 soldati regi.

Ah, quanta amarezza, ragazzi miei, davanti a questa brutta fine   “, commentò l’avvocato Montagnoni, togliendosi gli occhiali dalle lenti spesse, sfregandosi gli occhi . “ Eppure il sacrificio di tanti uomini per un ideale di maggior democrazia, non fu vano. Lo volete sapere cosa accadde solo pochi mesi dopo? La Francia ordinò,il 5 dicembre,al Generale Joubert l’attraversamento del Ticino, l’occupazione di Novara e , subito dopo, di Torino. Così, l’8 dicembre 1798 – il 18 Glaciale dell’ Anno VII, secondo il calendario rivoluzionario francese – Carlo Emanuele IV di Savoia abdicò e partì per la Sardegna , scortato dalla flotta inglese. Il territorio piemontese veniva diviso in 6 dipartimenti amministrativi. La casa Savoia , che regnava sul Piemonte e sulla Savoia dal 1418 ( la Sardegna era stata acquisita più tardi, nel 1720 ) non disponeva piu’ di territori continentali e quello che era lo stato sardo prese il nome di Repubblica Cisalpina”. Era ormai notte inoltrata. I due pescatori ed i due ragazzi si congedarono dall’avvocato, lasciando a lui la preziosa pergamena perché potesse poi consegnarla alle autorità e farla esporre in pubblico, magari in quel museo del lago e della pesca che era stato inaugurato a Verbania. L’isola era silenziosa. Le strette viuzze erano illuminate dalla luce fioca della luna che, bella piena, rischiarava il lago. Le stesse ombre sull’acqua e il fruscio della chiglia che rompeva dolcemente le onde nel tragitto verso la terraferma, accompagnavano i pensieri di Giorgio e di Marino, di Martina e di Filippo. Nessuno parlava ma non c’era bisogno. Erano stanchi e felici. La pesca, una volta tanto, non era servita a riempire di pesci luccicanti le cassette   del Carlin “Spina”. Era servita a qualcosa di più importante. A qualcosa che non aveva prezzo. Bastava guardar verso l’isola, verso quella sagoma scura che si allungava sul lago, nel mezzo del golfo Borromeo. Bastava guardare verso la Repubblica dei Pescatori.

Marco Travaglini

Iaia Forte nella Carmen di Martone

I ritmi dell’Orchestra di piazza Vittorio in scena al teatro Carignano

torino teatro

La Carmen su testo di Enzo Moscato e regia di Mario Martone sarà protagonista della settimana teatrale al Carignano di Torino dal 26 aprile al 1 maggio prossimi. Si tratta di un ritorno molto atteso, dopo una tournée di successo.

Mario Martone ha pensato di dar vita a una Carmen napoletana arricchita dai ritmi contaminati dell’Orchestra di piazza Vittorio, diretta da Mario Tronco, secondo i modelli del teatro musicale popolare, che vanno da Raffaele Viviani alla sceneggiata. Il regista ha proposto a Enzo Moscato di scriverne il testo, chiedendone un copione in cui personaggi e dialoghi fossero ispirati alla tradizione, guardando, però, al contempo sia alla novella di Merimee’ sia all’opera di Bizet.

“Quel che mi ha sempre affascinato della novella – spiega Mario Martone – è il fatto che la vicenda sia stata rievocata da molti. L’hanno raccontata, infatti, Bizet, Rosi, Merimee’, Roland Petit, Dada Masilo. Come melodramma è assolutamente perfetto perché narra dell’amore sull’orlo dell’abisso e ha per protagonista una donna evoluta e impura, capace di trasformare tutto in desiderio, accettando il disgregarsi della vita come un evento inevitabile”.

Il mito di Carmen è raccontato in uno spettacolo di energia assoluta, musicale, seducente, in cui appare evidente l’omaggio a un autore come Raffaele Viviani, accanto a quello tributato a forme teatrali in grado di coinvolgere e travolgere logiche e comportamenti, come solo la sceneggiata sa fare. Mario Martone ritrova in questa regia la fisicità presente in alcuni suoi capolavori teatrali quali ” Tango glaciale”; la riscrittura è dovuta a Enzo Moscato, in un ardito napoletano dagli echi genettiani. Scene e costumi sono rispettivamente di Sergio Tremonti e Ursula Patzak. A interpretare Carmen una bella Iaia Forte, che rompe lo stereotipo dell’attrice eterea e filiforme.

Diversamente dall’originale, Carmen non muore. Fin dall’inizio la vediamo malandata, cieca, proprietaria di un bordello nei vicoli di una Napoli piena di diseredati, un relitto come lo è don José, in scena interpretato da Roberto Franceschi, nella vita ex marito di Iaia. Il passato furibondo e passionale che ancora li ossessiona prenderà forma tra rimorsi e tragedie, memoria e presente, in uno spettacolo che fa continuamente i conti con la città di Napoli.

Mara Martellotta

TJF 2016: venerdì una giornata a tutto fringe

 
JAZZ LIBROLa quinta edizione del Torino Jazz Festival durerà dieci giorni e si svolgerà dal 22 aprile al 1° maggio 2016

Realizzato con i main partner Intesa Sanpaolo e Iren, gli sponsor Poste Italiane, Toyota Lexus e Seat Pagine Gialle, il sostegno del Consiglio Regionale del Piemonte, i media partner Rai Radio 2 e Rai Radio 3, il TJF 2016 ha come filo conduttore il jazz e le altre arti: teatro, danza, arti visive, cinema, fotografia e letteratura. Il jazz è stato la più grande novità musicale del Novecento: ha sollecitato artisti e intellettuali a ripensare alcune categorie estetiche occidentali (e non solo). L’inaugurazione del Torino Jazz Festival 2016 sarà venerdì 22 aprile con una giornata ‘a tutto Fringe’ che aprirà l’intera manifestazione musicale. Tra gli appuntamenti del TJF Fringe in programma nella giornata: l’importante gemellaggio con il Festival Jazz di Edimburgo che porta a Torino il batterista inglese Tom Bancroft e il suo progetto originale Edinburgh Project; la partnership con il Jazz:Re:Found che propone l’esibizione di uno dei più acclamati musicisti degli ultimi anni Robert Glasper, vincitore di due Grammy Awards ed l’eclettico pianista statunitense; la performance della tap dancer olandese Marije Nie che dalla zattera in mezzo al Po si esibirà in un assolo eccezionale utilizzando i suoi piedi come strumento musicale, durante l’immancabile Music on the River, davanti al Circolo Canottieri Esperia.

 
PROGRAMMA 22 APRILE
 
Ore 16.00IL CIRCOLO DEI LETTORI, VIA BOGINO 9
PRESENTAZIONE DEL LIBRO IMPROVVISO SINGOLARE
Una storia del jazz costruita con un criterio particolare: una serie di ascolti commentati anziché un racconto, la scelta di brani esemplari anziché l’affresco narrativo. Un modo diverso di affrontare la storia. Claudio Sessa è stato direttore della rivista Musica Jazz e oggi scrive per il Corriere della
Sera. In dialogo con lui il direttore artistico del TJF Stefano Zenni.
 
Ore 16.00AREA DANCE, PIAZZA VITTORIO VENETO
STEPPING IN JAZZ
Snezhana “Snow” Ezhkova, danzatore – Alesya Dobish, danzatore – Pravkina Marina, danzatore – Dino Pelissero, flauto traverso, kalimba, percussioni – Sara Terzano, arpa – Umberto Mari, basso.
Il collettivo moskovita Matryoshki in Jazz darà vita ad una suggestiva performance in cui la danza contemporanea si fonde con elementi di tip tap
e di housedance guidato dalle sonorità squisitamente jazz dell’originale trio musicale Flarping Project.
 
Ore 17.30BARATTI & MILANO, GALLERIA SUBALPINA – PIAZZA CASTELLO 29
ANOTHER DUO
Loris Deval, chitarra – Veronica Perego, contrabbasso
“Un altro duo”…composizioni originali e brani editi ripresentati in chiave acustica, la versatilità di stile e la ricerca di un proprio linguaggio sono gli
ingredienti essenziali di questo progetto musicale. La scelta dei brani spazia da composizioni di natura più classica a rivisitazioni di brani celebri, il sound si concentra sul lirismo dei temi e   sull’improvvisazione jazzistica, con una particolare attenzione al mondo della musica latina.
 
Ore 18.00 – IL CIRCOLO DEI LETTORI, VIA BOGINO 9
PRESENTAZIONE DEL LIBRO JAZZ IN TOWN
Più che un libro quello di Pino Ninfa è un vero e proprio oggetto d’arte, con alcuni preziosi scatti catturati durante le due ultime edizioni del TJF.
La musica, il jazz in particolare, è stata sempre per Pino Ninfa una compagna di viaggio con cui dividere mille esperienze. Come fotografo ufficiale ha seguito alcuni tra i più importanti festival jazz italiani. Tiene regolarmente workshop ed espone in musei in Italia e all’estero. Dialoga con lui il direttore artistico del TJF Stefano Zenni. In collaborazione con Il Labrinto di Casale Monferrato
 
Ore 18.30CAFFÈ ELENA, PIAZZA VITTORIO VENETO 5
SUPAGROOVE NIGHT
Paolo Porta, sax tenore – Alberto Gurrisi, organo hammond – Alessandro Minetto, batteria
SUPAGROOVE rilegge in maniera personale la tradizione dell’organ trio. Ritmo e swing sono la chiave di questa essenziale e dinamica formazione che propone materiale originale e standard sotto il segno della spontaneità e dell’energia. Divertimento e coinvolgimento assicurati.
 
Ore 18.45LA DROGHERIA, PIAZZA VITTORIO VENETO 18
INGENUI PERVERSI
Alessandro Dell’Anna, sax tenore – Fabio Gorlier, piano – Gianmaria Ferrario, contrabbasso – Donato Stolfi, batteria
Dall’hard-bop di Un coltello nell’acqua, alle assurdità kafkiano-sataniche di Cul-de-sac e Rosemary’s baby, fino all’approdo free del capolavoro discografico di Komeda, Astigmatic… Ingenui Perversi è un progetto originale che rilegge la musica di Krzysztof Komeda, grande jazzista e compositore
polacco, stretto collaboratore di Roman Polanski, per cui ha firmato le colonne sonore di alcuni film indimenticabili. Powered by Rosso Antico
 
ore 19.00AREA COOKING&TALKING, PIAZZA VITTORIO VENETO
JAZZ TALK
Durante il Jazz Talk di oggi, condotto da Mauro “MAO” Gurlino, si parlerà dell’essenza delle bollicine e dell’effervescenza musicale.
 
Ore 19.30PALCO FRINGE, PIAZZA VITTORIO VENETO
LUZ
Giacomo Ancillotto, chitarra elettrica – Igor Legari, contrabbasso – Federico Leo, batteria
“…ho letto una volta che gli antichi saggi credevano che nel corpo ci fosse un ossicino minuscolo, indistruttibile, posto all’estremità della spina dorsale.
Si chiama LUZ in ebraico, e non si decompone dopo la morte né brucia nel fuoco” (David Grossman – Che tu sia per me il coltello). Un trio di giovani
talenti del Salento presenta la prima serata della rassegna dedicata alla Auand records. In collaborazione con Auand records
 
Ore 20.00 BLAH BLAH, VIA PO 21
EDINBURGH PROJECT
Tom Bancroft, batteria – Graeme Stephen, chitarra elettrica – Furio Di Castri, contrabbasso – Jacopo Albini, sax tenore, clarinetto basso
Un nuovo progetto nato dal recente incontro artistico tra Tom Bancroft e Furio Di Castri, realizzato in collaborazione con il Festival Jazz di Edimburgo.
I due musicisti e compositori di grande esperienza sono affiancati da due tra i più interessanti talenti del jazz europeo. Produzione originale del TJF Fringe, in collaborazione con Festival Jazz di Edimburgo
 
Ore 20.00 CAFÈ DES ARTS, VIA PRINCIPE AMEDEO 33/F
POST JAZZ PROJECT
Beppe Golisano, sax alto, clarinetto basso – Tolga Bilgin, tromba – Michele Anelli, basso elettrico – Paolo Franciscone, batteria
Un ensemble originale promotore del “Post Jazz”: una corrente musicale che vuole divertire, sovvertire, abbracciare nuovi linguaggi espressivi, creare
sinergia e calore attraverso l’improvvisazione libera.
 
Ore 20.00 NH COLLECTION TORINO PIAZZA CARLINA, PIAZZA CARLO EMANUELE II 15
RAIMONDI PICCHIONI DUO
Barbara Raimondi, voce – Marcello Picchioni, pianoforte –
Lo stile personale di Marcello Picchioni, giovane talento genovese, s’intreccia con il linguaggio raffinato e sapiente di Barbara Raimondi, in un dialogo coinvolgente che ci proietta nel mondo dei grandi classici del jazz.
 
Ore 20.45 CIRCOLO CANOTTIERI ESPERIA, CORSO MONCALIERI 2
DI GENNARO / PONISSI DUO
Sergio Di Gennaro, pianoforte – Alfredo Ponissi, sax tenore e soprano
Nella suggestiva cornice dell’Esperia, un raffinato duo di jazz presenta il primo set di una lunga ed emozionante serata.
*Cena con prenotazione obbligatoria dalle ore 20.00 Per info e prenotazioni: tel. 011.819.06.79 – www.esperiatorino.it  
 
Ore 21.30 CAP 10100, CORSO MONCALIERI 18
ROBERT GLASPER EXPERIMENT
Robert Glasper, tastiere – Mark Colenburg, batteria – Casey Benjamin, sassofoni, vocoder, voce – Burniss Travis II, basso elettrico
Warmup con Massimo Oldani di Radio Capital a seguire Aftershow con il “live” di Mark De Clive-Lowe (NZ) Una produzione esclusiva di Jazz:Re:Found in collaborazione con il TJF Fringe – Ingresso euro 22; in prevendita online euro 20 – Powered by Rosso Antico
ROBERT GLASPER – Dopo un esordio nei primi anni del nuovo millennio da giovane prodigio del jazz e una maturità artistica che lo ha portato a esplorare con piglio e genialità i territori del soul, del funk, dell’hip hop e del blues, Robert Glasper ha dato vita a un universo sonoro di incredibile forza, complessità e raffinatezza. Il risultato sono due Grammy Awards, la stima pressoché unanime di tutte le scene musicali e lo status di grande talento. Da molti viene fringe considerato il nuovo Herbie Hancock. Una serata imperdibile!
 
Ore 22.00 FLORA, PIAZZA VITORIO VENETO 24
ENZO ALBANESE E CHRIS VILLA
Enzo Albanese, dj set – Chris Villa, percussioni
In occasione del Fringe, Enzo Albanese e Chris Villa proporranno un raffinato programma di jazz house di scuola St. Germain e di etichette cult come la
F Communications e la Compost Records.
 
Ore 23.00 MUSIC ON THE RIVER, FIUME PO
MARIJE NIE SOLO
Simbolo del TJF Fringe, l’assolo sul fiume viene aperto quest’anno dalla spettacolare performance della danzatrice olandese Marije Nie.
 
Ore 23.15 CIRCOLO CANOTTIERI ESPERIA,CORSO MONCALIERI 2
VIAGGIANDO
Rosario Bonaccorso, contrabbasso – Dino Rubino, tromba – Eduardo Taufic, pianoforte – Roberto Taufic, chitarra – Darlan Marley, batteria
“Viaggiando” apre una porta sull’universo interiore di Rosario Bonaccorso: un affascinante excursus musicale tra diversi continenti e culture, che attraverso il tema del viaggio, tratteggia le esperienze personali e i ricordi di vita del grande musicista siciliano.
 
Ore 23.20NIGHT TOWERS, PIAZZA VITTORIO VENETO
EDNA
Andrea Bozzetto, fender rhodes, ms-20 – Stefano Risso, contrabbasso, live electronics, synth bass – Mattia Barbieri, batteria e percussioni
I flussi ciclici infiniti, le polimetrie e le modulazioni ritmiche di Edna rimandano al lavoro di Escher, sulle cui scale si scende e si sale nel medesimo momento e le cui ombre sono allo stesso tempo buio e luce. In esclusiva per il TJF Fringe, il trio propone alcuni brani del progetto A-nuda, che verranno pubblicati dall’etichetta Auand, nel vinile che segnerà la cinquantesima uscita della prestigiosa label pugliese. Ricerca avanguardistica, popular dance e coinvolgimento fisico all’ennesima potenza! Produzione originale del TJF Fringe
 
Ore 23.45 MAGAZZINO SUL PO, VIA MURAZZI DEL PO 14
FOOD
Thomas Strønen, batteria, percussioni, live electronics – Iain Ballamy, sassofoni, live electronics – Gianluca Petrella, trombone, live electronics
“Un magico ibrido di tecnologia e improvvisazione, ambient e dance”. Così il BBC Magazine definisce l’ultimo lavoro di Strønen e Ballamy che vantano quasi vent’anni di collaborazioneinternazionale. Suoni, spazi e tessiture di grande profondità e bellezza, impreziositi dalla presenza di Gianluca Petrella, alchimista dell’elettronica e uno dei più straordinari virtuosi del trombone al mondo.
 
Ore 24.00 LAB, PIAZZA VITTORIO VENETO 13
FLARPING PROJECT
Dino Pelissero, flauto traverso, kalimbe, percussioni – Sara Terzano, arpa – Umberto Mari, basso
Il polistrumentista Dino Pelissero propone un viaggio musicale tra le atmosfere del jazz, del funk e della world music alla ricerca di sonorità inedite in cui il suo flauto, il kalimbe e le percussioni si incontrano con il basso di Umberto Mari e con l’arpa, non solo classica, di Sara Terzano. Powered by Rosso Antico
 
Ore 00.30 MAD DOG TANQUERAY TEN SOCIAL CLUB, VIA MARIA VITTORIA 35 A
OPEN SESSION
Fabio Giachino, pianoforte Mauro Battisti, contrabbasso – Tony Arco, batteria & guests
Nella cornice elegante e soffusa del Mad Dog, l’esclusivo speak-easy della città, prenderanno il via le jam session del Fringe durante tutto il TJF.
Ingresso su prenotazione: tel. 011.812.08.74
 

Note magiche con Jazz Manouche Django Reinhardt

manouche djangoDurante il periodo del festival, dal 23 al 30 aprile, nel tratto pedonale di via Roma tra piazza San Carlo e piazza Castello, per l’occasione ribattezzata “Piazza Django Reinhardt”, verranno posizionati dei gazebo con esposizione di CD, materiale pubblicitario del festival, chitarre manouche e liutai artigiani a presentarle
 

In occasione della quinta edizione del Torino Jazz Festival 2016, l’Associazione Jazz Manouche Django Reinhardt di Torino (http://www.djangoreinhardt.it/), organizzatrice dei concerti manouche di questa grande manifestazione, invita tutti i suoi associati, il pubblico torinese e non solo, a degli eventi musicali di tutta eccellenza. Quest’anno due appuntamenti magistrali ospiteranno sui palchi del TJF artisti di fama internazionale.La sera del 26 aprile al Teatro Piccolo Regio – h. 21.00 con ANGELO DEBARRE & MIRALDO VIDAL 4TET (http://www.torinojazzfestival.it/eventi/angelo-debarre-miraldo-vidal-quartet/), chitarrista manouche virtuoso che con la sua formazione darà vita ad una performance dal sapore davvero originale e emozionante. Durante la serata si esibiranno anche gli HOT CLUB TORINO, gruppo di giovani musicisti manouche torinesi compresi i componenti delle manouche todue band cittadine Accordi Disaccordi (http://accordidisaccordi.com/) e Gipsy Accident (http://www.gipsyaccident.com/).Nella giornata del 1 maggio h. 17.00 sul grande palco posto in piazza Castello, avrà luogo anche il concerto di THE GONZALO BERGARA QUARTET (http://www.gonzalobergara.com/), amato e indiscusso virtuoso chitarrista argentino, che presenterà per a prima volta al pubblico italiano, il suo quartetto americano. Durante il periodo del festival, dal 23 al 30 aprile, nel tratto pedonale di via Roma tra piazza San Carlo e piazza Castello, per l’occasione ribattezzata “Piazza Django Reinhardt”, verranno posizionati dei gazebo con esposizione di CD, materiale pubblicitario del festival, chitarre torino jazz 2016manouche e liutai artigiani a presentarle. In questo spazio, riservato unicamente all’Associazione Jazz Manouche Django Reinhardt, una carrellata di giovani artisti e non solo si esibiranno in live e jam session continue. Suoneranno, tra gli altri, numerosi gruppi locali come Accordi Disaccordi, 20 Strings, Musettes e anche altri provenienti da più lontano; sono inoltre previste jam session a cui è possibile partecipare col proprio strumento o provando quelli messi a disposizione dai liutai presenti nell’area. Il 26 aprile alle 11.00 è prevista la presentazione del libro “Django Reinhardt. Dalla chitarra Manouche al grande jazz”, scritto da Paolo Sorci, un autore e musicista manouche italiano, che lo introdurrà personalmente al pubblico, in parole e musica.Un evento speciale è previsto in chiusura dello spazio, sabato 30 aprile dalle 15.30: vi aspetta un esperimento in musica che coinvolgerà diversi strumentisti torinesi jazz e classici, in un concerto evento da non perdere. Ecco un link per tutte le informazioni e per restare aggiornati, giorno dopo giorno https://www.facebook.com/events/621537464661964/. Non potete mancare perché gli appuntamenti di quest’anno sono davvero unici e sorprendenti. Ancora una volta Torino ospiterà questa iniziativa davvero originale nel suo genere, dando luce al cuore di piccoli e grandissimi artisti , unici personaggi protagonisti capaci di suonare “questo” genere musicale con un’ esibizione che non solo trasmetterà una tecnica magistrale ma soprattutto un afflato emotivo incredibile, che ci coglierà nuovamente ascoltatori attenti e sognanti.

Gli appuntamenti #MANOUCHE del Torino Jazz Festival a cura dell’Associazione Jazz Manouche Django Reinhardt
DAL 23 AL 30 APRILE (10-13 / 15-18)
PIAZZA DJANGO REINHARDT
Via Roma pedonale, tra piazza San Carlo e piazza Castello
Ogni giorno con live, jam session, liutai e presentazioni.
Info: https://www.facebook.com/AssJazzManouche

Calice d'autore alla libreria Paravia

Non si tratta di canoniche presentazioni, quanto piuttosto di chiacchierate con gli autori in un’atmosfera informale, sorseggiando un bicchiere di buon vino

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Da giugno 2015 la Libreria Paravia, che occupava la sede storica di via Garibaldi da quasi due secoli, si è trasferita nella nuova sede di Piazza Arbarello 6, angolo via Bligny. Da quella data le titolari Sonia e Nadia Calarco continuano a svolgere l’amata professione, ereditata dal loro padre Giuseppe Calarco, stimato e apprezzato libraio per oltre 40 anni, a seguito del mancato rinnovo del contratto di locazione. Così, per tutti i torinesi, amanti delle tradizioni culturali della propria città, “Il vuoto in faccia a un muro lasciato da una libreria venduta, tra le peggiori cose che che possano segnare una città” ( Erri De Luca), è stato riscattato.  Nei mesi di aprile e maggio la libreria Paraviaparavia 1 organizza una serie di incontri dal titolo “Calice d’Autore”. Non si tratta di canoniche presentazioni, quanto piuttosto di chiacchierate con gli autori in un’atmosfera informale, sorseggiando un bicchiere di buon vino. Il 22 aprile alle ore 18,30 Giuseppe Culicchia ci introdurrà nel suo nuovo libro edito da Einaudi “Mi sono perso in un luogo comune. Dizionario della nostra stupidità”, nel quale riprende e attualizza ironicamente l’opera di Gustav Flaubert, “Dizionario dei luoghi comuni”. Il 6 maggio sarà la volta di un’autrice comica, Desy Icardi, che leggerà dei passi del suo nuovo “Dove scappi? Romanzo eroticomico in 50 nodi” pubblicato da Golem edizioni. Dopo la pausa in concomitanza con il Salone del Libro, il 20 maggio la Libreria Paravia ospiterà il medico esperto in fitoterapia Fabio Firenzuoli, che proporrà un incontro dedicato al benessere con il volume “Dimagrire con le erbe”, edizioni Lswr. Da maggio, in concomitanza con gli incontri “Calice d’Autore”, ogni venerdì pomeriggio sarà dedicato anche ai laboratori di lettura per bambini di età compresa tra i 2 e i 6 anni ( partecipazione gratuita, iscrizione obbligatoria), finalizzati a sensibilizzare i bambini al piacere della lettura. Dopo aver ascoltato il racconto, i bambini si cimenteranno in attività manuali inerenti al libro trattato.

Helen Alterio
Libreria Paravia. Piazza Arbarello 6 ang. via Bligny. Tel.011.540608 – info@libreria-paravia.it

Baglioni e Morandi capitani del Pala Alpitour

Tre ore di musica dal vivo con 50 canzoni di successo

BAGLIONI PALA ALPITOUR

BAGLIONI 3BAGLIONI66BAGLIONI1Migliaia di spettatori al Pala Alpitour per il concerto di Claudio Baglioni e Gianni Morandi, i  due “capitani coraggiosi”  che si sono ritrovati questa sera a Torino, dopo il forfait del primo , alcune settimane fa, a causa di una fastidiosa laringite.  Tre ore di musica dal vivo con 50 canzoni di successo che hanno segnato la storia della musica italiana dell’ultimo mezzo secolo. Il disco è realizzato in varie versioni: classica, doppio cd, deluxe, doppio cd live, album di prove in studio, dvd “Oltre la live pioggia”.

 

(Foto:  Essepiesse – il Torinese)

Una amichevole fra romanzi che parlano francese

Giovedì 21 Aprile alle 18.00 l’Alliance française di Torino ospita una sfida letteraria di sapore calcistico organizzata dal Gruppo Libri dell’Unione Culturale Franco Antonicelli: gli scrittori Dario Voltolini e Benedetta Centovalli difendono due grandi titoli della letteratura francese davanti a una giuria e a un pubblico chiamati a tifare

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Il Gruppo Libri dell’Unione Culturale Franco Antonicelli, in seguito al successo di MundiaLibro – il “Campionato del mondo dei romanzi del Novecento”, iniziativa proposta nel 2015 in collaborazione con Andrea Bajani – organizza, in occasione della settimana di Torino che Legge, tre incontri “amichevoli” fra sostenitori di romanzi stranieri: martedì 19 si affrontano negli “infernotti” dell’Unione Culturale romanzi inglesi, giovedì 21 presso l’Alliance française di Torino è il turno della letteratura francese e sabato 23 il ciclo si chiude con una sfida di sapore russo, di nuovo negli spazi sotterranei all’Unione Culturale Franco Antonicelli.

La struttura degli incontri è mutuata dal mondo del calcio: scrittori, critici, lettori si sfidano sul campo, con la passione di un’autentica partita di calcio, per sostenere le ragioni del loro romanzo preferito. La cornice è quella di una partita con due tempi regolamentari e citazioni finali come calci di rigore risolutivi, una terna arbitrale a garantire la correttezza dell’incontro, il tifo da stadio del pubblico, con lo scopo di riscoprire romanzi poco noti o  dimenticati e ritornare a leggere libri che la tradizione e la scuola rischiano di “imbalsamare”.alliance2

La partita che si gioca giovedì 21 alle 18.00 nella sede dell’Alliance française di Torino vede contrapporsi Il grande Meaulnes di Alain-Fournier, sostenuto da Dario Voltolini (autore di romanzi, racconti, radiodrammi, libretti d’opera e testi di canzone), e La porta stretta di André Gide, sostenuto da Benedetta Centovalli (editor e critico letterario e esperta di letteratura del Novecento). I romanzi in gioco sono stati selezionati dagli scrittori che li sostengono all’interno dell’ampio panorama della letteratura francofona del Novecento e con il solo limite, imposto dagli organizzatori, che l’autore non fosse più in vita.

 
Campionato del romanzo del Novecento. Una amichevole fra romanzi che parlano francese: una collaborazione UC Franco Antonicelli e Af Torino
Giovedì 21 Aprile 2016 ore 18.00

“Oh, lago, lago, lago! Sciogliermi infine con te…"

 “… per essere un giorno pescato come un antico luccio”

lago lago

Nel novembre del 1980, usciva “Sentimento di Orta”, un agile silloge poetica di Augusto Mazzetti, poeta ortese da poco scomparso, dove l’autore – profondamente legato al lago d’Orta ed ai suoi “abitanti” , s’immedesimava al punto di scrivere, nella poesia “Per essere”:  “Oh, lago, lago, lago! Sciogliermi infine con te, per essere un giorno pescato come un antico luccio”. L’attività della pesca veniva descritta così: “Vibra il rame della tirlindana fino sul fondo della corona,il polpastrello seconda il moto segreto in un rito d’amore rapace,quasi un respiro”. E l’isola di San Giulio, per Mazzetti, meritava un’ode poiché “rosa d’albe e di stupore sulle acque garrisci ed ammiccando inviti a delicati approdi tra le nuvole e lo scoglio”. Mazzetti, con le sue poesie, narrava le giornate passate in piazza Motta, dove attraccavano i natanti, dove s’incontrava la gente e s’intavolavano lunghe discussioni sul più e sul meno, intrecciando i fatti del piccolo borgo affacciato sul lago con le vicende del mondo. lago fiammelleCosì, in “Scherzo”, Augusto Mazzetti, guardando le abitazioni scriveva “ mostri lacustri, case, mi sembrate d’acqua stillanti e dall’aspetto arcano, dal fondo emersi d’un mondo lontano;ritti sul lago ad asciugare al sole,e le finestre occhiaie immense e gole all’azzurro del cielo spalancate”. Come, a quel punto, non confidare ad un amico, con una punta di malcelata nostalgia “ sui tetti ricordi?Mangiare i limoni,filosofare,l’amore,l’Io, il non Io…Sui tetti guardando il lago:un pesce persico, un cavezzale,muso a muso in passeggiata, solenni e assorti con molto sussiego”. Piero Chiara, il più grande interprete letterario della provincia italiana, uomo di lago ( anche se di un lago diverso, più grande e internazionale come il Verbano), rispondendo alle domande di un giornalista di  “Panorama” che lo intervistava nel 1981, disse: “Lo scrivere, il raccontare, è per me come il lago per il povero Augusto Mazzetti ; vorrei sciogliermi nelle mie pagine, per essere pescato un giorno, come un antico luccio, cioè come uno dei miei personaggi ideali”. Augusto Mazzetti (1901-1978), giornalista, sceneggiatore di cinema, aiuto regista con Alessandro Blasetti, grande amico di Curzio Malaparte, in un piccolo opuscolo del 1934 intitolato “Fiammelle” descriveva così la nostalgia di una notte di quell’anno sulle rive del Cusio. “Siamo dei malati di nostalgia, e vana cosa per noi è cercare l’oblio. E ogni qualvolta ci è concesso rituffare la mente nel passato del nostro borgo (e sono secoli e secoli che si sospingono in una luce di gloria) gli occhi si posano con malcelato scontento sull’ora presente. Ci piace allora salire al monte, cercare l’ombra pietosa degli abeti e sognare. Così nell’ebbrezza della rievocazione è nata l’idea di una serata ortese, una serata tutta nostra, in cui ci fosse possibile dare libero sfogo all’animo. In poche sere, meste di pioggia, un gruppo di giovani hanno preparata la festa. E fu così che il lago, domenica sera, ha veduto scendere da S. Quirico, sotto forma di tremule fiammelle le anime dei morti ortesi, sul suo ceruleo specchio, e lilago orta2 ha risospinti verso l’Isola trapuntata di luci”. La piazza di Orta non ha mai perduto quel fascino intrigante descritto da Mazzetti e le “anime” – in quel racconto – scendono dal camposanto, collocato a mezza costa sul promontorio di Orta, approssimativamente a metà percorso tra il centro storico ed il Sacro Monte. Da lì, oltrepassata la cancellata barocca in ferro battuto dell’ingresso del cimitero, a fianco di una delle più antiche chiese del lago, quella di S. Quirico, s’intravede lo specchio d’acqua che ispirò Mazzetti e tanti altri. E in fondo, l’isola, che Gianni Rodari così descrisse :“L’isola di San Giulio sembra fatta tutta a mano, come un gioco di costruzioni. Metro per metro, secolo dopo secolo, dandosi il cambio, uomini ed altri uomini le hanno donato forma con il loro lavoro. Se si vede verde, la natura non c’entra: sono i giardini delle ville. Non si vedono rocce, ma pietre, mattoni, vetrate, colonne, tetti. L’insieme è compatto come i pezzi di un rompicapo. Di sera le differenze di colori scompaiono, i profili si fondono, l’isola sembra un monumento in un sol blocco di pietra nera a guardia dell’acqua cupa. Da qualche finestra invisibile parte un raggio di luce, come un cordone gettato per tenere legata l’isola alla terraferma”. Insomma, uno spettacolo che fa salire un groppo in gola.

 

Marco Travaglini

Handel monografico al teatro Vittoria

ASTRA ATTRICECon il soprano Julia Wischniewski e l’Astrée Gruppo cameristico dell’Academia Montis Regalis, orchestra italiana tra le più apprezzate nel panorama internazionale della musica antica

Lunedì 18 aprile, alle ore 20 presso il Teatro Vittoria di Torino (per la serie di abbonamento l’altro suono) l’Unione Musicale propone un concerto monografico dedicato alla musica di Händel, con una selezione di arie, cantate e sonate composte in Italia – dove il giovane compositore rifinì il suo apprendistato musicale – e in Gran Bretagna, paese in cui visse per la maggior parte della sua vita. A raccontare lo spirito cosmopolita di Händel, capace di fondere l’arte contrappuntistica tedesca, la vocalità italiana e la scuola inglese e francese in un linguaggio europeo, saranno dei veri specialisti del Barocco:  il soprano Julia Wischniewski e l’Astrée – Gruppo cameristico dell’Academia Montis Regalis, orchestra italiana tra le più apprezzate nel panorama internazionale della musica antica.

La tappa italiana ha avuto un’influenza decisiva nell’evoluzione musicale händeliana: è infatti negli anni trascorsi a Roma che il compositore ebbe la possibilità di frequentare i più grandi interpreti e virtuosi dell’epoca e familiarizzò con il “belcanto” e con le più importanti forme strumentali come la Sonata e il Concerto. Un segno evidente di queste influenze si riscontra sia nei lavori strumentali, che sembrano quasi una derivazione di alcuni analoghi modelli italiani di Corelli e di Vivaldi sia nelle cantate da camera, circa un centinaio, la cui quasi totalità fu scritta proprio nel corso del viaggio in Italia.