CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 705

Sguardi su Moncalieri

Incontri per conoscere la città e il suo territorio. Alla Biblioteca Civica “A. Arduino” Via Cavour, 31. Sulle tracce dei fortunati incontri in Biblioteca sotto il titolo “Da Moncalieri al Piemonte. Itinerari di storia e cultura del territorio”, ideati in collaborazione tra la Biblioteca, l’Assessorato alla Cultura della Città di Moncalieri e il Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis di Torino, riprende il cammino attraverso la storia e le storie di Moncalieri e del suo territorio, per aprire nuovi “Sguardi su Moncalieri”, volti ad approfondire i temi legati all’identità territoriale, nella consapevolezza che è importante il riferimento alle comuni radici per rinsaldare il senso di appartenenza e di radicamento alla comunità. E questo vale per tutti, per i moncalieresi d’antan,ma anche per tutti coloro che qui sono venuti a vivere in anni più recenti. Avere poi lo sguardo aperto al territorio è la condizione naturale di un luogo crocevia di cultura e di culture, capace di creare sinergie come Moncalieri si è dimostrata attraverso i suoi secoli di storia. In collaborazione con la Cooperativa Culturalpe

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Tre gli appuntamenti per la primavera:

Giovedì 9 marzo ore 17,30 GUSTAVO MOLA DI NOMAGLIO Centro Studi Piemontesi Settecento anni fianco a fianco: Moncalieri e i Savoia da Tomaso II a Clotilde

Giovedì 23 marzo, ore 17,30 GIAN SAVINO PENE VIDARI Presidente Deputazione Subalpina di Storia Patria Moncalieri e il suo territorio nello sguardo di Clemente Rovere

Giovedì 6 aprile ore 17,30 MARIA TERESA PICHETTO I luoghi “moncalieresi” di Massimo d’Azeglio, un artista in politica.

Coordinamento ALBINA MALERBA. Negli appuntamenti successivi, in via di definizione, il percorso ci porterà in un viaggio ideale attraverso la città e i borghi di Moncalieri per seguirne i cambiamenti, i fatti sociali, i rivolgimenti ambientali: i luoghi cambiano, gli architetti e gli uomini trasformano il paesaggio urbano, cancellano, ridisegnano, e poi il tempo su tutto fa la sua parte. Ma nella “pietra che dura” risuona l’eco di quanti ci hanno preceduto e come “voce delle cose” le parole frantumano spazio e tempo e ci restituiscono immagini, gusto e fascino dello stratificarsi della nostra storia.

E’ tempo di Hispánica al Circolo dei lettori

Fa centro ancora una volta il Circolo dei lettori di Torino con il ciclo di incontri “Hispánica” che porta la letteratura spagnola a Torino.

Gli appuntamenti imperdibili sono con 4 grandi scrittori della levatura di Alicia Giménez Bartlett, Julio Llamazares, Javier Cercas e Almudena Grandes. Quattro voci delle vicina penisola iberica diverse tra loro, ma tutte strategiche e fondamentali per tracciare i cambiamenti del paese che, liberatosi della lunga dittatura franchista, è oggi una democrazia moderna la cui storia è stata segnata da boom economico e periodi critici. Stili, tematiche, universi narrativi e punti di vista diversi nei libri di questi 4 autori, ma denominatore comune la maestria della scrittura e la capacità di delineare spaccati della vita e della letteratura spagnola contemporanea.

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Si inizia domani 7 marzo alle ore 18,30 con Alicia Giménez Bartlett , la regina del giallo. Per molti la “Camilleri spagnola” che, lasciati i panni di professoressa di letteratura, si è immersa nella scrittura e ha dato vita ai polizieschi con protagonista l’ispettrice di Barcellona Petra Delicado. Un successo travolgente per la poliziotta attaccabrighe, ribelle, un po’ anarchica e decisamente testarda, alla quale fa da spalla il bonario viceispettore Fermin Garzòn.Ma la Bartlett ha scritto anche opere di narrativa di altissimo livello, tra le quali “Una stanza tutta per gli altri” (2003) e l’ultimo “Uomini nudi” (Sellerio) che nel 2015 le è valso il prestigioso Premio Planeta.Domani nelle sale del Circolo (in Via Bogino 9) l’autrice incontra i suoi lettori subalpini nell’appuntamento dedicato al genere noir di cui è maestra.

Martedì 11 aprile sarà la volta di Julio Llamazares, poeta e viaggiatore il cui sguardo punta al rapporto tra uomo e natura. Ha iniziato a scrivere poesie fin da giovanissimo e dopo la laurea si è trasferito a Madrid dove nel 1976 gli è stato assegnato il Premio Nazionale di Poesia Universitaria e tre anni dopo il Premio Antonio Gonzalez de Lama. Con “Memoria della neve” nel 1982 ha vinto il Premio Guillén.

Giovedì 20 aprile appuntamento con il grande Javier Cercas, autore del famoso “L’impostore” (Guanda), docente di letteratura spagnola all’Università di Gerona. Lui definisce i suoi scritti “racconti reali” in cui finzione e realtà sono amalgamati, come nel nuovo “Il sovrano delle ombre” (Guanda) dove mescola storia e ricordi familiari. Scava nella storia della sua famiglia e apre una pagina scomoda del passato. Nel romanzo ripercorre la vita dello zio materno Manuel Mena che fu sottotenente falangista arruolato nell’esercito di Franco e morto a 19 anni, nel 1938, nella battaglia dell’Ebro, la più sanguinosa della guerra civile spagnola.

Giovedì 4 maggio a chiudere il ciclo “Hispánica” sarà Almudena Grandes. La scrittrice madrilena diventata famosa con il romanzo “Le età di Lulù” che nel 1990 ispirò l’omonimo film di Bigas Luna. E il feeling col cinema si è rinnovato con “Malena” (1994) da cui il film di Gerardo Herrero. Ancora successi per la Grandes con le opere successive “Atlante di geografia umana” (1998), “Gli anni difficili” (2002) e “Troppo amore” (2004). L’ultima fatica letteraria è “I baci sul pane” (2015) ambientato a Madrid durante la crisi del 2008; protagonisti coppie, famiglie allargate, single, giovani e meno giovani, spagnoli e stranieri. E l’autrice si concentra sull’esperienza umana di fronte ai grandi eventi storici.

Laura Goria

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Per informazioni: Il Circolo dei lettori

Via Bogino 9

Tel. 011 4326827

info@circololettori.it

A Palazzo si aprono le stanze della Regina Elena

Quest’anno l’8 marzo diventa l’occasione per riscoprire la figura della Regina Elenaprotagonista di questa giornata ai Musei Reali, che aderiscono ai festeggiamenti per la festa della donna riservando a tutte le visitatrici un ingresso gratuito. Saranno aperte in via eccezionale alle Stanze della Regina Elena.

Elena di Savoia, originaria del Montenegro e sposa per amore di Vittorio Emanuele III nel 1896, è stata una delle sovrane più amate dal popolo per la sua profonda umanità e per il suo impegno in numerose iniziative caritatevoli.

Affreschi dai temi mitologici, stucchi dorati, parati in seta alla cinese, porcellane, cristalli e un prezioso pavimento in marmi policromi: dieci sono le stanze di grande fascino che è possibile riscoprire nel corso della giornata con le visite guidate organizzate in collaborazione con gli Amici di Palazzo Reale, alle ore 10,11, 12, 15, 16, 17.

L’appartamento, collocato al piano terra di Palazzo Reale, è stato abitato fino alla seconda guerra mondiale, ma la sua origine risale alla fine del Seicento, quando Vittorio Amedeo II lo destina alle sue figlie e, per loro, le sale vengono decorate da Bartolomeo Guidobono e dal pittore viennese Daniel Seiter, autore della splendida volta dedicata al tema dei Quattro Elementi nella Sala di Parata.

Di grande fascino e di gusto già “borghese” la sala da bagno, decorata da delicati acquerelli eseguiti da Emma Biscarra, pittrice specializzata in fiori, appartenente a un’importante famiglia di artisti attivi a Torino nel XIX secolo.

Molte le personalità importanti che hanno soggiornato in questo appartamento: ai tempi di Napoleone I, vi alloggia il governatore di Torino; nel 1857 l’Imperatrice Alessandra Fedorowna di Russia, vedova di Nicola I, e dal 1890 Maria Letizia Napoleone, Duchessa d’Aosta.

 

(foto: L. Coda)

Passare il segno: opere di studenti e artisti

Una settantina di opere compongono una mostra che ha la sua origine nel Corso di Tecniche dell’Incisione – Grafica d’Arte dell’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Ne sono autori ex studenti, molti dei quali oggi affermati artisti, formatisi nei laboratori della Scuola di Grafica, le cui profonde tradizioni e l’attuale vitalità le conferiscono un prestigio riconosciuto in ambito nazionale e internazionale.

“L’espressione grafica d’arte abbinata a tecniche dell’incisione”, scrive il curatore Franco Fanelli, docente del Corso, “ribadisce implicitamente la conservazione di un sapere come base su cui impostare lo sviluppo e l’innovazione; la futuribilità, in sostanza, di una scuola, di un metodo e di una disciplina. Contemporaneamente, la doppia definizione amplia dichiaratamente il campo delle opportunità di ricerca e dei linguaggi, laddove le tecniche tradizionali (calcografia, xilografia, litografia, serigrafia) si sviluppano in altre direzioni, ma ancora in base ai principi fondamentali della grafica d’arte: segno, riproducibilità, modularità. Qui sta la ragione del titolo di questa mostra: Passare il segno per osare, osare per conoscere, conoscere per creare. Ed è la ragione per cui il visitatore vedrà, insieme a molti fogli di grafica tradizionale, opere basate su più recenti procedimenti legati alla stampa; e s’imbatterà in libri d’artista, fotografie, sculture, installazioni, video e dipinti”.

Tre le sezioni. Nella scuola, raccoglie una quarantina di opere grafiche spazianti dalle tecniche tradizionali della calcografia (acquaforte, acquatinta, puntasecca, mezzotinto) alle tecniche di fotoincisione: è una panoramica sugli ultimi trent’anni di attività nei laboratori di tecniche dell’incisione dell’Accademia Albertina di Belle Arti, sede operativa ma anche “luogo dell’anima”, nel quale la conservazione di un sapere è continuamente abbinata alla sperimentazione e all’innovazione dei linguaggi.La sezione Altri segni riunisce gli esiti professionali di alcuni ex studenti (Stefano Marvulli e Stefano Farci) che dalla grafica tradizionale si sono spostati verso il digitale o verso la relazione con l’immagine in movimento, sino alla cinematografia. Qui trovano posto le opere su carta di Stefano Allisiardi, artista che ha mosso i primi passi nella scuola in un ambito prossimo all’illustrazione. È altresì documentata l’attuale o quanto meno una recente fase di ricerca di ex studenti che hanno mantenuto, come artisti, rapporti stretti con lo specifico della grafica, come Beatrice Piva, Simone Pizzinga, Anna Guazzotti, Paolo Venice e Valentina Biga.La terza sezione, Oltre il segno, è infine una sorta di “mostra nella mostra”, composta da artisti oggi affermati e altri nella loro prima maturità. Si tratta di Botto & Bruno e Francesco Barocco, che hanno lavorato in dialogo con le opere della Pinacoteca Albertina, Laura Pugno, che traspone l’incisione in ambito installativo,  Manuele Cerutti, Cornelia Badelita, che “disegna” utilizzando timbri, Nadir Valente, Fatma Bucak e i più giovani Macchieraldo e Palasciano, Anna Canale, Aurora Paolillo e Chiara Pigoni.

 

Il catalogo, edito da Albertina Press, oltre al contributo del curatore contiene testi degli artisti invitati.

Oggi al Cinema

Le trame dei film nelle sale di Torino

A cura di Elio Rabbione

 

Allied – Un’ombra nascosta – Drammatico. Regia di Robert Zemeckis, con Brad Pitt e Marion Cotillard. Nella Casablanca in pieno conflitto mondiale, già tanto cara a Ingrid Bergman e a Humphrey Bogart, s’incrociano Marianne Beausejour, legata alla resistenza francese e avvenente spia pronta a fare l’occhio dolce al perfido tedesco, e Max Vatan, comandante d’aviazione di origine canadese e al servizio

dell’Intelligence inglese. Avventure e amore tra i due, il trasferimento a Londra, un matrimonio e una bambina partorita sotto i bombardamenti. Ma ad un certo punto della storia iniziano gli indizi e i dubbi e forse non tutto è come sembra. Film perfetto, secondo i sacrosanti canoni dello spionaggio, tensioni e necessità di indagare (anche da parte dello spettatore), il Brad che comincia a far intravedere le rughe e gli anni, la Cotillard magnifica come sua abitudine. Durata 124 minuti. (Lux sala 3, Massimo sala 3 V.O.)

 

A united kingdomL’amore che ha cambiato la storia – Drammatico. Regia di Amma Asante, con David Eyelowo e Rosamund Pike. Già compagno di Nelson Mandela negli studi universitari compiuti a Johannesburg, poi proseguiti in Inghilterra, Seretse Khama, principe del futuro Botswana, incontrò sposò a Londra alcuni anni dopo la fine della guerra Ruth Williams, una donna bianca. In un periodo di dieci anni, dal ’47 al ’57, che vede la perdita dell’India e il Ghana diventare il primo stato indipendente dell’Africa britannica, è facile pensare come questa unione provocasse scandalo, quanto i disegni di un Regno Unito che non voleva inimicarsi un Sudafrica e una Rodhesia segregazionisti e chiaramente le opposizioni interne al giovane pretendente al trono abbiano fatto tutto quanto in loro possesso per far naufragare ogni cosa. Durata 111 minuti. (Romano sala 3)

 

Ballerina – Animazione. Regia di Eric Summer e Eric Warin. Félicie vive in un orfanotrofio in Bretagna. Un giorno fugge per raggiungere la Parigi della Belle Epoque, nella speranza di veder realizzato il suo sogni di diventare una étoile dell’Opera. Con lei l’amico Victor: il suo sogno è quello di diventare un famoso inventore. Durata 89 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 1, The Space, Uci)

 

Barriere – Drammatico. Regia di Denzel Washington, con Denzel Washington e Viola Davis. Premio Pulitzer per l’autore August Wilson, successo a Broadway nel 2010, già interpretato dagli stessi attori che si guadagnarono un bel Tony Award ciascuno, è la vicenda amara e sconnessa di Troy nella Pittsburg della fine anni Cinquanta. Anni di prigione, aspirazioni nel mondo del baseball interrotte dopo esser stato respinto dalla squadra perché afroamericano, un legame coniugale con Rose ferito dalle infedeltà, una vita familiare che si rivale su uno dei figli con velleità sportive, un lunario sbarcato grazie al lavoro di netturbino. Film di chiaro impianto teatrale, uno di quegli esempi di questa stagione cinematografica che vede in primo piano una rivincita del cinema all black. Viola Davis premiata meritatamente con l’Oscar, Denzel che come attore tende a strafare e come regista correttamente “inquadra” dialoghi e scene. Durata 139 minuti. (Due Giardini sala Nirvana, F.lli Marx sala Harpo anche in V.O., Uci)

 

La Battaglia di Hacksaw Ridge – Drammatico. Regia di Mel Gibson, con Andrew Garfield, Sam Worthington e Vince Vaughn. Tornando dopo dieci anni dietro la macchina da presa dall’ultimo “Apocalypto”, Gibson narra la vicenda pacifista di Desmond Doss, cresciuto secondo la fede degli Avventisti del Settimo Giorno, che all’indomani di Pearl Harbor decise di arruolarsi, con il netto rifiutare di imbracciare le armi. Insultato e osteggiato e umiliato fisicamente e moralmente dall’opinione pubblica come dai propri compagni, Doss riuscì sulle scogliere di Okinawa a far prevalere le proprie convinzioni, mettendo in salvo in una sola notte 75 tra i suoi commilitoni. Grandi emozioni, un credo senza se e senza ma, guardando a Hawks e a Kubrick, a Eastwood e a Malick. Sei candidature agli Oscar, Gibson ha dovuto accontentarsi di due premi com miglior montaggio e sonoro. Durata 131 minuti. (Lux sala 1, Uci)

 

Beata ignoranza – Commedia. Regia di Massimiliano Bruno, con Alessandro Gassman e Marco Giallini. In una scuola italiana, Ernesto e Filippo, un professore di italiano e uno di matematica, il primo chiuso nelle proprie tradizioni e contrario a quanto l’uso della Rete gli possa offrire, il secondo è perennemente connesso al web, sempre a caccia di colleghe, adorato dagli alunni. Un passato non facile da dimenticare ha anche visto una donna indecisa tra i due. E se oggi il gioco delle parti cambiasse e le idee e gli interessi dell’uno diventassero quelli dell’altro? Durata 102 minuti. (Massaua, Greenwich sala 1, Reposi, The Space, Uci)

 

150 milligrammi – Drammatico. Regia di Emmanuelle Bercot, con Side Babett Knudsen e Benoit Magimel. Tratto da una storia vera. Nell’ospedale di Brest dove presta servizio, una pneumologia scopre che tra le morti sospette di alcuni pazienti e l’impiego di un farmaco commercializzato da oltre trent’anni ci sarebbero dei legami. È una lotta sempre più in crescita, da sostenere ogni giorno da parte di un gruppo di medici contro il Ministero della Salute francese e contro la casa farmaceutica che ha prodotto il farmaco. Durata 128 minuti. (Romano sala 3)

 

Cinquanta sfumature di nero – Erotico. Regia di James Fooley, con Jamie Dornan, Dakota Johnson e Kim Basinger. Sono cambiati sceneggiatore e regista per questo secondo capitolo della saga erotica inventata ad onor del proprio portafoglio dalla signora E.L. James, continua la ginnastica erotica di Christian e Anastasia, si preannuncia un nuovo grande successo grazie alle resse degli aficionados, tutto un gran mercato assai redditizio sulla scia dell’exploit dei 125 milioni di copie vendute del romanzo. In attesa delle sfumature di rosso. Durata 115 minuti. (Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Il cittadino illustre – Commedia. Regia di Gaston Duprat e Mariano Cohn, con Oscar Martinez. Daniel Mantovani è uno scrittore, vincitore del Nobel, in piena crisi creativa. Da Barcellona, dove da anni si è stabilito, accettando l’invito che i cittadini di Salas dove lui è nato e cresciuto gli hanno inviato, si reca in Argentina. L’accoglienza è entusiasmante, è anche l’occasione per rivedere il primo amore, tutto sembra trascorrere all’insegna della felicità: poi, poco a poco, prende piede il malumore come pure una strisciante violenza, rinfacciando tutti i cittadini di Salas i peccati giovanili, le aspre critiche che lo scrittore ha rivolto al proprio paese. Uno spunto interessante, uno svolgimento condotto con partecipazione: spiace per la grande povertà della forma, la regia scarna, i luoghi comuni, e il presepe di piccoli personaggi chiusi in macchiette in troppe occasioni. Coppa Volpi veneziana al protagonista (di certo sopravvalutata). Durata 118 minuti. (Classico)

 

Falchi – Drammatico. Regia di Toni D’Angelo, con Michele Riondino e Fortunato Cerlino. Due uomini, due poliziotti che fanno parte della Squadra Mobile napoletana, di poche parole e con metodi a volte spicci e spregiudicati, l’uno con l’ossessione dei cani, l’altro è un tossico, sempre in lotta contro la criminalità organizzata, a cavallo giorno e notte della loro moto a presidiare i quartieri più difficili. Ma anche errori nel lavoro di ogni giorno e sensi di colpa: qualcosa in entrambi cambia con il suicidio della figura paterna del loro commissario, accusato di rapporti con la camorra. Durata 98 minuti. (Uci)

 

Jackie – Drammatico. Regia di Pablo Larraìn, con Natalie Portman, Peter Sarsgaard, Billy Crudup e John Hurt. I giorni che seguirono all’uccisione di Kennedy a Dallas, la ricostruzione dell’attentato, i ricordi e le immagini che invasero il mondo, il tailleur rosa di Chanel sporco di sangue, il ritorno a Washington e il trasloco dalla Casa Bianca, la lotta di una donna ormai sola contro l’establishment e la sua volontà indomita perché al presidente venissero fatti grandi, imponenti funerali di stato. Al centro della vicenda, di ogni inquadratura è la Jackie di Natalie Portman a raccontare quei giorni ad un giornalista di “Life Magazine”. Durata 99 minuti. (Ambrosio sala 1, Eliseo Blu, Reposi, Uci)

 

La La Land – Musical. Regia di Damien Chazelle, con Ryan Gosling e Emma Stone. La storia di due ragazzi in cerca di sogni realizzati e di successo, lui, Sebastian, è un pianista jazz, lei, Mia, un’aspirante attrice che continua a fare provini. Si incontrano nella Mecca del Cinema e si innamorano. Musica e canzoni, uno sguardo al passato, al cinema di Stanley Donen e Vincent Minnelli senza tener fuori il francese Jacques Demy, troppo presto dimenticato. E’ già stato un grande successo ai Globe, sette nomination sette premi, due canzoni indimenticabili e due attori in stato di grazia, e adesso c’è la grande corsa agli Oscar, dove la storia fortemente voluta e inseguita dall’autore di “Whiplash” rischia di sbaragliare alla grande torri gli avversari: 14 candidature. Durata128 minuti. (Ambrosio sala 3, Centrale (V.O.), Eliseo Blu, F.lli Marx sala Chico, Massimo sala 2, Reposi)

 

La legge della notte – Drammatico. Regia di Bey Affleck, con Ben Affleck, Sienna Miller, Brendan Gleeson e Elle Fanning. Joe Coughlin, reduce dalle crudeltà della Prima Guerra mondiale, decide di intraprendere la strada pericolosa del fuorilegge, costruendosi un impero tutto suo, rifiutando l’idea di dover sottostare a qualsiasi padrino, a nessuna famiglia. Solo contro tutti quindi, nella ricca Florida a rendere più che vantaggioso il contrabbando di rum con l’appoggio dei cubani. Anche amori contrastati, tradimenti e agguati in perfetto stile gangsteristico. All’origine il romanzo di Dennis Lehane (“Mystic River” a firma Eastwood e “Shutter Island” a firma Scorsese) che aveva già offerto a Affleck l’occasione di “Gone Baby gone” per il suo esordio alla regia. Durata 129 minuti. (Massaua, The Space, Uci)

 

Lego Batman – Il film – Animazione. Regia di Chris McKay. I mattoncini famosi in tutto il mondo si uniscono in questo film, tra citazioni cinematografiche e precisi riferimenti, da Robin al maggiordomo Alfred, da Batgirl al prode Batman che imparerà a valorizzare i rapporti affettivi cancellando il trauma che ha determinato la sua vita. Durata 104 minuti. (Uci)

 

Lion – La strada verso casa – Drammatico. Regia di Garth Davis, con Dev Patel, Rooney Mara e Nicole Kidman. Il piccolo Saroo, cercando di seguire il fratello più grande nel continuo tentativo di recuperare lungo le strade dell’India quel poco che aiuti alla sopravvivenza della sua famiglia, si addormenta su di un treno, nel buio della notte, e si ritrova a Calcutta, solo e incapace di spiegare da dove venga e quel che gli è successo. L’adozione da parte di una coppia australiana gli risparmia l’orfanotrofio: ma una volta arrivati i venticinque anni, il desiderio di rintracciare la sua vera famiglia lo condurrà ad una lunga ricerca. Tratto da una storia vera. Durata 120 minuti. (Romano sala 1)

 

Logan – The Wolverine – Fantasy. Regia di James Mangold, con Hugh Jackman, Richard Grant e Patrick Stewart. Un film di congedo, un eroe che depone i propri artigli e vive quasi segregato in un luogo sperduto del Messico, accudendo al suo anziano mentore, il professor Xavier, con la compagnia di un mutante che di nome fa Calibano e vorrebbe uscire dalle pagine della “Tempesta” shakespeariana. Ma c’è un’ultima avventura da combattere, accanto ad una giovanissima Laura che ha gli stessi poteri di Logan. Durata 131 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci)

 

Mamma o papà? – Commedia. Regia di Riccardo Milani, con Paola Cortellesi e Antonio Albanese. Valeria, ingegnere, e Nicola, ginecologo, dopo tre lustri di matrimonio, hanno deciso di divorziare. Noia, arrivismo, nuovi compagni, le offerte di lavoro che arrivano dall’estero, tutto collabora a far naufragare l’unione. Anche i loro figli sono tre e di loro nessuno dei due ha intenzione di occuparsi. Durata 98 minuti. (Massaua, Greenwich sala 2, Reposi, The Space, Uci)

 

Manchester by the sea – Drammatico. Regia di Kenneth Lonergan, con Casey Affleck, Michelle Williams e Lucas Hedges. Film in corsa per gli Oscar, sei candidature (miglior film e regista, sceneggiatura originale e attore protagonista, attrice e attore non protagonista), un film condotto tra passato e presente, ambientato in una piccola del Massachusetts, un film che ruota attorno ad un uomo, tra ciò che ieri lo ha annientato e quello che oggi potrebbe farlo risorgere. La storia di Lee, uomo tuttofare in vari immobili alla periferia di Boston, scontroso e taciturno, rissoso, richiamato nel paese dove è nato alla morte del fratello con il compito di accudire all’adolescenza del nipote. Scritto e diretto da Lonergan, già sceneggiatore tra gli altri di “Gangs of New York”. Durata 135 minuti. (Eliseo Rosso, Nazionale sala 2)

 

Moonlight – Drammatico. Regia di Barry Jenkins, con Naomi Harris, Mahershala Ali e Trevante Rhodes. Miglior film secondo il parere della giuria degli Oscar, film teso, crudo, irritante. La storia di Chiron – suddivisa in tre capitoli che delimitano infanzia adolescenza ed età adulta del protagonista – nella Miami povera, tra delinquenza e droga, prima solitario e impaurito dalla propria diversità colpita dai pregiudizi, infine spacciatore che non ha paura di nulla e che sa adeguarsi al terrificante e violento panorama che lo circonda. Attorno a lui una madre tossicomane, un adulto che tenta di proteggerlo, un giovane amico. Durata 111 minuti. (Centrale (V.O.), F.lli Marx sala Groucho, Nazionale sala 1)

 

Omicidio all’italiana – Commedia. Regia di Maccio Capatonda, con Capatonda, Herbert Ballerina, Nino Frassica e Sabrina Ferilli. Succede qualcosa di strano nel solitario paesano abruzzese di Acitrullo, dimenticato davvero da Dio e dagli uomini: un omicidio. Perché non sfruttare la situazione, si chiede il sindaco Piero Peluria, mentre arrivano folle di curiosi e soprattutto la televisione con la sua bella trasmissione “Chi l’acciso?”. Durata 99 minuti. (Reposi, The Space, Uci)

 

Rosso Istanbul – Drammatico. Regia di Ferzan Ozpeteck, con Halit Ergenç, Nejat Isler e Serra Yilmaz. Il regista turco torna a girare nella sua patria, a vent’anni di distanza dal “Bagno turco” e da “Harem Suaré”, ancora una volta avvolto nel suo realismo magico, con una storia che ha le proprie radici (rivisitate) nel romanzo omonimo, a cavallo dell’autobiografia, e che vede il ritorno a Istanbul da una Londra culla d’esilio dello scrittore Orhan richiamato dal regista Deniz al ruolo di editor per una sua nuova opera letteraria. Ma Deniz all’improvviso scompare e Ohran viene a contatto con il mondo di lui, con i suoi amici, con il suo passato. Malinconie, la realtà del quotidiano, i cambiamenti della Turchia, il passato e il presente che si guardano e si confrontano, le “madri del sabato” alla ricerca dei figli scomparsi. Durata120 minuti. (Eliseo Grande, Romano sala 2, Uci)

 

Split – Thriller. Regia di M. Night Shyamalan, con James McAvoy. La storia di Kevin, uno psicopatico che unisce in sé 23 diverse personalità, che si alternano nella mente e nel corpo, in cura da una psicologa che non ha compreso come in lui stia sempre più prendendo importanza la ventiquattresima, la Bestia, la più pericolosa, che tende a sovrastare ogni altra. Un giorno Kevin rapisce tre ragazze. L’autore del “Sesto senso” e di “The village” gioca con i differenti generi, dal thriller al soprannaturale, dal dramma psicologico allo studio medico, non dimenticando Lynch o il viso e la risata del Nicholson di “Shining”. Durata 116 minuti. (Uci)

 

The Founder – Commedia. Regia di John Lee Hancock, con Michael Keaton e Laura Dern. Con un passato di commesso viaggiatore di scarso successo, nel 1954, di fronte alla ristretta attività dei fratelli Dick e Mac McDonald a San Bernardino in California, un povero chiosco di hamburger confezionatore di spuntini veloci per altrettanto pubblico frettoloso e dal poco spendere, il signor Ray Kroc pensa di allargare, in qualità di socio, l’attività dei pionieri su scala nazionale. Sappiamo tutti com’è andata a finire, successo successo successo, unendo artigianato e voglia di sperimentazione unita a una fragorosa mania di grandezza. Un avventura americana, una sfida e il sogno sempre ricercato, un’altra bella prova per il resuscitato Keaton, già pedina vincente di titoli quali “Birdman” e “Il caso Spotlight”. Durata 115 minuti. (Classico)

 

The Great Wall – Avventuroso – Regia di Zhang Yimou, con Matt Damon, Tian Jing e Willem Dafoe. Banco di prova per coproduzioni cino-statunitensi, un gruppo di sceneggiatori hollywoodiani, un regista tra i più acclamati, un divo: ma sembra che il gioco non abbia funzionato. Una vicenda che gira intorno alla Grande Muraglia, costruita per mettere al riparo non soltanto il grande paese ma altresì il resto del mondo da orde di creature dall’aspetto animalesco in vena di enormi distruzioni. Stupisce che un regista come Yimou (“Lanterne rosse”) si sia addentrato in una simile avventura, tra kolossal e arti marziali. Durata 103 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci anche in 3D)

 

T2 Trainspotting – Drammatico. Regia di Danny Boyle, con Ewan McGregor, Robert Carlyle, Jonny Lee Miller e Ewen Bremmer. Il precedente “Trainpotting” aveva lasciato Mark Renton scappava con il malloppo, abbandonando i compagni in un un mare di rabbia, di droga e di sballo. Non tutti l’hanno digerita. La nuova puntata di quel film che è diventato un cult vede il nostro nel tentativo di riallacciare i contatti, e per quanto si può in vera pace, con loro rimettendo piede a Edinburgo. Quello che non ha proprio voglia di incontrare è Begbie (Carlyle), appena uscito di galera, il più legato al mondo di un tempo. Durata 117 minuti. (Ambrosio sala 2 e sala 3, Greenwich sala 3, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Tra ponente e levante – Documentario. Regia di Lorenzo Giordano. Un paese ligure, isola di terraferma tra le montagne e il mare, un luogo dove i ricordi si mischiano al presente, dove si varano navi enormi e si demoliscono cantieri densi di storia. Una visione poetica del passato e del presente vista con gli occhi di un raccoglitore di memorie. (Classico)

 

Vi presento Toni Erdman – Commedia. Regia di Marin Ade, con Peter Simonischek e Sandra Hüller. Un padre davvero sui generis che, abbandonando la sua vera identità di Winfried per assumere quella del titolo, compare all’improvviso a Bucarest dove la figlia, donna in carriera solitaria e senza uno straccio di relazione amorosa a farle da supporto in un’esistenza senza troppe luci e molte ombre, sta trattando un grosso affare. Un rapporto e una storia fatti di comicità e di tenerezza, un incontro che scombussola, un chiarimento di intenti e di futuro. Durata 162 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, Massimo sala 2)

 

“Le regole del buongoverno” al Pannunzio

Lunedì 6 marzo alle ore 18, al Centro “Pannunzio” in via Maria Vittoria 35H, Sara Lagi e Pier Franco Quaglieni presenteranno il libro di Alberto Giordano “Le regole del buongoverno. Il costituzionalismo liberale nell’Italia repubblicana”, Edizioni De Ferrari. Come andrebbe disegnata una Costituzione per tutelare i diritti dei cittadini e favorire lo sviluppo di una democrazia matura? Esistono meccanismi capaci di scongiurare gli abusi di potere? La nostra Carta Costituzionale li contempla appieno? E che spazio assegna ai Partiti politici? Domande attualissime alle quali i liberali hanno tentato di rispondere sin dai tempi dell’Assemblea Costituente e lungo tutta la “prima Repubblica”. Il volume ricostruisce questa storia con un’attenta analisi del costituzionalismo liberale tra il 1943 ed il 1985: un viaggio attraverso le piccole e grandi “eresie liberali”che hanno costellato quarant’anni di vita italiana. Alberto Giordano insegna Storia dell’opinione pubblica presso l’Università di Genova.

Benedetto espone al Polski Kot

Presso il centro Polski Kot, un angolo stupendo di Polonia a Torino, oggi si inaugura la mostra fotografica di Claudio Benedetto, cui seguirà un concerto. Sì intitola “Polonia Polska” l’esposizione fotografica che inaugura sabato 4 marzo alle 18 presso il centro Polski Kot in via Massena 19/A e raccoglie i lavori fotografici di Claudio Benedetto, vale a dire gli scatti più recenti dedicati al Paese che si affaccia sul Baltico. Sarà aperta a partire dalle 18; tra le 19 e le 21 sarà possibile degustare bigos, la specialità polacca a base di cavoli, funghi e carne, accompagnata da pane nero e birra tipica a 5 euro. Dalle 21 prenderà avvio il Concertino per tastiera dell’artista macedone Marko Chvarko, accompagnato dalla propria voce narrante, che permetterà agli ascoltatori di scoprire uno dei Paesi più affascinanti d’Europa a partire dalla sua musica.

MM

Višegrad, dove la Drina diventò la più grande fossa comune della Bosnia

“VIŠEGRAD.L’odio, la morte, l’oblio” (Infinito edizioni) è l’ultimo libro di Luca Leone e uscirà tra breve nelle librerie. Il volume, con la prefazione di Riccardo Noury e l’introduzione di Silvio Ziliotto, racconta una storia spesso dimenticata o taciuta. Nella primavera del 1992, all’inizio del conflitto che sino alla fine del 1995 insanguinerà la Bosnia Erzegovina, Višegrad venne sottoposta a un intenso bombardamento da parte dell’esercito regolare jugoslavo. Ritiratesi le forze armate, millantando una situazione ormai sicura e sotto controllo, la cittadina della Bosnia orientale finì sotto il controllo di un gruppo paramilitare guidato dai cugini Milan e Sredoje Lukić, che inaugurarono un regime del terrore e dell’orrore.

In pochi mesi la pulizia etnica ai danni dei musulmani-bosniaci – che costituivano il 63 per cento della popolazione locale – venne portata a termine con operazioni di rastrellamento, deportazioni, omicidi di massa e persino attraverso la combustione, in almeno due casi, di decine di civili all’interno di case private. Circa tremila persone vennero uccise e fatte scomparire. Lo stupro etnico ai danni di donne, bambini e uomini divenne pratica comune. Il fiume Drina mirabilmente cantato dal premio Nobel per la letteratura Ivo Andrić si trasformò nella più grande fossa comune di quella guerra. Questo reportage scritto sul campo racconta quelle vicende e, per stessa ammissione di Luca Leone, è un libro corale. Voci, storie, dolori e violenze che riempiono ricordi e incubi, le speranze riposte in una giustizia, che ancora non si è compiuta, prendono forma e aiutano a capire perché ciò che è iniziato a Višegrad è poi finito a Srebrenica in una sequenza terribile e disumana.

 

Višegrad è un esempio terrificante di pulizia etnica e la cattiva coscienza di coloro che hanno troppi scheletri nell’armadio tende a giustificare la rimozione collettiva, motivandola con la pesantezza dei ricordi e del disagio che questi provocano. Alcuni capitoli sono come un pugno nello stomaco; duro, ma necessario. Il racconto, colmo di passione civile e preciso, quasi chirurgico nel mettere in ordine fatti e testimonianze, riporta al clima terribile di quei giorni e di quei mesi dove tutto iniziava: i furti, la distruzione sistematica delle proprietà dei cittadini bosniaci-musulmani, le torture e le sparizioni, l’omicidio e lo stupro di massa. E’ un orribile calvario quello vissuto da migliaia di persone sulla linea di confine tra la Bosnia e la Serbia. Un albergo può chiamarsi “Vilina Vlas”       ( “capelli di fata”, come nelle fiabe) e nascondere tra le sue mura l’orrore puro? A Višegrad è accaduto. E’ lì che avevano il loro quartier generale i “signori neri di Višegrad”, i due cugini Milan e Sredoje Lukić. Due assassini e stupratori, condannati all’ergastolo e a 30 anni dal tribunale dell’Aja, che incutono ancora oggi timore al solo nominarli. In fondo da quelle parti, sulle sponde della Drina, è come se il genocidio continuasse. Per questo ha ragione Luca Leone nel ricordarci che occorre non dimenticare. Anzi: bisogna “leggere per capire”.  Anche se è difficile. Anche se viene voglia di chiudere gli occhi e la mente davanti agli orrori narrati nel libro. Ma bisogna sapere. Perché sulle terre di quella che un tempo è stata la Jugoslavia soffia ancora forte il vento del nazionalismo. E semina un po’ ovunque le spore del negazionismo. E’ pur vero che la guerra appartiene ormai ad un passato lontano, ma il germe della violenza è ancora ben vivo e inquina la vita di tutti i giorni. Bisogna cercare “sotto al tappeto la polvere grigia del dolore e della tragedia che piedi nazionalisti hanno cercato malamente e vigliaccamente di nascondere, dopo aver dato fuoco alla stoppa ed essere rimasti a godersi, applaudendo, l’incendio”.

Questi due decenni post bellici hanno visto di tutto: crisi economica, speculazione, aumento delle disuguaglianze, criminalità e corruzione. Accompagnate dalla mancata o ritardata e parziale giustizia, dall’impunità dei colpevoli alla frustrazione delle vittime, spesso obbligati – gli uni e le altre – a vivere fianco a fianco. Il potere costituito, quello dall’anima nera, vorrebbe dimenticare e far dimenticare cos’è accaduto. Cosa c’è di più catartico che omettere, nascondere responsabilità su crimini e aberrazioni? Il genocidio non avviene a caso, non è il frutto di un incidente, di un raptus dentro una logica violenta. Il libro di Luca Leone – e tutti gli altri che ha voluto dedicare, con coraggio e impegno, alla Bosnia – è di grande importanza perché rappresenta un formidabile antidoto contro il negazionismo. Negli ultimi vent’anni, i serbi bosniaci e la Serbia si sono impegnati a negare il genocidio, a classificare quello che è accaduto come uno dei tanti crimini che vengono commessi durante un conflitto. Così, il negazionismo è diventato una sorta di strategia di Stato. Qualcosa di simile ad una auto-assoluzione considerato il fatto che molti degli attuali politici sono le stesse persone che avevano qualche responsabilità o ruolo nell’apparato politico serbo all’epoca del genocidio. E la loro ideologia è ancora la stessa: un marcato nazionalismo che, negando i fatti, nega le proprie colpe e continua a provocare dolore e sconcerto alle vittime di tanta violenza. Nel libro che offre, appunto, una documentata testimonianza “corale”, parlano uomini straordinari come Amor Mašović ( il presidente dell’ente federale bosniaco per la ricerca delle persone scomparse), Rato Rajakil sindaco di Rudo (“gigante dalle spalle un po’ curve e dalla mente illuminata”) –  o l’ex generale Jovan Divjak, l’eroe serbo che difese Sarajevo. Ma sono soprattutto le donne ad essere protagoniste, vittime, ma anche testimoni determinate, inflessibili. Il dolore di Dzana, Lejla emerge, potente e drammatico, insieme al loro coraggio e a quello di tante altre donne. I racconti di Bakira Hasečić, la “lady Wiesenthal“ della Bosnia, lasciano senza parole. Una narrazione lucida, dolorosa, che strappa le parole e le memorie come pezzi dell’anima. Ogni ricordo è un morso nella carne. Per questo reportage e per tante altre storie e racconti bisogna essere grati a Luca Leone – autore anche di“Srebrenica. I giorni della vergogna” ,  “Bosnia Express” , “I bastardi di Sarajevo” e molti altri testi – uno dei più attenti e informati “testimoni” delle vicende bosniache.

Marco Travaglini

 

Il senso di Beppe Navello per il teatro

Beppe Navello, classe 1948, dopo gli studi universitari alternati tra Italia e Francia, si forma allo Stabile torinese come regista assistente di Mario Missiroli, attraverso le personali prove con testi di Gozzi, Gadda e Ibsen viene chiamato a insegnare alla scuola del Piccolo Teatro di Milano, per due volte è nominato direttore dello Stabile dell’Aquila, poi al Teatro di Sardegna, per spostarsi in Francia per un brechtiano Cerchio di gesso del Caucaso. Poi saranno gli anni di Alfieri, di Ibsen, di Strindberg e del contemporaneo Jean-Claude Carrière con Il catalogo. All’inizio del nuovo millennio, vara la fondazione dell’associazione “Teatro Europeo” per cui mette in scena a Parigi Sibilla d’amore di Osvaldo Guerrieri con Anna Galiena, da dieci anni è direttore della Fondazione Teatro Piemonte Europa. Il TPE ha oggi una propria casa al teatro Astra. E oggi Navello può sottolineare il successo del goldoniano Una delle ultime sere di carnevale, con cui in veste di regista chiude un percorso attraverso il teatro settecentesco, dopo le esperienze del Divorzio di Vittorio Alfieri e Il trionfo del Dio Denaro di Marivaux.

Perché, Navello, la scelta di questo terzo testo e qual è il fil rouge che unisce le tre commedie?

Ho sempre amato questo testo di Goldoni, e da molto tempo sognavo di poterlo mettere in scena, da quando lo vidi nell’eccezionale edizione di Squarzina per lo Stabile genovese. Ero allora un giovane universitario che si divideva tra Torino e Parigi, inseguivo già una doppia cultura, nella convinzione che la mia professione futura potesse mettere le proprie radici proprio in Francia. È chiaro come già sentissi allo stesso tempo una certa nostalgia per il mio luogo di nascita e quegli stessi sentimenti che io nutrivo ormai decenni fa il pubblico può vedere come siano lo scheletro della commedia che ho adesso messo in scena. Forse più di quarant’anni fa Squarzina privilegiava il compito e il carattere dell’artista, oggi la situazione che troppi dei nostri ragazzi stanno vivendo, l’urgenza contemporanea che ne deriva, mi hanno fatto approfondire altre letture. Per quanto riguarda il fil rouge, esiste ed è il denaro che trovo nel vecchio amore che per me è Alfieri, capace di passare dalla tragedia che ha ormai fatto il suo tempo alla commedia che meglio frusta i costumi, con la sua invettiva contro i costumi italiani che ci fanno vergognare di fronte all’Europa tutta, “o fetor de’ costumi italicheschi”, scrive a un certo punto; come lo trovo in Marivaux, che non è soltanto l’autore dei giochi e dei dispetti d’amore ma anche quello del teatro civile, L’isola degli schiavi un titolo per tutti, che scrive Le triomphe de Plutus e mi dà l’occasione immediatamente di ripensare al berlusconismo e ai suoi vent’anni di governo. Avverto un grande disagio nazionale, un dibattito e un confronto quotidiani, del resto già erano messi in scena insospettatamente nel 1762 da un genio teatrale come Goldoni.

Si continua a intravedere rimandi al teatro di un altro paese e la ricerca di collaborazioni con l’estero, come ormai con il TPE ci ha abituato…

Sono sempre più legato a questo messaggio di collaborazione che valichi le Alpi e non soltanto, c’è la necessità di lavorare qui ma certi parametri sociali, temporali, culturali quasi ti impongono di aprirti ad un’attività senza confini. Per il prossimo “Teatro a corte”, in estate, riprenderemo la collaborazione con Anna Senatore, anticipando il lavoro che presenterà ad Avignone, e con Jerôme Thomas che lavorerà anche a Chambord. Come esiste un progetto, che doveva già essere pronto per questa stagione ma che per il momento è stato rimandato all’autunno prossimo: una mia regia di Arlecchino servitore di due padroni, ancora Goldoni, con il Teatro Slaski di Katowice in Polonia. Un’esperienza che continua, dopo il successo di Cinéma! circa dieci anni fa.

Uno dei punti di forza del TPE è ormai la compagnia di giovani che il pubblico sta ammirando nelle vostre ultime produzioni.

Tutto è iniziato con un seminario sul verso, le risposte di ragazzi arrivati oggi intorno ai 35, prima con una guardinga diffidenza, poi una presenza pressoché costante che poco a poco abbiamo cominciato ad apprezzare l’uno dell’altro. È stata un’esperienza che ci e li ha portati ormai attraverso titoli che vanno dal Divorzio a Zio Vania, da Woyzeck a Tre sorelle, dall’avventura straordinaria dei Tre moschettieri all’attuale Goldoni. Solo una delle sere scorse, un signore che aveva ammirato la prova dei Moschettieri si è voluto sincerare che nel Carnovale ci fossero quegli stessi attori, poi ha acquistato il biglietto.

Una compagnia che è pure un importante impegno economico.

Viviamo con i problemi che si susseguono giorno dopo giorno, ne risolviamo uno perché se ne presentino dieci. In una vita teatrale che fino a quattro cinque anni fa era un disastro e che adesso ha visto una riforma che è un salutare scossone, per la continuità, per l’intensificazione delle produzioni, per la stanzialità, il grosso problema di sempre è far quadrare i conti, magari dovendo combattere con somme stanziate che non sono arrivate nella loro interezza. Sappiamo tuttavia di poter contare sui 600 mila euro del ministero come sui 900 della Regione, come sui soldi che il Comune e le Fondazioni bancarie ci mettono a disposizione. Altri teatri badano con maggior peso alla macchina gestionale, noi preferiamo rivolgerci alla produzione pur senza avventurarci in spese spropositate, senza ad esempio ricorrere al nome che ha tutti i numeri per fare cassetta, preferendo una nostra continuità artistica che porta in risultati che oggi stiamo vedendo. Direi perseverando anche in quegli esempi che hanno fatto la nostra immagine come i Moschettieri, per cui stiamo pensando ad un altro serial, di un autore contemporaneo, magari già la prossima stagione.

Al di là delle problematiche come pure di una certa stabilizzazione, quale messaggio può dare il teatro oggi?

In un’epoca in cui avanzano la rete o le nuove tecnologie, in cui allo stesso tempo si tende all’isolamento, il teatro come le altre discipline a lui prossime è un’enorme risorsa, è la fruizione delle idee, è la sua continua forza millenaria, è l’immagine concreta di un grande quanto insperato futuro, è il controllo diretto della partecipazione. È il piacere di avvicinarsi gli uni agli altri e il fenomeno di collegamento, che continua a crearsi tra il palcoscenico e il pubblico.

 

Elio Rabbione

Incisori olandesi del Seicento alla Sabauda

 Musei Reali 8 novembre 2016 – 17 aprile 2017

Il “secolo d’oro” delle incisioni raccontato attraverso le opere dei grandi maestri olandesi raccolte nelle collezioni della Galleria Sabauda: le acqueforti di Rembrandt, Both, Waterloo, Du Jardin, Berchem, van Ostade e altri ancora sono le protagoniste della mostra L’occhio fedele. Incisori olandesi del Seicento, a cura di Giorgio Careddu, che si svolge presso i Musei Reali di Torino da martedì 8 novembre 2016 fino a domenica 26 febbraio 2017. Un’esposizione che mira a dare spazio le straordinarie collezioni dei Musei Reali, spesso poco conosciute al grande pubblico, e ora oggetto di attività di valorizzazione specifiche. L’arte olandese del Seicento è conosciuta come “il secolo d’oro” per la grandezza e l’abbondanza della produzione figurativa che accompagna l’ascesa della giovane repubblica dei Paesi Bassi settentrionali. Con il distacco dalle provincie fiamminghe dominate dalla Spagna (1585), in Olanda prende vita un mercato artistico sostenuto dal ceto borghese, per lo più dedito al commercio, intraprendente, colto e amante dell’arte. Le incisioni a stampa hanno in questo periodo un campo di diffusione molto vario: calendari, libri illustrati, vedute di città, paesi, castelli, navi, costumi, ritratti e riproduzioni di dipinti celebri, stemmi e fregi. La mostra presenta 32 fogli tratti dalla collezione della Galleria Sabauda, che documentano alcuni dei generi più diffusi, ma anche la capacità di osservazione e di descrizione attenta della realtà, ciò che un grande scienziato inglese del tempo, Robert Hooke (1635-1703) definì il frutto di “una Mano schietta e un Occhio fedele”.

Il percorso si sviluppa in quattro tappe:

 

  1. Il paesaggio: Rembrandt van Rijn e Jacob van Ruisdael

La pittura olandese del Seicento è ricca e varia nell’osservazione della realtà, domestica e accattivante nei suoi soggetti. È qui che il genere del paesaggio si afferma come visione pura, come restituzione fedele di un frammento di mondo reale, senza commistioni con soggetti narrativi derivati dalla religione, dal mito o dalla storia. Guardando le vedute di Rembrandt, sentiamo che lo spazio rappresentato potrebbe continuare all’infinito, placidamente sereno come in un qualsiasi giorno. L’attenzione di Ruisdael si posa invece sulla descrizione degli alberi e delle nuvole, che avvolgono come onde inquiete la silente vita degli uomini.

 

  1. Scene di vita: Adriaen van Ostade

Le case e le taverne sono un soggetto molto frequente nella pittura olandese del Seicento. Lo sguardo si appunta su momenti di vita familiare, su musici o viandanti, o anche su piccole scene aneddotiche di ubriachi e di prostitute. Sempre, le piccole azioni quotidiane degli uomini si accompagnano alla descrizione accurata del mondo che li circonda, fatto di innumerevoli oggetti d’uso e anche di animali raffigurati nei loro peculiari momenti di vita, come un maiale che si abbandona al sonno nel sole.

 

  1. La campagna di Paulus Potter

Pittore di paesaggi e di animali, Potter lavorò ad Amsterdam, dove morì a soli ventinove anni. La sua opera più celebre è Il toro (1647), esposto al museo Mauritshuis dell’Aia. Un dipinto di grandi dimensioni, dove l’artista mette a frutto anni di studi e di ricognizioni intorno al mondo animale. Le sue mucche, affacciate sugli orizzonti di una placida campagna, documentano la cura dell’arte olandese per la descrizione del reale, ma suggeriscono anche un’atmosfera sognante e sospesa, una sorta emblematica meditazione sul mondo, attraverso lo sguardo delle sue creature più umili.

 

  1. Gli animali

La raffigurazione di mucche, cavalli, asini, pecore e cani costituisce un filone particolarmente apprezzato della pittura olandese del Seicento e uno dei modi con cui gli artisti documentano la varietà del creato, attenti a riportare lepeculiarità delle razze ela diversità delle posture.

 

 

La visita de L’occhio fedele. Incisori olandesi del Seicento è inclusa nel biglietto dei Musei Reali.